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venerdì 26 settembre 2008

“Periferie del ’68: la chiesa del dissenso”

giovedì 25 settembre, ore 21, piazza dell'Isolotto


“Periferie del ’68: la chiesa del dissenso”





Video: clicca sulla foto


Silvia canta "we shall leave in peace"


testo:


We shall overcome,

we shall overcome,

we shall overcome some day.



Oh, deep in my heart, I do believe

we shall overcome some day.



We shall live in peace,

we shall live in peace,

we shall live in peace some day.



Oh, deep in my heart, I do believe

we shall overcome some day.



We'll walk hand in hand

we'll walk hand in hand

we'll walk hand in hand some day.



Oh, deep in my heart, I do believe

we shall overcome some day.



Black and White together,

black and white together.

black and white together some day.



Oh, deep in my heart, I do believe

we shall overcome some day.


NOI TRIONFEREMO



Noi trionferemo,

noi trionferemo,

noi trionferemo un giorno.



Oh, in fondo al cuore ci credo,

noi trionferemo un giorno.



Noi vivremo in pace,

noi vivremo in pace,

noi vivremo in pace un giorno.



Oh, in fondo al cuore ci credo,

noi trionferemo un giorno.



Noi cammineremo mano nella mano,

noi cammineremo mano nella mano,

noi cammineremo mano nella mano un giorno.



Oh, in fondo al cuore ci credo,

noi trionferemo un giorno.



Neri e bianchi insieme,

neri e bianchi insieme,

neri e bianchi insieme un giorno.



Oh, in fondo al cuore ci credo,

noi trionferemo un giorno.



 Secondo video: (clicca sull'immagine)






canzoni:

1 - Per cantare il Veni creator ci vogliono paramenti d'oro;

2 - Un dio che è morto.


Michele (basso), Marco (chitarra e voce), Giacomo (chitarra e voce)


Les Canuts, è una canzone che prende esplicitamente posizione contro il potere: forse oggi la più nota delle canzoni di Bruant, è un secco canto di rivolta dedicato ai lavoratori tessili in lotta contro rappresentanti del potere, preti e governanti: «...stiamo tessendo il sudario del vecchio mondo/perché già sentiamo la tempesta che si annuncia...».




I tessitori

[Traduzione di Le canuts ]


Per cantare il Veni Creator

bisogna portare mantelli d’oro.

Noi li tessiamo per i grandi della chiesa

però, poveri tessitori, non abbiamo una camicia.

 

  Noi siamo i tessitori

  noi siamo nudi


Per governare bisogna possedere

mantelli, ricami e nastri.

Noi li tessiamo per i grandi della terra

però, poveri tessitori, ci mettono nudi sotto terra.

  Noi siamo i tessitori

  noi siamo nudi


Ma il nostro regno arriverà

quando il vostro finirà.

Stiamo tessendo il sudario del vecchio mondo

perchè sentiamo già la tempesta che s’annuncia.


  Noi siamo i tessitori

  noi siamo nudi.


les canuts (tessitori di Lione)




Video: clicca sull'immagine.


Aug 12, 2007 "Pour chanter veni creator, il vous faut une chasuble d'or..." Par la chorale de l'échole Charenton


Pour chanter Veni Creator

Il faut une chasuble d'or

Pour chanter Veni Creator

Il faut une chasuble d'or

Nous en tissons pour vous, grands de l'église

Et nous, pauvres canuts, n'avons pas de  chemise


  C'est nous les canuts

  Nous sommes tout nus


Pour gouverner, il faut avoir

Manteaux ou rubans en sautoir

Pour gouverner, il faut avoir

Manteaux ou rubans en sautoir

Nous en tissons pour vous grands de la terre

Et nous, pauvres canuts, sans drap on nous enterre


  C'est nous les canuts

  Nous sommes tout nus


Mais notre règne arrivera

Quand votre règne finira :

Mais notre règne arrivera

Quand votre règne finira :

Nous tisserons le linceul du vieux monde.


Dio è morto, di Francesco Guccini


--------------------------------------------------------------------------------


Ho visto / la gente della mia età andare via / lungo le strade che non portano mai a niente / cercare il sogno che conduce alla pazzia / nella ricerca di qualcosa che non trovano nel mondo che hanno già / lungo le notti che dal vino son bagnate / dentro alle stanze da pastiglie trasformate / dentro alle nuvole di fumo, nel mondo fatto di città, / essere contro od ingoiare la nostra stanca civiltà / e un Dio che è morto / ai bordi delle strade Dio è morto / nelle auto prese a rate Dio è morto / nei miti dell'estate Dio è morto.

Mi han detto / che questa mia generazione ormai non crede / in ciò che spesso han mascherato con la fede, / nei miti eterni della patria o dell'eroe / perché è venuto ormai il momento di negare tutto ciò che è falsità / le fedi fatte di abitudini e paura / una politica che è solo far carriera / il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, / l'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto / e un Dio che è morto / nei campi di sterminio Dio è morto / coi miti della razza Dio è morto / con gli odi di partito Dio è morto.


Io penso / che questa mia generazione è preparata / a un mondo nuovo e a una speranza appena nata / ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi / perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni / e poi risorge. / In ciò che noi crediamo Dio è risorto / in ciò che noi vogliamo Dio è risorto / nel mondo che vogliamo / Dio è risorto / Dio è risorto.


 

“Periferie del ’68: la chiesa del dissenso”

giovedì 25 settembre, ore 21, piazza dell'Isolotto


“Periferie del ’68: la chiesa del dissenso”





Video: clicca sulla foto


Silvia canta "we shall leave in peace"


testo:


We shall overcome,

we shall overcome,

we shall overcome some day.



Oh, deep in my heart, I do believe

we shall overcome some day.



We shall live in peace,

we shall live in peace,

we shall live in peace some day.



Oh, deep in my heart, I do believe

we shall overcome some day.



We'll walk hand in hand

we'll walk hand in hand

we'll walk hand in hand some day.



Oh, deep in my heart, I do believe

we shall overcome some day.



Black and White together,

black and white together.

black and white together some day.



Oh, deep in my heart, I do believe

we shall overcome some day.


NOI TRIONFEREMO



Noi trionferemo,

noi trionferemo,

noi trionferemo un giorno.



Oh, in fondo al cuore ci credo,

noi trionferemo un giorno.



Noi vivremo in pace,

noi vivremo in pace,

noi vivremo in pace un giorno.



Oh, in fondo al cuore ci credo,

noi trionferemo un giorno.



Noi cammineremo mano nella mano,

noi cammineremo mano nella mano,

noi cammineremo mano nella mano un giorno.



Oh, in fondo al cuore ci credo,

noi trionferemo un giorno.



Neri e bianchi insieme,

neri e bianchi insieme,

neri e bianchi insieme un giorno.



Oh, in fondo al cuore ci credo,

noi trionferemo un giorno.



 Secondo video: (clicca sull'immagine)






canzoni:

1 - Per cantare il Veni creator ci vogliono paramenti d'oro;

2 - Un dio che è morto.


Michele (basso), Marco (chitarra e voce), Giacomo (chitarra e voce)


Les Canuts, è una canzone che prende esplicitamente posizione contro il potere: forse oggi la più nota delle canzoni di Bruant, è un secco canto di rivolta dedicato ai lavoratori tessili in lotta contro rappresentanti del potere, preti e governanti: «...stiamo tessendo il sudario del vecchio mondo/perché già sentiamo la tempesta che si annuncia...».




I tessitori

[Traduzione di Le canuts ]


Per cantare il Veni Creator

bisogna portare mantelli d’oro.

Noi li tessiamo per i grandi della chiesa

però, poveri tessitori, non abbiamo una camicia.

 

  Noi siamo i tessitori

  noi siamo nudi


Per governare bisogna possedere

mantelli, ricami e nastri.

Noi li tessiamo per i grandi della terra

però, poveri tessitori, ci mettono nudi sotto terra.

  Noi siamo i tessitori

  noi siamo nudi


Ma il nostro regno arriverà

quando il vostro finirà.

Stiamo tessendo il sudario del vecchio mondo

perchè sentiamo già la tempesta che s’annuncia.


  Noi siamo i tessitori

  noi siamo nudi.


les canuts (tessitori di Lione)




Video: clicca sull'immagine.


Aug 12, 2007 "Pour chanter veni creator, il vous faut une chasuble d'or..." Par la chorale de l'échole Charenton


Pour chanter Veni Creator

Il faut une chasuble d'or

Pour chanter Veni Creator

Il faut une chasuble d'or

Nous en tissons pour vous, grands de l'église

Et nous, pauvres canuts, n'avons pas de  chemise


  C'est nous les canuts

  Nous sommes tout nus


Pour gouverner, il faut avoir

Manteaux ou rubans en sautoir

Pour gouverner, il faut avoir

Manteaux ou rubans en sautoir

Nous en tissons pour vous grands de la terre

Et nous, pauvres canuts, sans drap on nous enterre


  C'est nous les canuts

  Nous sommes tout nus


Mais notre règne arrivera

Quand votre règne finira :

Mais notre règne arrivera

Quand votre règne finira :

Nous tisserons le linceul du vieux monde.


Dio è morto, di Francesco Guccini


--------------------------------------------------------------------------------


Ho visto / la gente della mia età andare via / lungo le strade che non portano mai a niente / cercare il sogno che conduce alla pazzia / nella ricerca di qualcosa che non trovano nel mondo che hanno già / lungo le notti che dal vino son bagnate / dentro alle stanze da pastiglie trasformate / dentro alle nuvole di fumo, nel mondo fatto di città, / essere contro od ingoiare la nostra stanca civiltà / e un Dio che è morto / ai bordi delle strade Dio è morto / nelle auto prese a rate Dio è morto / nei miti dell'estate Dio è morto.

Mi han detto / che questa mia generazione ormai non crede / in ciò che spesso han mascherato con la fede, / nei miti eterni della patria o dell'eroe / perché è venuto ormai il momento di negare tutto ciò che è falsità / le fedi fatte di abitudini e paura / una politica che è solo far carriera / il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, / l'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto / e un Dio che è morto / nei campi di sterminio Dio è morto / coi miti della razza Dio è morto / con gli odi di partito Dio è morto.


Io penso / che questa mia generazione è preparata / a un mondo nuovo e a una speranza appena nata / ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi / perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni / e poi risorge. / In ciò che noi crediamo Dio è risorto / in ciò che noi vogliamo Dio è risorto / nel mondo che vogliamo / Dio è risorto / Dio è risorto.


 

Leggere il 68 con gli occhi di oggi

Quartiere 4: "Leggere il '68 con gli occhi di oggi"

25/09/2008 - 13:43

Tre incontri pubblici per riflettere, a distanza di 40 anni, sull'esperienza del '68 che ha scritto, proprio nel quartiere dell'Isolotto, alcune delle pagine più significative. Attraverso filmati, documenti originali, testimonianze e interventi sarà analizzato un periodo cruciale della nostra storia. Questo è "Leggere il '68 con gli occhi di oggi. Immagini,volti, parole e canzoni" del Quartiere 4 dell'Isolotto che si svolgerà domani alle 21,00 in piazza dell'Isolotto. Sarà proiettato anche il documentario prodotto da Rai News 24 "Periferie del '68: la chiesa del dissenso". L'iniziativa proseguirà anche venerdì, sempre alle 21,00 ma presso il Circolo Arci in via Maccari, con la proiezione del documentario prodotto da History Channel "L'altrosessantotto". Foto e volti di protagonisti della vita del quartiere negli anni '60. L'iniziativa terminerà sabato 27 settembre con l'appuntamento presso il Cortile delle Baracche, in via degli Aceri, 1 sempre alle 21,00 quando sarà proiettato "Millenovecentosessantotto", il documentario prodotto dal Centro socioculturale DEA. L'iniziativa è a cura del Consiglio di Quartiere 4, della commissione cultura, del Centro Educativo Popolare, dell'Archivio Storico Comunità dell'Isolotto.

  055news.it - Firenze,Toscana,Italy



Leggere il 68 con gli occhi di oggi

Quartiere 4: "Leggere il '68 con gli occhi di oggi"

25/09/2008 - 13:43

Tre incontri pubblici per riflettere, a distanza di 40 anni, sull'esperienza del '68 che ha scritto, proprio nel quartiere dell'Isolotto, alcune delle pagine più significative. Attraverso filmati, documenti originali, testimonianze e interventi sarà analizzato un periodo cruciale della nostra storia. Questo è "Leggere il '68 con gli occhi di oggi. Immagini,volti, parole e canzoni" del Quartiere 4 dell'Isolotto che si svolgerà domani alle 21,00 in piazza dell'Isolotto. Sarà proiettato anche il documentario prodotto da Rai News 24 "Periferie del '68: la chiesa del dissenso". L'iniziativa proseguirà anche venerdì, sempre alle 21,00 ma presso il Circolo Arci in via Maccari, con la proiezione del documentario prodotto da History Channel "L'altrosessantotto". Foto e volti di protagonisti della vita del quartiere negli anni '60. L'iniziativa terminerà sabato 27 settembre con l'appuntamento presso il Cortile delle Baracche, in via degli Aceri, 1 sempre alle 21,00 quando sarà proiettato "Millenovecentosessantotto", il documentario prodotto dal Centro socioculturale DEA. L'iniziativa è a cura del Consiglio di Quartiere 4, della commissione cultura, del Centro Educativo Popolare, dell'Archivio Storico Comunità dell'Isolotto.

  055news.it - Firenze,Toscana,Italy



mercoledì 24 settembre 2008

La chiesa del dissenso

giovedì 25 settembre, ore 21, piazza dell'Isolotto

Firenze


Periferie del ’68: la chiesa del dissenso”

documentario da Rai News 24

proiezione di foto e volti dei protagonisti del quartiere

microfono aperto

canzoni del ‘68

La chiesa del dissenso

giovedì 25 settembre, ore 21, piazza dell'Isolotto

Firenze


Periferie del ’68: la chiesa del dissenso”

documentario da Rai News 24

proiezione di foto e volti dei protagonisti del quartiere

microfono aperto

canzoni del ‘68

martedì 23 settembre 2008

Vita e morte

Questa sentenza non s'ha da applicare


Stasera la televisione ha trasmesso la dichiarazione del cardinale Bagnasco il quale, a nome della CEI, ha pronunciato il verdetto dello Stato Vaticano sul testamento biologico: sì alla legge ma non deve applicarsi ai casi di “sostegno vitale”, ossia alle persone alimentate e idratate forzatamente e in stato vegetativo permanente (tesi Binetti). Dice Bagnasco che la "Chiesa è contraria a forme di abbandono terapeutico": ma sino ad ieri non avevavo sostenuto che i "trattamenti di sostegno vitale" non sono terapie e quindi non costituiscono "accanimento terapeutico"? Occorre evidentemente “stoppare” la sentenza della Cassazione sul caso Englaro e impedire che papà Beppino stacchi la spina, e soltanto con una legge “ad hoc” possono impedirlo. Per “controbilanciare” politicamente la cosa, Bagnasco ha aggiunto che la crisi economica italiana è grave (grazie anche ai miliardi di euro versati dallo Stato Italiano allo Stato Vaticano) ed ha ricordato che la Chiesa è contraria ad ogni discriminazione (peccato che sia la prima a discriminare! Forse perché i “discriminati” non possono votare?).

Temo che dopo aver lottato per legalizzare il testamento biologico, saremo costretti a lottare contro.

Giampietro Sestini

Vita e morte

Questa sentenza non s'ha da applicare


Stasera la televisione ha trasmesso la dichiarazione del cardinale Bagnasco il quale, a nome della CEI, ha pronunciato il verdetto dello Stato Vaticano sul testamento biologico: sì alla legge ma non deve applicarsi ai casi di “sostegno vitale”, ossia alle persone alimentate e idratate forzatamente e in stato vegetativo permanente (tesi Binetti). Dice Bagnasco che la "Chiesa è contraria a forme di abbandono terapeutico": ma sino ad ieri non avevavo sostenuto che i "trattamenti di sostegno vitale" non sono terapie e quindi non costituiscono "accanimento terapeutico"? Occorre evidentemente “stoppare” la sentenza della Cassazione sul caso Englaro e impedire che papà Beppino stacchi la spina, e soltanto con una legge “ad hoc” possono impedirlo. Per “controbilanciare” politicamente la cosa, Bagnasco ha aggiunto che la crisi economica italiana è grave (grazie anche ai miliardi di euro versati dallo Stato Italiano allo Stato Vaticano) ed ha ricordato che la Chiesa è contraria ad ogni discriminazione (peccato che sia la prima a discriminare! Forse perché i “discriminati” non possono votare?).

Temo che dopo aver lottato per legalizzare il testamento biologico, saremo costretti a lottare contro.

Giampietro Sestini

domenica 21 settembre 2008

Assemblea domenicale

I profeti hanno denunziato le false attese del Messia

 

                         

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Baracche verdi

Domenica 21 settembre 2008-09-21

 Preghiera dell’eucarestia

La nostra assemblea liturgica vuol vivere oggi nello spirito delle grandi tradizioni profetiche del biblico popolo di Dio e di molti altri popoli .. I profeti hanno denunziato le false attese del Messia .  La loro parola e la loro azione risuonano nella Bibbia come condanna verso chi aspetta il ritorno del Signore schiacciando il debole, opprimendo il giusto, respingendo il povero che chiede giustizia. Sarà tenebre e non luce il giorno del Signore, sarà un giorno di rovina totale anche per l'apparato religioso fatto di feste, di preghiere, di sacrifici, di penitenze. Secondo i profeti, la vera attesa del Messia si compie in altro modo: "Smettete di presentare vuote offerte e preghiere vane. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, cercate la giustizia, sollevate l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete la vedova. Scorra come acqua il diritto e la giustizia come torrente perenne" Questo messaggio dei profeti è ripreso da Gesù. Anch'egli denunziava l'ipocrisia religiosa dei dominatori di quel tempo con parole di fuoco: "Essi prestano culto a Dio in modo vano, lo onorano con le labbra, pretendono di passare per persone irreprensibili, insegnano dottrine come verità assolute e invece sono solo precetti di uomini, caricano pesi gravi e insopportabili sulle spalle delle persone, ma essi non li muovono neppure con un dito; scomunicano la gente serrano in faccia al popolo il regno dei cieli: nòn c'entrano loro né lasciano che c'entri chi ci vuol entrare. Gesù non si limita alla denunzia. Egli indica le cose più essenziali della legge: la giustizia, la solidarietà con i poveri, la coerenza. Soprattutto le mette in pratica pagando di persona ed invita i suoi a fare altrettanto. Per questo la notte in cui fu tradito, mentre sedeva a tavola con le persone con cui si accompagnava, prese del pane, lo spezzò, lo distribuì loro dicendo: "prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo".  Poi, preso un bicchiere, rese grazie, lo diede loro e tutti ne bevvero. E disse loro: "questo è il mio sangue che viene sparso per tutti i popoli". Anche noi, mentre spartiamo questo pane, chiediamo al tuo Spirito che renda questa condivisione una vera comunione con Cristo e con quanti praticano oggi le cose più essenziali della vita: la giustizia, la solidarietà con i poveri, la coerenza.

Assemblea domenicale

I profeti hanno denunziato le false attese del Messia

 

                         

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Baracche verdi

Domenica 21 settembre 2008-09-21

 Preghiera dell’eucarestia

La nostra assemblea liturgica vuol vivere oggi nello spirito delle grandi tradizioni profetiche del biblico popolo di Dio e di molti altri popoli .. I profeti hanno denunziato le false attese del Messia .  La loro parola e la loro azione risuonano nella Bibbia come condanna verso chi aspetta il ritorno del Signore schiacciando il debole, opprimendo il giusto, respingendo il povero che chiede giustizia. Sarà tenebre e non luce il giorno del Signore, sarà un giorno di rovina totale anche per l'apparato religioso fatto di feste, di preghiere, di sacrifici, di penitenze. Secondo i profeti, la vera attesa del Messia si compie in altro modo: "Smettete di presentare vuote offerte e preghiere vane. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, cercate la giustizia, sollevate l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete la vedova. Scorra come acqua il diritto e la giustizia come torrente perenne" Questo messaggio dei profeti è ripreso da Gesù. Anch'egli denunziava l'ipocrisia religiosa dei dominatori di quel tempo con parole di fuoco: "Essi prestano culto a Dio in modo vano, lo onorano con le labbra, pretendono di passare per persone irreprensibili, insegnano dottrine come verità assolute e invece sono solo precetti di uomini, caricano pesi gravi e insopportabili sulle spalle delle persone, ma essi non li muovono neppure con un dito; scomunicano la gente serrano in faccia al popolo il regno dei cieli: nòn c'entrano loro né lasciano che c'entri chi ci vuol entrare. Gesù non si limita alla denunzia. Egli indica le cose più essenziali della legge: la giustizia, la solidarietà con i poveri, la coerenza. Soprattutto le mette in pratica pagando di persona ed invita i suoi a fare altrettanto. Per questo la notte in cui fu tradito, mentre sedeva a tavola con le persone con cui si accompagnava, prese del pane, lo spezzò, lo distribuì loro dicendo: "prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo".  Poi, preso un bicchiere, rese grazie, lo diede loro e tutti ne bevvero. E disse loro: "questo è il mio sangue che viene sparso per tutti i popoli". Anche noi, mentre spartiamo questo pane, chiediamo al tuo Spirito che renda questa condivisione una vera comunione con Cristo e con quanti praticano oggi le cose più essenziali della vita: la giustizia, la solidarietà con i poveri, la coerenza.

giovedì 18 settembre 2008

Il diritto non può "divenire solo il custode delle arretratezze e delle paure".


 La tecnoscienza ha modificato e sconvolto profondamente i paradigmi della nostra vita, ma "quando viene il momento di dare spazio alla regola giuridica, troppo spesso si impugnano gli strumenti vecchi. Timorosi del nuovo, l’unica norma possibile sembra essere il divieto".

Sono questi i principi per i quali ci battiamo.

 

SE LA LEGGE REGOLA LA VITA E LA MORTE – DI STEFANO RODOTA’

da: la Repubblica di giovedì 18 settembre 2008

Ai politici prepotenti, ai giuristi impazienti, agli eticisti saccenti si addice l’ammonimento di Michel de Montaigne: «La vita è un movimento ineguale, irregolare e multiforme». Quest’intima sua natura fa sì che la vita appaia come irriducibile ad un carattere proprio del diritto: il dover essere eguale, regolare, uniforme. Da qui, da quest’antico e ineliminabile conflitto, nascono le difficoltà che oggi registriamo, più intense di quelle del passato perché l’innovazione scientifica e tecnologica fa progressivamente venir meno le barriere che le leggi naturali ponevano alla libertà di scelta sul modo di nascere e di morire. Proprio la natura, con le sue leggi che apparivano sottratte alla volontà umana, allontanava dal diritto l’obbligo di misurarsi con quel conflitto. I grandi codici, pur aprendosi tutti con una parte dedicata alle “persone”, ne ignoravano del tutto la fisicità, facendo minimi accenni al nascere e al morire. Di questi punti estremi del ciclo vitale si limitavano a registrare la naturalità. Era la natura che governava, e il diritto poteva silenziosamente stare a guardare.

«Nella disciplina storica per molto tempo ha prevalso l’idea che il corpo appartenesse alla natura». Questa confessione di Jacques Le Goff può apparire sorprendente, perché da sempre riti e regole del potere, ma pure i ritmi della vita quotidiana e le pratiche mediche e magiche, hanno scandito le modalità d’uso del corpo, la sua libertà o il suo essere oggetto d’implacabile coercizione. Coglieva, però, un dato culturale, oggi sempre più respinto sullo sfondo da una artificialità che ci avvolge sempre più intensamente, che supera le barriere naturali, che consente scelte dove prima era solo caso o necessità. Di questo ci ha parlato la vicenda di Piergiorgio Welby e ci parla oggi quella di Eluana Englaro. Di questo ci parlano i tre milioni di bambini nati con le tecniche di procreazione assistita. Di questo ci parla Oscar Pistorius che, privo della parte inferiore delle gambe, le sostituisce con protesi in fibra di carbonio e non solo corre e vince nelle paraolimpiadi, ma si vede riconosciuto anche il diritto a partecipare alle olimpiadi vere e proprie, fa cadere la barriera tra “normodotati” e portatori di protesi e impone così una nuova nozione di normalità.Lo sappiamo da molti anni, almeno da quando nel 1970 si inventò il termine bioetica, che un mondo nuovo s’apriva davanti alle riflessioni ed alle pratiche concrete, e ciò evocava pure un nuovo bisogno di regole, tanto che si è cominciato a parlare di biodiritto. Vi è un campo di regole - etiche, giuridiche - alle quali la vita dovrebbe essere sottoposta. Come, però? Ed è questa domanda, ineludibile, che fa del rapporto tra vita e regole un tema che sopravanza tutti gli altri, e sembra essere uno di quelli che, con intensità maggiore, danno il tono al nostro tempo, alla nostra civiltà.E vero, una nuova riflessione è necessaria, perché la tecnoscienza ha sconvolto paradigmi consolidati, incide sull’antropologia stessa quale si era venuta costruendo nella storia dell’umanità. Ma questo invito è spesso accompagnato da una contraddizione, nella discussione italiana soprattutto. Si invocano categorie nuove ma, quando viene il momento di dare spazio alla regola giuridica, troppo spesso si impugnano gli strumenti vecchi. Timorosi del nuovo, l’unica norma possibile sembra essere il divieto. No all’interruzione dei trattamenti di sopravvivenza, no al testamento biologico, no alla procreazione assistita (e no a quel nuovo modo di organizzare le relazioni personali rappresentato dalle unioni di fatto). Ma può il diritto divenire solo il custode delle arretratezze e delle paure?La strumentazione giuridica, costruita in altro clima e per altri obiettivi, deve essere profondamente rimeditata. L’unico protagonista non può essere un legislatore che s’impadronisce d’ogni dettaglio, e giudica e manda una volta per tutte. L’unica tecnica giuridica disponibile non può essere ritrovata nel divieto, al tempo stesso eccessivo e vano. La vita non può essere sacrificata da una norma costrittiva, che dovrebbe ricostruire una situazione artificiale di impossibilità al posto di quella naturale, travolta dal progresso scientifico. Questa è pretesa vana, verrebbe quasi da dire innaturale, mentre la parola giusta è autoritaria.Questo significa abbandonare ogni ancoraggio, muoversi senza bussola nel mare aperto e drammatico di innovazioni che danno alla vita e al suo governo tratti sconvolgenti e persino drammatici? Niente affatto. Vi è un forte nucleo di principi dai quali muovere, che possono essere riassunti nella formula della “costituzionalizzazione della persona”, resa evidente non solo dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ma soprattutto dalla progressiva riscoperta della trama profonda della nostra Costituzione. Una trama che fa emergere libertà e dignità nella duplice dimensione individuale e sociale, legandole indissolubilmente (“l’esistenza libera e dignitosa” di cui parla l’articolo 36) e, quindi, escludendo che il riferimento alla dignità possa divenire tramite per l’imposizione di punti di vista limitativi della libertà e della coscienza della persona; che ribadisce il diritto alla libertà personale (articolo 13); che fa del “rispetto della persona umana” (articolo 32) un limite che lo stesso legislatore non può valicare; che esclude la possibilità di discriminazioni sulla base delle “condizioni personali” (articolo 3).Il governo della vita è così posto anzitutto nelle mani della persona, e ciò esige un diverso modo d’intendere la regola giuridica, che si fa flessibile, discreta, capace di seguire la vita nelle varie sue sfaccettature, singolarità, irregolarità, mutevolezze. Riferimento a principi comuni, ma non chiusura in un unico schema. La contraddizione disvelata dall’ammonimento di Montaigne è così superata? Conclusione eccessiva: ma è certo che ci si muove in una dimensione dove il conflitto trova diversi e più adeguati strumenti di composizione.Torniamo al caso di Eluana Englaro, drammaticamente ancora aperto. Il punto di svolta è stato rappresentato dalla sentenza della Corte di Cassazione dell’ottobre 2007 che, dopo aver ricostruito i principi di riferimento con un rigore raro anche in analoghe sentenze di altri paesi, li ha poi riferiti al caso concreto, affidando alla Corte d’appello di Milano il compito di attuarli. Sono poi venuti le ripulse e le resistenze, l’illegittimo rifiuto della Regione Lombardia di dare attuazione alla decisione dei giudici nelle proprie strutture ospedaliere, addirittura il conflitto di attribuzione sollevato davanti alla Corte costituzionale dal Parlamento, che afferma d’essere stato espropriato dai giudici del suo esclusivo potere legislativo istituzionale.Una guerriglia istituzionale è in corso, che nega l’umana pietà, ma che mette pure in evidenza un impasto tra arretratezza culturale e piccola furbizia politica. Non è pensabile che il Parlamento segua con una regolazione minuta, di dettaglio, ogni innovazione prodotta da scienza e tecnologia. Compito suo è quello della legislazione per principi che esige, poi, l’ineliminabile mediazione giudiziaria, sul duplice versante dell’adattamento alle specifiche vicende individuali e della risposta ai quesiti viavia posti dall’innovazione, ai quali non ci si può sottrarre senza negare giustizia a chi la chiede.Ma l’insistenza sulle prerogative del Parlamento ha un obiettivo di breve periodo. Sostenendo che il legislatore è il solo ad aver diritto di parola in determinate materie, si crea la premessa per norme che formalmente riconoscono le nuove esigenze, ma sostanzialmente le rinchiudono nei vecchi schemi. Gli oppositori di ieri si dichiarano pronti a sostenere una legge sul testamento biologico. In che modo, però? Escludendo che si possa rinunciare all’idratazione e all’alimentazione forzata e che le decisioni dell’interessato possano avere valore vincolante per il medico. Così, quello che viene presentato come il riconoscimento d’un diritto assume i colori d’una restaurazione, perché è una forzatura l’esclusione dalle terapie rifiutabili dell’idratazione e dell’alimentazione (Ignazio Marino non si stanca di ricordarci quanti siano gli interventi terapeutici che devono accompagnarle e lo stesso cardinale Barragan riconosce che vi sono casi in cui esse altro non sono che accanimento terapeutico). E perché subordinare alla valutazione del medico la portata del testamento biologico contraddice il principio consolidato del valore del consenso informato dell’interessato.Così una politica intimamente debole cerca di impadronirsi della vita delle persone. Ma così segna una distanza, mostra la sua incapacità di comprendere il mondo che cambia, rinuncia a fare del diritto uno strumento rispettoso della libertà e della stessa umanità delle persone
.

Il diritto non può "divenire solo il custode delle arretratezze e delle paure".


 La tecnoscienza ha modificato e sconvolto profondamente i paradigmi della nostra vita, ma "quando viene il momento di dare spazio alla regola giuridica, troppo spesso si impugnano gli strumenti vecchi. Timorosi del nuovo, l’unica norma possibile sembra essere il divieto".

Sono questi i principi per i quali ci battiamo.

 

SE LA LEGGE REGOLA LA VITA E LA MORTE – DI STEFANO RODOTA’

da: la Repubblica di giovedì 18 settembre 2008

Ai politici prepotenti, ai giuristi impazienti, agli eticisti saccenti si addice l’ammonimento di Michel de Montaigne: «La vita è un movimento ineguale, irregolare e multiforme». Quest’intima sua natura fa sì che la vita appaia come irriducibile ad un carattere proprio del diritto: il dover essere eguale, regolare, uniforme. Da qui, da quest’antico e ineliminabile conflitto, nascono le difficoltà che oggi registriamo, più intense di quelle del passato perché l’innovazione scientifica e tecnologica fa progressivamente venir meno le barriere che le leggi naturali ponevano alla libertà di scelta sul modo di nascere e di morire. Proprio la natura, con le sue leggi che apparivano sottratte alla volontà umana, allontanava dal diritto l’obbligo di misurarsi con quel conflitto. I grandi codici, pur aprendosi tutti con una parte dedicata alle “persone”, ne ignoravano del tutto la fisicità, facendo minimi accenni al nascere e al morire. Di questi punti estremi del ciclo vitale si limitavano a registrare la naturalità. Era la natura che governava, e il diritto poteva silenziosamente stare a guardare.

«Nella disciplina storica per molto tempo ha prevalso l’idea che il corpo appartenesse alla natura». Questa confessione di Jacques Le Goff può apparire sorprendente, perché da sempre riti e regole del potere, ma pure i ritmi della vita quotidiana e le pratiche mediche e magiche, hanno scandito le modalità d’uso del corpo, la sua libertà o il suo essere oggetto d’implacabile coercizione. Coglieva, però, un dato culturale, oggi sempre più respinto sullo sfondo da una artificialità che ci avvolge sempre più intensamente, che supera le barriere naturali, che consente scelte dove prima era solo caso o necessità. Di questo ci ha parlato la vicenda di Piergiorgio Welby e ci parla oggi quella di Eluana Englaro. Di questo ci parlano i tre milioni di bambini nati con le tecniche di procreazione assistita. Di questo ci parla Oscar Pistorius che, privo della parte inferiore delle gambe, le sostituisce con protesi in fibra di carbonio e non solo corre e vince nelle paraolimpiadi, ma si vede riconosciuto anche il diritto a partecipare alle olimpiadi vere e proprie, fa cadere la barriera tra “normodotati” e portatori di protesi e impone così una nuova nozione di normalità.Lo sappiamo da molti anni, almeno da quando nel 1970 si inventò il termine bioetica, che un mondo nuovo s’apriva davanti alle riflessioni ed alle pratiche concrete, e ciò evocava pure un nuovo bisogno di regole, tanto che si è cominciato a parlare di biodiritto. Vi è un campo di regole - etiche, giuridiche - alle quali la vita dovrebbe essere sottoposta. Come, però? Ed è questa domanda, ineludibile, che fa del rapporto tra vita e regole un tema che sopravanza tutti gli altri, e sembra essere uno di quelli che, con intensità maggiore, danno il tono al nostro tempo, alla nostra civiltà.E vero, una nuova riflessione è necessaria, perché la tecnoscienza ha sconvolto paradigmi consolidati, incide sull’antropologia stessa quale si era venuta costruendo nella storia dell’umanità. Ma questo invito è spesso accompagnato da una contraddizione, nella discussione italiana soprattutto. Si invocano categorie nuove ma, quando viene il momento di dare spazio alla regola giuridica, troppo spesso si impugnano gli strumenti vecchi. Timorosi del nuovo, l’unica norma possibile sembra essere il divieto. No all’interruzione dei trattamenti di sopravvivenza, no al testamento biologico, no alla procreazione assistita (e no a quel nuovo modo di organizzare le relazioni personali rappresentato dalle unioni di fatto). Ma può il diritto divenire solo il custode delle arretratezze e delle paure?La strumentazione giuridica, costruita in altro clima e per altri obiettivi, deve essere profondamente rimeditata. L’unico protagonista non può essere un legislatore che s’impadronisce d’ogni dettaglio, e giudica e manda una volta per tutte. L’unica tecnica giuridica disponibile non può essere ritrovata nel divieto, al tempo stesso eccessivo e vano. La vita non può essere sacrificata da una norma costrittiva, che dovrebbe ricostruire una situazione artificiale di impossibilità al posto di quella naturale, travolta dal progresso scientifico. Questa è pretesa vana, verrebbe quasi da dire innaturale, mentre la parola giusta è autoritaria.Questo significa abbandonare ogni ancoraggio, muoversi senza bussola nel mare aperto e drammatico di innovazioni che danno alla vita e al suo governo tratti sconvolgenti e persino drammatici? Niente affatto. Vi è un forte nucleo di principi dai quali muovere, che possono essere riassunti nella formula della “costituzionalizzazione della persona”, resa evidente non solo dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ma soprattutto dalla progressiva riscoperta della trama profonda della nostra Costituzione. Una trama che fa emergere libertà e dignità nella duplice dimensione individuale e sociale, legandole indissolubilmente (“l’esistenza libera e dignitosa” di cui parla l’articolo 36) e, quindi, escludendo che il riferimento alla dignità possa divenire tramite per l’imposizione di punti di vista limitativi della libertà e della coscienza della persona; che ribadisce il diritto alla libertà personale (articolo 13); che fa del “rispetto della persona umana” (articolo 32) un limite che lo stesso legislatore non può valicare; che esclude la possibilità di discriminazioni sulla base delle “condizioni personali” (articolo 3).Il governo della vita è così posto anzitutto nelle mani della persona, e ciò esige un diverso modo d’intendere la regola giuridica, che si fa flessibile, discreta, capace di seguire la vita nelle varie sue sfaccettature, singolarità, irregolarità, mutevolezze. Riferimento a principi comuni, ma non chiusura in un unico schema. La contraddizione disvelata dall’ammonimento di Montaigne è così superata? Conclusione eccessiva: ma è certo che ci si muove in una dimensione dove il conflitto trova diversi e più adeguati strumenti di composizione.Torniamo al caso di Eluana Englaro, drammaticamente ancora aperto. Il punto di svolta è stato rappresentato dalla sentenza della Corte di Cassazione dell’ottobre 2007 che, dopo aver ricostruito i principi di riferimento con un rigore raro anche in analoghe sentenze di altri paesi, li ha poi riferiti al caso concreto, affidando alla Corte d’appello di Milano il compito di attuarli. Sono poi venuti le ripulse e le resistenze, l’illegittimo rifiuto della Regione Lombardia di dare attuazione alla decisione dei giudici nelle proprie strutture ospedaliere, addirittura il conflitto di attribuzione sollevato davanti alla Corte costituzionale dal Parlamento, che afferma d’essere stato espropriato dai giudici del suo esclusivo potere legislativo istituzionale.Una guerriglia istituzionale è in corso, che nega l’umana pietà, ma che mette pure in evidenza un impasto tra arretratezza culturale e piccola furbizia politica. Non è pensabile che il Parlamento segua con una regolazione minuta, di dettaglio, ogni innovazione prodotta da scienza e tecnologia. Compito suo è quello della legislazione per principi che esige, poi, l’ineliminabile mediazione giudiziaria, sul duplice versante dell’adattamento alle specifiche vicende individuali e della risposta ai quesiti viavia posti dall’innovazione, ai quali non ci si può sottrarre senza negare giustizia a chi la chiede.Ma l’insistenza sulle prerogative del Parlamento ha un obiettivo di breve periodo. Sostenendo che il legislatore è il solo ad aver diritto di parola in determinate materie, si crea la premessa per norme che formalmente riconoscono le nuove esigenze, ma sostanzialmente le rinchiudono nei vecchi schemi. Gli oppositori di ieri si dichiarano pronti a sostenere una legge sul testamento biologico. In che modo, però? Escludendo che si possa rinunciare all’idratazione e all’alimentazione forzata e che le decisioni dell’interessato possano avere valore vincolante per il medico. Così, quello che viene presentato come il riconoscimento d’un diritto assume i colori d’una restaurazione, perché è una forzatura l’esclusione dalle terapie rifiutabili dell’idratazione e dell’alimentazione (Ignazio Marino non si stanca di ricordarci quanti siano gli interventi terapeutici che devono accompagnarle e lo stesso cardinale Barragan riconosce che vi sono casi in cui esse altro non sono che accanimento terapeutico). E perché subordinare alla valutazione del medico la portata del testamento biologico contraddice il principio consolidato del valore del consenso informato dell’interessato.Così una politica intimamente debole cerca di impadronirsi della vita delle persone. Ma così segna una distanza, mostra la sua incapacità di comprendere il mondo che cambia, rinuncia a fare del diritto uno strumento rispettoso della libertà e della stessa umanità delle persone
.

lunedì 15 settembre 2008

QUANDO DIO ENTRA IN POLITICA


Abbiamo ricevuto la recensione di un


 recente libro di Michele Martelli dal titolo


"Quando Dio entra in politica".


La riportiamo per chi fosse interessato. Tanto più in questi giorni, di fronte al grande risalto dato dai mass-media al viaggio del Papa a Lourdes.

Cordiali saluti.

Giampietro Sestini

 

QUANDO DIO ENTRA IN POLITICA


Che cosa succede quando Dio, il Dio Onnipotente della Chiesa papale, entra in politica? Innanzitutto, la laicità, i diritti civili e l’autonomia dello Stato vacillano e vanno in crisi. E poi, la democrazia rischia di rovesciarsi in teocrazia, politica e religione si confondono, causando disastrosi effetti di inciviltà. Effetti già largamente e tristemente dimostrati da secoli di storia di guerre sante e scontri religiosi, di Crociate, roghi e Inquisizione. Perché ripetere gli errori e orrori del passato?

Eppure si è formato di recente in Italia un nuovo «Partito di Dio» guidato dalla Cei di Ruini e Bagnasco, alacremente seguito da gruppi trasversali di politici, giornalisti e intellettuali (teocon, teodem, atei devoti, postsecolari e islamofobi), ostili alle conquiste della moderna civiltà illuministica, scientifica e razionalistica. Il Dio degli eserciti e della Chiesa/Stato costantiniana del passato e il Dio che in tutto si immischia dell’attuale offensiva politico-clericale non possono essere disgiunti.

Non bisogna tuttavia dimenticare che non c’è solo la Chiesa papale e il suo arrogante e dogmatico Dio del potere, disposto ieri come oggi a giustificare guerre, conflitti, repressione, fanatismi e interventismi di ogni genere. C’è anche la Chiesa dei poveri, del Dio sofferente e impotente delle Comunità cristiane di base, democratiche e antigerarchiche, dedite alla cura amorosa dei deboli, dei diversi, dei più poveri e diseredati della terra.

Il volume, un vero e proprio pamphlet, si propone una critica radicale della nuova strategia politico-religiosa di papa Ratzinger e delle alte gerarchie clericali (i ripetuti «no» all’aborto, all’eutanasia, alla procreazione assistita, alle coppie di fatto, al divorzio), mostrando, con una scrittura agile e provocatoria, la contraddittorietà e l’infondatezza dei valori assoluti oggi difesi dai vertici ecclesiastici.

Alla tesi ratzingeriana dell’ingresso di Dio nella sfera pubblica l’autore contrappone l’idea di una politica senza Dio, razionale, laica e democratica. Alle religioni è riconosciuta la più piena libertà di espressione e organizzazione nella società civile. Ma non la pretesa di occupare lo Stato o limitarne la sovranità, di ispirare, orientare e dirigere l'attività legislativa di governi e parlamenti in nome di presunte e incontestabili verità sacre o rivelate.

Il volume tratta temi di grande attualità con uno stile ironico e pungente, lontano da tecnicismi e accademismi: è un testo progettato per essere letto da un largo pubblico.





 


***************************************************

LiberaUscita

Associazione nazionale laica e apartitica

per la legalizzazione del testamento biologico

e la depenalizzazione dell'eutanasia 

Via Genova, 24 - 00184 Roma

apertura sede: lun-merc-ven. ore 8:30 - 10:30

tel e fax: 0647823807

sito web: www.liberauscita.it 

email: info@liberauscita.it 




Michele Martelli : "Quando Dio entra in politica", Fazi ed. € 16.


scheda tecnica

 autore Michele Martelli

titolo Quando Dio entra in politica

collana  le terre

pagine 225

ISBN 978-88-8112-953-9

data di uscita 05/09/2008

numero collana 177

prezzo in libreria € 16,00

QUANDO DIO ENTRA IN POLITICA


Abbiamo ricevuto la recensione di un


 recente libro di Michele Martelli dal titolo


"Quando Dio entra in politica".


La riportiamo per chi fosse interessato. Tanto più in questi giorni, di fronte al grande risalto dato dai mass-media al viaggio del Papa a Lourdes.

Cordiali saluti.

Giampietro Sestini

 

QUANDO DIO ENTRA IN POLITICA


Che cosa succede quando Dio, il Dio Onnipotente della Chiesa papale, entra in politica? Innanzitutto, la laicità, i diritti civili e l’autonomia dello Stato vacillano e vanno in crisi. E poi, la democrazia rischia di rovesciarsi in teocrazia, politica e religione si confondono, causando disastrosi effetti di inciviltà. Effetti già largamente e tristemente dimostrati da secoli di storia di guerre sante e scontri religiosi, di Crociate, roghi e Inquisizione. Perché ripetere gli errori e orrori del passato?

Eppure si è formato di recente in Italia un nuovo «Partito di Dio» guidato dalla Cei di Ruini e Bagnasco, alacremente seguito da gruppi trasversali di politici, giornalisti e intellettuali (teocon, teodem, atei devoti, postsecolari e islamofobi), ostili alle conquiste della moderna civiltà illuministica, scientifica e razionalistica. Il Dio degli eserciti e della Chiesa/Stato costantiniana del passato e il Dio che in tutto si immischia dell’attuale offensiva politico-clericale non possono essere disgiunti.

Non bisogna tuttavia dimenticare che non c’è solo la Chiesa papale e il suo arrogante e dogmatico Dio del potere, disposto ieri come oggi a giustificare guerre, conflitti, repressione, fanatismi e interventismi di ogni genere. C’è anche la Chiesa dei poveri, del Dio sofferente e impotente delle Comunità cristiane di base, democratiche e antigerarchiche, dedite alla cura amorosa dei deboli, dei diversi, dei più poveri e diseredati della terra.

Il volume, un vero e proprio pamphlet, si propone una critica radicale della nuova strategia politico-religiosa di papa Ratzinger e delle alte gerarchie clericali (i ripetuti «no» all’aborto, all’eutanasia, alla procreazione assistita, alle coppie di fatto, al divorzio), mostrando, con una scrittura agile e provocatoria, la contraddittorietà e l’infondatezza dei valori assoluti oggi difesi dai vertici ecclesiastici.

Alla tesi ratzingeriana dell’ingresso di Dio nella sfera pubblica l’autore contrappone l’idea di una politica senza Dio, razionale, laica e democratica. Alle religioni è riconosciuta la più piena libertà di espressione e organizzazione nella società civile. Ma non la pretesa di occupare lo Stato o limitarne la sovranità, di ispirare, orientare e dirigere l'attività legislativa di governi e parlamenti in nome di presunte e incontestabili verità sacre o rivelate.

Il volume tratta temi di grande attualità con uno stile ironico e pungente, lontano da tecnicismi e accademismi: è un testo progettato per essere letto da un largo pubblico.





 


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LiberaUscita

Associazione nazionale laica e apartitica

per la legalizzazione del testamento biologico

e la depenalizzazione dell'eutanasia 

Via Genova, 24 - 00184 Roma

apertura sede: lun-merc-ven. ore 8:30 - 10:30

tel e fax: 0647823807

sito web: www.liberauscita.it 

email: info@liberauscita.it 




Michele Martelli : "Quando Dio entra in politica", Fazi ed. € 16.


scheda tecnica

 autore Michele Martelli

titolo Quando Dio entra in politica

collana  le terre

pagine 225

ISBN 978-88-8112-953-9

data di uscita 05/09/2008

numero collana 177

prezzo in libreria € 16,00

giovedì 11 settembre 2008

LA CHIESA NEGLI ANNI '60










50 min - 03/giu/2008 -



Gli anni Sessanta sono anni di grandi trasformazioni nella Chiesa e nel modo di intendere e vivere la fede e l’impegno sociale. Correva l...tutto » Gli anni Sessanta sono anni di grandi trasformazioni nella Chiesa e nel modo di intendere e vivere la fede e l’impegno sociale. Correva l’anno, in questa puntata, ne percorre le tappe principali, dal papato di Giovanni XXIII a quello di Paolo VI, dal Concilio Vaticano II alla riforma liturgica, dai preti operai alla “teologia della liberazione”.Il decennio si apre con la preparazione del nuovo Concilio voluto da Papa Roncalli. Lo spirito è quello di leggere i “segni dei tempi” e trovare i modi più adatti per dialogare con la sensibilità moderna. Quando, nel 1963, pubblica la sua enciclica Pacem in Terris, Giovanni XXIII è già gravemente malato. Il suo successore, Giovanni Battista Montini, prosegue sul sentiero dell’innovazione. Paolo VI è il primo Papa della storia a mettere piede nella sede dell’ONU e il suo vibrante appello per la pace risuona in tutto il modo. È un importante segno di apertura che arriva proprio mentre si celebra il processo contro Don Lorenzo Milani, colpevole di aver difeso l’obiezione di coscienza. La sensazione che la Chiesa si stia spostando a sinistra è piuttosto diffusa. La canzone di Guccini, Dio è morto, censurata dalla Rai, viene invece trasmessa da Radio Vaticana nel nome della ricerca di valori più autentici. L’enciclica del 1967, la Populorum Progressio, viene vista da molti come il manifesto del terzomondismo. In America Latina il mondo cattolico si mobilita contro l’ingiustizia e la povertà tanto da legittimare, a volte, il ricorso alla rivoluzione armata. Il Papa, nel 1968 in Colombia, ribadisce il rifiuto del ricorso alla violenza, però, al contempo, condanna con decisione l’oppressione e la disuguaglianza sociale. Me è, appunto, il 1968 e il vento della contestazione rischia di travolgere anche dottrine, dogmi e gerarchie. “Aspettavamo la primavera ed è venuta la tempesta” dice Paolo VI. E di fronte all’arrivo della pillola anticoncezionale condanna il controllo delle nascite; di fronte al disegno di legge sul divorzio si appella al Concordato, di fronte alle istanze di collegialità ribadisce la centralità del Papa.

Trasmesso da Raitre il 26 maggio 2008.

LA CHIESA NEGLI ANNI '60










50 min - 03/giu/2008 -



Gli anni Sessanta sono anni di grandi trasformazioni nella Chiesa e nel modo di intendere e vivere la fede e l’impegno sociale. Correva l...tutto » Gli anni Sessanta sono anni di grandi trasformazioni nella Chiesa e nel modo di intendere e vivere la fede e l’impegno sociale. Correva l’anno, in questa puntata, ne percorre le tappe principali, dal papato di Giovanni XXIII a quello di Paolo VI, dal Concilio Vaticano II alla riforma liturgica, dai preti operai alla “teologia della liberazione”.Il decennio si apre con la preparazione del nuovo Concilio voluto da Papa Roncalli. Lo spirito è quello di leggere i “segni dei tempi” e trovare i modi più adatti per dialogare con la sensibilità moderna. Quando, nel 1963, pubblica la sua enciclica Pacem in Terris, Giovanni XXIII è già gravemente malato. Il suo successore, Giovanni Battista Montini, prosegue sul sentiero dell’innovazione. Paolo VI è il primo Papa della storia a mettere piede nella sede dell’ONU e il suo vibrante appello per la pace risuona in tutto il modo. È un importante segno di apertura che arriva proprio mentre si celebra il processo contro Don Lorenzo Milani, colpevole di aver difeso l’obiezione di coscienza. La sensazione che la Chiesa si stia spostando a sinistra è piuttosto diffusa. La canzone di Guccini, Dio è morto, censurata dalla Rai, viene invece trasmessa da Radio Vaticana nel nome della ricerca di valori più autentici. L’enciclica del 1967, la Populorum Progressio, viene vista da molti come il manifesto del terzomondismo. In America Latina il mondo cattolico si mobilita contro l’ingiustizia e la povertà tanto da legittimare, a volte, il ricorso alla rivoluzione armata. Il Papa, nel 1968 in Colombia, ribadisce il rifiuto del ricorso alla violenza, però, al contempo, condanna con decisione l’oppressione e la disuguaglianza sociale. Me è, appunto, il 1968 e il vento della contestazione rischia di travolgere anche dottrine, dogmi e gerarchie. “Aspettavamo la primavera ed è venuta la tempesta” dice Paolo VI. E di fronte all’arrivo della pillola anticoncezionale condanna il controllo delle nascite; di fronte al disegno di legge sul divorzio si appella al Concordato, di fronte alle istanze di collegialità ribadisce la centralità del Papa.

Trasmesso da Raitre il 26 maggio 2008.

Paciamoci

Associazione di donne GALASSIA. c/o Camera del Lavoro. Via Foscolo 17. 20094 Corsico (Milano)

COMUNICATO STAMPA

Mostra: collettiva di installazioni, sculture, fotografie e video  

Titolo: Paciamoci

Artiste e artisti: Amalia Cangiano, Angelo Caruso, Francesco Ceriani, Francesco Cucci, Mavi Ferrando, Gretel Fehr, Roberto “Birillo” Gotta, Nadia Magnabosco e Marilde Magni, Daniela Miotto, Luca Rendina, Evelina Schatz, Giancarla Ugoccioni

Letture: Federica Condè, Silvana Gatta, Loretta Lo Giudice, Clara Oliveti, Maria Carla Rossi, Diana Rojas, Evelina Schatz ( da Gandhi, Madri della Plaza de mayo, Laboratorio Kimeta, Virginia Woolf, Gabriella Lazzerini, don Milani, Evelina Schatz, Madre Teresa di Calcutta, Costituzione della Repubblica italiana)

Improvvisazioni musicali effetti sonori diRoberto “Birillo” Gotta, batteria di Giorgio Marzocchi, chitarra di Pino Di Staso

Luogo: Cortile di via Cavour 82 a Corsico

Data: Sabato 20 settembre 2008, nell’ambito della Notte Bianca per la Pace, organizzata dalla Città di Corsico

Inaugurazione: ore 17,00 con performance

Durata: sino alle 24 della sera stessa

Curatrice: Antonella Prota Giurleo a.protagiurleo@email.it

Informazioni: Silvana Gatta, presidente Galassia  339 4389688 

 

Nell’ambito della Notte Bianca per la pace, organizzata dall’amministrazione comunale della città di Corsico in collaborazione con le associazioni culturali per sabato 20 settembre 2008, l’associazione di donne Galassia ha proposto ad artiste ed artisti la realizzazione di una mostra di installazioni, opere bidimensionali, video e perfomance nel cortile di un’antica casa del 1700, ora completamente ristrutturata, nel centro della città.

Il tema della mostra, Paciamoci, viene interpretato da ogni artista avendo presente i temi del rispetto dei diritti della natura, delle persone, degli animali e degli oggetti, rispetto dei diritti che sta alla base di qualsiasi politica di pace.

Visioni diverse, espressioni del sentire di ciascun artista.

L’uscire dalle consuete pareti riservate agli addetti ai lavori costituisce un modo coraggioso di confrontarsi con un pubblico più ampio.

Confrontarsi sul tema della pace ha voluto dire ragionare sul significato del termine e su come comportarsi nella vita quotidiana, all’interno della casa e all’esterno, nella città e nel mondo, su un tema sul quale si pensa di essere tutte e tutti d’accordo ma sul quale poi si verificano differenze forti.

 

. Pace per noi significa scegliere la non violenza come pratica politica; significa costruire luoghi di ragionamento aperti dove la pratica di relazione conduca alla mediazione quale momento più alto della democrazia politica. Con – vincere, non vincere.

Una convinzione che si ritrova sia nell’opera di Nadia Magnabosco e di Marilde Magni,  un'asse da stiro in metallo - simbolo della vita quotidiana femminile - posta in verticale a rappresentare  la resistenza, la perduranza e la non scalfibilità del coraggio di una delle tante  madri di Plaza de Mayo che in quella di Evelina Schatz, che scriverà in varie forme, e leggerà, in italiano e in russo una sua poesia sulla pace; il linguaggio della pace deve assumere le diverse lingue del mondo, per essere compreso e condiviso da tutte e da tutti.

 

. Pace significa scegliere consumi ecocompatibili, ridurre i consumi ai bisogni reali,

praticare la cultura della cura come recupero di competenze di genere ( cura delle persone, delle cose, degli animali e delle piante, della Terra, della memoria). Significa lavorare meno, recuperare tutto.

Molte artiste e molti artisti hanno elaborato il loro agire artistico utilizzando solo materiali ecocompatibili e/o di recupero. E’ il caso, in questa mostra, di Francesco Ceriani, Francesco Cucci, Gretel Fehr, Mavi Ferrando, Roberto “Birillo” Gotta, Luca Rendina,

Francesco Ceriani presenta un lavoro di legno, quasi una nave che vola, un segno di viaggio, non proprio di piacere, un po' di speranza, un po' di fuga...

Francesco Cucci  con Volontà di Costruire la Pace realizza  un’ installazione che attraverso l'equilibrio e la tolleranza tra gli elementi, in un legame elastico, esprime l’idea della  pratica della coesistenza e del rispetto

Gretel Fehr ricerca frammenti di lavorazione di specchi in plexiglass come supporti alle sue stampe digitali. In Prost si brinda alle guerre, si brinda alla pace. Senza fine per le guerre, con tanta speranza per la pace

Mavi Ferrando in Scalata di pace elabora una serie di figure che cercano faticosamente, arrampicandosi su una griglia metallica, un cammino, in salita, verso la pace.

Roberto “Birillo” Gotta recupera  giocattoli da “guerra” rotti, per costruire un collage polimaterico simbolico che affronti in senso ironico il tema della guerra

Luca Rendina utilizza legno di recupero con un piccolo inserto in terracotta per realizzare una scultura componibile formata da più elementi, ispirata al quadro di Giorgio De Chirico del 1927 "mobili nella valle”

 

.Pace significa dare valore all’affettività e assumere il dolore come categoria politica, come discrimine nelle scelte. Escludere, uccidere procura dolore, occorre perciò accogliere, vivere, aver cura. Occorre trovare le somiglianze tra le differenze e su esse agire. Tutte, tutti avremmo diritto alla felicità; i bambini e le bambine hanno diritto a crescere felici.

Su questa tematica si confrontano le opere di Amalia Cangiano, Angelo Caruso, Daniela Miotto, Giancarla Ugoccioni.

Amalia Cangiano nel suo tondo La fusione del macrocosmo col microcosmo  rappresenta il corpo umano, che racchiude in sè il cielo, la terra, le stagioni,  come l’ universo, come ricerca di equilibrio e di pace.

Angelo Caruso innalza un palo, una sorta di  vessillo su cui appendere e incidere i propri sogni e le proprie speranze. Attorcigliate intorno al palo 200 bandiere di tutto il mondo intrecciate come sono gli intrecci d'interessi di quelli che fanno le guerre e di quelli che si dicono per la pace.

Daniela Miotto presenta una tela dipinta a tempera con soggetti figurativi che simboleggiano la disperazione e la  sofferenza attraverso l'urlo e la deformazione fisica.

Giancarla Ugoccioni ha ritratto donne messicane in diverse situazioni per esprimere la sacralità nel quotidiano, qualità che nella frenesia dello stile di vita occidentale spesso si dimentica.

Antonella Prota Giurleo

 

 

Paciamoci

Associazione di donne GALASSIA. c/o Camera del Lavoro. Via Foscolo 17. 20094 Corsico (Milano)

COMUNICATO STAMPA

Mostra: collettiva di installazioni, sculture, fotografie e video  

Titolo: Paciamoci

Artiste e artisti: Amalia Cangiano, Angelo Caruso, Francesco Ceriani, Francesco Cucci, Mavi Ferrando, Gretel Fehr, Roberto “Birillo” Gotta, Nadia Magnabosco e Marilde Magni, Daniela Miotto, Luca Rendina, Evelina Schatz, Giancarla Ugoccioni

Letture: Federica Condè, Silvana Gatta, Loretta Lo Giudice, Clara Oliveti, Maria Carla Rossi, Diana Rojas, Evelina Schatz ( da Gandhi, Madri della Plaza de mayo, Laboratorio Kimeta, Virginia Woolf, Gabriella Lazzerini, don Milani, Evelina Schatz, Madre Teresa di Calcutta, Costituzione della Repubblica italiana)

Improvvisazioni musicali effetti sonori diRoberto “Birillo” Gotta, batteria di Giorgio Marzocchi, chitarra di Pino Di Staso

Luogo: Cortile di via Cavour 82 a Corsico

Data: Sabato 20 settembre 2008, nell’ambito della Notte Bianca per la Pace, organizzata dalla Città di Corsico

Inaugurazione: ore 17,00 con performance

Durata: sino alle 24 della sera stessa

Curatrice: Antonella Prota Giurleo a.protagiurleo@email.it

Informazioni: Silvana Gatta, presidente Galassia  339 4389688 

 

Nell’ambito della Notte Bianca per la pace, organizzata dall’amministrazione comunale della città di Corsico in collaborazione con le associazioni culturali per sabato 20 settembre 2008, l’associazione di donne Galassia ha proposto ad artiste ed artisti la realizzazione di una mostra di installazioni, opere bidimensionali, video e perfomance nel cortile di un’antica casa del 1700, ora completamente ristrutturata, nel centro della città.

Il tema della mostra, Paciamoci, viene interpretato da ogni artista avendo presente i temi del rispetto dei diritti della natura, delle persone, degli animali e degli oggetti, rispetto dei diritti che sta alla base di qualsiasi politica di pace.

Visioni diverse, espressioni del sentire di ciascun artista.

L’uscire dalle consuete pareti riservate agli addetti ai lavori costituisce un modo coraggioso di confrontarsi con un pubblico più ampio.

Confrontarsi sul tema della pace ha voluto dire ragionare sul significato del termine e su come comportarsi nella vita quotidiana, all’interno della casa e all’esterno, nella città e nel mondo, su un tema sul quale si pensa di essere tutte e tutti d’accordo ma sul quale poi si verificano differenze forti.

 

. Pace per noi significa scegliere la non violenza come pratica politica; significa costruire luoghi di ragionamento aperti dove la pratica di relazione conduca alla mediazione quale momento più alto della democrazia politica. Con – vincere, non vincere.

Una convinzione che si ritrova sia nell’opera di Nadia Magnabosco e di Marilde Magni,  un'asse da stiro in metallo - simbolo della vita quotidiana femminile - posta in verticale a rappresentare  la resistenza, la perduranza e la non scalfibilità del coraggio di una delle tante  madri di Plaza de Mayo che in quella di Evelina Schatz, che scriverà in varie forme, e leggerà, in italiano e in russo una sua poesia sulla pace; il linguaggio della pace deve assumere le diverse lingue del mondo, per essere compreso e condiviso da tutte e da tutti.

 

. Pace significa scegliere consumi ecocompatibili, ridurre i consumi ai bisogni reali,

praticare la cultura della cura come recupero di competenze di genere ( cura delle persone, delle cose, degli animali e delle piante, della Terra, della memoria). Significa lavorare meno, recuperare tutto.

Molte artiste e molti artisti hanno elaborato il loro agire artistico utilizzando solo materiali ecocompatibili e/o di recupero. E’ il caso, in questa mostra, di Francesco Ceriani, Francesco Cucci, Gretel Fehr, Mavi Ferrando, Roberto “Birillo” Gotta, Luca Rendina,

Francesco Ceriani presenta un lavoro di legno, quasi una nave che vola, un segno di viaggio, non proprio di piacere, un po' di speranza, un po' di fuga...

Francesco Cucci  con Volontà di Costruire la Pace realizza  un’ installazione che attraverso l'equilibrio e la tolleranza tra gli elementi, in un legame elastico, esprime l’idea della  pratica della coesistenza e del rispetto

Gretel Fehr ricerca frammenti di lavorazione di specchi in plexiglass come supporti alle sue stampe digitali. In Prost si brinda alle guerre, si brinda alla pace. Senza fine per le guerre, con tanta speranza per la pace

Mavi Ferrando in Scalata di pace elabora una serie di figure che cercano faticosamente, arrampicandosi su una griglia metallica, un cammino, in salita, verso la pace.

Roberto “Birillo” Gotta recupera  giocattoli da “guerra” rotti, per costruire un collage polimaterico simbolico che affronti in senso ironico il tema della guerra

Luca Rendina utilizza legno di recupero con un piccolo inserto in terracotta per realizzare una scultura componibile formata da più elementi, ispirata al quadro di Giorgio De Chirico del 1927 "mobili nella valle”

 

.Pace significa dare valore all’affettività e assumere il dolore come categoria politica, come discrimine nelle scelte. Escludere, uccidere procura dolore, occorre perciò accogliere, vivere, aver cura. Occorre trovare le somiglianze tra le differenze e su esse agire. Tutte, tutti avremmo diritto alla felicità; i bambini e le bambine hanno diritto a crescere felici.

Su questa tematica si confrontano le opere di Amalia Cangiano, Angelo Caruso, Daniela Miotto, Giancarla Ugoccioni.

Amalia Cangiano nel suo tondo La fusione del macrocosmo col microcosmo  rappresenta il corpo umano, che racchiude in sè il cielo, la terra, le stagioni,  come l’ universo, come ricerca di equilibrio e di pace.

Angelo Caruso innalza un palo, una sorta di  vessillo su cui appendere e incidere i propri sogni e le proprie speranze. Attorcigliate intorno al palo 200 bandiere di tutto il mondo intrecciate come sono gli intrecci d'interessi di quelli che fanno le guerre e di quelli che si dicono per la pace.

Daniela Miotto presenta una tela dipinta a tempera con soggetti figurativi che simboleggiano la disperazione e la  sofferenza attraverso l'urlo e la deformazione fisica.

Giancarla Ugoccioni ha ritratto donne messicane in diverse situazioni per esprimere la sacralità nel quotidiano, qualità che nella frenesia dello stile di vita occidentale spesso si dimentica.

Antonella Prota Giurleo