Nasce allora il Sudamerica moderno. E cresce e si diffonde il mito di Rafael Correa, presidente eletto dell’Ecuador. Non un contadino indio come Morales, un sindacalista come Lula, un operaio degli altiforni come Chavez. Tutt’altra pasta. Proveniente da una famiglia dell’alta borghesia caraibica, è un intellettuale cattolico. Laureato in economia e pianificazione economica a Harvard, cattolico credente e molto osservante, si auto-definisce “cristiano-socialista come Gesù Cristo, sempre schierato dalla parte di chi ha bisogno e soffre”. Il suo primo atto ufficiale consiste nel congelare tutti i conti correnti dello Ior nelle banche cattoliche di Quito e dirottarli in un programma di welfare sociale per i ceti più disagiati. Fa arrestare l’intera classe politica del precedente governo che viene sottoposta a regolare processo. Finiscono tutti in carcere, media di dieci anni a testa con il massimo rigore. Beni confiscati, proprietà nazionalizzate e ridistribuite in cooperative agricole ecologiche. Invia una lettera a papa Ratzinger dove si dichiara “sempre umile servo di Sua Illuminata Santità” dove chiede ufficialmente che il Vaticano invii in Ecuador soltanto “religiosi dotati di profonda spiritualità e desiderosi di confortare i bisognosi evitando gli affaristi che finirebbero sotto il rigore della Legge degli uomini”.
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venerdì 31 agosto 2012
Rafael Correa
Nasce allora il Sudamerica moderno. E cresce e si diffonde il mito di Rafael Correa, presidente eletto dell’Ecuador. Non un contadino indio come Morales, un sindacalista come Lula, un operaio degli altiforni come Chavez. Tutt’altra pasta. Proveniente da una famiglia dell’alta borghesia caraibica, è un intellettuale cattolico. Laureato in economia e pianificazione economica a Harvard, cattolico credente e molto osservante, si auto-definisce “cristiano-socialista come Gesù Cristo, sempre schierato dalla parte di chi ha bisogno e soffre”. Il suo primo atto ufficiale consiste nel congelare tutti i conti correnti dello Ior nelle banche cattoliche di Quito e dirottarli in un programma di welfare sociale per i ceti più disagiati. Fa arrestare l’intera classe politica del precedente governo che viene sottoposta a regolare processo. Finiscono tutti in carcere, media di dieci anni a testa con il massimo rigore. Beni confiscati, proprietà nazionalizzate e ridistribuite in cooperative agricole ecologiche. Invia una lettera a papa Ratzinger dove si dichiara “sempre umile servo di Sua Illuminata Santità” dove chiede ufficialmente che il Vaticano invii in Ecuador soltanto “religiosi dotati di profonda spiritualità e desiderosi di confortare i bisognosi evitando gli affaristi che finirebbero sotto il rigore della Legge degli uomini”.
mercoledì 29 agosto 2012
Giampaolo Taurini
Giampaolo Taurini nella foto indicato dalla freccia
Nota: Questa fotografia è altamente simbolica: mentre Franco (foto sotto) consegna le chiavi della parrocchia al Monsignore di Curia, i parrocchiani mostrano le chiavi della loro casa che da lì in avanti si chiamerà Comunità. Libera coscienza in libera chiesa.
Buona
notte Giampaolo
di Franco Quercioli
Con Giampaolo di strada insieme
ne abbiamo fatta parecchia qui all’Isolotto ma non solo, anche perché proprio a
partire da quegli anni l’Isolotto non fu più un’isola.
Si stava vicini di casa in via
degli Agrifogli e spesso si tornava
dalle riunioni in parrocchia e si facevano le ore piccole a discutere di quello
che capitava. E capitava di tutto.
Ancora oggi si dice e si scrive del famoso ‘processo
dell’Isolotto’. I processi dell’Isolotto in realtà furono due: uno piccolo e
uno grande. E noi ci trovammo dentro a tutti e due..
Quello piccolo si celebrò in
Pretura il 22 aprile del 1969. Il reato contestato era manifestazione non autorizzata e vilipendio
alla religione, per via dei cartelli contro il Vescovo Florit portati nelle due
manifestazioni incriminate del 5 e dell’8 dicembre 1968. Quella del 5 dicembre
passò alla storia perché sui gradini del Duomo fu letto “Il catechismo
dell’Isolotto” dagli alunni della Montagnola scesi in sciopero insieme ai
genitorie e ad alcuni maestri in solidarietà con Don Mazzi.
Sei imputati tutti laici. Gli
altri quattro erano Sergio Rusich Giovanni Palagi, Giovanni Cipani, Donatello
Gerbi, tutti assolti dal pretore Francesco Fleury.
Quello grande, iniziò con
l’ordine di comparizione inviato in data 14 gennaio 1969 a cinque preti e
undici laici tra cui Giampaolo ed io. I reati erano diversi ma quello più grave
era “impedimento di funzione religiosa” ( la messa del 4 gennaio 1969).
Nel giugno dello stesso anno
furono incriminate 438 persone, che si
erano autodenciate in solidarietà con i primi imputati.
L’11 gennaio 1971 furono
amnistiati tutti gli imputati compresi Giampaolo ed io, e rinviati a giudizio
in nove: i cinque preti e quattro laici
(Mira Furlani, Mario Consigli, Daniele Protti e Lino Benvenuti).
Il processo si concluse il 5 luglio 1971 con
la piena assoluzione.
Praticamente Giampaolo era sempre
in prima fila nel gruppo di coordinamento che organizzava le molteplici
iniziative di quel movimento che caratterizzò il sessantotto fiorentino.
Lui insieme ad altri giovani che
intorno a Enzo Mazzi e Sergio Gomiti erano cresciuti in quegli anni specie nel
gruppo degli scout, che fu davvero una scuola di formazione politica, nel senso
della ‘polis’.
Ma Giampolo guardava anche oltre.
Spinto dalla sua curiosità culturale aveva stretto legami con padre Ernesto
Balducci e la rivista Testimonianze di cui era diventato collaboratore,
soprattutto per la redazione tecnica della rivista che lo portò presto a
frequentare le tipografie fino ad entrare nell’albo dei giornalisti.
Naturalmente il numero speciale sull’Isolotto lo vide impegnato particolarmente
con la sua ‘cronaca degli avvenimenti’.
Per questi preti che furono i
suoi grandi maestri lui nutrì sempre un affetto filiale profondo.
Il suo amore per la cultura e la
scuola lo portò a fondare insieme ad altri la scuola serale alle baracche
dell’Isolotto, dove realizzò il suo sogno: insegnare.
Dicesi maestro chi non tiene le
cose che sa solo per sé. Dicevano i ragazzi di Barbiana.
Ci trovammo insieme ancora una
volta nel movimento di ‘Scuola e Quartiere’ e anche qui Giampaolo dette il suo
contributo professionale al mensile ‘I quartieri’, il punto di riferimento di
quella ‘rivoluzione culturale’ che fece di Firenze un centro di elaborazione
per un nuovo modo di fare politica.
Nasceva una generazione politica
nel cuore dei movimenti che credeva in
una ‘lunga marcia attraverso le istituzioni’ rifiutando semplificazioni e
scorciatoie rivoluzionarie.
Gli anni settanta furono vissuti
da noi dentro il percorso dei comunisti di Berlinguer, portando in quel partito
le istanze e le metodologie dei movimenti di cui eravamo espressione.
Fu una sezione ‘ di sinistra’
dove le simpatie per Pietro Ingrao e Bruno Trentin erano prevalenti
Giampaolo fece il segretario
della sezione del PCI dell’Isolotto in quegli anni e lo rifece ancora alla fine
degli anni ottanta quando ce la facemmo a tirar su la nuova casa del popolo in
via Maccari che poi prese il nome di Paolo Pampaloni, il compagno passato alla storia
anche per le leticate epocali con il Taurini.
Litigare con il Taurini non era
difficile, perché aveva un caratteraccio, come si dice da queste parti.
Na sanno qualcosa i compagni che
dettero vita a questo laboratorio politico che è stato il quartiere 4 nella sua
storia. Una storia che è riuscita sempre a dire qualcosa di sinistra passando
dalle diverse fasi della sua trasformazione in partiti diversi.
Quando il PDS dell’Isolotto prese
il nome di Ernesto Balducci Giampaolo fu naturalmente tra i sostenitori più
convinti di questa scelta che si è rivelata felice fino a questo PD in cui lui
ha continuato a dare attività fino ad oggi, preso dalla sua passione politica
inestinguibile.
Volle diventare socio
dell’Archivio del Movimento di Quartiere perché il suo desiderio era quello di
donare tutta la sua documentazione che sappiamo essere di grande importanza,
preciso come lui era con le cose che fanno la storia. E lui ne ha fatta
davvero.
Agosto di tanti anni fa.
La notte arriva e nel prato di
via Maccari la festa dell’Unità si scioglie piano piano.
La casa del popolo non c’è
ancora.
Restano i due compagni che
davanti alla piccola roulotte fanno il turno di guardia agli stands di bandone.
Salutano chi va via.
li ultimi ad andarsene a casa
sono sempre loro:il Pampaloni e il Taurini.
Buona notte Giampaolo.
Franco Quercioli consegna le chiavi della parrocchia alla Curia fiorentina (1969)
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