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martedì 29 dicembre 2009

È buio pesto: verso il disastro

28/12/2009 – È buio pesto: verso il disastro
 

Una giovane e brava attrice di una telenovela molto popolare, Beatriz Drumond, ogni volta che i suoi progetti falliscono, usa questa espressione: È buio pesto. Non mi viene in mente un’espressione migliore nell’assistere al melanconico fallimento della COP 15 sui cambiamenti climatici a Copenaghen: è buio pesto! Sì, l’umanità è entrata in una zona di tenebre e orrore. Ci stiamo incamminando verso il disastro. Anni di preparazione, dieci giorni di discussioni, la presenza dei principali leader politici del mondo non sono stati sufficienti per fendere le tenebre mediante un accordo condiviso di riduzione dei gas di effetto serra che impedisse di arrivare ai due gradi Celsius. Superato questo livello e avvicinandosi ai tre gradi, il clima non sarebbe più controllabile e saremmo in mano alla logica del caos distruttivo, con minacce alla biodiversità e con decimazione di milioni e milioni di persone.

 

Lula, il presidente del Brasile, nel suo intervento del 18 dicembre, giornata di chiusura, è stato l’unico a dire la verità: Ci è mancata l’intelligenza, perché i potenti hanno preferito contrattare vantaggi piuttosto che salvare la vita della Terra e gli essere umani.

 

Dal fallimento di Copenaghen possiamo trarre due lezioni: la prima è la consapevolezza collettiva che il riscaldamento è un fatto irreversibile, del quale siamo tutti responsabili, ma in primo luogo i paesi ricchi. E che ora siamo pure responsabili, ciascuno nella sua misura, del controllo stesso del riscaldamento affinché non sia catastrofico per la natura e per l’umanità. La coscienza dell’umanità non potrà essere più la stessa dopo Copenaghen. Se è emersa questa consapevolezza collettiva, perché non si è giunti a nessun accordo sulle misure da prendere per il controllo delle trasformazioni climatiche?

 

Ecco la seconda lezione che bisogna trarre dalla COP 15 di Copenaghen: “il cattivo”è il sistema del capitale con la sua relativa cultura consumistica. Finché manterremo un sistema capitalistico articolato in tutto il mondo, sarà impossibile un consenso che ponga al centro la vita, l’umanità e la Terra e adottare misure per la loro salvaguardia. Il suo interesse primario è il guadagno, l’accumulazione privata e il potenziamento della forza di competizione. E’ da molto tempo che ha snaturato l’economia: da tecnica e arte di produzione di beni necessari alla vita è diventata una brutale tecnica di produzione di ricchezza per se stessa, senza altre considerazioni. Addirittura questa ricchezza non è prodotta per essere usufruita, ma per produrre ulteriore ricchezza, in una logica ossessiva e sfrenata.

 

E’ per questo che ecologia e capitalismo si negano reciprocamente. Non esiste un accordo possibile. La cultura ecologica cerca l’equilibrio di tutti i fattori, la sinergia con la natura e lo spirito di cooperazione. Il capitalismo infrange questo equilibrio sovrapponendosi alla natura, stabilisce una competizione feroce tra tutti e mira a sfruttare al massimo la Terra, fino a non permetterle più di riprodurre le proprie risorse. Se il capitalismo assume il discorso ecologico è per guadagnarci sopra.

E ancora: il capitalismo è incompatibile con la vita. La vita chiede amorevole attenzione e cooperazione. Il capitalismo sacrifica vite,genera lavoratori che sono veri schiavi  pro tempore e sfrutta lavoro minorile in vari paesi.

 

I negoziatori e i leader politici a Copenaghen sono rimasti schiavi di questo sistema che mercanteggia, vuole avere guadagni, non esita nel mettere a rischio il futuro della vita. Ha una tendenza suicida. Che accordo potrà nascere tra il lupo e l’agnello, cioè, tra la natura che grida per ottenere rispetto e coloro che la devastano senza pietà?

 

E’ per questo motivo che chi conosce la logica del capitalismo non si sorprende dell’insuccesso della COP 15 di Copenaghen. L’unico che ha alzato la voce, solitaria, come un “pazzo” in un complesso di “saggi” è stato il presidente Evo Morales: “O superiamo il capitalismo o questo distruggerà la Madre Terra”.

 

Piaccia o no, questa è la pura verità. Copenaghen ha fatto cadere la maschera del capitalismo, incapace di trovare accordi perché non dà importanza alla vita e alla Terra, ma piuttosto al lucro e ai vantaggi materiali.

 

                                                                             Leonardo Boff  - Teologo

 

                                                                                                     (Testo tradotto da Giovanni P.)

È buio pesto: verso il disastro

28/12/2009 – È buio pesto: verso il disastro
 

Una giovane e brava attrice di una telenovela molto popolare, Beatriz Drumond, ogni volta che i suoi progetti falliscono, usa questa espressione: È buio pesto. Non mi viene in mente un’espressione migliore nell’assistere al melanconico fallimento della COP 15 sui cambiamenti climatici a Copenaghen: è buio pesto! Sì, l’umanità è entrata in una zona di tenebre e orrore. Ci stiamo incamminando verso il disastro. Anni di preparazione, dieci giorni di discussioni, la presenza dei principali leader politici del mondo non sono stati sufficienti per fendere le tenebre mediante un accordo condiviso di riduzione dei gas di effetto serra che impedisse di arrivare ai due gradi Celsius. Superato questo livello e avvicinandosi ai tre gradi, il clima non sarebbe più controllabile e saremmo in mano alla logica del caos distruttivo, con minacce alla biodiversità e con decimazione di milioni e milioni di persone.

 

Lula, il presidente del Brasile, nel suo intervento del 18 dicembre, giornata di chiusura, è stato l’unico a dire la verità: Ci è mancata l’intelligenza, perché i potenti hanno preferito contrattare vantaggi piuttosto che salvare la vita della Terra e gli essere umani.

 

Dal fallimento di Copenaghen possiamo trarre due lezioni: la prima è la consapevolezza collettiva che il riscaldamento è un fatto irreversibile, del quale siamo tutti responsabili, ma in primo luogo i paesi ricchi. E che ora siamo pure responsabili, ciascuno nella sua misura, del controllo stesso del riscaldamento affinché non sia catastrofico per la natura e per l’umanità. La coscienza dell’umanità non potrà essere più la stessa dopo Copenaghen. Se è emersa questa consapevolezza collettiva, perché non si è giunti a nessun accordo sulle misure da prendere per il controllo delle trasformazioni climatiche?

 

Ecco la seconda lezione che bisogna trarre dalla COP 15 di Copenaghen: “il cattivo”è il sistema del capitale con la sua relativa cultura consumistica. Finché manterremo un sistema capitalistico articolato in tutto il mondo, sarà impossibile un consenso che ponga al centro la vita, l’umanità e la Terra e adottare misure per la loro salvaguardia. Il suo interesse primario è il guadagno, l’accumulazione privata e il potenziamento della forza di competizione. E’ da molto tempo che ha snaturato l’economia: da tecnica e arte di produzione di beni necessari alla vita è diventata una brutale tecnica di produzione di ricchezza per se stessa, senza altre considerazioni. Addirittura questa ricchezza non è prodotta per essere usufruita, ma per produrre ulteriore ricchezza, in una logica ossessiva e sfrenata.

 

E’ per questo che ecologia e capitalismo si negano reciprocamente. Non esiste un accordo possibile. La cultura ecologica cerca l’equilibrio di tutti i fattori, la sinergia con la natura e lo spirito di cooperazione. Il capitalismo infrange questo equilibrio sovrapponendosi alla natura, stabilisce una competizione feroce tra tutti e mira a sfruttare al massimo la Terra, fino a non permetterle più di riprodurre le proprie risorse. Se il capitalismo assume il discorso ecologico è per guadagnarci sopra.

E ancora: il capitalismo è incompatibile con la vita. La vita chiede amorevole attenzione e cooperazione. Il capitalismo sacrifica vite,genera lavoratori che sono veri schiavi  pro tempore e sfrutta lavoro minorile in vari paesi.

 

I negoziatori e i leader politici a Copenaghen sono rimasti schiavi di questo sistema che mercanteggia, vuole avere guadagni, non esita nel mettere a rischio il futuro della vita. Ha una tendenza suicida. Che accordo potrà nascere tra il lupo e l’agnello, cioè, tra la natura che grida per ottenere rispetto e coloro che la devastano senza pietà?

 

E’ per questo motivo che chi conosce la logica del capitalismo non si sorprende dell’insuccesso della COP 15 di Copenaghen. L’unico che ha alzato la voce, solitaria, come un “pazzo” in un complesso di “saggi” è stato il presidente Evo Morales: “O superiamo il capitalismo o questo distruggerà la Madre Terra”.

 

Piaccia o no, questa è la pura verità. Copenaghen ha fatto cadere la maschera del capitalismo, incapace di trovare accordi perché non dà importanza alla vita e alla Terra, ma piuttosto al lucro e ai vantaggi materiali.

 

                                                                             Leonardo Boff  - Teologo

 

                                                                                                     (Testo tradotto da Giovanni P.)

sabato 26 dicembre 2009

Veglia di Natale

Veglia significa non dormire, non abbandonarsi al sonno della coscienza e della responsabilità, esserci, dentro ai problemi della vita, con tutta la consapevolezza possibile; significa attesa vigile nella notte, scrutando i segni di una possibile ripresa della luce e della speranza. In questo senso la veglia della Comunità dell’Isolotto di Firenze, che aveva per tema principale il lavoro, possiamo dire che è riuscita in pieno.

La sala delle storiche "baracche" di via degli Aceri non ha potuto contenere le tante persone desiderose di vivere il Natale in forma un po’ diversa dalla consueta ritualità considerata alienante. "Non ci appartiene il Natale – è stato detto nell’introduzione da Giampaolo Pazzi e da Enzo Mazzi – come incarnazione miracolosa di un Dio che a un certo momento della storia si fa uomo per salvare il mondo dell’al di là dalla maledizione del peccato. Celebriamo il Natale piuttosto come vangelo/annuncio di un Dio presente da sempre nello sforzo umano di liberazione, come motivo di speranza per quanti lottano in particolare per liberare il lavoro dalla oppressione, dallo sfruttamento, dalla denigrazione, dalla pena della precarietà e della negazione. C’è speranza qui in terra e non solo in cielo.

L’attore Saverio Tommasi con una beve performace tratta dal suo libro/testo teatrale "Cambio Lavoro", ha portato nella Veglia i problemi e sentimenti di lavoratori da lui intervistati.

Un gruppo di bambini ha raccontato l’esperienza educativa che hanno fatta sul tema del "dono" anche in relazione al Natale e hanno offerto in dono alla comunità il pane fatto da loro stessi.

Moreno Biagioni ha introdotto la testimonianza di un operaio della SEVES, fabbrica fiorentina di mattoni di vetro, che ha emozionato raccontando le condizioni di sofferenza e di preoccupazione e la lotta di 170 lavoratori, 110 dei quali in cassa integrazione, che rischiano il posto di lavoro.

Giuliano Pelfer, ricercatore precario, ci ha detto della situazione e della lotta di tanti precari che vedono annullata la loro professionalità e competenza da una politica suicida.

Beppe Banchi e Luigi Carpentiero, due medici di "Medicina democratica, che operano con competenza e senso di responsabilità nel campo della sicurezza/insicurezza del lavoro, hanno testimoniato la gravità della situazione anche in Toscana, le morti bianche e le invalidità permanenti, e offerto indicazioni per uscirne.

Paolo Mencarelli, insegnante nel carcere di Sollicciano, ha portato la voce e il sogno dei detenuti a cui viene per lo più negato il diritto al lavoro.

Mercedes Frias, orginaria di Santo Domingo, ex-parlamentare e amministratrice, partecipe di progetti di cooperazione ha dato testimonianza delle lotte delle donne, specialmente di quelle immigrate, per la dignità del loro lavoro tanto prezioso quanto disconosciuto e sfruttato.

Le testimonianze si sono chiuse con un motivo di speranza per tutti: dopo lunghi travagli, la paura della perdita del lavoro, le manifestazioni di piazza, si realizza la riconversione della Electrolux di Scandicci in una impresa proiettata nel futuro, Italia Solare Industrie, fabbrica di pannelli fotovoltaici, che riassume tutti i 370 lavoratori.

Tutto questo svolgersi della Veglia arricchito da canti del lavoro, letture, preghiere, memoria eucaristica, convivialità, per celebrare un Natale con tutta la poesia della vita che nasce, della lotta per la dignità del lavoro e come spiritualità e luce che viene dal basso, dalle mani che lavorano a contatto con la materia, dai piedi che camminano su una terra che vive, dai cuori che battono, dalla vita che nasce, invece che sempre e solo dall’alto.

 

La Comunità dell’Isolotto

Veglia di Natale

Veglia significa non dormire, non abbandonarsi al sonno della coscienza e della responsabilità, esserci, dentro ai problemi della vita, con tutta la consapevolezza possibile; significa attesa vigile nella notte, scrutando i segni di una possibile ripresa della luce e della speranza. In questo senso la veglia della Comunità dell’Isolotto di Firenze, che aveva per tema principale il lavoro, possiamo dire che è riuscita in pieno.

La sala delle storiche "baracche" di via degli Aceri non ha potuto contenere le tante persone desiderose di vivere il Natale in forma un po’ diversa dalla consueta ritualità considerata alienante. "Non ci appartiene il Natale – è stato detto nell’introduzione da Giampaolo Pazzi e da Enzo Mazzi – come incarnazione miracolosa di un Dio che a un certo momento della storia si fa uomo per salvare il mondo dell’al di là dalla maledizione del peccato. Celebriamo il Natale piuttosto come vangelo/annuncio di un Dio presente da sempre nello sforzo umano di liberazione, come motivo di speranza per quanti lottano in particolare per liberare il lavoro dalla oppressione, dallo sfruttamento, dalla denigrazione, dalla pena della precarietà e della negazione. C’è speranza qui in terra e non solo in cielo.

L’attore Saverio Tommasi con una beve performace tratta dal suo libro/testo teatrale "Cambio Lavoro", ha portato nella Veglia i problemi e sentimenti di lavoratori da lui intervistati.

Un gruppo di bambini ha raccontato l’esperienza educativa che hanno fatta sul tema del "dono" anche in relazione al Natale e hanno offerto in dono alla comunità il pane fatto da loro stessi.

Moreno Biagioni ha introdotto la testimonianza di un operaio della SEVES, fabbrica fiorentina di mattoni di vetro, che ha emozionato raccontando le condizioni di sofferenza e di preoccupazione e la lotta di 170 lavoratori, 110 dei quali in cassa integrazione, che rischiano il posto di lavoro.

Giuliano Pelfer, ricercatore precario, ci ha detto della situazione e della lotta di tanti precari che vedono annullata la loro professionalità e competenza da una politica suicida.

Beppe Banchi e Luigi Carpentiero, due medici di "Medicina democratica, che operano con competenza e senso di responsabilità nel campo della sicurezza/insicurezza del lavoro, hanno testimoniato la gravità della situazione anche in Toscana, le morti bianche e le invalidità permanenti, e offerto indicazioni per uscirne.

Paolo Mencarelli, insegnante nel carcere di Sollicciano, ha portato la voce e il sogno dei detenuti a cui viene per lo più negato il diritto al lavoro.

Mercedes Frias, orginaria di Santo Domingo, ex-parlamentare e amministratrice, partecipe di progetti di cooperazione ha dato testimonianza delle lotte delle donne, specialmente di quelle immigrate, per la dignità del loro lavoro tanto prezioso quanto disconosciuto e sfruttato.

Le testimonianze si sono chiuse con un motivo di speranza per tutti: dopo lunghi travagli, la paura della perdita del lavoro, le manifestazioni di piazza, si realizza la riconversione della Electrolux di Scandicci in una impresa proiettata nel futuro, Italia Solare Industrie, fabbrica di pannelli fotovoltaici, che riassume tutti i 370 lavoratori.

Tutto questo svolgersi della Veglia arricchito da canti del lavoro, letture, preghiere, memoria eucaristica, convivialità, per celebrare un Natale con tutta la poesia della vita che nasce, della lotta per la dignità del lavoro e come spiritualità e luce che viene dal basso, dalle mani che lavorano a contatto con la materia, dai piedi che camminano su una terra che vive, dai cuori che battono, dalla vita che nasce, invece che sempre e solo dall’alto.

 

La Comunità dell’Isolotto

Bianco Natale



A Franco Claretti,   sindaco leghista di Coccaglio (Brescia)  sull’iniziativa della WHITE CHRISTMAS


Ginevra il 22/12/2009


Caro Sindaco

Permettimi di darti del tu, perché sono cosi’ emozionato di sentirmi in perfetta sintonia con te e le tue idee che posso solo darti del tu, che non è mancanza di rispetto, ma un segno di una profonda ricerca di somigliare a te. Ho appena saputo della tua bellissima iniziativa, della White Christmas, il Bianco Natale, e cioè il Natale solo per i Bianchi. Allora mi sono detto, “tu sei un Genio”, “tu sei un Grande” come ce ne sono pochi in questo secolo.  Come ti è venuta questa illuminata idea che secondo me ti farà vincere un premio Nobel? Si ma quale premio Nobel? Non importa quale. Appena il mondo intero saprà che sei il baluardo per la difesa della nostra razza pura bianca, con un’ idea cosi’ originale, ti verrà dato certamente un premio. Come dice il tuo assessore alla Sicurezza Claudio Abiendi "per me il Natale non è la festa dell'accoglienza, ma della tradizione Cristiana, della nostra identità". Ma quanto ha ragione ! Aggiungo che è un dovere la difesa di tali tradizioni Cristiane, anzi, è un obbligo divino, come ce lo ricorda il 208° papa Niccolo V. (nato Tomaso Parentucelli) che con la sua bolla del 16 giugno 1452 detta “Dum Diversas” al re del Portogallo Alfonso V°  diede l’inizio alle deportazioni dalla Guinea di questi “clandestini”, allora chiamati Saraceni, che duro’ 400 anni. Ecco il breve testo intitolato “Divino amore communiti”, che accompagnava la bolla papale:




« Noi, rafforzati dall’amore divino, spinti dalla carità Cristiana, e costretti dagli obblighi nel nostro ufficio pastorale, desideriamo, come si conviene, incoraggiare ciò che è pertinente all’integrità e alla crescita della Fede, per la quale Cristo, nostro Dio, ha versato il suo sangue, e sostenere in questa santissima impresa il vigore delle anime di coloro che sono fedeli a noi e alla vostra Maestà Reale. Quindi, in forza dell’autorità apostolica, col contenuto di questa lettera, noi vi concediamo la piena e libera facoltà di catturare e soggiogare Saraceni e pagani, come pure altri non credenti e nemici di Cristo, chiunque essi siano e dovunque abitino; di prendere ogni tipo di beni, mobili o immobili, che si trovino in loro possesso (…); di invadere e conquistare domini, terre, luoghi, villaggi, campi, possedimenti  a qualunque re o principe essi appartengano e di ridurre in schiavitù i loro abitanti; di appropriarvi per sempre, per voi e i vostri successori, i re del Portogallo… »


Come facciamo a condividere il nostro santo bianco Natale con questi Saraceni che abbiamo spogliati di tutti i possedimenti mobili e immobili per quasi 6 secoli e che ci appartengo di diritto come schiavi, come ha autorizzato il nostro Santo Padre?


 Ma sindaco solo adesso mi viene un dubbio, anzi, più di uno e cioè:


 1- Come la mettiamo se questi Saraceni vengono a fare i preti nella nostra santissima terra bianca della Padania per mancanza di preti nostrani? Non credi che bisognerebbe obbligare ogni famiglia padana a dare un figlio alla chiesa per tutelare la nostra identità Cristiana e la nostra purezza razziale? Non si può’ scherzare con cose serie come celebrare i nostri battesimi, i matrimoni e perfino i funerali da Saraceni.


 2- Sei  sicuro che apparteniamo a questa famosa razza pura ariana   ? Com’ è che abbiamo partecipato con i Tedeschi ad uccidere 6 milioni di Ebrei per affermare questa supremazia Bianca di cui parli e alla fine i nostri compagni di avventura ci designano a giorni alterni in Germania come Arabi-Pizza-Pasta ?  Hai visto quello spot  della Media Markt nel 2008 che inonda impunemente le reti televisive tedesche dipingendo gli Italiani attraverso il protagonista: “Toni,  maschilista, imbroglione e seduttori volgare”? 


 3- E i nostri cugini francesi ? Ci hanno perfino dato un sopranome dispregiativo di “Rital”, riducendo tutto il nostro valore come nazione e come popolo a quella “R” moscia che per loro noi non riusciamo a pronunciare. E la nostra identità comune Cristiana con loro? E’ dal conflitto contro gli Asburgo nella guerra dei trenta anni, che tradirono l’unità cristiana alleandosi con i musulmani dell’impero Ottomano in una lotta pur sempre tra Cristiani (Cattolici contro Protestanti). 


 4- Il sociologo Tedesco Max Weber(1864-1920) dice che il sistema capitalista che conosciamo e che ci ha aiutato a produrre tanta ricchezza è di stampo Protestante che inneggia a meritare il paradiso qui su terra producendo al massimo e non di stampo Cattolico in cui il paradiso è la ricompensa dei fannulloni (basta che siano poveri), dove essere ricchi è considerato un peccato. E oggi si può infatti constatare che i paesi europei più ricchi sono i Nordici, guarda caso: Protestanti e i più poveri sono quelli del Sud d’Europa, e manco a dirlo, Cattolici. Nel continente americano, la parte del nord Protestante è la più ricca e la parte del Sud detta Latina Cattolica la più povera. Allora sindaco, quando parli del Bianco Natale e dell’identità Cristiana, di quale identità parli? Quella Protestante o quella Cattolica? Perché, a guardarci bene, non esiste un’ identità cristiana, caso mai c’è una identità di vedute dei Cattolici molto diversa dai Protestanti. Se la domenica sei in ritardo alla messa Cattolica abituale potresti fermarti al primo centro di culto dei Testimoni di Geova o dei Valdesi per fare la messa di quella domenica, dato che si parla pur sempre dello stesso Gesù?  Accetteresti, come fanno i Protestanti, di andare a messa con un prete donna?  O un prete sposato? Dov’è il punto in comune che ti fa parlare dell’identità cristiana? E il Bianco natale non è già in atto con il babbo natale Protestante che sta pian piano sostituendo anche in Italia il presepe Cattolico?


 5- Hai tu una spiegazione per il fatto che perfino i nostri connazionali che hanno successo all’estero sono i primi a nascondere la loro origine italiana cambiando spesso nome e cognome? Gli esempi non mancano: il famoso cantante Francese Yves Montand è nato il 13/10/1921 in Toscana con il nome di Ivo Livi.  Il comico Francese Coluche alla nascita il 28/10/1944, si chiamava Colucci come suo padre nato e cresciuto a Frosinone. L’allenatore dello Strasburgo Jean-Marc Furlan, per dimostrare oltr’alpe che nel suo sangue non c’è traccia d’Italia, ha un ritornello che usa appena abbia l’impressione che chi sta passando sia del nostro paese ed è: “Italiano di Merda”. Ma viene pur sempre da Cinto Caomaggiore in provincia di Venezia. E’ perfino cittadino onorario della città veneta, cioè un padano DOC. Ma è lo stesso che  commentando ad esempio la partita con il Lione del 22 Aprile 2008 accusa il nostro Fabio Grosso, terzino sinistro della nostra nazionale di calcio e giocatore del Lione, chiamandolo “Italiano di merda” durante la partita e aggiunge a fine partita :  "Non si può dire che l’italiano abbia rinnegato i suoi geni e la sua razza", la "Razza di macaronì".


 Quindi se con quelli del nostro stesso sangue italico, solo perché approdati all’estero, c’è questo razzismo casalingo o familiare, Sei sicuro sindaco che condividiamo lo stesso Bianco Natale con gli altri Bianchi Europei o Americani ?


 a- In Svizzera, nel Ticino gli Italiani sono chiamati “Minchiaweisch” (dall’Italiano Minchia e tedesco weisch cioè capisci?), altrove, ci chiamano Tschinggali, cioè Zingari o vagabondi.


 b- In Inghilterra, ci chiamano Shitalian dall’inglese shit, cioè escrementi.


 c- Il 27/2/1969, un mese dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, durante  la sua prima visita da presidente in Italia, Richard Nixon dichiara: “Gli Italiani non sono solo diversi degli altri Europei, ma hanno anche un odore diverso (puzza). Alle proteste, manifestazioni  e scontri che ne seguirono, con polizia nella città universitaria, ci fu perfino un morto, lo studente Domenico Congedo.


 d- Perfino nel terzo mondo, nel Cattolicissimo Brasile, ci chiamano Carcamano cioè furbone, truffatore, viene del fatto che alcuni nostri connazionali laggiu’, fruttivendoli o pescivendoli, calcavano la mano sul piatto della bilancia barando sul peso.


 e- Negli USA, ci chiamano WOP, cioè clandestini. Dall’italiano Guappo, vuole dire Without paper, without passport. Ma il termine più usato per noi è:  MozzarellaNigger  vuole dire Negri-Mozzarella, perché in America, gli Italiani sono assimilati in modo dispregiativo agli Africani e Afroamericani. Con la mozzarella bianca significa Negri un po più chiari… Quando il nostro Presidente del Consiglio Berlusconi dice che il Presidente Obama e sua moglie sono abbronzati, non fa altro che dare ragione a quel luogo comune e razzista statunitense contro gli Italiani che ci vuole dei Bianchi, non veramente bianchi, ma un  po’ abbronzati. E da qui lo stupore dello stesso Obama che ha subito sulla sua pelle questa discriminazione che accomuna a diverso grado, certo, gli Africani e gli Italiani.


 E anche in virtù di tutto questo, sindaco, vale veramente la pena lanciarci in una nuova guerra sulla purezza razziale con gli altri Cristiani che ci considerano di colore? Alcuni esempi ci possono far capire meglio:


 - in Australia, dal 1891, anno di arrivo del primo migrante italiano nel  paese, fino al 1980, tutti gli immigrati italiani venivano schedati come Coloured o Semi-White  cioè di colore, o mezzi-bianchi perché non sufficientemente Bianchi.


 - Per il tuo Bianco Natale, potresti leggere il seguente testo ai tuoi invitati? 


 E’ dell’Ottobre 1912, dalla relazione dell'Ispettorato per l'immigrazione del Congresso degli Stati Uniti sugli immigrati italiani:  «Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Molti puzzano perché tengono lo stesso vestito per settimane. Si costruiscono baracche nelle periferie. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano in 2 e cercano una stanza con uso cucina. Dopo pochi giorni diventano 4, 6, 10. Parlano lingue incomprensibili, forse dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina; spesso davanti alle chiese donne e uomini anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano sia perché poco attraenti e selvatici, sia perché è voce diffusa di stupri consumati quando le donne tornano dal lavoro. I governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, sopratutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, di attività criminali»


 Non voglio concludere questa lettera sul tuo Bianco Natale senza una parola per commemorare gli 11 nostri  connazionali  ingiustamente accusati dell’omicidio del capo della polizia del New Orleans e linciati a morte nel 1890, solo perché avevano una pelle un po’ più scura dei bianchissimi ariani immigranti dal Nord Europa. Un altro pensiero va altrettanto a due altri Italiani,  l’operaio  Ferdinando Nicola Sacco e il pescivendolo  Bartolomeo Vanzetti, erroneamente giustiziati sulla sedia elettrica il 23/6/1927 nel penitenziario di Charlestown vicino Boston negli USA per la morte di un contabile e di una guardia della fabbrica di calzature dove lavorava Sacco, malgrado la testimonianza di un Portoricano che scagionava entrambi, solo perché non erano sufficientemente Bianchi. Ci sono voluti 50 anni perché nel 1977 il governatore Michael Dukakis riconoscesse  che quella condanna fu su base puramente razzista e li riabilito’. Il tuo bianco Natale non è anche un insulto alla memoria di questi due nostri connazionali condannati e uccisi perché troppo abbronzati?




Allora sindaco voglio chiederti una cosa. Da tutto quello che ti ho appena enunciato credi che il tuo Bianco Natale abbia veramente un senso? Lo sai cosa si può provare al controllo di polizia in qualche aeroporto del mondo non appena tiri fuori il tuo passaporto Italiano? Ti rendi conto che sei perquisito e controllato 3 volte più di tutti quelli che ti hanno preceduto? Perché allora non costruire una nuova identità italiana, partendo da tutti quelli che amano l’Italia, per fronteggiare insieme e con orgoglio tutte queste frustrazioni che alcuni dei nostri connazionali vivono sempre peggio quando vanno o risiedono all’estero? E, credimi, se qualcuno è fuggito dalla miseria, dalla persecuzione o dalla guerra ed è approdato in Italia, il più delle volte questo paese diventa l’unico posto di vera pace che egli conosce. Queste persone hanno pertanto un amore per la nuova patria che non si può quantificare con il metro di quanto siano bravi a parlare la lingua di Dante.  E’ un sentimento più profondo che non si può descrivere. Pero’, d’altra parte, sentirsi appellati con dispregiativi del tipo “clandestini, extracomunitari, Bingo-Bongo”, crea in loro una frustrazione tale che il rigetto della nuova patria è ancora più forte del disgusto per il motivo che li ha originariamente spinti al “viaggio”. Ma forse questo non lo puoi capire se non hai ancora capito fino ad ora che su questa terra siamo un po’ tutti dei clandestini, scappando da qualche tenebra, alla semplice ricerca di un posto dove aspettare, nella quiete, la nostra ultima ora. Ed è singolare che alcune persone come te non abbiano ancora imparato dove ci ha portato più di 70 anni fa lo stigmatizzare la razza, l’etnia.




Se questo può rassicurarti sappi che in Africa, con la crescita economica degli ultimi 5 anni, per la prima volta si è invertito il flusso di quelli che lasciano i vari paesi Africani, le migrazioni avvengono ora per il 75% all’interno della stessa Africa. Ed è previsto che da qui a 5 anni, non ci saranno più gommoni dall’Africa per le coste italiane o spagnole.




Sei ancora in tempo allora, perché non inviti al pranzo di Natale, uno dei tuoi nuovi cittadini? E piuttosto che Bianco o Nero Natale perché non  lo chiami  Azzurro Natale?


 Buon Azzurro Natale


 Jean-Paul Pougala - pougala@email.it

Jean-Paul Pougala, cittadino Italiano di origine Camerunense, autore del Libro “In fuga dalle Tenebre” (G. Einaudi 2007), professore di sociologia all’Università della Diplomazia di Ginevra in Svizzera

Bianco Natale



A Franco Claretti,   sindaco leghista di Coccaglio (Brescia)  sull’iniziativa della WHITE CHRISTMAS


Ginevra il 22/12/2009


Caro Sindaco

Permettimi di darti del tu, perché sono cosi’ emozionato di sentirmi in perfetta sintonia con te e le tue idee che posso solo darti del tu, che non è mancanza di rispetto, ma un segno di una profonda ricerca di somigliare a te. Ho appena saputo della tua bellissima iniziativa, della White Christmas, il Bianco Natale, e cioè il Natale solo per i Bianchi. Allora mi sono detto, “tu sei un Genio”, “tu sei un Grande” come ce ne sono pochi in questo secolo.  Come ti è venuta questa illuminata idea che secondo me ti farà vincere un premio Nobel? Si ma quale premio Nobel? Non importa quale. Appena il mondo intero saprà che sei il baluardo per la difesa della nostra razza pura bianca, con un’ idea cosi’ originale, ti verrà dato certamente un premio. Come dice il tuo assessore alla Sicurezza Claudio Abiendi "per me il Natale non è la festa dell'accoglienza, ma della tradizione Cristiana, della nostra identità". Ma quanto ha ragione ! Aggiungo che è un dovere la difesa di tali tradizioni Cristiane, anzi, è un obbligo divino, come ce lo ricorda il 208° papa Niccolo V. (nato Tomaso Parentucelli) che con la sua bolla del 16 giugno 1452 detta “Dum Diversas” al re del Portogallo Alfonso V°  diede l’inizio alle deportazioni dalla Guinea di questi “clandestini”, allora chiamati Saraceni, che duro’ 400 anni. Ecco il breve testo intitolato “Divino amore communiti”, che accompagnava la bolla papale:




« Noi, rafforzati dall’amore divino, spinti dalla carità Cristiana, e costretti dagli obblighi nel nostro ufficio pastorale, desideriamo, come si conviene, incoraggiare ciò che è pertinente all’integrità e alla crescita della Fede, per la quale Cristo, nostro Dio, ha versato il suo sangue, e sostenere in questa santissima impresa il vigore delle anime di coloro che sono fedeli a noi e alla vostra Maestà Reale. Quindi, in forza dell’autorità apostolica, col contenuto di questa lettera, noi vi concediamo la piena e libera facoltà di catturare e soggiogare Saraceni e pagani, come pure altri non credenti e nemici di Cristo, chiunque essi siano e dovunque abitino; di prendere ogni tipo di beni, mobili o immobili, che si trovino in loro possesso (…); di invadere e conquistare domini, terre, luoghi, villaggi, campi, possedimenti  a qualunque re o principe essi appartengano e di ridurre in schiavitù i loro abitanti; di appropriarvi per sempre, per voi e i vostri successori, i re del Portogallo… »


Come facciamo a condividere il nostro santo bianco Natale con questi Saraceni che abbiamo spogliati di tutti i possedimenti mobili e immobili per quasi 6 secoli e che ci appartengo di diritto come schiavi, come ha autorizzato il nostro Santo Padre?


 Ma sindaco solo adesso mi viene un dubbio, anzi, più di uno e cioè:


 1- Come la mettiamo se questi Saraceni vengono a fare i preti nella nostra santissima terra bianca della Padania per mancanza di preti nostrani? Non credi che bisognerebbe obbligare ogni famiglia padana a dare un figlio alla chiesa per tutelare la nostra identità Cristiana e la nostra purezza razziale? Non si può’ scherzare con cose serie come celebrare i nostri battesimi, i matrimoni e perfino i funerali da Saraceni.


 2- Sei  sicuro che apparteniamo a questa famosa razza pura ariana   ? Com’ è che abbiamo partecipato con i Tedeschi ad uccidere 6 milioni di Ebrei per affermare questa supremazia Bianca di cui parli e alla fine i nostri compagni di avventura ci designano a giorni alterni in Germania come Arabi-Pizza-Pasta ?  Hai visto quello spot  della Media Markt nel 2008 che inonda impunemente le reti televisive tedesche dipingendo gli Italiani attraverso il protagonista: “Toni,  maschilista, imbroglione e seduttori volgare”? 


 3- E i nostri cugini francesi ? Ci hanno perfino dato un sopranome dispregiativo di “Rital”, riducendo tutto il nostro valore come nazione e come popolo a quella “R” moscia che per loro noi non riusciamo a pronunciare. E la nostra identità comune Cristiana con loro? E’ dal conflitto contro gli Asburgo nella guerra dei trenta anni, che tradirono l’unità cristiana alleandosi con i musulmani dell’impero Ottomano in una lotta pur sempre tra Cristiani (Cattolici contro Protestanti). 


 4- Il sociologo Tedesco Max Weber(1864-1920) dice che il sistema capitalista che conosciamo e che ci ha aiutato a produrre tanta ricchezza è di stampo Protestante che inneggia a meritare il paradiso qui su terra producendo al massimo e non di stampo Cattolico in cui il paradiso è la ricompensa dei fannulloni (basta che siano poveri), dove essere ricchi è considerato un peccato. E oggi si può infatti constatare che i paesi europei più ricchi sono i Nordici, guarda caso: Protestanti e i più poveri sono quelli del Sud d’Europa, e manco a dirlo, Cattolici. Nel continente americano, la parte del nord Protestante è la più ricca e la parte del Sud detta Latina Cattolica la più povera. Allora sindaco, quando parli del Bianco Natale e dell’identità Cristiana, di quale identità parli? Quella Protestante o quella Cattolica? Perché, a guardarci bene, non esiste un’ identità cristiana, caso mai c’è una identità di vedute dei Cattolici molto diversa dai Protestanti. Se la domenica sei in ritardo alla messa Cattolica abituale potresti fermarti al primo centro di culto dei Testimoni di Geova o dei Valdesi per fare la messa di quella domenica, dato che si parla pur sempre dello stesso Gesù?  Accetteresti, come fanno i Protestanti, di andare a messa con un prete donna?  O un prete sposato? Dov’è il punto in comune che ti fa parlare dell’identità cristiana? E il Bianco natale non è già in atto con il babbo natale Protestante che sta pian piano sostituendo anche in Italia il presepe Cattolico?


 5- Hai tu una spiegazione per il fatto che perfino i nostri connazionali che hanno successo all’estero sono i primi a nascondere la loro origine italiana cambiando spesso nome e cognome? Gli esempi non mancano: il famoso cantante Francese Yves Montand è nato il 13/10/1921 in Toscana con il nome di Ivo Livi.  Il comico Francese Coluche alla nascita il 28/10/1944, si chiamava Colucci come suo padre nato e cresciuto a Frosinone. L’allenatore dello Strasburgo Jean-Marc Furlan, per dimostrare oltr’alpe che nel suo sangue non c’è traccia d’Italia, ha un ritornello che usa appena abbia l’impressione che chi sta passando sia del nostro paese ed è: “Italiano di Merda”. Ma viene pur sempre da Cinto Caomaggiore in provincia di Venezia. E’ perfino cittadino onorario della città veneta, cioè un padano DOC. Ma è lo stesso che  commentando ad esempio la partita con il Lione del 22 Aprile 2008 accusa il nostro Fabio Grosso, terzino sinistro della nostra nazionale di calcio e giocatore del Lione, chiamandolo “Italiano di merda” durante la partita e aggiunge a fine partita :  "Non si può dire che l’italiano abbia rinnegato i suoi geni e la sua razza", la "Razza di macaronì".


 Quindi se con quelli del nostro stesso sangue italico, solo perché approdati all’estero, c’è questo razzismo casalingo o familiare, Sei sicuro sindaco che condividiamo lo stesso Bianco Natale con gli altri Bianchi Europei o Americani ?


 a- In Svizzera, nel Ticino gli Italiani sono chiamati “Minchiaweisch” (dall’Italiano Minchia e tedesco weisch cioè capisci?), altrove, ci chiamano Tschinggali, cioè Zingari o vagabondi.


 b- In Inghilterra, ci chiamano Shitalian dall’inglese shit, cioè escrementi.


 c- Il 27/2/1969, un mese dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, durante  la sua prima visita da presidente in Italia, Richard Nixon dichiara: “Gli Italiani non sono solo diversi degli altri Europei, ma hanno anche un odore diverso (puzza). Alle proteste, manifestazioni  e scontri che ne seguirono, con polizia nella città universitaria, ci fu perfino un morto, lo studente Domenico Congedo.


 d- Perfino nel terzo mondo, nel Cattolicissimo Brasile, ci chiamano Carcamano cioè furbone, truffatore, viene del fatto che alcuni nostri connazionali laggiu’, fruttivendoli o pescivendoli, calcavano la mano sul piatto della bilancia barando sul peso.


 e- Negli USA, ci chiamano WOP, cioè clandestini. Dall’italiano Guappo, vuole dire Without paper, without passport. Ma il termine più usato per noi è:  MozzarellaNigger  vuole dire Negri-Mozzarella, perché in America, gli Italiani sono assimilati in modo dispregiativo agli Africani e Afroamericani. Con la mozzarella bianca significa Negri un po più chiari… Quando il nostro Presidente del Consiglio Berlusconi dice che il Presidente Obama e sua moglie sono abbronzati, non fa altro che dare ragione a quel luogo comune e razzista statunitense contro gli Italiani che ci vuole dei Bianchi, non veramente bianchi, ma un  po’ abbronzati. E da qui lo stupore dello stesso Obama che ha subito sulla sua pelle questa discriminazione che accomuna a diverso grado, certo, gli Africani e gli Italiani.


 E anche in virtù di tutto questo, sindaco, vale veramente la pena lanciarci in una nuova guerra sulla purezza razziale con gli altri Cristiani che ci considerano di colore? Alcuni esempi ci possono far capire meglio:


 - in Australia, dal 1891, anno di arrivo del primo migrante italiano nel  paese, fino al 1980, tutti gli immigrati italiani venivano schedati come Coloured o Semi-White  cioè di colore, o mezzi-bianchi perché non sufficientemente Bianchi.


 - Per il tuo Bianco Natale, potresti leggere il seguente testo ai tuoi invitati? 


 E’ dell’Ottobre 1912, dalla relazione dell'Ispettorato per l'immigrazione del Congresso degli Stati Uniti sugli immigrati italiani:  «Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Molti puzzano perché tengono lo stesso vestito per settimane. Si costruiscono baracche nelle periferie. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano in 2 e cercano una stanza con uso cucina. Dopo pochi giorni diventano 4, 6, 10. Parlano lingue incomprensibili, forse dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina; spesso davanti alle chiese donne e uomini anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano sia perché poco attraenti e selvatici, sia perché è voce diffusa di stupri consumati quando le donne tornano dal lavoro. I governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, sopratutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, di attività criminali»


 Non voglio concludere questa lettera sul tuo Bianco Natale senza una parola per commemorare gli 11 nostri  connazionali  ingiustamente accusati dell’omicidio del capo della polizia del New Orleans e linciati a morte nel 1890, solo perché avevano una pelle un po’ più scura dei bianchissimi ariani immigranti dal Nord Europa. Un altro pensiero va altrettanto a due altri Italiani,  l’operaio  Ferdinando Nicola Sacco e il pescivendolo  Bartolomeo Vanzetti, erroneamente giustiziati sulla sedia elettrica il 23/6/1927 nel penitenziario di Charlestown vicino Boston negli USA per la morte di un contabile e di una guardia della fabbrica di calzature dove lavorava Sacco, malgrado la testimonianza di un Portoricano che scagionava entrambi, solo perché non erano sufficientemente Bianchi. Ci sono voluti 50 anni perché nel 1977 il governatore Michael Dukakis riconoscesse  che quella condanna fu su base puramente razzista e li riabilito’. Il tuo bianco Natale non è anche un insulto alla memoria di questi due nostri connazionali condannati e uccisi perché troppo abbronzati?




Allora sindaco voglio chiederti una cosa. Da tutto quello che ti ho appena enunciato credi che il tuo Bianco Natale abbia veramente un senso? Lo sai cosa si può provare al controllo di polizia in qualche aeroporto del mondo non appena tiri fuori il tuo passaporto Italiano? Ti rendi conto che sei perquisito e controllato 3 volte più di tutti quelli che ti hanno preceduto? Perché allora non costruire una nuova identità italiana, partendo da tutti quelli che amano l’Italia, per fronteggiare insieme e con orgoglio tutte queste frustrazioni che alcuni dei nostri connazionali vivono sempre peggio quando vanno o risiedono all’estero? E, credimi, se qualcuno è fuggito dalla miseria, dalla persecuzione o dalla guerra ed è approdato in Italia, il più delle volte questo paese diventa l’unico posto di vera pace che egli conosce. Queste persone hanno pertanto un amore per la nuova patria che non si può quantificare con il metro di quanto siano bravi a parlare la lingua di Dante.  E’ un sentimento più profondo che non si può descrivere. Pero’, d’altra parte, sentirsi appellati con dispregiativi del tipo “clandestini, extracomunitari, Bingo-Bongo”, crea in loro una frustrazione tale che il rigetto della nuova patria è ancora più forte del disgusto per il motivo che li ha originariamente spinti al “viaggio”. Ma forse questo non lo puoi capire se non hai ancora capito fino ad ora che su questa terra siamo un po’ tutti dei clandestini, scappando da qualche tenebra, alla semplice ricerca di un posto dove aspettare, nella quiete, la nostra ultima ora. Ed è singolare che alcune persone come te non abbiano ancora imparato dove ci ha portato più di 70 anni fa lo stigmatizzare la razza, l’etnia.




Se questo può rassicurarti sappi che in Africa, con la crescita economica degli ultimi 5 anni, per la prima volta si è invertito il flusso di quelli che lasciano i vari paesi Africani, le migrazioni avvengono ora per il 75% all’interno della stessa Africa. Ed è previsto che da qui a 5 anni, non ci saranno più gommoni dall’Africa per le coste italiane o spagnole.




Sei ancora in tempo allora, perché non inviti al pranzo di Natale, uno dei tuoi nuovi cittadini? E piuttosto che Bianco o Nero Natale perché non  lo chiami  Azzurro Natale?


 Buon Azzurro Natale


 Jean-Paul Pougala - pougala@email.it

Jean-Paul Pougala, cittadino Italiano di origine Camerunense, autore del Libro “In fuga dalle Tenebre” (G. Einaudi 2007), professore di sociologia all’Università della Diplomazia di Ginevra in Svizzera

giovedì 24 dicembre 2009

Natale 2009 - veglia

 

Comunità dell’Isolotto

Natale 2009

Veglia

 

 

 

Spunti di riflessione

 

“La libertà che vi aspetta è la morte”, così Primo Levi nel 1959 traduceva la scritta “Il lavoro rende liberi” issata all’ingresso del campo di Auschwit, ora trafugata. Ed è tremendamente attuale il suo commento: “Il disconoscimento, il vilipendio del valore morale del lavoro era ed è essenziale al mito fascista in tutte le sue forme”.

Le morti bianche, i suicidi, le morti morali, sociali e psichiche di licenziati, cassintegrati, immigrati, non sono episodi; sono il segno tragico del ritorno del “mito fascista” in questa trasformazione strisciante della Costituzione: non più "Repubblica democratica fondata sul lavoro" ma fondata sull'assassinio sacrificale del lavoro.

Tutto questo ci obbliga a ripensare criticamente la nostra società, principalmente

negli aspetti economici e politici ma anche in quelli culturali, etici e religiosi. Sono due secoli che dal mondo del lavoro si leva il grido di allarme. E non è solo grido ma elaborazione positiva di orizzonti nuovi di società e di cultura. Prassi, lotte, idee che però sono state demonizzate e distrutte. Qualcosa di molto profondo non va nel nostro modo di vivere e di impostare i rapporti sociali.

Il Natale ad esempio. Ci sono due modi opposti di intendere il Natale: come miracolo dall’alto o invece come evento totalmente iscritto nella storia e nella natura. Ora, il Natale concepito come miracolo dall’alto è in sé una condanna del lavoro perché è una condanna di tutta la storia umana e della stessa natura. Se c’è bisogno che Dio si faccia miracolosamente uomo per salvare il mondo, vuol dire che il mondo, l’evoluzione della vita e il genere umano non hanno in sé capacità di salvezza. Sono in sé dannati. In particolare il lavoro umano, questo immenso sforzo di liberazione prodotto nei secoli. Il Natale non annunzierebbe la fine della maledizione del lavoro ma sarebbe un invito alla rassegnazione e una spinta alla solidarietà intesa solo come carità cristiana.

E’ quanto dice sostanzialmente Giovanni Paolo II nella enciclica Laborem exercens. Pagine e pagine di apprezzabile trattazione sociologica sul lavoro finiscono nel ricatto metafisico del sacrificio, della alienazione e della sofferenza che da sempre e per sempre accompagnano il lavoro a causa del peccato. Il papa al termine dell’enciclica ripropone infatti la maledizione del lavoro pronunciata da Dio nel racconto biblico della creazione: “Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita”. Il pontefice commenta così l’invettiva rivolta ad Adamo: “Questo dolore unito al lavoro segna la strada della vita umana sulla terra”. Dio – continua il papa - incarnandosi assume il lavoro umano e lo salva dalla maledizione. Ma, e qui è il punto, lo salva in vista dell’al di là. La storia continua il suo corso di maledizione dello sforzo umano e del lavoro. “Quest’opera di salvezza – è scritto nella Laborem exercens – è avvenuta per mezzo della sofferenza e della morte di croce. Sopportando la fatica del lavoro in unione con Cristo crocifisso per noi, l'uomo collabora in qualche modo col Figlio di Dio alla redenzione dell’umanità. Egli si dimostra vero discepolo di Gesù, portando a sua volta la croce ogni giorno nell’attività che è chiamato a compiere … Mediante la fatica e mai senza di essa”.

Ben altro è il senso della tradizione più antica presente fin dagli albori sia dell’ebraismo che del cristianesimo. E’ possibile anzi forse doveroso vedere i vari racconti dei Vangeli come simboli di ciò che accompagna ogni nascita. Gesù nacque come ogni uomo e ogni donna che venivano al mondo in quel tempo. Sì c’è nel Vangelo l’esaltazione mitica della missione di Gesù ma dentro la storia. Questo senso del Natale orienta verso il riscatto del lavoro, verso la solidarietà con lo sforzo umano e con la lotta per liberare il lavoro dalla alienazione, dalla coazione, dal sacrificio, dall’asservimento alle esigenze del profitto, dall’insicurezza, dalla precarietà.

La fede cristiana si rafforza se si nutre della forza vitale di Dio che vive nella storia. La fede cristiana torna credibile perché assume il sogno di liberazione dei lavoratori, uomini e donne, bianchi e neri, abili e disabili, credenti in un modo e credenti in un altro o in mille altri.

 

E’ questo lo spirito positivamente critico e creativo che animerà la nostra celebrazione del Natale.

 

Programma

 

* Il Natale e il lavoro spunti di riflessione;

* performance di Saverio Tommasi tratta dal suo libro/testo teatrale

“Cambio Lavoro”;

* i bambini raccontano l’esperienza educativa che hanno fatta domenica 13

sul tema del “dono” anche in relazione al Natale e offrono in dono alla comunità il pane fatto da loro stessi;

* testimonianze di persone direttamente coinvolte nei diversi ambiti:

la crisi del lavoro e le lotte, testimonianze da alcuni luoghi simbolo - SEVES, Termini Imerese -, insicurezza e incidenti sul lavoro, testimonianze di parenti delle vittime e di operatori sanitari di “Medicina democratica”, le lotte contro la precarietà del lavoro, il lavoro sognato dai detenuti e negato, il lavoro, misconosciuto e pesantemente sfruttato, delle donne e uomini immigrati risorsa vitale per la nostra società in crisi, e finalmente la testimonianza di lavoratori della ex-Electrolux la cui lotta coronata da successo è motivo di speranza per tutti;

* canti del lavoro, letture, preghiere, convivialità.




 

il dono

 

I bambini raccontano



Eravamo in tanti domenica 13 dicembre alle baracche: bambini, ragazzi, genitori, nonni, animatori…..tutti avevamo una parola d’ordine: portare da casa un regalo da donare ad un altro.



Un dono reciproco fra di noi perché:

- era la prima volta che ci incontravamo dopo le vacanze estive,

- tornare a ritrovarci era per tutti un piacere ed una festa

- è tempo di Natale, la festa dei regali per tutti.



Avevamo però una regola da rispettare:

- il regalo non si doveva comprare, dovevamo sceglierlo fra le cose che già avevamo in casa o prepararlo con le nostre mani;

- il regalo era di tutti per tutti…dunque non dovevamo scegliere la persona a cui donarlo.

 



Abbiamo riempito due ceste di pacchetti luccicanti, li abbiamo messi al centro dei tappeti e ci siamo seduti tutti intorno… era proprio bello… eravamo tutti curiosi ed ammirati.

 




 

 

 

Ed ora come ce li doniamo? Ecco le proposte:

- ciascuno si alza, ne prende uno e lo dà ad un altro…

- ciascuna ne prende uno e lo porta a chi è seduto accanto a lei…

- ognuno si potrebbe bendare e sceglierne uno a caso….

La discussione è stata animata perché tutti volevamo che la scelta sia di non fare preferenze … infine è stata approvata all’unanimità la proposta fatta da Matilde: tutti prendiamo un pacchetto, e seguendo un ritmo ce lo passiamo di mano in mano finché qualcuno (Enzo) dice STOP! e così a ciascuno tocca il regalo che si trova in mano.

E ora cosa facciamo… li apriamo subito o li portiamo a casa per aprirli a Natale?

Nuova grande discussione per decidere…….. tutti preferiscono aprirli subito e sostengono la loro idea (perché è più bello, perché possiamo raccontare come li abbiamo fatti, perché qualcuno si sciupa, perché potremmo fare degli scambi…); solo tre persone preferirebbero aprirli a Natale, e poiché è giusto ascoltare e capire anche chi è in minoranza ascoltiamo anche loro: a loro piace il senso del mistero e dell’attesa…! E’ interessante.

Prevalse comunque la curiosità e la voglia di scoprire subito la sorpresa!!!!

Scoprire i regali è stato bellissimo…..ma ancora più bello è stato scambiare le cose che ci erano toccate….così tutti abbiamo avuto quello che più ci era piaciuto!!



Abbiamo capito che:

- donare è bello e ci fa felici;

- ricevere un dono , scambiarsi una cosa, ci piace molto

- regalare una cosa che ci appartiene o che abbiamo fatto con le nostre mani è un pensiero affettuoso che ha più significato di una cosa comprata

- che è possibile essere felici anche con poco

- che siamo felici quando il dono è per tutti…….quando un bambino o un grande rimane senza il suo dono è triste…..ed anche gli altri non possono essere felici

 



A questo punto ci siamo domandati:

 

- perché a Natale si scambiano i regali?

- cosa c’entra il regalo, il dono, con la nascita di Gesù?

 



Allora Enzo ci ha spiegato che:

All’inizio i racconti su Gesù erano storie che passavano di bocca in bocca, da amici ad amici, da genitori ai figli, da nonni a nipoti. A quel tempo non si andava a scuola e i grandi per insegnare i segreti della vita si riunivano e narravano delle storie.

Le storie della nascita di Gesù raccontate nel Vangeli sono nate dalla immaginazione di gente povera. Essi consideravano ogni vita, ogni bambino che nasce come una grande dono fatto dalla mamma e dal babbo a tutti gli uomini. Per questo i parenti, gli amici, i vicini andavano a visitare il bambino o la bambina appena nati portando doni come per ricambiare il dono fatto dalla mamma. E siccome erano tanto poveri, i doni erano cose utili per far crescere il nuovo nato.

 



Maurizio ci ha detto anche che l’idea di dono è antichissima e che molti studiosi (come gli antropologi) ne hanno studiato le varie trasformazioni, dalla distribuzione alimentare a tutti i membri durante le feste delle tribù primitive, fino a quella rituale e simbolica della eucarestia cristiana.




Due persone che sapevano scrivere, che si chiamavano Marco e Luca, furono incaricate di mettere per scritto i racconti che circolavano nelle comunità cristiane molto antiche. Alcuni racconti erano cose realmente accadute. Altri erano frutto di immaginazione, erano idee che venivano a persone che amavano Gesù ma che non l’avevano mai conosciuto di persona. Erano persone molto povere che si ritrovavano insieme per vivere il messaggio di Gesù. Non sapevano bene come e dove era nato Gesù ma immaginavano che fosse nato come nascevano i loro bambini.

 



Se ogni bambino è un dono anche Gesù è stato un dono, un regalo. E anche a Gesù e a sua madre saranno stati portati doni. Quando nasce un bambino la notizia passa di bocca in bocca da persone che annunciano il felice evento come fossero angeli cioè annunciatori. Così quando nacque Gesù. Se ogni volta che nasce un bambino nasce in cielo una stella, come si dice, allora anche quando nacque Gesù sarà nata una stella. E via di questo passo di storia in storia, di bocca in bocca …

 



E così nel vangelo di Luca si può leggere questo racconto:

 

Miriam diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo.

C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge.

Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce.

Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro:

Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”.

E subito apparve con l’angelo una moltitudine celeste che lodava Dio e diceva:

Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”.

Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro:

Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”.

Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.

Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Miriam, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.

I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.






Ed ora leggiamo nel Vangelo di Matteo il racconto della visita dei magi.

 

Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano:

“Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo”.

All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme.

Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia.

Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta”.

Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli:

Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”.

Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.

Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.




In questa Veglia di Natale abbiamo deciso di offrire alla comunità

il dono del pane fatto con le nostre mani

da noi insieme alle nostre mamme.

 

anna, simone, dario, tommaso, elena, fabio, gaia, gerardo, evelina, giulio, jonathan, luna, margherita, martina, matilde, mattia, miranda, mirco, tiziano, flavio, virginia, zoe, ivan





La crisi del lavoro e le lotte

 

Anche in Toscana una crisi così non si era mai vista: numerose le fabbriche chiuse o in via di dismissione. Nonostante i ricorrenti messaggi ottimistici “di regime”, gli effetti della gravissima crisi economica che ha colpito tutti i Paesi del mondo (la peggiore dal 1929 ad oggi) non sono certo finiti. Anzi, si stanno abbattendo, e si abbatteranno ancora di più durante il prossimo anno, sul mondo del lavoro, sulle lavoratrici e sui lavoratori, sulle persone in carne ed ossa.

Gli interventi pubblici hanno dato sostegno, infatti, essenzialmente, alle banche ed agli istituti finanziari, cioè ai soggetti che risultavano i principali responsabili della crisi, permettendo loro di ricominciare ad agire nel modo speculativo di sempre, ma non hanno dato alcuna prospettiva nuova alle realtà produttive, all'economia vera e non cartacea, e quindi a coloro che di quelle realtà sono i protagonisti e subiscono prima di tutti i contraccolpi della situazione attuale.

Se nel miraggio del liberismo sfrenato risolutore dei problemi dell'umanità che, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, ha contagiato quasi tutti, mettendo al primo posto nella scala dei valori il mercato, l'impresa, la capacità di far soldi, i lavoratori e le lavoratrici sembravano essere scomparsi dalla scena, oggi quei lavoratori e quelle lavoratrici riappaiono, come persone a rischio, come cassintegrati/e, come disoccuppati/e, come vittime designate della crisi in atto (vi sono 2 milioni di disoccupati e l'8,2% degli italiani è in cerca di lavoro – dati ISTAT). Ma per “bucare lo schermo”, per fare notizia, hanno bisogno di stare per giorni al freddo sui tetti o sulle gru delle fabbriche in procinto di essere dismesse. Ed anche questo, in un clima di spettacolarizzazione crescente della vita politica e sociale, non appare più sufficiente a destare attenzione, a colpire il senso comune, a smuovere l'opinione pubblica.

Ricorso al precariato ed al lavoro nero, delocalizzazione delle produzioni (in parti del mondo dove il lavoro viene pagato ancor meno), cancellazione dei diritti conquistati attraverso decenni di lotte sono gli assi intorno a cui ruota il mondo imprenditoriale (che pretenderebbe di uscire dalla crisi su queste basi).

A completare il quadro, va sottolineato che il welfare italiano lascia un milione e seicentomila lavoratori privi di ammortizzatori sociali (lo denuncia il Governatore della Banca d'Italia Draghi).

Anche la Toscana, come attestano i dati presentati recentemente dall'IRPET (l'istituto che studia l'economia della Regione), è investita in pieno dalla crisi.

L'Osservatorio regionale sul Mercato del Lavoro denuncia la perdita di 90000 posti di lavoro nel corso dell'anno ed un calo delle assunzioni del 15% nei primi 9 mesi del 2009 (rispetto allo stesso periodo del 2008).

Sempre più numerose sono le fabbriche minacciate di chiusura (per cessazione dell'attività o, con maggiore frequenza, per trasferimento in altri Paesi della produzione).

Ne citiamo una sola, a titolo esemplificativo, perchè in stato di mobilitazione ormai da molte settimane e perché sul territorio fiorentino: la SEVES.

Si tratta di una fabbrica di materiali in vetro che corre il serio pericolo di essere chiusa, con il conseguente stato di disoccupazione per le circa 200 persone che vi lavorano. La mobilitazione va avanti con scioperi, manifestazioni, presidi, e, tramite anche l'intervento della Regione, si è avviata una trattativa tra le rappresentanze sindacali e la Direzione aziendale, trattativa che non ha prodotto per ora risultati concreti, tanto è vero che nell'ultimo incontro, mercoledì scorso, non si è fatto menzione, da parte dell'Azienda, della ripresa della produzione.

Ai lavoratori, scesi nuovamente in sciopero, va il sostegno di un Comitato costituitosi nel frattempo e composto da diversi soggetti, associativi e politici. Se la difesa dei posti di lavoro, luogo per luogo, risulta indispensabile e va sostenuta con forza (com'è avvenuto in altre stagioni, proprio qui a Firenze, quando tutta la popolazione si è mobilitata per la Pignone, per la Galileo, per la Manetti e Robert's ...), occorrono anche risposte di carattere generale, che rilancino l'economia, su basi veramente nuove, con al centro la tutela dell'ambiente, dei diritti, dei beni comuni, nonché l'innovazione tecnologica e la qualità dei prodotti.

Cogliendo anche dalla crisi la spinta per ripartire nella costruzione di un “nuovo mondo possibile”.




Le morti bianche

 

E’ Natale. In questi giorni tutti dimostriamo un’attenzione particolare alla sofferenza altrui; ma è così realmente? Io ci credevo, credevo che tutti fossero un po’ come me, buoni, tolleranti, sensibili, capaci di calarsi nei panni altrui. La mia ingenuità è stata squarciata in un aula di tribunale assistendo all’udienza preliminare per la morte di mio marito Luca Rossi avvenuta nel dicembre del 2006, alla Lucchini di Piombino. Un ennesimo rinvio in nome del DIO SOLDO. Sentimenti e dignità calpestati.

Quanto fa male combattere giornalmente per far sì che Luca non sia solo un numero. Per ora, nella nostra zona, sono l’ultima vedova, ma purtroppo non sono l’unica né resterò per molto l’ultima.

Ancor più in questi giorni di festa mi pesa il vuoto che Luca ha lasciato, ma di Luca ce ne sono tanti che come lui escono di casa per andare a lavoro e non tornano più. Non è giusto, non è logico, non è umano. Quindi chiedo, dal profondo del mio cuore, di rivolgere un pensiero a tutti coloro che vivono questa situazione e in più di avere un attenzione particolare sul proprio posto di lavoro. Vi prego di non piegarvi a fronte di un ricatto lavorativo. Chiunque timbra il cartellino per cercare di sbarcare il lunario; ricordiamocelo. Non rischiamo la nostra vita; per le aziende siamo solo numeri non persone ma per la nostra famiglia, i nostri cari, gli amici non è così.

 

Elena Pasquini Rossi dell’Associazione nazionale “Ruggieri Toffolutti”

 

Piombino 24 dicembre 2009

*****

 

 

Il lavoro in carcere: un diritto negato

 

Il lavoro, insieme alla scuola, è una delle poche tra le cosiddette “attività trattamentali”, quelle attività che dovrebbero cioè sostanziare il carattere rieducativo della pena, così come previsto dallart.27 della Costituzione. All’interno dell’Istituto di Sollicciano che ospita circa 1000 detenuti alcuni lavori che riguardano il mantenimento della struttura sono svolti dai detenuti stessi. “Scopini”, “spesini”, “scrivani”, secondo il gergo carcerario che già nell’uso del diminutivo tende a trasmettere un’idea di minorità implicita nella condizione di detenuto/a, lavorano rispettivamente per le pulizie degli ambienti, la raccolta degli ordini alimentari “extra-vitto”, la distribuzione e compilazione dei moduli (“domandine”) riguardanti le richieste di incontri con gli educatori, permessi ecc. Alcuni svolgono inoltre lavori edili. Solo circa 150 detenuti, per lo più sottopagati (300-400 euro mensili), possono usufruire di questo tipo di lavoro interno. All’esterno le ditte private, che potrebbero usufruire di vantaggi fiscali in caso di assunzione di detenuti in situazione di fine pena o ex detenuti, assai raramente ne fanno richiesta per il consolidato pregiudizio. Le cooperative sociali che assumono anche detenuti sono inoltre in difficoltà per la riduzione degli appalti. L’attività legata alla ricerca del lavoro esterno, che dovrebbe riguardare gli educatori, è spesso ridotta al minimo data l’esiguità del numero di queste figure (5-6) che non riescono a smaltire la mole di burocrazia. Ultimamente alcuni detenuti hanno richiesto agli enti locali un sostegno per formare loro stessi una cooperativa sociale in grado di rispondere, almeno in parte, ai problemi legati al lavoro. La mancanza di questo infatti è tra le prime motivazioni del fallimento della prospettiva rieducativi con la conseguente estrema difficoltà, per chi ha pagato il proprio debito con la giustizia, ad integrarsi pienamente nella vita civile.




emergenza disuguaglianza

 

Da un intervento fatto sabato 5 dicembre 2009 all'assemblea della Federazione delle chiese evangeliche,

da Mercedes Frias

 

emergenza immigrazione?

 

Declinerei l’emergenza relativa alla presenza rilevante di stranieri in Italia su due versanti:

Nel 1970, un cittadino africano aveva un reddito medio equivalente ad 1/8 di un europeo e a 1/12 di un cittadino USA. Si calcolava allora che per i paesi africani raggiungere i livelli di consumo dell’Europa e degli USA occorrevano dai 70 anni ai 100 anni. Oggi, il reddito medio di un cittadino africano equivale ad un 1/15 di europeo e a 1/20 di un abitante degli USA, e si calcola in oltre 300 anni il numero di anni necessari all’Africa per raggiungere i paesi arricchiti d’Europa e Usa. In 40 anni la breccia fra paesi arricchiti e paesi impoveriti si è enormemente dilatata, si è di fatto più che quadruplicata, resa incolmabile la distanza fra questi due mondi.

Parlerei dunque di emergenza disuguaglianza. le conseguenze di un tale livello di squilibrio sono in primis lo spostamento di esseri umani alla ricerca della sopravvivenza, le migrazioni verso i luoghi dove anche la loro ricchezza si consuma.

Queste presenze, dei migranti coatti, ha fatto emergere in tutta la sua crudezza un mostro sopito da decenni, che considero il secondo versante dell’emergenza: emergenza razzismo.

Forse abbiamo ancora la capacità di indignarci al sentire tante ingiustizie. Ma come gestiamo la nostra giusta indignazione? Forse ci accontentiamo del nostro antirrazzismo facile alla “io non sono razzista ma…”, magari ci autoassolviamo perché non daremo mai il nostro appoggio alle varie operazioni “white christmas”, ordinanza lavavetri, ed altro.

Credo siamo chiamati a qualcosa di più. Ad assumerci la nostra parte di responsabilità collettiva e individuale nell’iniqua ripartizione della torta. Che certamente non abbiamo determinato noi singoli. Forse possiamo diventare soggetti attivi di quello che John Stott chiama “controcultura cristiana” .

Forse possiamo alzare la nostra voce e dire come i profeti, come Amos redarguiva i potenti, come Michea: “guai a quelli che meditano l’iniquità e macchinano il male sui loro letti, per metterlo ad effetto allo spuntar del giorno, quando ne hanno il potere in mano” e ai governanti “non spetta a voi saper ciò che è giusto?... scorticate il mio popolo e gli strappate la carne di sulle ossa.”

L’esempio che ci viene del Signore è quello di un Cristo che abbatte barriere, ricordiamo il suo incontro con una “donna, samaritana, di facili costumi.”

E per quanto la sagacità sia un attributo negativo, fare nostro il rimprovero ed essere un po’ più svegli, coraggiosi e impegnarci nella costruzione di un mondo più giusto. Un mondo nel quale nessuno possa essere considerato clandestino perché, come dice Erri de Luca: “chiamare qualcuno clandestino è prendersi troppa confidenza con la vita”.




Un segno di speranza per tutti

 

L'Electrolux diventa Italia Solare, 370 operai riassunti

 

Una vertenza del lavoro che approda a lieto fine dopo lunghi travagli, la paura della perdita del lavoro, le manifestazioni di piazza, infine la riconversione.

A Scandicci sulle ceneri dell´ex-Electrolux nasce un´impresa proiettata nel futuro: Italia Solare Industrie, fabbrica di pannelli fotovoltaici, riassume tutti i 370 lavoratori.

Dalla produzione di frigoriferi a quella di pannelli fotovoltaici. Dal prodotto maturo alla nuova frontiera delle energie rinnovabili. Un bel salto, eppure senza lasciare per strada gli operai della vecchia Electrolux. Tutti riassunti, quelli rimasti, dalla nuova proprietà: 270 già in forze, gli altri 100 entro il 31 marzo. Electrolux ha ceduto ufficialmente lo stabilimento, che è già attivo da luglio, a Italia Solare Industrie e quest´ultima ha mandato le lettere di assunzione a tutti gli ex dipendenti della multinazionale svedese.

Dopo lunghi giorni drammatici, una lotta senza quartiere degli operai sotto la parola d´ordine «vogliamo lavorare», la mobilitazione dei sindacati e delle istituzioni locali, il passaggio da Electrolux a Italia Solare Industrie diventa un esempio di riconversione. Un esempio come in piena crisi se ne trovano pochi, in cui tutti fanno la loro parte e perfino la multinazionale svedese, incalzata da operai, sindacati, enti locali, trova un nuovo imprenditore cui cede tutto pur di non lasciare a casa i suoi ex dipendenti.

«Abbiamo inaugurato la prima linea da 25 megawatt, arriveremo a 4 linee per 100 megawatt - dice l´ad Massimo Fojanesi - Vogliamo fare qui non solo pannelli che avranno scritto sopra made in Scandicci ma anche un centro di ricerca e sviluppo. Lavoriamo già con il Sant´Anna di Pisa, abbiamo contatti con l´università di Firenze». Non si escludono assunzioni di cervelli. «Le energie alternative possono essere lo sbocco occupazionale del futuro - dice Fojanesi - Purchè anche il governo sostenga la produzione italiana».

 

Gli operai che hanno studiato ecologia e ambiente nei corsi di formazione aziendale curati dalla società Openup Consulting sono pronti alla nuova sfida. «Si apre una nuova prospettiva per il futuro», dice Franco Nigi della Fiom Cgil. E l´assessore al lavoro toscano Simoncini è convinto che si sia dimostrato «come riuscire in una brillante operazione di riconversione partendo da una pesante crisi industriale».

 

(dall’articolo di Ilaria Ciuti su la Repubblica 19 dicembre 2009)




 

                Preghiera della eucaristia

 

Celebriamo l’eucaristia

condividendo con gioia

i frutti del lavoro umano:

il pane e il vino,

nella memoria di Gesù

e nella memoria dell’immenso sforzo di liberazione

compiuto nei secoli da donne e uomini

che hanno lottato per dare significato positivo

alla loro vita di lavoro

e alla lotta contro l’alienazione e l’oppressione.

La vita comunitaria,

il nostro unire le esperienze quotidiane,

i passi, i pensieri, le emozioni, le angosce,

è un cammino di liberazione

dal dominio del sacro

e da una visione negativa

della storia umana.

In tale cammino di liberazione

inseriamo la memoria di Gesù.

Il quale la sera prima di essere ucciso

mentre sedeva a tavola con apostoli e apostole

prese del pane lo spezzò e lo diede loro dicendo:

prendete e mangiate, questo è il mio corpo.

Poi prese un bicchiere di vino lo benedì

e lo diede loro dicendo:

questo è il mio sangue sparso per voi:

fate questo in memoria di me.

Che per lo Spirito di Gesù

questa eucaristia non sia un sacrificio

ma un annuncio evangelico

di riconciliazione

fra il corpo, il sangue, il lavoro,

la vita spesa per la giustizia,

la storia della liberazione,

il mistero che ci avvolge.




 

canti

 

 









Uguaglianza

 

Ti ho visto lì per terra al sole del cantiere

le braccia e gambe rotte dal dolore

dicevan ch'eri matto

ma debbo ringraziare la tua pazzia.

Ti ho visto un sol momento

poi ti ha coperto il viso

la giacca del padrone che ti ha ucciso

ti hanno nascosto subito

eri per loro ormai da buttar via.

 

Ci dicon siete uguali ma io vorrei sapere

uguali davanti a chi uguali perché e per chi.

 

E' comodo per voi dire che siamo uguali

davanti a una giustizia partigiana

cos’è questa giustizia

se non la vostra guardia quotidiana.

 

Ci dicon siete uguali ma io vorrei sapere uguali davanti a chi uguali perché e per chi.

 

E' comodo per voi che avete in mano tutto

dire che siamo uguali davanti a Dio

è un Dio ch'è tutto vostro

è un Dio che non accetto e non conosco.

 

Ci dicon siete uguali ma io vorrei sapere uguali davanti a chi uguali perché e per chi.


Quante le strade

 

Quante le strade che un uomo farà

e quando fermarsi potrà?

 

Quanti mari dovrà traversar

un gabbiano per poi riposar...

 

Quando la gente del mondo riavrà

per sempre la sua libertà?

 

 

RISPOSTA NON C'E'

O FORSE CHI SA

PERDUTA NEL VENTO SARA'

 

 

Quando dal mare un'onda verrà

e i monti lavare potrà?

 

Quando per l'uomo che deve lottar

il duro cammin finirà?

 

Quante persone dovranno morir?

Perchè sono in troppi a morir!

 

 

RISPOSTA NON C'E'

O FORSE CHI SA

PERDUTA NEL VENTO SARA'





 









Canto dei tessitori

 

Per cantar "Veni Creator"

voi portate manti d'or

Per cantar "Veni Creator"

voi portate manti d'or

 

 

Noi li tessiam pei grandi della chiesa

e noi pover non abbiamo la camicia.

Tessitor noi siam

e camicia non abbiam

 

 

Per restare al potere

vesti in seta occorre aver

Per restare al poter

vesti in seta occorre aver

 

 

Noi le tessiam pei grandi della terra

E nudi noi finiamo sotto terra.

Tessitor noi siam

e camicia non abbiam

 

 

Il nostro regno arriverà

quando il vostro finirà.

Il nostro regno arriverà

quando il vostro finirà.

 

 

La morte al vecchio mondo noi tessiamo

e crescer la rivolta noi sentiamo.

Tessitor noi siam

mai più nudi noi andrem

Tessitor noi siam

mai più nudi noi andrem

 


Hey ma è vero che

 

La la la la.....

 

Hey ma è vero che

tutti gli altri sono uguali a me?

E no non è proprio così

 

Hey ma è vero che

Chi è più bianco è più forte di me

Eh sì sarà sempre così

 

Hey ma è vero che

chi è più forte ha più ragione di me

Eh sì sarà sempre così

 

Ma è vero Che il colore è solo luce

E la luce è la speranza E che siamo noi

 

Hey ma tu dici che

Cristo ha l'anima uguale a me

Eh sì nera come te Cristo ha l'anima

di un arlecchino tutti i colori dell'arcobaleno

Eh sì forse e proprio così

 

Hey ma un giorno verrà

Che Caino non ammazzerà

Eh no suo fratello mai più

Sem Cam Yafet non avran colore

Saran figli di un professore

 

Eh si può esser proprio così

Sarà vero Che il colore è solo luce

E la luce è la speranza

E che siamo noi la speranza

 

Camminando noi Verso il sole

Dentro il sole che salirà


 




 









Imagine

 

Imagine there's no heaven

It's easy if you try

No hell below us

Above us only sky

Imagine all the people

Living for today...

 

Imagine there's no countries

It isn't hard to do

Nothing to kill or die for

And no religion too

Imagine all the people

Living life in peace...

 

You may say I'm a dreamer

But I'm not the only one

I hope someday you'll join us

And the world will be as one

 

Imagine no possessions

I wonder if you can

No need for greed or hunger

A brotherhood of man

Imagine all the people

Sharing all the world...

 

You may say I'm a dreamer

But I'm not the only one

I hope someday you'll join us

And the world will live as one


Immagina

 

Immagina non ci sia il Paradiso

prova, è facile

Nessun inferno sotto i piedi

Sopra di noi solo il Cielo

Immagina che la gente

viva al presente...

 

Immagina non ci siano paesi

non è difficile

Niente per cui uccidere e morire

e nessuna religione

Immagina che tutti

vivano la loro vita in pace...

 

Puoi dire che sono un sognatore

ma non sono il solo

Spero che ti unirai anche tu un giorno e che il mondo diventi uno

 

Immagina un mondo senza possessi

mi chiedo se ci riesci

senza necessità di avidità o fame

La fratellanza tra gli uomini

Immagina tutta le gente

condividere il mondo intero...

 

Puoi dire che sono un sognatore

ma non sono il solo

Spero che ti unirai anche tu un giorno e che il mondo diventi uno


 




 









L’uomo che sa

 

La mia vita ce l'ha chi ha il potere per sé

chi le armi prepara e chi educa me

chi mi insegna a lottare per la mia libertà

e alla gente si spaccia per l'uomo che sa

 

tu sei giovane ha detto e se crescere vuoi

abbandona i tuoi giochi e vieni con noi

sulla nuova frontiera c'è un nemico mortal

che i tuoi sacri valori potrebbe annientar

 

mi da in mano un fucile

ma non viene con me

io mi trovo tra i morti e mi chiedo perché

son giovani i morti che la guerra stroncò

son nel fango sepolti e tacere non so

son sepolti nel sangue ed all'uomo che sa

io domando a che serve

tanta gente ammazzar

lui risponde paterno: ubbidisci non sai

tu sei giovane uccidi così capirai

 

mentre urlan le bombe io più forte urlerò

non so niente di niente ma una cosa la so

son sicuro che Cristo perdonar non potrà

i tuoi sporchi profitti sull'umanità

 

e una cosa ti dico; col denaro che hai

il perdono da Dio comperar non potrai

non potrai ripagare tutto il sangue che tu

ci hai costretti a versare nel sangue quaggiù

 

quando tu sarai morto a guardarti verrò

seguirò la tua bara e ti maledirò

resterò ad aspettare finché sceso sarà

un gran mucchio di terra sull'uomo che sa.

 


Eppure il vento soffia ancora

 

E l'acqua si riempie di schiuma, il cielo di fumi

la chimica lebbra distrugge la vita nei fiumi

uccelli che volano a stento, ammalati di morte

il freddo interesse alla vita ha sbarrato le porte.

Un'isola intera ha trovato nel mare una tomba

il falso progresso ha voluto trovare una bomba,

poi la pioggia che toglie la sete

alla terra che è viva

ed invece le porta la morte, perché è radiattiva

 

EPPURE IL VENTO SOFFIA ANCORA

SPRUZZA L'ACQUA

ALLE NAVI SULLA PRORA,

E SUSSURRA CANZONI FRA LE-FOGLIE,

BACIA I FIORI

LI BACIA E NON LI COGLIE.

 

Un giorno il denaro ha scoperto

la guerra mondiale,

ha dato il suo putrido segno all'istinto bestiale,

ha ucciso, bruciato, distrutto in un triste rosario:

tutta la terra è avvolta in un nero sudario.

E presto la chiave nascosta di nuovi segreti

così copriranno di fango perfino i pianeti,

vorranno inquinare le stelle, la guerra fra i soli;

i crimini contro la vita li chiamano errori.

 

EPPURE IL VENTO SOFFIA ANCORA

SPRUZZA L' ACQUA

ALLE NAVI SULLA PRORA

SUSSURRA CANZONI FRA LE FOGLIE,

BACIA I FIORI,

LI BACIA E NON LI COGLIE.

Eppure sfiora le campagne,

Accarezza sui fianchi le montagne,

Scompiglia le donne fra i capelli,

Corre a gara in volo con gli uccelli.

EPPURE IL VENTO SOFFIA ANCORA!