Comunità dell’Isolotto – Firenze, 20.01.2008
Spe Salvi: pochi dubbi e molti dogmi
riflessioni di Carlo, Claudia, Luisella, Maurizio
Proseguiamo la lettura e la riflessione critica sull’enciclica Spe Salvi iniziata nell’assemblea di domenica scorsa.
1. Letture dal Vangelo e riflessioni
Il papa scrive nella Spe Salvi: L’uomo ha bisogno di Dio altrimenti resta privo di speranza...
La vera grande speranza dell’uomo che resiste nonostante tutte le delusioni può essere solo Dio.
Noi siamo andati a vedere cosa scrive il Vangelo: abbiamo fatto un esercizio di quelli che a volte fanno i letterati: abbiamo quante volte ricorrono nel Vangelo le parole paura, speranza, temere.
La parola paura comprare molte volte, per descrivere lo stato d’animo della gente e dei discepoli turbata di fronte ai gesti e alle parole di Gesù, per descrivere la preoccupazione e il fastidio dei potenti, di fronte all’interesse che aveva il messaggio di Gesù, e anche lo stato d’animo di Gesù quando le cose si mettono male. La parola speranza compare solo 2 volte e solo nel Vangelo di Giovanni.
Le parole “non temere”, “non abbiate paura” sono molto frequenti, molto più frequenti della parola speranza, spesso sono dette di fronte a questioni che riguardano l’attesa di un figlio, le nascite, la malattia, la morte, le scelte della vita:
In alcuni passi a noi sembra che il Vangelo dica “non temere”, “non abbiate paura”, in modo tenero, come un genitore fa con un figlio piccolo, sottolineando il nome, “non temere Maria, non temere Zaccaria, non temere Giuseppe ...”:
Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita” (Lc 1, 13-14)
Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù (Lc 1, 30);
Non temere, Giuseppe, figlio di Davide, di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù. (Mt 1, 21).
Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui” (Mc 16, 5).
Stava parlando quando venne uno della casa del capo della sinagoga a dirgli: "Tua figlia è morta...". Ma Gesù che aveva udito rispose: "Non temere, soltanto abbi fede e sarà salvata".
In un altro passo a noi sembra che il Vangelo dica “non abbiate paura” come una specie di richiamo, con un tono meno tenero e più risoluto, che si può fare ad adulti che si vogliono grandi, liberi ... “"Perché siete così paurosi? “. Il non-intervento di Gesù nella tempesta può essere visto come un gesto di piena fiducia che Gesù ripone negli uomini, nelle persone, che possono cavarsela da soli, anche tra tempeste che possono fare paura ...si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: "Maestro, non t'importa che moriamo?". Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: "Taci, calmati!". Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi disse loro: "Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?". E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: "Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?".
Per concludere questa nostra riflessione ci sembra che il Vangelo più che di speranza in Dio, sia annuncio e desiderio di liberazione dalla paura. Liberazione dalla paura e fiducia nelle capacità dell’uomo, di tutti gli uomini. Il Vangelo vorrebbe un’umanità che non sia succube, dominata dalla paura perché la paura rende schiavi e non uomini liberi.
2. Sulle parola “speranza”
Definizione: aspettare con desiderio e fiducia qualcosa di cui si è certi o ci si augura che deriverà bene, gioia, piacere [ Dizionario Zanichelli]
Etimologia: In greco, infatti, speranza si dice elpis che con i verbi elpo, elpizo deriva dalla radice vel, che per ampliamento in p dà luogo alla parola latina voluptas, che significa piacere, ma soprattutto voglia [ Salvatore Natoli]
La parola ebraica speranza è tikvà che vuol dire “corda” ... E’ bello per me che la speranza abbia un’anima di corda. Essa trascina, lega, consente nodi, può spezzarsi. .... Quando nell’Eneide (XI) Virgilio scrive spes sibi quisque ognuno sia speranza a se stesso, esclude funi, soccorsi. E’ raccomandazione adatta a un alpinista impegnato in una solitaria integrale. Nella parola tikvà c’è invece il senso di essere legato a qualcuno e qualcosa che non lascia soli. [Alzaia, Erri De Luca].
3. Introduzione alla Enciclica Spe Salvi
Riportiamo qui la prima pagina dell’Enciclica che specifica chi sono coloro ai quali il papa si rivolge, nonché l’introduzione dell’enciclica stessa e i titoli dei capitoli.
LETTERA ENCICLICA
SPE SALVI
DEL SOMMO PONTEFICE
BENEDETTO XVI
AI VESCOVI
AI PRESBITERI E AI DIACONI
ALLE PERSONE CONSACRATE
E A TUTTI I FEDELI LAICI
SULLA SPERANZA CRISTIANA |
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1. « SPE SALVI facti sumus » – nella speranza siamo stati salvati, dice san Paolo ai Romani e anche a noi (Rm 8,24). La « redenzione », la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino. Ora, si impone immediatamente la domanda: ma di che genere è mai questa speranza per poter giustificare l'affermazione secondo cui a partire da essa, e semplicemente perché essa c'è, noi siamo redenti? E di quale tipo di certezza si tratta? La fede è speranza
Il concetto di speranza basata sulla fede nel Nuovo Testamento e nella Chiesa primitiva
La vita eterna – che cos'è?
La speranza cristiana è individualistica?
La trasformazione della fede-speranza cristiana nel tempo moderno
La vera fisionomia della speranza cristiana
« Luoghi » di apprendimento e di esercizio della speranza
I. La preghiera come scuola della speranza
II. Agire e soffrire come luoghi di apprendimento della speranza
III. Il Giudizio come luogo di apprendimento e di esercizio della speranza
Maria, stella della speranza
Dato a Roma, presso San Pietro, il 30 novembre, festa di Sant'Andrea Apostolo, dell'anno 2007, terzo di Pontificato.
BENEDICTUS PP. XVI
4. Brani tratti dall’enciclica e commenti
Vale la pena soffermarsi su alcuni paragrafi dell’enciclica che trattando dell’etica e dei principi morali dell’ uomo, che evidenziano la pretesa della Chiesa di detenerne il monopolio.
Dalla enciclica Spe Salvi:
23. Per quanto riguarda i due grandi temi « ragione » e « libertà », qui possono essere solo accennate quelle domande che sono con essi collegate. Sì, la ragione è il grande dono di Dio all'uomo, e la vittoria della ragione sull'irrazionalità è anche uno scopo della fede cristiana.
Ma quand'è che la ragione domina veramente? Quando si è staccata da Dio? Quando è diventata cieca per Dio? La ragione del potere e del fare è già la ragione intera?
Se il progresso per essere progresso ha bisogno della crescita morale dell'umanità, allora la ragione del potere e del fare deve altrettanto urgentemente essere integrata mediante l'apertura della ragione alle forze salvifiche della fede, al discernimento tra bene e male. Solo così diventa una ragione veramente umana. Diventa umana solo se è in grado di indicare la strada alla volontà, e di questo è capace solo se guarda oltre se stessa. In caso contrario la situazione dell'uomo, nello squilibrio tra capacità materiale e mancanza di giudizio del cuore, diventa una minaccia per lui e per il creato. Così in tema di libertà, bisogna ricordare che la libertà umana richiede sempre un concorso di varie libertà. Questo concorso, tuttavia, non può riuscire, se non è determinato da un comune intrinseco criterio di misura, che è fondamento e meta della nostra libertà. Diciamolo ora in modo molto semplice: l'uomo ha bisogno di Dio, altrimenti resta privo di speranza. Visti gli sviluppi dell'età moderna, l'affermazione di san Paolo citata all'inizio (cfr Ef 2,12) si rivela molto realistica e semplicemente vera. Non vi è dubbio, pertanto, che un « regno di Dio » realizzato senza Dio – un regno quindi dell'uomo solo – si risolve inevitabilmente nella « fine perversa » di tutte le cose descritta da Kant: l'abbiamo visto e lo vediamo sempre di nuovo. Ma non vi è neppure dubbio che Dio entra veramente nelle cose umane solo se non è soltanto da noi pensato, ma se Egli stesso ci viene incontro e ci parla. Per questo la ragione ha bisogno della fede per arrivare ad essere totalmente se stessa: ragione e fede hanno bisogno l'una dell'altra per realizzare la loro vera natura e la loro missione.
La vera fisionomia della speranza cristiana
24 “…. Chiediamoci ora di nuovo: che cosa possiamo sperare? E che cosa non possiamo sperare?
(............................) il retto stato delle cose umane, il benessere morale del mondo non può mai essere garantito semplicemente mediante strutture, per quanto valide esse siano. Tali strutture sono non solo importanti, ma necessarie; esse tuttavia non possono e non devono mettere fuori gioco la libertà dell'uomo. Anche le strutture migliori funzionano soltanto se in una comunità sono vive delle convinzioni che siano in grado di motivare gli uomini ad una libera adesione all'ordinamento comunitario”.
La nostra interpretazione: Per Benedetto XVI la ragione è incapace, senza l’intervento della fede, di portare l’uomo sulla strada del progresso e quindi non è in grado di realizzare “il retto stato delle cose umane” e neppure le buone strutture che la società si è data possono da sole essere all’altezza di questo compito.
Nell’enciclica il papa afferma che queste strutture sono importanti e necessarie e tuttavia non possono ignorare il tesoro morale dell’umanità di cui la Chiesa è custode. D’altra parte – osserva ancora Benedetto XVI - il regno del bene non può mai essere veramente raggiunto in questo mondo: non solo le strutture politiche, sociali, internazionali, non sono in grado di fissarlo irrevocabilmente, ma neanche di orientare verso di esso le loro azioni, se viene a mancare il rapporto con la dottrina della Chiesa. Secondo il pontefice non esiste alcun progresso separabile dal disegno di Dio, il progresso ha bisogno della crescita morale dell’umanità, l’uomo ha bisogno di Dio, altrimenti resta privo di speranza; la speranza non può che essere dunque l’equivalente della fede cristiana.
Enzo, nel suo articolo del 3.12.2007 sull’Unità (e riportato sotto integralmente) scrive: “Le speranze terrene non hanno bisogno di sbandierare il riferimento a Dio per essere autentiche. Dio ce l’hanno dentro per chi vede i “misteriosi piani”, anche se sono speranze laiche e di atei.”
Scalfari, in un articolo sul La Repubblica del 13 gennaio, ha scritto ancora riflessioni condivisibili, vale la pena riportarle:
“La Chiesa di Benedetto XVI, ma anche quella di Giovanni Paolo II, non riesce ad entrare in sintonia con la cultura moderna e con la moderna società. Questo è il vero tema che dovrebbero porsi tutti coloro che si occupano dei rapporti tra la società ecclesiale e la società civile all'inizio del XXI secolo.
La gerarchia ecclesiastica e quello che pomposamente viene definito il Magistero si sono da tempo e sempre più trasformati in una "lobby" che chiede e promette favori e benefici, quanto di più lontano e disdicevole dall'attività pastorale e dall'approfondimento culturale. Il "popolo di Dio" soffre di questa trasformazione; i laici non trovano terreno adatto al dialogo se non sul piano miserevole di comportarsi anch'essi come una confraternita pronta a compromessi e patteggiamenti
Il governo spagnolo: "La società spagnola non è disposta a tornare ai tempi in cui una morale unica era imposta a tutto il Paese né ha bisogno di tutele morali. Tanto meno ne ha bisogno il governo che non le accetta
In Italia ci sono oggi due minoranze, quelle dei cattolici autentici e quella degli autentici laici. In mezzo c'è un corpaccione di laici e di cattolici "dimezzati", che ostentano virtù civiche e religiose che non praticano affatto.
Il guaio è che la gerarchia ecclesiastica e il Magistero non sono affatto turbati da questa situazione paganeggiante. La loro preoccupazione è l'otto per mille, i contributi pubblici agli oratori, la costruzione di nuove chiese e parrocchie, l'esenzione dall'Ici, l'insegnamento del catechismo nella scuola pubblica, il finanziamento di quella privata. E naturalmente la crociata antiabortista, la moratoria.
A loro interessa non già di usare lo spazio pubblico per propagandare la dottrina e il Vangelo ma entrare nelle istituzioni politiche per guidare il voto dei parlamentari e condizionare i partiti.
Serve a qualche cosa una Chiesa così? Fa barriera contro le invasioni barbariche del terzo millennio o invece apre loro la porta?
Risponderò con una citazione quanto mai attuale: "La Chiesa sembra porsi di fronte allo Stato e alle forze politiche italiane come un altro Stato e un'altra forza politica; l'immagine stessa della Chiesa risulta appiattita sulle logiche dello scambio, impoverita di ogni slancio profetico, lontana dal compito di offrire ad una società inquieta e per tanti aspetti lacerata motivi di fiducia, di speranza, di coesione. Le responsabilità del laicato cattolico sono del tutto ignorate. La sorpresa e il disorientamento sono forti per tutti i cattolici che hanno assorbito la lezione del Concilio Vaticano II su una Chiesa popolo di Dio nella quale il ruolo della gerarchia non cancella ma anzi è al servizio di un laicato che ha proprie e specifiche responsabilità. Tra queste vi è proprio quella di tradurre nel concreto della vita politica e della legislazione di uno Stato democratico esigenze e valori di cui la coscienza cattolica è portatrice. E' legittimo e doveroso per tutti i cittadini, e perciò anche per i cattolici, contribuire a far sì che le leggi dello Stato siano ispirate ai propri convincimenti ma questo diritto dovere non è la stessa cosa che esigere una piena identità tra i propri valori e la legge. E' in questa complessa dinamica che si esprime la responsabilità dei cattolici nella vita politica. Urgente si è fatta l'esigenza della formazione del laicato cattolico alle responsabilità della democrazia. Perché mai l'Italia e i cattolici italiani debbono sempre esser trattati come "il giardino della Chiesa"?".
L'autore di questa pagina è Pietro Scoppola e la data è del febbraio 2001, nel pieno d'una campagna elettorale che si concluse con la vittoria di Berlusconi e del suo cattolicesimo ateo e paganeggiante. Ma potrebbe essere stata scritta anche oggi con la stessa attualità”.
Sempre Scalfari nell’articolo del 5.8.2007 su Repubblica fa considerazioni quanto mai attuali:
“… la questione cattolica si è riacutizzata per varie ragioni, la prima delle quali è l'emergere sulla scena politica dei temi bioetici con tutto ciò che comportano.
La seconda ragione deriva dalla linea assunta da Benedetto XVI che ritiene di spingere il più avanti possibile le forme di protettorato politico-religioso che il Vaticano esercita in Italia, per farne la base di una "reconquista" in altri paesi a cominciare dalla Spagna, dal Portogallo, dalla Baviera, dall'Austria e da alcuni paesi cattolici dell'America meridionale. Le capacità finanziarie dell'episcopato italiano forniscono munizioni non trascurabili per sostenere questo disegno che ha come obiettivo l'esportazione del modello italiano laddove ne esistano le condizioni di partenza.
A fronte di quest' offensiva le "difese laiche" appaiono deboli e soprattutto scoordinate. Si va da forme d'intransigenza che sfiorano l'anticlericalismo ad aperture dialoganti ma a volte eccessivamente permissive verso i diritti accampati dalla "gerarchia". Infine permane il sostanziale disinteresse della sinistra radicale, che conserva verso il laicismo l'antica diffidenza di togliattiana memoria”.
Una riflessione di Michela Murgia: L'attuale papa sembra convinto che chi è sprovvisto di quella meravigliosa ipermetria dell’anima che è la fede non ha ragione di sperare alcunché, e deve fare i conti con una fatica del cammino che sembra senza meta, quindi senza senso. La speranza così espressa coincide con l’idea “dell’andare a buon fine”, e sottintende il pensiero che il senso sia dopo e altrove; non ora, non qui.
Difficile accontentarsi di questa visione riduttiva per chi come me chiama “speranza” la certezza intima che le cose che facciamo secondo coscienza abbiano un senso che non si misura con la loro percentuale di effettivo compimento.
Se Dio alla fine di tutto malauguratamente decidesse di non esistere, e scoprissi che per sempre ho creduto nel Nulla Silenzioso che non può essere meta di nessuno, non mi viene in mente niente di quello che ho compiuto con sincera fede che potrebbe parermi inganno o inutile fatica. Né il perdono, né l’impegno, né il dolore condiviso, né la gioia offerta e presa. Nemmeno la fatica, perchè il vento forte in bici sulla faccia vale la pena di sentirlo anche se poi alla fine della discesa non c’è nessuno a dirti bravo.
5. Un altro messaggio di speranza è possibile
Marcelo Barros, “Dio è amore. E la Chiesa ?”
I brani che seguono sono tratti da un articolo di Marcelo Barros pubblicato da Adista il 28 luglio 2007:
“[...] Giovanni XXIII ha cercato di tradurre in mille modi la vocazione divina all’amore. Egli diceva che esistono due modi di presentare la fede. Uno divide e segrega. L’altro unisce e attrae. I cattolici dovrebbero imparare a presentare sempre la fede non in modo che divida ma in modo che unisca le persone. Egli sapeva che un modo arrogante di difendere la verità la separa dall’amore e finisce per tradire la stessa verità. Il salmo dice “Misericordia e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno”. Che resta di una verità il cui contenuto deve essere l’amore, se la preoccupazione di assolutizzare una determinata espressione di questa verità in se stessa è tanto forte da aggredire gli altri e far soffrire i fratelli ? Come riconoscere la verità nell’intolleranza e in un gretto assolutismo ?
[...] Oggi molte nobili cause dell’umanità dipendono dal dialogo e dall’impegno delle diverse Chiese e religioni. Per questo, come pure per obbedire all’orientamento di Gesù, molti cristiani cercano di vivere una “diversità riconciliata”, in cui ogni Chiesa mantenga la propria identità e valorizza elementi delle altre. Dom Helder Camara amava dire :”Nessuno (possiamo applicarlo alle Chiese) è così povero da non avere qualcosa da dare e nessuno è tanto ricco da non poter ricevere”. Da decenni le Chiese Evangeliche hanno imparato ad avvicinarsi di più alla tradizione liturgica della Chiesa Cattolica. Questa, che si era in gran parte allontanata dal contatto quotidiano con la Bibbia, ha nuovamente imparato dalle Chiese Evangeliche a fare di questo libro il proprio orientamento di vitalità e di spiritualità.
Il Concilio Vaticano II fu convocato dal papa buono Giovanni XXIII per riunire le Chiese divise. Per quanto l’esegesi dei suoi testi possa essere discussa, l’intenzione dei vescovi era saggiamente quella di valorizzare le altre confessioni come comunità di salvezza, vere Chiese-sorelle, e porre fine allo scandalo della divisione. E’ in questo spirito che imploro l’ispirazione dello Spirito santo sulle Chiese attuali perché nessun cattivo esempio venga imitato. Sarebbe terribile se il mondo, abituato ai campionati di calcio, avesse ora un campionato di Chiese, ciascuna definendosi l’unica vera , nella quale sussiste la totalità della Chiesa di Cristo.”
Un Articolo di Enzo Mazzi sull’Unità “La paura” 3 dicembre 2007
L’enciclica Spe salvi di Benedetto XVI e la condanna del relativismo che informerebbe le istituzioni internazionali confermano la grande difficoltà che nella società plurale ha la gerarchia cattolica a sostenere il carattere assoluto e quindi unico e immutabile della verità di cui si ritiene portatrice o annunciatrice.
“Un mondo senza Dio è un mondo senza speranza - scrive Ratzinger citando Paolo apostolo - … noi abbiamo bisogno delle speranze – più piccole o più grandi – che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino. Ma senza la grande speranza, che deve superare tutto il resto, esse non bastano. Questa grande speranza può essere solo Dio, che abbraccia l'universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere. Proprio l'essere gratificato di un dono fa parte della speranza. Dio è il fondamento della speranza – non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l'umanità nel suo insieme”.
Questo ritengo che sia il fulcro di tutta l’enciclica. Vi si rivela, a mio modo d’intendere, la paura che da due secoli assedia la gerarchia cattolica, con la parentesi di papa Giovanni e del Concilio: divenire insignificante in un mondo emancipato dal dominio del sacro e dell’assoluto.
Il linguaggio dei papi in questi due secoli si è affinato, non c’è dubbio, ma la sostanza resta quella: la grande paura che la modernità renda superflua la Chiesa.
Conviene rivisitare i documenti antimodernisti che si sono succeduti dall’Ottocento, i quali con linguaggio talvolta più ruvido, ma anche più esplicito, esprimono la stessa paura di Ratzinger.
L’enciclica Quad apostolici muneris di papa Leone XIII, del 1878, esprime drammaticamente la paura che “lo stesso Autore e Redentore del genere umano sia espulso insensibilmente e a poco a poco dalle Università, dai Licei e dai Ginnasi e da ogni pubblica consuetudine della vita”. E’ un documento poco conosciuto, tenuto quasi nascosto per il carattere sconvolgente con cui denuncia i mali dell’epoca moderna; meglio enfatizzare l’altra enciclica dello stesso papa, la Rerum novarum, per la quale egli è divenuto famoso, che è ritenuta una svolta ma che nella sostanza dice le stesse cose:
Ritengo utile, per illuminare e capire il senso intimo dell’enciclica di Ratzinger, citare un po’ ampiamente la Quad apostolici muneris:
“Queste audaci macchinazioni degli empi, che ogni giorno minacciano all’umano consorzio più gravi rovine e tengono in ansiosa trepidazione l’animo di tutti, traggono principio e origine da quelle velenose dottrine che, sparse nei tempi passati quali semi malsani in mezzo ai popoli, diedero a suo tempo frutti così amari. Infatti Voi ben conoscete, Venerabili Fratelli, che la guerra implacabile mossa fin dal secolo decimosesto dai Novatori contro la fede cattolica, e che venne sempre crescendo fino ai giorni nostri, ha per scopo d’aprire la porta a quelle idee e, per dir più propriamente, ai deliri della ragione abbandonata a se stessa, eliminata ogni rivelazione e rovesciato ogni ordine soprannaturale. Tale errore, che a torto prende nome dalla ragione (il razionalismo, l’illuminismo, il relativismo - ndr), siccome solletica e rende più viva l’innata bramosia d’innalzarsi, ed allenta il freno ad ogni sorta di cupidigie, senza difficoltà s’introdusse non solo nella mente di moltissimi, ma giunse anche a penetrare ampiamente nella società civile. Quindi con empietà nuova, sconosciuta perfino agli stessi pagani, si costituirono Stati senza alcun riguardo a Dio ed all’ordine da Lui prestabilito; si andò dicendo che l’autorità pubblica non riceve da Dio né il principio, né la maestà, né la forza di comandare, ma piuttosto dalla massa popolare la quale, ritenendosi sciolta da ogni legge divina, tollera appena di restare soggetta alle leggi che essa stessa a piacere ha sancite. Combattute e rigettate come nemiche della ragione le verità soprannaturali della fede, si costringe lo stesso Autore e Redentore del genere umano ad uscire insensibilmente e a poco a poco dalle Università, dai Licei e dai Ginnasi e da ogni pubblica consuetudine della vita. Infine, messi in dimenticanza i premi e le pene della eterna vita avvenire, l’ardente desiderio della felicità è stato rinserrato entro gli angusti confini del presente. Con queste dottrine disseminate in lungo e in largo, e con tale e tanta licenza d’opinare e di fare accordata dovunque, non deve recare meraviglia che gli uomini della plebe, stanchi della casa misera e dell’officina, anelino a lanciarsi sui palazzi e sulle fortune dei più ricchi; non deve recare meraviglia che, scossa, vacilli ormai ogni pubblica e privata tranquillità, e che l’umanità sia giunta quasi alla sua estrema rovina”.
Il tono dell’enciclica è tutto su questo registro. E così si conclude indirizzando la denuncia soprattutto contro il socialismo:
“Stando così le cose, … ai popoli ed ai Prìncipi sbattuti da violenta procella … preoccupati dall’estremo pericolo che sovrasta, indirizziamo loro l’Apostolica voce; ed in nome della loro salvezza e di quella dello Stato di nuovo li preghiamo insistentemente e li scongiuriamo di accogliere ed ascoltare come maestra la Chiesa, tanto benemerita della pubblica prosperità dei regni, e si persuadano che le ragioni della religione e dell’impero sono così strettamente congiunte che di quanto viene quella a scadere, di altrettanto diminuiscono l’ossequio dei sudditi e la maestà del comando. Anzi, conoscendo che la Chiesa di Cristo possiede tanta virtù per combattere la peste del Socialismo, quanta non ne possono avere le leggi umane, né le repressioni dei magistrati, né le armi dei soldati, ridonino alla Chiesa quella condizione di libertà, nella quale possa efficacemente compiere la sua benefica azione a favore dell’umano consorzio. … Infine, siccome i seguaci del Socialismo principalmente vengono cercati fra gli artigiani e gli operai, i quali, avendo per avventura preso in uggia il lavoro, si lasciano assai facilmente pigliare all’esca delle promesse di ricchezze e di beni, così torna opportuno di favorire le società artigiane ed operaie che, poste sotto la tutela della Religione, avvezzino tutti i loro soci a considerarsi contenti della loro sorte, a sopportare la fatica e a condurre sempre una vita quieta e tranquilla”.
Che ha a che fare la finezza di Ratzinger con queste espressioni così ruvide? Oppure con l’affannosa difesa della verità rivelata contenuta nel Sillabo di Pio IX del 1864? Più vicina allo stile di Benedetto XVI può essere considerata l’enciclica Pascendi di Pio X, antimodernista per eccellenza, apprezzata però per la sua potenza filosofica e la sua coerenza, non per i contenuti, dai due principali pensatori «laici» dell’Italia del tempo, Benedetto Croce e Giovanni Gentile. La Pascendi ispirerà l’enciclica Humani generis di Pio XII e la Fides et Ratio di Giovanni Paolo II. Meno esplicitamente ma certo sostanzialmente ha ispirato a mio modo di vedere anche la Spe salvi. La quale presenta forti analogie con i precedenti pronunciamenti antimoderni del papato e soprattutto ha in comune con essi la paura e la difficoltà a rapportare la speranza e la fede teologali alle speranze e alle fedi terrene. I papi antimoderni compreso Benedetto XVI pensano in termini contrappositivi.
La parentesi di Papa Giovanni e del Concilio dimostra che la paura del mondo non è affatto connaturata alla fede cristiana, rende palese anzi il fatto che la paura è di ostacolo alla fede, la contraddice.
E’ divenuta famosa la denuncia che Roncalli fece all’apertura del Concilio l’11 ottobre 1962:
“A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo. Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza”. Ecco la chiave teologica di una fede non contrappositiva e priva di paura del mondo emancipato dal sacro e da Dio. Le speranze terrene non hanno bisogno di sbandierare il riferimento a Dio per essere autentiche. Dio ce l’hanno dentro per chi vede i “misteriosi piani”, anche se sono speranze laiche e di atei. Non è che sia una teologia priva di contraddizioni, ma intanto libera dalla paura e dal conflitto.
Fra i “profeti di sventura” vi sono adombrati i suoi predecessori? Un cosa si può dare per certa: alcuni sassolini dalla scarpa papa Giovanni se li è voluti levare dal momento che egli stesso era stato indagato per modernismo. La cosa lo aveva fatto tanto soffrire che una volta divenuto papa impedì al suo solerte segretario mons. Capovilla di distruggere il dossier contro di lui conservato al Sant’Uffizio. Volle che fosse conservato come monito.
Soprattutto è una presa di distanza esplicita dall’antimodernismo la grande lezione della teologia dei “segni dei tempi” proposta dalla Pacem in Terris” che vede e valorizza gli aspetti di speranza del cammino umano nell’ascesa del mondo operaio, nell’emersione della soggettività femminile, nella liberazione dei popoli.
Siamo agli antipodi del pensiero di Ratzinger il quale il quale disconosce il grande impegno di tanti cristiani e cristiane in tutto il mondo che portano quotidianamente il loro contributo di fede e di annuncio evangelico unendolo senza imposizioni, senza contrapposizioni e senso di superiorità, ai contributi di tutti gli uomini di buona volontà di qualsiasi fede, religione, cultura. Nell’incarnazione sta il contributo di speranza di questi cristiani conciliari; nella valorizzazione dei “segni dei tempi” e non nelle condanne sta la loro speranza.
PADRE NOSTRO DEI BAMBINI
Padre nostro che sei ovunque
sia santificato il tuo nome
e benedetto il nostro nome
Venga il tuo mondo di pace e di amore
Aiutaci ad essere sempre noi stessi
dappertutto e con tutti
Dai a tutti quello che serve per vivere
Perdonaci per i nostri sbagli
come noi perdoniamo gli sbagli degli altri
Aiutaci a prendere le decisioni più giuste
e rendici liberi di scegliere e di decidere
Non siate troppo solleciti per la vita vostra,
di quello che mangerete,
né per il vostro corpo,
di che vi vestirete.
La vita non vale più del cibo,
e il corpo più del vestito ?
Guardate gli uccelli del cielo :
non seminano, non mietono, non raccolgono in granai,
e il vostro Padre Celeste li nutre.
Ora, non valete voi più do loro ?
E chi di voi, per quanto si preoccupi,
può aggiungere alla durata della vita un solo cubito ?
Non vogliate dunque angustiarvi dicendo :
“cosa mangeremo? che cosa berremo? di che ci vestiremo?”
Di tutte queste cose, infatti, si danno premura i pagani.
Ora, il Padre Celeste sa che avete bisogno di tutto questo.
Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua Giustizia,
e tutte queste cose vi saranno date per giunta.
Non vogliate,dunque, mettervi in pena per il domani,
poiché il domani avrà cura di se stesso.
A ciascun giorno basta il suo affanno.