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Resoconto/documento
della Assemblea comunitaria domenica 19 settembre 2010 sul tema:
Quale città vogliamo? E’ possibile fare in modo che la consultazione sul piano strutturale fiorentino sia una vera partecipazione di cittadini coscienti di essere protagonisti delle scelte che riguardano la città?
La socializzazione, alla quale hanno contribuito anche alcuni consiglieri del Q4, è stata introdotta da alcune persone della Comunità che a nome di tutti avevano partecipato al percorso partecipativo al piano strutturale.
Il brano evangelico “Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” è stato applicato secondo la prassi comunitaria all’etica della centralità della persona umana: la città deve essere fatta per l’uomo e non viceversa.
Sono state perciò valutate come condivisibili nelle intenzioni le seguenti parole tratte dalle conclusioni del documento definitivo sul piano strutturale proposto dal Comune di Firenze:
[…] pensiamo a quale città vogliamo realizzare insieme. Ma per interrogarsi su una simile prospettiva non possiamo partire dai singoli progetti, dalla tecnica La prima domanda da porsi è di natura politica, e cioè: in quale città vogliamo vivere?
Quali sono le caratteristiche “umane”, prima ancora che architettoniche, che vogliamo dare al nostro territorio? La centralità dell’uomo è, del resto, una tradizione fondante per Firenze, che ne è informata nella sua prima essenza: le sue strade, i suoi edifici storici parlano chiaramente di un’umanità privilegiata sull’arte, ma anzi di arte al servizio dell’uomo, per esaltarne la bellezza e le capacità.
Cosa vogliamo fare di questa nostra città è il punto di partenza per proseguire lungo la strada che da secoli la nostra comunità si è prefissa. E la parola comunità non viene usata a caso: è proprio per sottolineare il valore comunitario che una città possiede, che vogliamo pensare a Firenze come un luogo di incontro e non semplicemente di convivenza.
Il degrado peggiore che dobbiamo combattere non è strutturale, ma sociale: si chiama solitudine. Per questo non partiamo dai volumi ma dagli spazi per stabilire la nostra Firenze futura. Il vero progetto parte da qui: dalle piazze e dai giardini.
Da un’immagine della città che corrisponda alla comunità che la abita: una città viva e vivace, compatta e capace di incontrarsi. Una città che discute, che fa del dialogo il suo primo strumento di civiltà. Una città che accompagna e non separa: la città della fratellanza, della solidarietà. Firenze è tutto questo: vogliamo che la mappa che la disegna ne riproduca le caratteristiche sociali prima ancora che morfologiche. Vogliamo che le architetture che ne delineano il profilo ne stimolino la vera essenza. E non il contrario. Una città insomma a misura d’uomo, che vede in esso la ragione del suo essere. […]
Sono condivisibili oltre alle affermazioni generiche anche alcune affermazioni più specifiche, ad esempio quelle riguardanti il riuso dei cosiddetti “contenitori dismessi”, il potenziamento della rete ciclabile e del trasporto pubblico con rete tramviaria ed è certamente ad effetto e da giudicare favorevolmente l’affermazione che il piano strutturale ha l’obiettivo di “consumo zero di suolo”.
Questa ultima affermazione però è contraddittoria con alcune proposte del piano, la più eclatante delle quali riguarda la realizzazione della cosiddetta “cittadella viola”: sorge quindi il dubbio se le buone intenzioni scritte e affermate potranno davvero attuarsi, o se ancora una volta si dovrà assistere al disconoscimento dei buoni propositi.
E qui è stata rilevata l’importanza della partecipazione. Proprio perché l’idea della partecipazione è profondamente radicata in chi frequenta la Comunità dell’Isolotto, non ci convince la modalità che è stata seguita per il percorso partecipativo al piano strutturale: troppo affrettato, senza momenti di conoscenza e approfondimento prima della fase di espressione delle opinioni su una materia così importante e complessa.
Non sono stati previsti momenti specifici per i giovani ai quali sarà consegnata la città che questo piano strutturale prefigura e non sono stati previste iniziative nelle scuole o in altri momenti educativi per coinvolgere i bambini in forma attiva.
Non ci convince anzi ci colpisce e ci preoccupa una visione verticistica che di fatto mette da parte le funzioni e le competenze dei Quartieri, i quali sono stati voluti da un forte movimento di base come strumento di coagulo della partecipazione responsabile creativa e che restano il tramite ideale e più prossimo fra i cittadini e l’Amministrazione.
Ci lascia quantomeno sconcertati l’assenza di pianificazione con i Comuni vicini (in particolare Scandicci e Sesto Fiorentino) che pare si siano mossi in totale autonomia (come in parte è anche giusto), con il risultato che le amministrazioni comunali di Firenze, Sesto e Scandicci danno l’immagine di coltivare ognuna il proprio orticello e di non aver voluto creare una occasione di visione comune sulle parti di territorio confinanti.
L’idea di città che ci piace è quella di una città fatta dall’uomo (e dalla donna!) per l’uomo, realizzata dalla creatività collettiva per le esigenze di socialità, un luogo in cui sia possibile e piacevole vivere bene: non una Disneyland per benestanti o un soprammobile da custodire nel salotto buono o un oggetto di politiche decise dall’alto, dal leader decisionista di turno; ma un posto dove tutti possano lavorare, studiare, passare il tempo, divertirsi, curare la salute, reinserirsi nella società attraverso strutture adeguate, dopo esperienze distruttive ed emarginanti, partecipare da cittadini attivi e non solo passivi fruitori di servizi, al più consultati solo in modo formale e non di rado populistico, ma creatori di politiche costruttive, di iniziative dal basso, di un associazionismo solidale che va assunto come soggetto politico di primaria importanza.
Esprime appieno i nostri sentimenti e la nostra consolidata prassi Gustavo Zagrebelsky nel suo intervento sulla democrazia tenuto alla Festa dei Democratici a Torino:
“La società civile esiste, ma è un´altra cosa: è l´insieme delle persone, delle associazioni, dei gruppi di coloro che dedicano o sarebbero disposti, se solo ne intravedessero l´utilità e la possibilità, se i canali di partecipazione politica non fossero secchi o inospitali, a dedicare spontaneamente e gratuitamente passione, competenze e risorse a ciò che chiamiamo il bene comune... Quando si parla di politica e di sua crisi, perché l´attenzione non si rivolge a questo potenziale serbatoio di energie? Non per colonizzarle, ma per trarne, rispettandone la libertà, gli impulsi vitali. In fin dei conti, sono questi “servitori civili”, quelli che più di altri conoscono i problemi e le difficoltà reali della vita nella nostra società. C´è più sapienza pratica lì che in tanti studi accademici, libri, dossier che spesso si pagano fior di quattrini per rimanere a giacere impilati….”.
La Comunità dell’Isolotto
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