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domenica 1 marzo 2015

Il sale della Terra



Comunità dell’Isolotto - Firenze, domenica  1 marzo 2015
Il sale della Terra
riflessioni di Carlo, Claudia, Gisella, Luisella, Maurizio,
con la proiezione di foto di Sebastiao Salgado e la lettura di alcune sue parole

Lettura dal Levitico
                       E ogni offerta che offrirai, la condirai con sale,
                       e non lascerai la tua offerta mancare di sale,
                       segno del patto del tuo Dio.
                       Su tutte le tue offerte offrirai del sale.

Lettura dal Vangelo di Matteo
Prendendo allora la parola, diceva loro: 
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
[…]
Voi siete il sale della terra;
ma se il sale perde il sapore,
con che cosa lo si può render salato?
A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.

Ci vogliamo soffermare in particolare sulla ultima parte della lettura: prendiamo spunto da un commento a questo brano di Alberto Maggi, il quale dice “… qual è il significato di questo sale? Da sempre nell’antichità il sale aveva una grandissima importanza per la conservazione degli alimenti. Da questa esigenza pratica il sale diventò simbolo di ciò che rende valida e duratura una alleanza, che la conserva nel tempo, tanto che, per dare valore ad un documento vi si spargeva sopra del sale. Nell’Antico testamento il sale è così diventato simbolo dell’alleanza di Dio con il suo popolo: nel libro del Levitico si legge “non lascerai mancare il sale dell’alleanza del tuo Dio”. Quindi il sale rende valida e continua l’alleanza fra Dio e il suo popolo”. Ma a quale alleanza si riferisce, Gesù? Quando Gesù dice “voi siete il sale della terra?” ha appena proclamato le beatitudini; quindi è il mondo delineato con le beatitudini la nuova alleanza, e Gesù chiama chi lo segue e condivide questa prospettiva a realizzarla, ad esserne garante, ad essere appunto sale. “I discepoli, con il loro atteggiamento e con la loro vita, devono essere i garanti di tutto questo. Ma se il sale perde il sapore (letteralmente, impazzisce), è come colui che costruisce la sua casa sulla sabbia; quindi il sale che impazzisce indica l’atteggiamento dei discepoli che accolgono il messaggio di Gesù ma non lo mettono in pratica. Se i discepoli non saranno fedeli meriteranno soltanto il disprezzo della gente; la gente che attende dai discepoli una alternativa a questa società, una modalità diversa nella vita”.

Lettura da “Ecologia profonda, spiritualità e liberazione”

E’ difficile sapere se il collasso delle specie viventi più sviluppate – compresa l’umana – sia orami irreversibile o se ci sia posto per una soluzione. Ciò che è indiscutibile è che tutti gli allarmi sono stati lanciati, che la responsabilità principale è dell’azione umana e che solo una svolta drastica della civiltà potrà evitare il disastro generale.
La specie umana, meravigliosa forma della Vita, risulterà un cancro per tutto il pianeta, questo meraviglioso pianeta? Il momento è grave. E’ in gioco la vita di tutti. E’ ora di stringere un patto solenne per la comunità della vita sul pianeta. (…)
E’ ora di ricordare che la Terra non ci appartiene. Noi apparteniamo alla Terra, che appartiene a tutti gli esseri viventi. (…) E’ ora di fermare la macchina – letale per tutti, soprattutto per gli esseri più vulnerabili – della crescita illimitata, della massima produzione possibile e della speculazione senza scrupoli: l’economia al servizio dell’arricchimento. E’ necessario che tutti apprendiamo a vivere meglio con meno. Ed è urgente che alcuni Paesi decrescano perché altri possano vivere. Il pianeta non potrà sopravvivere senza un autentico eco-socialismo planetario (..) La Vita ci spinge con urgenza verso un’ecologia profonda, o – che è lo stesso, verso una spiritualità eco-liberatrice, più in là di ogni frontiera culturale, politica e religiosa.
[il testo del teologo spagnolo José Arregi è tratto dal doppio numero (II e III sem 2014) della rivista Voices nel quale l’Associazione dei teologi e delle teologhe del terzo mondo hanno scritto una lunga riflessione da titolo “Ecologia profonda, spiritualità e liberazione”. Si veda anche Adista n.46 dic. 2014]


Lettura da “Liberare la terra” di Leonardo Boff

“Gli ultimi secoli si sono distinti per una infinità di scoperte : continenti, popoli, specie viventi, galassie, stelle; ma non abbiamo scoperto la Terra come pianeta, come nostra casa comune, finché non ce ne siamo allottanti. E’ stato necessario uscire dalla Terra per vederla dal di fuori e constatare la Terra-umanità.  […]
Il profeta, in senso biblico, non è quello che prevede il futuro. E’ colui che analizza il presente, identifica tendenze, ammonisce e perfino minaccia. Annuncia il giudizio di Dio sul corso presente della storia e fa promesse di liberazione dalle calamità. In fondo, afferma “se continuerà questi tipo di comportamenti da parte dei dirigenti del popolo, fatalmente succederanno disgrazie.”  Le sciagure sono conseguenze delle violazioni di leggi sacre.
Leggendo tutti i profeti dell’Antico Testamento  e anche gli avvertimenti di Gesù, è facile che vengano in mente gli attuali dirigenti e il loro comportamento irresponsabile di fronte agli scenari che si stanno profilando per la Terra, per la biosfera  e l’eventuale destino della nostra civiltà.   
Nel contesto drammatico del VIII secolo a. C. il profeta Isaia ammonisce “avverrà lo stesso al creditore e al debitore, sarà tutta devastata la terra. la terra è stata profanata dai suoi abitanti perché hanno trasgredito le leggi, hanno disobbedito al decreto, hanno infranto l’alleanza eterna. per questo la maledizione divora la terra, e i suoi abitanti ne scontano la pena. A pezzi andrà la terra, rovinosamente crollerà come un ubriaco, vacillerà come una tenda, arrostirà la luna, impallidirà il sole.”
Non si sono forse viste scene simili con gli tsunami, i grandi tornadi e tifoni, La gente non è rimasta sgomenta di fronte a queste devastazioni?
Nonostante tutti gli scenari di distruzione, la parola profetica termina sempre con accenti di speranza; dice il profeta Isaia: ”Dio strapperà su questo monte il velo che copre la faccia di tutti i popoli, il Signore asciugherà le lacrime su ogni volto, e si dirà in quel giorno: ecco il nostro Dio, in lui abbiamo sperato perché ci salvasse.”
Oggi ci rendiamo conto che la Terra è un piccolo pianeta, vecchio e limitato, che non sopporta più i progetti di sfruttamento illimitati. Dobbiamo cambiare il modello di produzione e assumere altre abitudini di consumo, dobbiamo produrre in funzione dei bisogni dell’umanità, in armonia con la Terra, rispettandone i limiti, in uno spirito di equità e di solidarietà con le generazioni future. Questo richiede un nuovo paradigma di civiltà, diverso da quello che predomina oggi.
Oggi, di fronte ad una realtà mutata, la domanda che dobbiamo porci è : come produrre, vivendo in armonia con la natura, con gli esseri viventi, con gli esseri umani e con il trascendente?
A seconda delle risposte che verranno date si deciderà se ci saranno o no una prosperità senza crescita per i paesi sviluppati e una con crescita per quelli poveri ed emergenti.
Gli ultimi secoli sono stati caratterizzati da interventi sistematici sui ritmi della natura, al punto di renderci sordi alla musicalità degli esseri e ciechi alla grandezza del cielo stellato. Così abbiamo perduto l’esperienza della sacralità dell’universo. Al suo posto è subentrata una profanità che riduce l’universo a una realtà inerte, meccanica e matematica, e la Terra ad un semplice magazzino  di risorse riservate alle necessità umane. E’ stata tolta la parola a tutte le cose, affinché solo la parola umana esercitasse il dominio.
1. Introduzione: perché raccontiamo questa storia

Sebastiao Salgado è un fotografo di origine brasiliana. Le sue foto sono conosciute in tutto il mondo ma la sua storia, le sue scelte umane e professionali e il suo sguardo sul mondo sono poco note e, a nostro avviso, ci riguardano, ci coinvolgono, in qualche modo in esse ci riconosciamo.
Inoltre dopo aver attraversato un periodo difficile, nel quale si accorge di essersi ammalato nel fisico e nell’anima, a causa di tutto il dolore che aveva accumulato negli anni per aver visto e documentato molte situazioni di violenza, di guerre fratricide, di distruzione (un dolore che gli aveva fatto perdere la sua connaturata fiducia nell’umanità e nelle possibilità di cambiamento), ha trovato un percorso di rinascita che gli ha ridato speranza e fiducia. Un percorso che ci sollecita e ci conforta perché offre a tutti noi elementi di speranza e semi di  positività.
Per raccontare questa storia abbiamo tratto informazioni dal libro “Dalla mia terra alla terra” (Ed Contrasto), dal film-documentario “Il sale della terra” (di Wim Wenders) e dalla sua ultima mostra fotografica “Genesi”.

2. Dalla mia terra alla Terra - storia di Sebastiao Salgado e Leila Wanich[1]

L’infanzia, la terra e la luce: Sebastiao è nato nel 1944 nello Stato di Minas Gerais in Brasile, nella grande e verdissima valle del Rio Doce. La sua famiglia possedeva una fattoria che dava lavoro e sostentamento a 30 famiglie; vi si producevano riso, mais, pomodori, patate, frutta; vi si allevavano maiali e bovini. Nessuno era ricco e nessuno era povero.
Sebastiao ha vissuto l’infanzia a contatto con la natura della foresta atlantica ricchissima di biodiversità, di ogni tipo di piante e di animali; un territorio immenso dove ha imparato a percorrere a piedi anche grandi distanze.
“Di questa terra ho ricordi meravigliosi. Giocavo nei grandi spazi, c’era acqua ovunque. Nuotavo nei corsi d’acqua che erano pieni di caimani, che non attaccano l’uomo contrariamente a quanto si crede. Avevo un cavallo … e io galoppavo fino al confine della tenuta […] Sono abituato ai grandi spazi e agli spostamenti: a dormire una notte in un posto, quella dopo in un altro. Quando ero molto giovane i miei genitori mi lasciavano andare a visitare le mie sorelle… già sposate, che abitavano lontano. Percorrevo da solo distanze equivalenti a quelle tra Parigi e Mosca. Le vie di comunicazione non erano facili. Una parte del tragitto si faceva a piedi. Così ho imparato molto presto a viaggiare. […] Qui ho imparato a vedere e ad amare le luci che mi hanno seguito per tutta la vita. […] Sono cresciuto con le immagini di cieli carichi trafitti dalla luce. E queste luci sono entrate nella mie fotografie”.
La formazione, la militanza politica, l’esilio: a 15 anni lascia la fattoria per andare nella capitale dello Stato di Espiritu Santo per iscriversi all’università. Qui vive con altri giovani, comincia a interessarsi di politica, trova un lavoro per mantenersi, si appassiona agli studi di economia, anche perché sono anni in cui cresce nei giovani il desiderio di dare il proprio contributo per far uscire il Brasile dall’arretratezza. Così scrive di Juscelino Kubitschek, presidente dal 1956 al 1961: “Con lui il Brasile ha iniziato a risvegliarsi da un lungo sonno di quattrocento anni e noi avevamo la sensazione di vivere in un paese nuovo. Come molti giovani, anch’io avevo voglia di partecipare a questo rinnovamento”. Presto si accorge dell’impoverimento delle popolazioni inurbate, delle disuguaglianze sociali, dei meccanismi economici che causano la povertà e partecipa attivamente a movimenti di lotta di matrice cristiano-marxista, ma dopo il golpe militare la situazione diventa così pericolosa che insieme a Leila - che sposa nel 1967, anno in cui si laurea in economia e statistica -  è costretto all’esilio verso Parigi.

Leila, la sua compagna di una vita: Leila Wanich, brasiliana, è stata la sua compagna e socia in ogni sua impresa nella vita e nella realizzazione concreta di gran parte delle sue mostre e dei suoi libri.

A Parigi: all’inizio la situazione questa giovane coppia è difficile, sono giovani, arrivati a Parigi senza conoscere nessuno, sono immigrati e non hanno lavoro, ma poi entrano in contatto con i movimenti della sinistra francese e con i movimenti cristiani di base che sostengono gli esuli delle dittature latino-americane. Così “…ci trovammo a far parte di una rete di solidarietà in cui regnava un vero senso della condivisione e dell’aiuto reciproco, sul piano materiale e morale. Soffrivamo di nostalgia ma ci sentivamo accolti e, a nostra volta, cercavamo di aiutare chi arrivava. Era anche l’epoca della repressione in Portogallo e ci sentivamo coinvolti dai movimento contro la dittatura di Salazar: come brasiliani eravamo vicini ai portoghesi. Ma ci sentivamo vicini anche con i polacchi, gli angolani, i cileni, insomma con tutti gli immigrati e i clandestini”.

Dall’economia alla fotografia: A Parigi dopo le prime difficoltà Salgado trova lavoro proprio grazie ai suoi studi di economia che gli aprono delle prospettive a livello internazionale, e infatti nel 1971 comincia a lavorare in Africa per conto dell’Organizzazione Internazionale del Caffè. Ma è proprio in Africa che scopre di trarre maggiore soddisfazione nel documentare la realtà scattando fotografie, piuttosto che scrivendo relazioni. E così nel 1973, dopo un tempo d’incertezza nel quale raccomandava a sé stesso di essere ragionevole - Tentavo di essere ragionevole e mi ripetevo: “Bisogna che tu sia un economista serio, hai lavorato molto per questo, mentre la fotografia…””, decide di lasciare le buone prospettive di lavoro da economista per un incerto futuro di fotografo. Intanto Leila preparava la tesi di architettura e per provvedere al mantenimento di entrambi, e del primogenito Juliano arrivato da poco, lavorava in un piccolo giornale di brasiliani, dove impara grazie al quale [Leila] imparò tutto quello che sarebbe stato utile per la pubblicazione dei nostri libri: l’impaginazione, la redazione di testi, l’editing iconografico. Investimmo i nostri risparmi in materiale fotografico. Avevamo un obiettivo e per raggiungerlo eravamo disposti a tutto. Ricordo che non avevamo la doccia, ma avevamo molti amici da cui potevamo andare a lavarci”.  

L’attenzione per i grandi temi del nostro tempo: Salgado dedica la sua attenzione ai grandi temi del nostro tempo: la povertà, lo sfruttamento del lavoro, le migrazioni dei popoli, i diritti degli indigeni, le guerre, gli effetti distruttivi dell’economia di mercato, le carestie. “Quando mi sono lanciato nella fotografia, ho sperimentato di tutto: il nudo, lo sport, i ritratti. E un giorno, senza sapere né come né perché, mi sono ritrovato ad occuparmi di temi sociali. Era abbastanza ovvio. Avevo fatto parte di una giovane generazione che … si era interessata molto ai problemi sociali”. 
Quando mi chiedono come sono arrivato a occuparmi di fotografia sociale, rispondo che non ho fatto che prolungare il mio impegno politico in continuità con le mie origini”.
Le sue foto e le sue parole esprimono il senso del suo impegno ma mai retorica. 
“Non sono originario del Nord del mondo e non ho il senso di colpa di certi miei colleghi. Non fotografo la povertà materiale perché mi sento colpevole: fa parte del mondo da cui provengo [ma] da sempre non trovo giusto il modo in cui la ricchezza è ridistribuita tra Nord e Sud. Ho voluto mostrare la fame in Africa agli abitanti dei paesi ricchi perché prendessero coscienza …”

“Nessuna foto, da sola, può far niente contro la povertà nel mondo. Tuttavia le mie immagini, insieme ai libri, ai film e a tutto l’operato delle organizzazioni umanitarie e ambientaliste … contribuiscono a sensibilizzare sulla capacità che noi tutti abbiamo di cambiare il destino dell’umanità”.

Ho sempre cercato di mostrare le persone nella loro dignità. Nella maggior parte dei casi sono vittime della crudeltà degli eventi. Le ho fotografate quando avevano perso la casa dopo aver assistito all'uccisione dei loro cari, a volte dei loro figli. Si tratta in genere di persone innocenti, che  non hanno meritato le disgrazie che sono capitate loro. Queste foto, le ho scattate perché pensavo che tutti dovessero sapere. È il mio punto di vista, ma non obbligo nessuno a guardarle. Non voglio salire in cattedra e nemmeno mettermi la coscienza a posto suscitando non so bene quale sentimento di compassione. Ho realizzato queste immagini per un dovere morale, etico. Mi si chiederà che cosa sia la morale, che cosa sia l'etica in momenti così drammatici. È quando sono di fronte a qualcuno che sta morendo e devo decidere se scattare oppure no.

Vicini al cristianesimo sociale: Sebastiao e Leila si definiscono non credenti ma vicini al cristianesimo sociale; e hanno partecipato a quei movimenti del cattolicesimo di base presente in Francia negli anni ’70-80, perché condividevano la loro scelta di stare a fianco dei poveri, dei migranti e dei rifugiati; e proprio alcune riviste e associazioni facenti parte di questo movimento, Salgado lavora per molto tempo e  condivide impegno e diversi progetti. E nei viaggi in Sudamerica conosceranno da vicino, condividendone le idee e le azioni,  le comunità di base e la Teologia della liberazione.

Uno stile fotografico paziente e rispettoso: Salgado non fotografa mai carpendo ai soggetti la loro immagine ma vive per molti mesi e cammina per migliaia di chilometri, con le persone che intende fotografare, così che queste intuiscano il senso del suo lavoro e in qualche modo lo consentano. Salgado prima di tutto vuole conoscere e condividere un tratto di vita con le persone che poi fotografa, poiché sente che questa conoscenza è essenziale; senza questa conoscenza le foto non sarebbero autentiche.  E questo stile lo segue anche con gli animali: “ …quando fotografo gli umani, non piombo mai in un gruppo in incognito, ma mi faccio sempre introdurre. Mi presento alle persone, do spiegazioni, discuto e in questo modo a poco a poco, ci si conosce. Ho capito quindi che il solo modo di fotografare quella tartaruga era di fare la sua conoscenza, sintonizzarmi sulla sua lunghezza d’onda. Allora ho cominciato a imitare il suo comportamento: mi sono accovacciato e ho camminato alla sua altezza, con mani e ginocchia per terra. Da quel momento la tartaruga non è più fuggita.  … Mi ci è voluta una giornata intera per farle capire che rispettavo il suo territorio…”.

Leila, i figli, il mondo dell’handicap: “Quando ci siamo incontrati lei aveva 17 anni e io con ancora 20; da allora abbiamo sempre vissuto insieme […] ma la nostra vita non è stata sempre facile.  Abbiamo avuto liti furibonde. Siamo stati sul punto di separarci molte volte. Ma abbiamo condiviso tante esperienze forti, grandi gioie come grandi paure. Insieme abbiamo preso decisioni importanti. Non so dove comincio io e dove finisce lei.  […] Adoro mia moglie. E la trovo molto bella. Léila è una persona di una tale energia, un tale piacere di vivere …
Il fatto di avere un figlio down, .. ci ha aperti a un altro mondo. […] il giorno in cui è nato il nostro figlio down, abbiamo raggiunto un altro livello di percezione: della vita, della società e della realtà in generale. E’ cambiato perfino il mio modo di camminare per strada. Prima gli handicappati non li vedevo nemmeno. Ora ho imparato a vederli. Da oltre trent’anni la nostra vita, la mia come quella di Léila e di Juliano, si svolge anche nel mondo dell’handicap. Abbiamo sperimentato la solidarietà come anche la sua mancanza. Quando è nato Rodrigo alcuni nostri cari amici hanno preso le distanze. Per loro era insopportabile e questo fa molto male. … Ma gli amici per fortuna non sono tutti così. ….
Non abbiamo mai relegato nostro figlio in un istituto. Rodrigo frequenta un centro diurno e di sera torna a casa. Lo portiamo dappertutto …
Rodrigo è nostro figlio, è parte di noi, ed è così. Dobbiamo innanzi tutto amarlo, e amarlo per com’è.
Nostro figlio ci ha confermato quanto ci avevano predetto: quando si dà, si riceve in sovrabbondanza. Chi non dà niente, non riceve niente”.

Alcuni dei suoi lavori e reportages
Nel 1973 documenta la siccità e la carestia in Africa.
Nel 1974 la guerra in Angola e Mozambico.
Nel 1977 vive per molti mesi con i popoli indigeni del Sudamerica iniziando i reportage che diventeranno il libro Altre Americhe.
Dal 1984 al 1986 documenta la carestia e la guerra in Africa, lavorando in collaborazione con Medici senza Frontiere: nel 1985 esce in Francia il libro sul Sahel Sahel, L’homme en detresse e poi nell’1988 in Spagna Sahel, el fine del camino.
S. Salgado - Region of Lake Faguibine. Mali . 1985
S. Salgado - Korem camp. Ethiopia . 1984
Nel 1984 e nel 1985 questa parte d'Africa ha vissuto una siccità catastrofica. La siccità e la guerra presente in molte zone hanno determinato migliaia di morti e un esodo di grandi dimensioni. Salgado ha vissuto e documentato questa situazione con Medici senza frontiere rendendola visibile a tutto il mondo. 



Dal 1986 al 1992 mostra il lavoro di produzione industriale in 23 paesi e realizza la straordinaria raccolta Workers (in italiano:  La mano dell’uomo). Racconta il lavoro manuale, quello duro e pesante di tante donne e uomini in tutti i continenti, vuole mostrare la fatica e le dure condizioni di sfruttamento dei più poveri, e rendere omaggio alla umanità e dignità di tutti i lavoratori che ha incontrato.

S. Salgado – Workers
S. Salgado – Workers – Miniera d’oro, Serra Pelada Brasile

Negli anni ’90 si dedica al tema delle migrazioni e camminando a fianco dei migranti per mesi e migliaia di Km realizza In cammino e poi Ritratti di bambini in cammino.
In ogni parte del globo, le persone si spostano più o meno per le stesse ragioni di carattere economico .... Al momento di entrare nel terzo millennio ho voluto mostrare le persone “in cammino” e rendere omaggio alla loro volontà di inserirsi, al loro coraggio nell’affrontare lo sradicamento, alla loro incredibile capacità di adattarsi in situazioni spesso molto difficili. Ho voluto mostrare che tutti contribuiscono con il loro spirito di iniziativa e la ricchezza delle loro differenze. Agli albori del XXI secolo ho cercato di far comprendere la necessità di rifondare la famiglia umana sulla base della solidarietà e della condivisione”.

 
Negli anni ’90 va a documentare la guerra nei Balcani. “Sono stato anche nei Balcani, dove ho incontrato persone disorientate, aizzate le une contro le altre da dirigenti guerrafondai e disonesti. Milioni di ex jugoslavi diventati altrettanti croati, serbi e bosniaci, tutti nemici gli uni degli altri, costretti a fuggire dai luoghi in cui erano sempre vissuti. Nei Balcani ho incrociato anche gli zingari braccati. Poi ho visto l'esodo degli albanesi e quello dei Kosovari e ho finito per sentirmi sopraffatto dalla forza dei tanti drammi, tutti simili l'uno all'altro”.

Nel 1994 va in Ruanda, un paese che conosceva dal 1971, che amava e dove aveva cari amici; ci va per documentare e fotografare il genocidio nel Ruanda, i massacri degli Hutu e Tutsi, e ne rimanendone sconvolto.
Ho visto gente forte, guerrieri, svuotarsi in poche ore e morire come insetti. Per la promiscuità, queste diarree Infettive si propagavano alla velocità della luce e uccidevano migliaia di persone ogni giorno. Non era possibile nemmeno seppellire i corpi, che venivano ammucchiati l'uno sull'altro. Ho visto ammassi di cadaveri per centinaia di metri. L'esercito francese procedeva con un bulldozer per scavare fosse comuni. Una pala meccanica afferrava 10,15 corpi alla volta e li metteva in un buco, lasciandosi dietro un braccio, una testa o una gamba. I sopravvissuti sembravano ormai insensibili. Io, invece, cominciavo a sentirmi morire. In Ruanda ho trascorso nove mesi così  difficili che a un certo punto non ho più resistito, né fisicamente né mentalmente.....

“….non stavo bene, né fisicamente né psicologicamente. Fino ad allora non avevo immaginato che l'uomo potesse appartenere a una specie così crudele verso se stessa e non riuscivo ad accettarlo. Ero depresso e sprofondavo nel pessimismo. Mi preoccupava anche constatare quanto gli sconvolgimenti economici, sociali e politici avessero cambiato il pianeta. Gli alberi abbattuti, i paesaggi rovinati, gli ecosistemi distrutti.....”.

Ho pensato allora di mettere in piedi un progetto che denunciasse l'inquinamento e la distruzione delle foreste. Intanto Leila aveva  avuto l'idea geniale di ripiantare la foresta sulla terra ormai sinistrata dei miei genitori; ci eravamo lanciati in un'avventura pazzesca ed ecco che, improvvisamente, gli alberi rinascevano
Dal deserto della deforestazione alla rinascita: alla fine degli anni ’90 tutta la violenza che Sebastiao aveva assorbito in tanti anni lo portano ad ammalarsi nel fisico e nell’anima. Così decide di tornare in Brasile con la moglie Leila alla fattoria paterna ma lì trova un territorio devastato dalla deforestazione: dove tutto un tempo era verde ora era diventato sorta di suolo spoglio, arido e sterile. 

 
Leila gli propone : “riportiamo questa valle al paradiso che era…”. Decidono di affrontare la situazione e di provare a riportare quel territorio al suo stato naturale di foresta pluviale subtropicale. Hanno cercato dei partner e fondi a livello nazionale e internazionale e hanno chiesto aiuto agli indios che conoscono tutte le piante della zona, e hanno fondato un’organizzazione che si chiama Instituto Terra. Sono stati piantati più di 2 milioni di alberi di tante specie diverse native della foresta atlantica e più di 4 milioni di piantine sono quasi pronte per essere piantate. Quella terra è tornata ad essere verde, il clima sta tornando normale, l’acqua è tornata ed è stato avvistato il giaguaro, l’ultimo anello della catena alimentare.
 
Con Leila e i nostri amici abbiamo piantato 2 milioni di alberi. 
Ma ciascuno può fare qualcosa, secondo le proprie possibilità. Basta sentirsi coinvolti. 
… oggi siamo fieri di poter ripiantare la foresta grazie al frutto del nostro lavoro e a coloro che ci hanno sostenuto. Ma soprattutto grazie alla nostra energia che ci proviene dalla certezza: tornare al pianeta è l’unico modo per vivere meglio.
 
2013, Fazenda Bulcao, oggi Istituto Terra.
 

L’ultimo lavoro di Sebastiao e Leila è “Genesi” un percorso fotografico nei 5 continenti che racconta la bellezza del nostro pianeta e il rispetto con cui si deve guardare alla terra e a tutto ciò che lo abita – il mondo animale, vegetale e minerale; un percorso che costituisce un appello rivolto a tutti sull’urgenza di prendersi cura della Terra.


Per approfondimenti e altre informazioni:
Il libro: Dalla mia terra alla terra, Ed Contrasto, 2014
Il film-documentario “Il sale della terra” di Wim Wenders, prossimamente in uscita anche in DVD
Il sito ufficiale delle fotografie di Salgado: http://www.amazonasimages.com/
Il sito di Instituto Terra: www.institutoterra.org



3. Scheda del film “Il Sale della terra” di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado

Produzione: Decia Films, Solares Fondazione delle Arti, Amazonas Images
Distribuzione: Officine UBU
Paese: Brasile, Francia, Italia
Durata: 100 minuti
Uscita: 2014

                    

Il film, come spiega lo stesso Wim Wenders, prende spunto dalle parole di Gesù rivolte agli uomini. Il regista tedesco, egli stesso fotografo, si è innamorato di Salgado comprando due sue fotografie e ha deciso di fare un film su di lui per capirlo e conoscerlo meglio.
Il sale della terra è un documentario che traccia l'itinerario artistico e umano del fotografo brasiliano. Co-diretto da Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, figlio dell'artista, Il sale della terra è un'esperienza sullo splendore del mondo e sull'irragionevolezza umana che rischia di spegnerlo. Alterna la storia personale di Salgado con le riflessioni sul suo mestiere di fotografo. Al figlio, che lo accompagna sul campo alla scoperta di paesi incontaminati, spetta di ritrovare e riscoprire un padre preso talmente dal suo lavoro da farne uno stile di vita, e da tenerlo per lunghi periodi lontano dalla famiglia. A Wenders spetta di riprodurre attraverso gli scatti fotografici  le idee di cui essi sono portatori, di animare, per così dire le foto e farle diventare protagoniste che informano, emozionano, provocano e al tempo stesso mettere in luce la passione e la personalità di Salgado che prima di fare uno scatto deve vivere, immedesimarsi e comprendere profondamente quelle realtà.
Scatti che penetrano le foreste tropicali dell'Amazzonia, del Congo, dell'Indonesia e della Nuova Guinea, attraversano i ghiacciai dell'Antartide e i deserti dell'Africa, scalano le montagne dell'America, del Cile e della Siberia. Ma scatti anche che denunciano l’avidità
di milioni di ricercatori d'oro brasiliani sprofondati nella più grande miniera a cielo aperto del mondo, i genocidi africani, i pozzi di petrolio incendiati in Medio Oriente, che testimoniano i mestieri e il mondo industriale dismesso, e l’orrore che fa perdere la fede davanti ai cadaveri accatastati in Rwanda.
Un viaggio quello di Salgado che testimonia l'uomo e la natura e ci permette di approcciare fotograficamente le questioni del territorio, la maniera dell'uomo di creare o distruggere, le storie di sopraffazione scritte dall'economia, l'effetto delle nostre azioni sulla natura, intesa sempre come bene comune. Un viaggio però pieno di speranza!



preghiera eucaristica

La solidarietà abita nel più profondo di ognuno di noi.  
Scoprendo l'universo degli altri, diversi ma simili,
e coltivando orizzonti di vicinanza e solidarietà
riusciamo a liberarci dalle catene che ci imprigionano
e a cercare modi più umani ed autentici di vivere.

E’ tenendoci per mano che riusciamo a dare alla vita
un senso nuovo, aperto ad orizzonti ancora impensati,
e al tempo stesso antico,
ricco di tutta la sapienza del cammino umano nei secoli.

Questo spirito ci unisce alle donne e agli uomini di tutti i tempi:
l’anelito e la ricerca di un mondo in cui non esistano più gerarchie,
dove le ultime e gli ultimi siano le prime e i primi,
dove possiamo vivere liberamente la differenza
ed arricchirci delle differenze.

Questa ricerca ha animato anche l’esperienza di Gesù.
il quale, la sera prima di essere ucciso,
durante la cena pasquale con le donne e gli uomini che lo seguivano,
prese del pane, lo spezzò e lo distribuì loro dicendo:
"Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo".
Poi prese il calice del vino, lo diede loro e disse:
"Prendete e bevetene tutti, questo è il calice del mio sangue
versato per tutti i popoli".

Sapienza, condivisione, partecipazione,
sono oggi le parole che accompagnano il cerchio di persone qui riunito
il quale, insieme a tutte le donne e gli uomini di buona volontà,
cerca di  dare alla vita un senso sempre rinnovato
senza perdere una goccia di tutta la sapienza
del cammino umano nei secoli,
compresa la sapienza dischiusa dal Vangelo.






[1] In grassetto corsivo le parole si Salgado tratta dal libro “Dalla mia terra alla Terra”, Ed Contrasto.