L’ESPERIENZA DEL LABORATORIO KIMETA
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34474. FIRENZE-ADISTA. Nel quartiere dell’Isolotto, a Firenze, sono mani di donne quelle che tessono le trame dell’integrazione e del dialogo col popolo rom, in questo momento in cui l’intolleranza e la xenofobia sembrano non lasciare spazio alla speranza: sono le donne del progetto Kimeta che da cinque anni hanno dato vita ad un piccolo laboratorio di cucito e stireria. Proprio nel 2003, ad aprile, prendeva infatti avvio un’esperienza di solidarietà femminile tra donne appartenenti all’associazionismo, alla Comunità di Base dell’Isolotto, alle istituzioni del quartiere e al campo rom del Poderaccio: esperienza raccontata dalla viva voce delle protagoniste nel volume “Mani di donne” curato da Luciana Angeloni e stampato dalla Regione Toscana (il libro può essere richiesto al "Laboratorio Kimeta", via Modigliani 125 ‑ 50142 Firenze; tel. 055/7332192; e‑mail: lucianaangeloni@tosnet.it). La strada tentata è quella che “passa attraverso la lenta decostruzione della fissità delle relative appartenenze culturali e l’altrettanto lenta costruzione condivisa della ‘comunità oltre i confini’”. Il Laboratorio di cucito e stireria è, nelle intenzioni e nei fatti, attività di cura per le persone e per le cose: i prezzi non sono calcolati col metro del profitto, ma in base ad un difficile equilibrio tra dignità di chi offre il servizio e di chi ne usufruisce. Recuperando questa “antica cultura della cura”, si è restituito a queste donne la loro soggettività e il loro ruolo, persi in una società dell’“in-curanza” in cui “l’usa e getta ha coperto di rifiuti non solo la faccia della terra ma anche la memoria, le competenze accumulate in millenni di cultura dell’attenzione amorosa per la vita, della preoccupazione e responsabilità verso le persone”.
I risultati, a cinque anni di distanza dall’inizio del progetto, sono tangibili: nelle relazioni intrecciate, nei pregiudizi abbattuti, nell’emancipazione delle donne rom che, pur rappresentando un elemento fondamentale nell’economia familiare, vivono in un contesto fortemente patriarcale e maschilista. Le parole di Paola, raccolte in “Mani di donne”, rendono appieno il senso di questa esperienza: “Penso a come mi dispiace non averle conosciute nel loro ambiente queste donne. Sabilja che correva a gara coi maschi nella neve e non voleva che il fratello sparasse agli animali nel bosco, Zenepa che si aggirava nell’orto a scovare i piccoli cetrioli teneri di nascosto dalla suocera, Scegersada che saliva a piedi i molti piani della casa del babbo quando l’ascensore era rotto. Proprio come da noi. Magari si potrebbe anche aggiungere che l’uguaglianza preesiste, è il dato biologico, la diversità viene dopo, è accidentale e spesso porta con sé povertà e svantaggi notevoli. Per questo possiamo stare insieme e parlarci perché sotto la diversità affiora quello che abbiamo in comune”.
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