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lunedì 24 dicembre 2012

CONDIVIDERE PERCORSI DI PACE



      Comunità dell’Isolotto

Veglia di Natale 2012


“CONDIVIDERE PERCORSI DI PACE

Non c’è libertà senza pace
la libertà è per tutti o non è per nessuno

Scegliamo la nonviolenza, la giustizia sociale
la solidarietà come stili di vita
per la speranza nel futuro

E’ questo il messaggio nel quale ci riconosciamo e che vogliamo condividere la notte di Natale 
con tutte le donne e gli uomini di buona volontà


Firenze, 24 dicembre 2012 - ore 22,30
Baracche verdi, via degli Aceri 1

Introduciamo la veglia con questo testo scritto da Enzo nel Natale 2004

Questo Natale fra paura e speranza.

Siamo tutti alla ricerca di raggi di speranza.
Forse tale ricerca è alla radice stessa della nostra esistenza. 
E' una condizione permanente dell'essere umano. 
Per questo il Natale è così amato. Per questo ogni cultura ha il suo Natale, chiamato coi mille nomi della molteplicità delle esperienze storiche e delle fedi.
Oggi però soprattutto noi occidentali lo sentiamo con più forza. Perché la paura è particolarmente invadente. E' un contagio. I motivi sono tanti. 
Fra tutti emerge il terrorismo, la guerra infinita, lo scontro di civiltà, l’immigrazione, l'incertezza del futuro, la rivolta della natura. E tutto questo amplificato dalla strumentalizzazione che ne fanno i poteri che dominano il mondo. I quali tentano di annegare nella paura ogni nostra ricerca di speranza e di cambiamento.
Ma anche la perenne ricerca di raggi di speranza è oggi tanto più forte. La sentiamo emergere in noi. Più pressante è la paura più esplode il bisogno di speranza.
E il Natale acquista un significato di notevole attualità.
Non certo il Natale che esaltando la nascita di uno solo, uomo-dio, totalmente diverso da tutti i comuni mortali, di fatto oscura e deprime tutte le altre nascite e pone la storia intera sotto il segno del peccato per poterla salvare dall'alto della sua onnipotenza.
Il Natale invece come festa della vita che nasce, festa della forza vitale che perennemente risorge, festa del bambino e della bambina raggio di una speranza che non muore, radice di una speranza capace di vincere il dominio della paura. 
Il Natale festa della nascita di un Gesù, bambino fra i bambini, speranza fra le speranze, storia di salvezza fra le storie di salvezza.
Questo vedere la nascita e la vita di Gesù e del cristianesimo delle origini inseriti con tutta la loro originalità nella pluralità dei movimenti storici di speranza, di salvazione e liberazione non è affatto un declassamento. E' invece una enorme valorizzazione. 
Lo si capisce ancor meglio oggi in questa cultura della globalizzazione che ha come risvolto positivo il senso della intercultura: tanto più "si è" quanto più si riesce ad "essere insieme agli altri", ai diversi da noi. Non è solo tolleranza o rispetto degli "altri".  E' molto di più e di diverso. E' "divenire insieme", "trasformarsi insieme".
E così viviamo questa veglia in spirito di accoglienza verso la vita che nasce e come impegno per i diritti dei bambini in tutto il mondo.


C come.. crisi

di Abert Enstein

Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.
La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. 
La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. 
E’ nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. 

Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. 
Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni.

La vera crisi, è la crisi dell'incompetenza. 
L'inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. 

Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, 

una lenta agonia. Senza crisi non c'è merito. È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. 

Parlare di crisi significa incrementarla e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l' unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.

(tratto da "Il mondo come io lo vedo", 1931 )


Riflessione biblica

 Per riflettere sul senso della religiosità noi ci riferiamo alla Bibbia, perché riconosciamo in essa una delle basi della nostra cultura religiosa e umana. Non bisogna però cadere nel tranello di considerarla un libro dogmatico, prescrittivo. Essa è piuttosto testimonianza di un percorso storico di un popolo, un percorso lungo e tormentato, che tra errori, momenti di rottura e nuove prospettive porta ad una presa di coscienza dei propri obblighi e della finalità della vita. Vorrei sottolineare che questo non è un percorso individuale, ma collettivo, portato avanti da tutto un popolo che matura la coscienza di avere un destino comune, nel bene e nel male.
 I profeti, in particolare, sono le voci critiche, gli elementi di rottura con una tradizione religiosa basata su forme rassicuranti e individualistiche e risvegliano una coscienza sociale basata sulla condivisione e la solidarietà. Il seguente brano è attribuito al Secondo Isaia, un profeta che opera alla fine dell'esilio babilonese (fine VI sec. a.C.) e che annuncia la liberazione del popolo ebraico deportato a Babilonia. Egli si ricollega volutamente alla liberazione dalla schiavitù egiziana attraverso la rievocazione del deserto, che rappresenta un elemento mitizzato, legato alle origini del popolo e a quei valori che sono per lui fondanti.

Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio
parlate al cuore di Gerusalemme e annunciatele che è finita la sua sofferenza
che è stata scontata la sua iniquità.
Essa ha ricevuto dalla mano di Jahwè doppio castigo per tutti i suoi peccati.
Una voce grida: "Nel deserto preparate la via di Jahwè
livellate nella steppa la strada per il nostro Dio.
Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle si abbassi;
il terreno accidentato diventi uniforme, quello scosceso una pianura.
Si rivelerà la gloria di Jahwè e ogni uomo vedrà la sua grandezza,
poiché la bocca di Jahwè ha parlato" (Is 40,1-5).

Il popolo, purificato nel deserto, riacquista il ruolo di servo di Jahwè, con il compito di istruire gli altri popoli sui veri valori e sul senso da dare alla vita: questa si deve finalizzare al pieno raggiungimento del diritto, della giustizia e della solidarietà con gli elementi sociali più deboli.

Ecco il mio servo, che io sostengo, il mio eletto, di cui gioisce la mia anima.
Ho posto il mio spirito su di lui, egli proclamerà il diritto alle nazioni.
Non griderà, né farà chiasso, non farà udire in piazza la voce;
non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dall'esile fiamma.
Con fermezza proclamerà il diritto; non verrà meno né si abbatterà,
finché non avrà stabilito il diritto sulla terra.
Le isole anelano la sua dottrina.
Così dice Jahwè, che crea e dispiega il cielo, distende la terra con i suoi germogli,
dà il respiro alla gente che la abita e alito a quanti camminano in essa.
Io, Jahwé, ti ho chiamato nella giustizia e ti ho preso per mano,
ti ho formato e stabilito alleanza del popolo, luce per le nazioni,
affinché tu apra gli occhi ai ciechi e liberi dal carcere i detenuti,
dalla prigione coloro che abitano nelle tenebre (Is 42,1-7).

Questo messaggio viene ripreso e correttamente interpretato da Giovanni Battista e poi da Gesù: l'appartenenza al popolo di Jahwé e ai valori a lui collegati non si 
misura    su un'eredità etnica, di sangue, ma sull'adesione effettiva agli ideali di giustizia, di solidarietà e di condivisione.

L'anno 15.mo dell'impero di Tiberio Cesare, essendo Ponzio Pilato procuratore della Giudea, Erode governatore della Galilea e Filippo suo fratello governatore della Iturea e della Traconitide, e Lisania governatore dell'Abilene, sotto il sommo sacerdozio di Anna e Caifa la parola di Dio fu indirizzata a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Ed egli girava in tutto il circondario del Giordano predicando un battesimo di penitenza in remissione dei peccati, come sta scritto nel libro di Isaia: "Una voce grida: nel deserto preparate la via del Signore".
Giovanni diceva dunque alle folle, che venivano  farsi battezzare da lui: "Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sottrarvi alla collera imminente? Fate dunque frutti degni della penitenza e non cominciate a dire dentro di voi:"Noi abbiamo per padre Abramo", perché io vi dico che Dio può da queste pietre far sorgere figli ad Abramo. Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; ogni albero  dunque che non fa buon frutto si taglia e si mette nel fuoco".
E le folle gli domandavano:"E allora cosa dobbiamo fare?". Egli rispondeva:"Chi ha due tuniche ne faccia parte a chi non ne ha, e chi ha alimenti, faccia altrettanto". Vennero anche alcuni pubblicani per farsi battezzare e gli chiesero:"Maestro, che cosa dobbiamo fare?". Egli rispose:"Non esigete di più di ciò che vi è stato ordinato di riscuotere". Lo interrogarono anche alcuni soldati:"E noi che cosa dobbiamo fare?". E disse loro:"Non vessate, né denunciate falsamente nessuno, e accontentatevi delle vostre paghe". Ora, poiché il popolo era in attesa e tutti in cuor loro si domandavano se Giovanni non fosse lui il Messia, Giovanni prese a dire a tutti:"Io vi battezzo con acqua, ma viene uno che è più potente di me, al quale io non sono degno di sciogliere la cinghia dei sandali; egli vi battezzerà con Spirito e fuoco. Ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e raccogliere il frumento nel suo granaio; la pula invece la brucerà in un fuoco inestinguibile".
E con molte e altre esortazioni annunciava l'evangelo al popolo. Ma il governatore Erode ammonito da Giovanni a causa di Erodiade, moglie di suo fratello e per tutte le malefatte da lui commesse, aggiunse anche questa a tutte le altre: mise Giovanni in prigione (Luca 3,1-20).


Giovanni ha un linguaggio fin troppo chiaro, al limite della buona educazione, e indica quali sono gli obblighi da rispettare per conformarsi al volere di Dio. Non sono obblighi cultuali, bensì obblighi sociali, di rispetto della giustizia, di condivisione della propria ricchezza, di solidarietà con i più deboli. L'impostazione del messaggio è di rottura con un certo perbenismo e con una religiosità consolatoria e obbliga ad una scelta ben precisa, concreta, che incida nel vissuto quotidiano. Proprio per questo Giovanni si crea molti nemici, persone non disposte a cambiare il loro status sociale, e soprattutto si rende inviso al potere che non sopporta critiche troppo circostanziate. In conclusione egli verrà arrestato e poi giustiziato senza che ciò sollevasse una reazione significativa nel popolo.
Gesù riprenderà in forma diversa lo stesso messaggio, infondendovi in più uno spirito nuovo, in particolare un maggior senso di appartenenza ad una comunità, che come tale può incidere in modo più significativo nella trasformazione sociale. L'individuo infatti da solo non ha gli strumenti sufficienti per maturare personalmente e per diventare lievito nella società; per questo Gesù cura molto l'affiatamento comunitario dei discepoli che in quanto comunità diventa luce per i popoli, modello di una società diversa, rinnovata in Dio che è Giustizia, Verità e Amore.
L'individuo si rende realmente libero solo all'interno di una comunità solidale, perché essa soddisfa al meglio tutte le esigenze dell'uomo, sia esigenze personali che esigenze sociali.
In questa notte di Natale vogliamo festeggiare non tanto la nascita di un individuo salvatore, Gesù,, quanto la nascita di una comunità nuova, che si riconosce nei messaggi dei profeti, di Giovanni e di Gesù; in questa comunità l'uomo trova la propria salvezza unitamente alla salvezza di tutta l'umanità.

Il treno degli emigranti

Non è grossa, non è pesante
la valigia dell'emigrante...
C'è un po' di terra del mio villaggio,
per non restar solo in viaggio...
un vestito, un pane, un frutto
e questo è tutto.
Ma il cuore no, non l'ho portato:
nella valigia non c'è entrato.
Troppa pena aveva a partire,
oltre il mare non vuole venire.
Lui resta, fedele come un cane.
nella terra che non mi dà pane:
un piccolo campo, proprio lassù...
Ma il treno corre: non si vede più.
                                 Gianni Rodari

Voci dalla realta’ che mette paura e 
voci dall’impegno che costruisce speranza

Mediterraneo: “Mare nostrum” o cimitero d’Europa?

Il Mar Mediterraneo, frontiera naturale tra l’Europa e l’Africa, antico luogo di incontro tra i popoli, è oggi un cimitero marino. 
Il naufragio delle cosiddette “carrette del mare” è diventato la normalità, addirittura sotto gli occhi delle pattuglie della Nato. 
Negli ultimi 20 anni sono almeno 20mila le persone che hanno trovato la morte nel Mare Mediterraneo. E di molti altre non si hanno notizie.
Migrare è una scelta per la vita: per sfuggire alla miseria o alla guerra, per costruire un futuro per sé e per i propri familiari; tuttavia attraversare le frontiere, terrestri o marittime, vuol dire spesso rischiare la vita. Le rotte migratorie nel mondo sono punteggiate di fosse comuni e di tombe. Sono anche luoghi in cui migliaia di persone scompaiono nel nulla. Succede al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, lungo le piste del Sahara, a Ceuta e Melilla, verso e all’interno della Cina. Succede anche nel Mare Nostrum. 
 Ma c’è anche chi lotta ogni giorno contro l’assuefazione e l’indifferenza, e perché ad ognuno sia assicurata la dignità. Questa la lettera che Giusi Nicolini, Sindaca di Lampedusa, ha scritto di recente.

Sono il nuovo Sindaco delle isole di Lampedusa e di Linosa. 
Eletta a maggio, al 3 di novembre mi sono stati consegnati già 21 cadaveri di persone annegate mentre tentavano di raggiungere Lampedusa e questa per me è una cosa insopportabile. Per Lampedusa è un enorme fardello di dolore. Abbiamo dovuto chiedere aiuto attraverso la Prefettura ai Sindaci della provincia per poter dare una dignitosa sepoltura alle ultime 11 salme, perché il Comune non aveva più loculi disponibili. Ne faremo altri, ma rivolgo a tutti una domanda: quanto deve essere grande il cimitero della mia isola? 
Non riesco a comprendere come una simile tragedia possa essere considerata normale, come si possa rimuovere dalla vita quotidiana l'idea, per esempio, che 11 persone, tra cui 8 giovanissime donne e due ragazzini di 11 e 13 anni,
possano morire tutti insieme, come sabato scorso, durante un viaggio che avrebbe dovuto essere per loro l'inizio di una nuova vita. 
Ne sono stati salvati 76 ma erano in 115, il numero dei morti è sempre di gran lunga superiore al numero dei corpi che il mare restituisce. 
Sono indignata dall'assuefazione che sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell'Europa che ha appena ricevuto il Nobel della Pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra. Sono sempre più convinta che la politica europea sull'immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente. 
Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l'unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l'Europa motivo di vergogna e disonore. 
In tutta questa tristissima pagina di storia che stiamo tutti scrivendo, l'unico motivo di orgoglio ce lo offrono quotidianamente gli uomini dello Stato italiano che salvano vite umane a 140 miglia da Lampedusa, mentre chi era a sole 30 miglia dai naufraghi, come è successo sabato scorso, ed avrebbe dovuto accorrere con le velocissime motovedette che il nostro precedente governo ha regalato a Gheddafi, ha invece ignorato la loro richiesta di aiuto. Quelle motovedette vengono però efficacemente utilizzate per sequestrare i nostri pescherecci, anche quando pescano al di fuori delle acque territoriali libiche. 
Tutti devono sapere che è Lampedusa, con i suoi abitanti, con le forze preposte al soccorso e all'accoglienza, che dà dignità di esseri umane a queste persone, che dà dignità al nostro Paese e all'Europa intera. 
Allora, se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato. Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza.

Noi e i migranti siamo la stessa identica cosa, cacciarli sarebbe come cacciare noi stessi. La testimonianza di Domenico Lucano sindaco di Riace

I primi 300 curdi irakeni comparvero dal mare nel luglio del 1998, erano sfiniti e avvolti in abiti colorati verdi, gialli e rossi. Furono accolti temporaneamente nel territorio di Riace, dove i paesi erano svuotati, impoveriti ed intristiti dallo spopolamento e dall’emigrazione, tipico di molti piccoli paesi del sud. 
Il Sindaco Domenico Lucano, però ebbe una intuizione: aprendo questi borghi all’accoglienza ed all’integrazione questi sono rinati a vita nuova tornando a popolarsi con gente pacifica che qui vi ha stabilito la propria dimora. Dove prima regnava il silenzio della solitudine e dell’abbandono adesso si sente il vociare di genti di varia nazionalità, il pianto dei bambini, le voci delle mamme, i saluti dei vicini. Hanno riaperto numerose botteghe, i migranti hanno portato i loro mestieri e stanno imparando quelli locali nei settori della ceramica, vetro, rame, sartoria, lavorazione della ginestra. Riaprono i bar e si è scongiurato il pericolo di chiusura della scuola con 17 bambini immigrati e 9 originari di Riace. 
“Dal mare arrivano i miei antenati, i fondatori della Magna Grecia, dal mare arrivano i bronzi e dal mare arrivano i migranti. Mio fratello è emigrato in America, un altro nei pressi di Torino … Noi e i migranti siamo la stessa identica cosa, cacciarli sarebbe un gesto inutilmente crudele, un po’ come cacciare noi stessi”.
Il modello Riace, impostosi all’attenzione dei media di tutto il mondo, parte da qui, da una considerazione semplicissima: gli immigrati  sono una ricchezza, una risorsa. L’incontro reciproco può essere una gioia, basta volerlo e costruirlo. 


Da “Gli Uomini Non Cambiano”
Gli uomini non cambiano
Prima parlano d'amore e poi ti lasciano da sola
Gli uomini ti cambiano
E tu piangi mille notti di perché
Invece, gli uomini ti uccidono
E con gli amici vanno a ridere di te.
Piansi anch'io la prima volta
Stretta a un angolo e sconfitta
Lui faceva e non capiva
Perché stavo ferma e zitta
Ma ho scoperto con il tempo
E diventando un po' più dura
Che se l'uomo in gruppo è più cattivo
Quando è solo ha più paura.
                                              
cantata da Mia Martini
C’è un modo di guardare alle donne così…

Violenza quotidiana: in Europa la violenza rappresenta la prima causa di morte delle donne nella fascia di età tra i 16 e i 50 anni. In Italia nel 2012 ogni due giorni è stata uccisa una donna; nella grande maggioranza dei casi l’assassino è stato un (ex)fidanzato, marito, convivente, che spesso nel proprio delirante fraintendimento riteneva di essere innamorato di lei, di non poter accettare una separazione.


Violenza sulle donne soldato negli USA: sono oltre 20 le donne-soldato statunitensi morte in circostanze sospette. E nel 2010 sono stati 3.158 i rapporti su aggressioni sessuali nelle caserme, ai danni di donne, soprattutto di colore. E il fenomeno, ampiamente sottostimato, raggiungerebbe quota 19mila aggressioni l’anno. «Di sicuro i militari non vorranno ammettere che donne soldato nere sono stuprate e assassinate… Sarebbe devastante ai fini del reclutamento diffondere sui media .. storie di donne soldato nere brutalmente violentate». ( da Stupri, ricatti e verità, di Ernesto Carmona).

Violenza sulle donne da parte delle religioni  Marcela Lagarde, antropologa e docente universitaria ha sostenuto in alcuni suoi studi che uno dei pericoli per le donne è la violenza religiosa: «La politica del Vaticano nel mio Paese ha causato più danni alle donne che il narcotraffico. La crociata della Chiesa cattolica nei secoli XX e XXI è la sua politica globale contro i diritti delle donne in Spagna e America Latina, come mostra la sua lotta al diritto all’aborto che abbiamo costruito passo passo negli ultimi 50 anni».              
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    
Storia di Marina caduta dalle scale (una delle molte storie raccolte in un Centro antiviolenza): un giovane dottore al Pronto Soccorso una mattina vede arrivare una ragazza dai capelli castani, che avanza con un braccio evidentemente spezzato. “Che le è successo?”. "Sono caduta dalle scale". Ma il dottore insiste: "Forse non è andata proprio così, chi le ha spezzato il braccio?". Nessuna risposta. Il dottore ingessa il braccio rotto ma poi si accorge che esce un po' di sangue dal naso e le dice accompagnandola: "dovresti inventare qualcosa di più originale!". Un mese dopo lo stesso dottore vede entrare la stessa ragazza che zoppica e perde  ancora sangue dal naso e dice: "Sei caduta dalle scale?". Lei sorride, ma quando il medico le chiede "Tuo padre ti picchia? dì la verità…", lei si chiude in un mutismo rabbioso e umiliato. Il medico denuncia l'episodio e l’assistente sociale arriva a casa della ragazza  scoprendo che essa è sposata. Il marito fa entrare la donna e spiega che la moglie non c'è; l’Assistente sociale si guarda intorno sorpresa, non sembra la casa di un orco, è pulita e ben tenuta. L’uomo spiega che sua moglie è epilettica e  che è per questo si fa male spesso; e aggiunge “Marina è una moglie meravigliosa che io amo profondamente, ma è cocciuta come una capra”. Non appena l’assistente sociale se ne va, l’uomo raggiunge in giardino Marina che se ne sta
rincantucciata in un angolo, la strattona e poi l’abbraccia "Amore mio, nessuno può dividerci, lo sai che io ho bisogno di te! se te ne vai tu, che faccio? Promettimi che starai sempre con me!" Marina lo stringe a se chiudendo gli occhi. "Te lo prometto", l'ama, anche se sa che la picchierà ancora… 

C’è un altro modo di guardare alle donne…

Alle donne Davide Cerullo
 
Alle donne coraggiose, mamme, sorelle, figlie di un mondo che ancora non ha riconosciuto loro la sovranità. 
A quelle che hanno dato la vita per dare al mondo figli, e a quelle che li hanno perduti. 
A quelle che nessuno più ne fa memoria. 
A quelle che hanno scritto con coraggio quello che vedevano, pagando un prezzo altissimo. 
A quelle mal amate, picchiate e violentate con offese  sanguinose. 
A quelle con corpi marchiati, segnati da tracce che non potranno essere rimosse. 
A quelle entrate in un circolo vizioso di un potere più grande di loro, che vendono il corpo per aver accesso in questa società, che diversamente non le accetta. 
A quelle affogate nel silenzio dell'indifferenza collettiva, vittime di una crudeltà sottaciuta. 
A Carmela, chiusa nel carcere di Pozzuoli, ristretta a sessanta anni in una cella con altre tre, cui nessuno più scrive un rigo. 
A quelle che aiutano i bambini di tutte le Scampie del mondo a sviluppare la propria personalità autonoma. 
A quelle che si sono ribellate alla cultura mafiosa, non perdendo mai la speranza di un mondo migliore. 
A tutte le donne del mondo, quelle che nessuno più abbraccia, cui nessuno chiede scusa, quelle che lavorano con un salario spicciolo e nessuno dice loro "grazie". 
Quelle che sono mani braccia e cuore del mondo, ma nessuno le riconosce. 
A mia madre, donna con un mondo di figli a carico, alla quale non sono riuscito ancora a restituire un sorriso. 

I Colori della Pace

Avevo una scatola di colori
brillanti decisi e vivi,
avevo una scatola di colori,
alcuni caldi, alcuni molto freddi.
Non avevo il rosso
per il sangue dei feriti,
non avevo il nero
per il pianto degli orfani,
non avevo il bianco
per le mani ed il volto dei morti
non avevo il giallo
per le sabbie ardenti.
Ma avevo l'arancio
per la gioia della vita,
e il verde per i germogli e i nidi,
e il celeste per i chiari
cieli splendenti
e il rosa per il sogno e il riposo.
Mi sono seduta e ho dipinto la pace.

(Tali Sorek, una bambina israeliana di 12 anni, al tempo della guerra del Kippur)

Notizie e Testimonianze dalla Palestina occupata e
Voci di speranza da un’altra Israele

La testimonianza di Daniela Yoel, una donna ebrea israeliana che ogni mattina da 11 anni va a monitorare i check-point dell’esercito israeliano nei Territori Palestinesi Occupati, come altre 150 donne dell’organizzazione israeliana Machsom Watch1
.

“Un giorno di molti anni fa venni a sapere che una donna palestinese, incinta di due maschi, era stata bloccata a un check point mentre cercava di raggiungere l’ospedale. Fermata dai soldati, fu costretta a partorire in strada, per terra. Entrambi i suoi bambini morirono, e le fu concesso di passare solo quando fu evidente che anche lei stava per morire. In quello stesso periodo anche mia nuora era incinta di due maschi. Che sono nati normalmente in un ospedale, e che oggi sono i miei nipoti. Da quel momento non ho potuto fare a meno di pensare a quale enorme differenza ci fosse tra queste due esperienze; a che tipo di trauma quella donna palestinese ha dovuto affrontare, ma, soprattutto, al fatto che se fossi stata presente, forse i soldati l’avrebbero lasciata passare. …
In Israele la gente ogni mattina si sveglia, prende il caffè e non vuole saperne niente di quello che succede al di là del muro”.
“Israele per me e quelli della mia generazione ha un significato enorme, perché forse come ebrea non mi sentirei a mio agio da nessuna parte; ma come israeliana ho una patria, e la patria è quella di cui ci si può anche vergognare!.Gli architetti del male sono pochissimi, ma hanno bisogno di gente che non vuole sapere. Accadde così anche al mio popolo: ma noi non possiamo permetterci di dire ‘io non sapevo’, come fecero altri con 6 milioni di ebrei”.

A volte, ai check-point, le donne come Daniela sono accolte con frasi come: “Sono arrivate le zie”. Altre volte con insulti e minacce. Potrebbe demoralizzarle, ma per loro al contrario è la conferma che la loro presenza dà fastidio, è utile. 

La testimonianza di ECO (Ebrei contro l’occupazione) da Il Manifesto 4.12.2012
L'Europa ha una responsabilità storica grave nella creazione del problema e dell'oppressione palestinese; dovrebbe quindi adottare finalmente le misure politiche necessarie (soprattutto, sospensione di quegli accordi economico-militari con Israele che ne rafforzano l'occupazione illegale di terre altrui) a determinare una presa di posizione internazionale contro i continui atti illegittimi delle leadership israeliane, la cessazione dell'occupazione e il riconoscimento dei diritti dei profughi.
In quanto ebrei, vogliamo anche sottolineare che la creazione di un loro stato è un diritto dei palestinesi e non dovrebbe in nessun modo essere subordinato all'esistenza d'Israele come stato «ebraico», che attribuirebbe perciò maggiori diritti agli ebrei rispetto agli altri cittadini. 

Peccato che mentre l’Italia vota, finalmente, a favore del riconoscimento alla Palestina il rango di “Stato Osservatore” continua a fare accordi militari con Israele. Nonostante la riesplosione della crisi mediorientale, proprio il 2012 ha rappresentato l’anno chiave nei trasferimenti di sistemi d’arma tra i due paesi. 
Singoli cittadini, associazioni e comitati di base hanno dato vita alla Campagna BDS per “il boicottaggio, il disinvestimento e sanzioni nei confronti di Israele” fino a che esso “non porrà termine all’occupazione e alla colonizzazione di tutte le terre arabe e smantellerà il Muro; riconoscerà i diritti fondamentali dei cittadini Arabo-Palestinesi di Israele alla piena uguaglianza; rispetterà i diritti dei profughi palestinesi al ritorno nelle loro case e nelle loro proprietà come stabilito nella risoluzione 194 dell’ONU”.

Messaggio del Segretario Generale dell' ONU
 in occasione della Giornata Internazionale di Solidarietà con il Popolo
Palestinese
29 novembre 2012 -
---Lʼunità palestinese a sostegno della soluzione dei due Stati è essenziale
per la creazione di uno stato palestinese a Gaza e in Cisgiordania. Il
superamento da parte dei palestinesi delle loro divisione resta essenziale, e
deve basarsi sugli impegni presi dallʼOrganizzazione per la liberazione della
Palestina, le posizioni del Quartetto e lʼIniziativa di pace araba.
...È ugualmente importante preservare gli encomiabili successi raggiunti
dallʼAutorità Palestinese nei suoi sforzi di creazione di strutture statali in
Cisgiordania, oltre che la contiguità territoriale di cui essa ha bisogno. La
prolungata attività di insediamento in Cisgiordania, compresa Gerusalemme
est, è contraria al diritto internazionale e alla Road map e deve pertanto
cessare. La comunità internazionale non accetterà alcuna azione unilaterale
sul terreno. Occorrono inoltre pianificazione e sviluppo appropriato della
zona C, anziché demolizioni e confische di terre. Israele continua poi a
costruire il muro in Cisgiordania contro il parere consultivo della Corte
internazionale di giustizia. Mi preoccupa anche lʼaumento della violenza dei
coloni, che provoca perdite e danni ai beni dei palestinesi.
Il segretario generale dell'Onu Ban Ki moon

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato il 29 novembre 2012 per il riconoscimento della Palestina come “stato osservatore non membro”, status che le consentirà di partecipare ai dibattiti delle Nazioni Unite e di far parte in futuro della Corte Penale Internazionale. I voti favorevoli sono stati 138, quelli contrari 9, quelli astenuti 41.

Da Precario il Mondo

Tanto il mio lavoro è inutile, diciamo futile
essenzialmente rimovibile, sostituibile, regolarmente ricattabile
il mio lavoro è bello come un calcio all'inguine dato da un toro
il mio lavoro è roba piccola fatta di plastica
che piano piano mi modifica, mi ruba l'anima
dice “il lavoro rende nobili” non so può darsi,
sicuramente rende liberi di suicidarsi
e io mi sono rotto, io mi sono rotto,
non ho più voglia di abitare lo Stivaletto
non ha più senso rimanere grazie di tutto
aspetto ancora fine mese poi mi dimetto
Precario il mondo precario il mondo
flessibile la terra che sto pestando
atipica la notte che sta arrivando volatile la polvere che si sta alzando
Precario il mondo precario il mondo
non è perenne il ghiaccio che si sta sciogliendo, 
non è perenne l'aria e si sta esaurendo
e d'indeterminato c'è solo il Quando                                         
                                                                                                 Daniele Silvestri

Quale lavoro? Quale occupazione? Quale futuro?

In Europa e soprattutto in Italia è cresciuta la disoccupazione così come il ricorso alla cassa integrazione ordinaria e straordinaria, con un’importante riduzione dei redditi della classe lavoratrice e un impoverimento generale. 
Molte imprese grandi e piccole hanno chiuso, altre sono state de-localizzate. 
La precarietà ha toccato livelli record, diffondendosi sia tra i giovani che tra gli adulti: oltre un milione di persone oltre i 34 anni non ha un posto fisso.  Ed è cresciuto anche il fenomeno degli scoraggiati, ossia coloro che hanno rinunciato a cercare un lavoro perché ritengono di non avere possibilità di trovarlo.
In questo contesto si sta diffondendo una pericolosa contrapposizione tra le generazioni, tra i giovani e gli adulti, tra i “garantiti” e i precari, tra gli italiani e gli stranieri. Una contrapposizione che se non viene smascherata e superata è solo “guerra tra i poveri”, porta solo ad un impoverimento e ad una perdita generale di dignità e diritti per tutti. 

Lettera a mio figlio in tempo di crisi (di Matteo Pucciarelli)

Caro figlio, 
Ti diranno che è colpa mia. Di quelli della mia età. Ti diranno che siamo noi a rubare il futuro a te e a quelli della tua generazione. Ti diranno che sono un privilegiato, un garantito, e che se lo sono il prezzo da pagare oggi è la tua flessibilità perenne (precarietà è la parola giusta.(….) 
Vedi, ci hanno fatto il lavaggio del cervello, usando parole appiccicate sui significati sbagliati. Io e l'articolo 18 che mi porto appresso non sono un garantito. Sono una persona che lavora, e che nel lavoro viene trattato con la giusta dignità: poter progettare la mia vita è un diritto, non un privilegio; stare a casa se sono malato è un diritto, non un privilegio. E se sul lavoro non mi comporto seriamente, se vengo scoperto a rubare ad esempio, posso essere licenziato. Non verrò mai licenziato senza giusta causa o giustificato motivo, dice la legge, e non mi pare un privilegio ma un diritto. (….)
Parliamo di te, piuttosto. Della tua condizione che al solo pensiero non riesco a dormirci la notte, molto spesso. A me fa male sapere che non godiamo degli stessi diritti (non privilegi, ricordalo sempre). Ma tu sbagli tiro, se fai la guerra alla mia generazione. Vogliono farti credere che il problema siamo noi col nostro vituperato articolo 18, e invece i cattivi sono sempre loro. Quelli che una volta mettevano contro gli operai e gli impiegati, ora fanno lo stesso tra giovani e vecchi. (….)
Nessuno ci ha regalato nulla. Nessuno. Tutto ci è costato qualcosa…….
Abbiamo lottato. Abbiamo invaso le fabbriche, le piazze, le città. La polizie a volte ha sparato, e alcuni di noi ci sono rimasti secchi. Ma noi abbiamo lo stesso continuato a lottare, a credere nel cambiamento, a impegnarci quotidianamente  per conquistare consapevolezze e quindi diritti. Ecco, figlio mio, non ti ho insegnato a fare la stessa cosa. Ti ho fatto crescere dandoti tutto ciò che desideravi privandoti di niente. Sei venuto su senza il giusto mordente. Non avevi il tempo di sentire lo stimolo della fame che ti avevo già nutrito. Per questo oggi è più facile rivoltarsi contro i padri piuttosto che contro un sistema ingiusto. …. trova, insieme ai tuoi amici, la forza per ribellarti e riconquistarti ciò che vi è stato tolto. Un futuro dignitoso. E se cambi idea e domani vorrai festeggiare con me la mia pensione dopo 37 anni di lavoro da insegnante, ne sarò molto felice. 

Vite senza valore nell’Italia indifferente
di Annamaria Rivera
 La notte fra l’8 e il 9 dicembre, un sessantenne di origine egiziana, detto Jimmy, muore assiderato per strada a Napoli. Il mattino dell’11 dicembre, a Torvajanica, sul litorale romano, in un casolare abbandonato è rinvenuto un cadavere carbonizzato: secondo i carabinieri, è di una donna immigrata da un paese dell’Est europeo che era solita rifugiarsi lì. La sera dell’11 dicembre, un detenuto marocchino, in attesa di giudizio, s’impicca in cella nel carcere di Catanzaro. La notte fra l’11 e il 12 dicembre, dalle parti di Prima Porta, estrema periferia romana, due uomini di origine ecuadoriana, di 62 e 65 anni, muoiono intossicati dal monossido di carbonio sprigionato da un braciere acceso in casa. La notte fra il 12 e il 13 dicembre, muore nella sua abitazione, nella zona di Peretola, estrema periferia fiorentina, una donna di 45 anni di nazionalità cinese, anche lei uccisa dal monossido di carbonio, questa volta esalato da una bombola di gas. 
  Sei persone immigrate vittime di morte violenta in così pochi giorni non sono un fatto banale. Sono invece il tragico indizio d’una condizione di povertà ed emarginazione, aggravata non solo dalla discriminazione ma anche dalla recessione, che colpisce in modo particolarmente impietoso gli ultimi fra gli ultimi.


Isa. Bella

Capita di rado che un articolo di giornale faccia spuntare i lucciconi. A me è successo con la storia raccontata da Laura Bogliolo sul «Messaggero». In apparenza parla di una signora di 34 anni, Isabella Viola, morta domenica 18 novembre per un malore sulla banchina della stazione Termini a Roma. In realtà dentro quella donna c’è tutto. C’è la pendolare che si sveglia alle 4 ogni mattina per andare a preparare le brioche in un bar del quartiere Tuscolano. C’è l’orfana precoce che la vita ha costretto a crescere in fretta, come se già sapesse di non poterle concedere troppo tempo per esprimere i propri talenti. C’è la mamma di quattro figli che sulla sua pagina Facebook scrive: «Una donna il suo gioiello più prezioso non lo indossa, lo mette al mondo». C’è la sognatrice che fantastica di aprire un forno tutto suo per le brioche. C’è la sgobbona di cuore che risparmia per i regali di Natale dei ragazzini e si agita per trovare casa a tre cani randagi. C’è la malata che da tempo non si sente bene, ma non può smettere di alzarsi alle 4 - a Torvaianica, in faccia a un mare che non vede mai - per prendere un bus e due linee di metropolitana fino al bar del Tuscolano. C’è una vita dura. E una persona vera, completa.  
 
Da qualche giorno accanto al bar è spuntata una cassetta con la scritta: «Aiutiamo i figli di Isabella». Giovani, casalinghe, impiegati e pensionati sfilano come in una processione, togliendosi magri spicci dalle tasche. Non è un’elemosina. E’ l’omaggio a una regina.  

Massimo Gramellini da La Stampa

Lasciateci parlare di libertà

Lasciateci parlare dell'immensa terra 
E delle anguste strisce su cui noi sgobbiamo 
Lasciateci parlare di fratelli e di sorelle senza terra 
E di bambini e di bambine senza istruzione. 
Lasciateci parlare di tasse e di bestiame e di miseria. 
Lasciateci parlare di libertà. 

Lasciateci parlare di lavoro massacrante 
E di fredde baracche lontano dalle famiglie. 
Lasciateci parlare di lunghe ore di duro lavoro 
E di uomini e di donne mandati/e a casa a morire. 
Lasciateci parlare di ricchi padroni e di magri salari 
Lasciateci parlare di libertà 

Lasciateci parlare di ricchi alimenti che noi produciamo 
E di leggi che ci tengono poveri/e 
Lasciateci parlare di crudeli maltrattamenti 
E di bambine e di bambini costrette/i a lavorare 
Lasciateci parlare di prigioni segrete 
E di percosse e di lasciapassare. 
Lasciateci parlare di libertà 

Lasciateci parlare di cose buone che noi facciamo 
E delle dure condizioni in cui lavoriamo
Lasciateci parlare di pass e di pochi posti di lavoro 
Lasciateci parlare di capisquadra e di trasporti 
Di sindacati, di vacanze e di case. 
Lasciateci parlare di libertà 

Lasciateci parlare della luce che viene dal sapere 
E del modo in cui siamo tenuti al buio 
Lasciateci parlare dei grandi servigi che possiamo rendere 
E delle poche possibilità che ci vengono offerte 
Lasciateci parlare di leggi, di governi e di diritti 
Lasciateci parlare di libertà. 

(Anonimo africano)
Paesaggio: bene da depredare o bene comune?

Il Paesaggio d’Italia, bene comune unico e prezioso, da tutelare con sollecitudine e attenzione, nella realtà è stato spesso depredato, consumato, violato:

negli ultimi 10-20 anni la superficie agricola si è notevolmente ridotta ed è stata spesso lasciata andare, abbandonata a sé stessa;

la cementificazione sia delle periferie urbane che di zone ambientalmente preziose come le aree ai piedi delle montagne o delle colline, è notevolmente cresciuta;

è in crescita l’urbanizzazione dei litorali con l’arrivo del cemento quasi fin sulla costa per la costruzione di moli, infrastrutture, strade, parcheggi, … 

gli abusi edilizi sono incoraggiati dalla certezza che tanto ci sarà un condono…


La violenza contro il territorio sembra una ineluttabile calamità ma non è così! Il bene comune paesaggio, come ogni altro bene comune, va difeso con un altro orizzonte culturale e umano.

La storia di resistenza di Ovidio Marras
Un vecchio pastore che sa cos’è la terra e la cultura

La cultura genera vita. E qualche mese fa un uomo di 81 anni ha spiegato con una semplice frase che cosa è la cultura. La cultura della quale parlava era la sua terra, i luoghi nei quali è nato e vissuto. 
Ovidio Marras, 81 anni, pastore di Teulada è riuscito a bloccare una potentissima cordata di investitori che voleva (e vuole) costruire un mega centro benessere nell’incontaminato Capo Malfatano, a pochi chilometri da Cagliari. 

Ovidio è riuscito per il momento a bloccare l'albergo, visto che è proprietario del terreno sul quale, con prepotenza, è stata costruita la strada che dovrebbe servire a raggiungere il nascente complesso turistico.
 
“La terra resta, i soldi se ne vanno": questo ha detto per spiegare perché si è intestardito nella sua lotta. Un uomo è uomo quando può dire di vivere in un luogo che merita di esistere e di durare. Il mondo intero dovrebbe avere l'aspetto di un luogo che merita di esistere e di durare. Con meno alberghi, con meno sviluppo, ma con più armonia. 

Vogliono rubarci i sogni….

Ci dicono che la pace è un'illusione, che le guerre sono giuste e le armi ci proteggono. 

Ma le bombe cadono sulle case e sugli ospedali e i soldati sparano ai bambini. 

Ci dicono che la giustizia non serve e che la ricchezza dei ricchi sgocciolerà fino ai poveri. Ma miliardi di persone sono senza cibo, acqua, scuole, medicine. 

Ci dicono che la democrazia reale rallenta il progresso e che i padroni dell'economia possono non rispettare le leggi e non pagare le tasse. 
Ma gli Stati sono incapaci di garantire i diritti dei cittadini e i più forti schiacciano i deboli. 

Ci dicono che la cultura è un lusso per pochi, che per essere felici basta pensare tutti allo stesso modo e mangiare tutti le stesse cose. 
Ma le civiltà sono annientate dalle nuove barbarie e la bellezza è soffocata dalla volgarità. 

Ma... i sogni non si possono rubare! Sono più tenaci delle violenze e delle falsità, infondono coraggio e indicano il cammino.

Continueremo ad operare per la pace e, senza timore di minacce, staremo ovunque dalla parte delle vittime. 

Lavoreremo per la giustizia, condividendo i nostri beni, esigendo che i Governi ridistribuiscano ai molti la ricchezza dei pochi. 

Lotteremo per la democrazia, difendendo i deboli e vigilando sulle decisioni dei potenti. 

Costruiremo alternative e sceglieremo la solidarietà perché un altro mondo è possibile.

Terremo lo sguardo alto, rivolto ai cieli dell’Utopia, camminando ogni giorno nella polvere della Storia. 

La nonviolenza è.....

La nonviolenza è uno stile di vita ed un metodo per ottenere positivi cambiamenti sociali.
E’ il cambiamento che vogliamo vedere, senza che questo comporti distruzione, umiliazione, punizione di chi vi si oppone. 
Sebbene questa definizione sia molto semplice, è resa di difficile comprensione dal fatto che la nostra società identifica il potere, la forza e 1’efficacia, con la violenza, la competizione ed il dominio. 
La nonviolenza desidera creare un mondo che sia: 

affermativo della vita: un mondo che valorizza tutto ciò che è vivo; 

amabile ed empatico: un mondo che si cura della gente che al mondo vive; 

egualitario: un mondo che dia valore ad ogni singolo individuo; 

cooperativo: un mondo che incoraggia la condivisione fra tutte e tutti; 

democratico: un mondo che risponde equamente ai bisogni ed ai desideri di

ciascuno, in cui ciascuno assume per sé responsabilità; 

gioioso: un mondo in cui ci sia spazio per ridere e amarsi e giocare. 

Maria G. Di Rienzo Portavoce della Convenzione permanente di donne contro le guerre


Esser pieno di speranza…non è una follia
     Howard Zinn2
2 Howard Zinn (1922–2010) è stato uno storico statunitense. Celebre per aver scritto  importanti e noti testi di storia partendo non dai presidenti o dalla classe dirigente, ma da quelle persone escluse dalla storia ufficiale, ovvero i poveri, i nativi americani, gli schiavi di colore, le donne. 

Esser pieno di speranza in tempi cattivi non è poi così follemente romantico. 
Si basa sul fatto che la storia umana è una storia non solo di crudeltà, ma anche di passione comune, sacrificio, coraggio, gentilezza. 
Quello che noi scegliamo di esaltare in questa storia così complicata determinerà le nostre vite. 
Se noi vediamo solo il peggio, questo distrugge la nostra capacità di fare qualcosa.
Se noi ricordiamo quei tempi e luoghi, e ce ne sono tanti, dove la gente si è comportata magnificamente, questo ci dà l'energia per agire, e almeno la possibilità di mandare questa trottola del mondo in una direzione differente.  
E se noi agiamo, per quanto in piccolo, noi non abbiamo da attendere qualche grande utopia futura. 
Il futuro è una infinita successione di presenti, e vivere ora come noi pensiamo che gli esseri umani dovrebbero vivere, a dispetto di tutto quello che c'è di male intorno a noi, è in se stesso una meravigliosa vittoria. 
Se la storia ha da essere creativa in modo da anticipare un possibile futuro senza negare il passato, essa dovrebbe,  credo,  mettere in evidenza nuove possibilità mettendo in luce quegli episodi del passato che sono stati tenuti nascosti, quando, anche se in brevi sprazzi, la gente dimostrò la sua capacità di resistere, di mettersi insieme, e qualche volta di saper vincere. 





Condividere percorsi di pace. 
Condividere percorsi di libertà

Il gruppo dei ragazzi genitori della Comunità sta facendo un lavoro quest’anno alla ricerca del senso della parola libertà. Per molti libertà “è fare quello che ci pare, fregandosene di tutto e di tutti”.  Per noi no! Per noi libertà ha molti significati, tutti collegati alle relazioni positive con la natura e con le persone, alla dignità da riconoscere ad ogni creatura vivente, con il senso di amicizia e di responsabilità che ci lega gli uni con gli altri. Ecco alcuni dei significati che abbiamo raccolto tra noi e nel cerchio della Comunità.

Mi sento libero quando cammino nel bosco, respiro aria pulita e sento il vento frusciare tra le foglie

Per me la libertà è riconoscere la luce in ogni ombra

Mi sentirò libera quando tutti gli uomini si vorranno tutti bene

Per me la libertà è comunicare e stare con gli altri …

Mi sento libera quando sono felice delle cose che ho e non cerco di avere di più.

Mi sento libero quando suono la chitarra, pattino, vado in bici, cammino in montagna, cammino coi piedi nel fiume

Mi sento libero quando vivo e respiro la piazza

Mi sento libero quando nessuno soffre

Mi sento libero quando mi accorgo di vivere in mezzo a uomini e donne libere

Mi sento libero quando scrivo alle mie amiche

Mi sento libero quando cerco palindromi e sono a Palazzuolo

Per me libertà è scegliere quello che vuoi fare



Per me libertà è poter partecipare anche se non si sa parlare

Per me la libertà è andare oltre i luoghi comuni e le abitudini consolidate

Per me la libertà è esprimere quello che siamo veramente…

Mi sento libera quando non do troppa importanza ai giudizi degli altri

Per me la libertà è incontrare l’altro/a senza pregiudizi

Per me libertà è partecipazione

Mi sento libero quando sto con i miei amici

Per me la libertà è quando siamo liberi tutti

Mi sento libero quando sono con gli altri

Per me libertà è togliere le paure, tutte le paure

Per me libertà è avere un lavoro che mi permetta di progettare il futuro

Mi sento libero quando penso che domani potrò fare una cosa bella e gradevole

Per me libertà è esprimere con la mente e la parola ciò che penso

Per me la libertà è vivere in armonia con tutti e tutto

Per me libertà è rispetto reciproco, uguaglianza

Per me libertà è vivere con consapevolezza

Mi sento libero quando posso organizzare il mio tempo senza condizionamenti ..

Ci sarà libertà quando tutti i Paesi riconosceranno che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti…”.


 Lettura comunitaria

Non credo al diritto del più forte, al linguaggio delle armi, alla potenza dei potenti.
Voglio credere al diritto dell’uomo, alla mano aperta, alla potenza dei non-violenti

Non credo alla razza o alla ricchezza, ai privilegi, all’ordine stabilito.
Voglio credere che tutti gli uomini sono uomini,
che l’ordine della forza e dell’ingiustizia è un disordine.

Non credo di potermi disinteressare a ciò che accade lontano da qui.
Voglio credere che il mondo intero è la mia casa e il campo nel quale semino,
e che tutti mietono ciò che tutti hanno seminato.

Non credo di poter combattere altrove l’oppressione se tollero l’ingiustizia qui.
Voglio credere che il diritto è uno, tanto qui che altrove,
che non sono libero finché un uomo è schiavo.

Non credo che la guerra e la fame siano inevitabili e la pace irraggiungibile.
Voglio credere all’azione semplice,
all’amore a mani nude, alla pace sulla terra.

Non credo che il sogno degli uomini resterà sogno e che la morte sarà la fine.
Oso credere invece, sempre e nonostante tutto, all’uomo nuovo.

       Osiamo credere al sogno di Dio stesso: un cielo nuovo, una terra nuova,  dove abiterà la giustizia.

Uniamo questi germogli di speranza al messaggio della religiosità del natale ed alla memoria  di Gesù il quale
la sera prima di essere ucciso, mentre mangiavano, prese del pane lo spezzò e lo diede loro dicendo:
prendete questo è il mio corpo.
poi prese un bicchiere rese grazie,lo diede loro e tutti ne bevvero e disse loro:
questo è il sangue mio dell’alleanza che si sparge per molti.

Questo pane che condividiamo,
intrecciando liberamente i sentimenti,
le ansie, le esperienze e le fedi più diverse
siano un segno e un principio di speranza
un segno fra tanti di solidarietà e di pace universale.
Canti

Sally

Sally cammina per la strada senza nemmeno….
…. guardare per terra
Sally è una donna che non ha più voglia
…. di fare la guerra
Sally ha patito troppo
Sally ha già visto che cosa….
“ti può crollare addosso”!
Sally è già stata “punita”…
per ogni sua distrazione o debolezza…
per ogni “candida carezza”…
“data” per non sentire…. l’amarezza!

Senti che fuori piove
senti che bel rumore…

Sally cammina per la strada sicura
senza pensare a niente!
…. ormai guarda la gente
con aria indifferente…
…. sono lontani quei “momenti”…
quando “uno sguardo” provocava “turbamenti”…
quando la vita era più facile…
e si potevano mangiare anche le fragole….
perché la vita è un brivido che vola via
è tutt’un equilibrio sopra la follia….
…… sopra la follia!

Senti che fuori piove
senti che bel rumore…

Ma forse Sally è proprio questo il senso… il senso…
del tuo “vagare”…
forse davvero ci si deve sentire….
alla fine…. un Po’ male!….
Forse alla fine di questa “triste storia”
qualcuno troverà il coraggio
per affrontare “i sensi di colpa”…
e Cancellarli da questo “viaggio”….
per vivere davvero ogni momento…..
con ogni suo “turbamento”!….
e come se fosse l’ultimo!

Sally cammina per la strada… “leggera”…
ormai è sera…
“si accendono le luci dei lampioni”…
“tutta la gente corre a casa davanti alle televisioni”…
ed un pensiero le passa per la testa
“forse la vita non è stata tutta persa”…
forse qualcosa “s’è salvato”!!…
forse davvero!… non è stato “poi tutto sbagliato”!
“forse era giusto così!?!”….
…… eheheheh!……
forse ma forse ma sì….

Cosa vuoi che ti dica io
senti che bel rumore…