Comunità dell'Isolotto - Assemblea domenicale. Incontro dell' 8 Febbraio 2015
da sinistra: Carmen, Danilo, Giuseppe, Noemi, Mauro.
Ecclesiastico 31,13-30
Questo brano dell'Ecclesiastico è un carme in lode della
Sapienza, che è stato messo a conclusione della raccolta di riflessioni
sapienziali di un certo Gesù, figlio di Sira, vissuto all'inizio del II sec.
a.C., in un tempo in cui la Palestina passa sotto il dominio del Regno
ellenistico di Siria e vi è un forte impulso all'ellenizzazione della cultura e
della religione ebraica. L'autore rivendica l'importanza della Sapienza, che
egli identifica con la legge mosaica e quindi con le origini del popolo
ebraico. Andar dietro alla moda ellenistica, soprattutto da parte dei giovani,
significa per lui perdere il contatto con le proprie radici e vanificare il
senso della propria vita e della propria identità.
Gesù, figlio di Sira, è ormai
anziano e quella sapienza che lui ha accumulato durante la sua vita, sia con lo
studio che con l'esperienza, la vuole comunicare alle giovani generazioni,
perché sappiano come orientarsi e come dare significato alla propria esistenza.
Ma il fatto stesso che decida di scrivere un libro è l'indicazione di un
contesto che egli percepisce attorno a sé: un clima culturale poco propenso a
valorizzare il passato. Si ricerca il nuovo, la cultura vincente che può dare
prospettive per il futuro, ma questa non può appagare l'anima, perché non colma
il vuoto lasciato dall'abbandono del passato. La sapienza non è una merce che
si acquista con il denaro, non bisogna nemmeno fare tanti sforzi per
acquisirla, perché è un processo naturale; non bisogna cercarla lontano, perché
essa è vicina, anzi è dentro di noi. Questa è la vera ricchezza da ricercare,
che non ci farà vergognare di fronte agli altri per un senso di inferiorità.
Si sente qui l'orgoglio di un
uomo anziano che pensa di aver trovato un senso alla propria vita e che è
desideroso di comunicarlo ai giovani con un insegnamento che procura
soddisfazione sia negli alunni, sia nel maestro, che sente con ciò valorizzata
la sua vita.
In effetti anticamente il ruolo degli anziani era
fondamentale per l'educazione dei giovani, perché questi potevano far tesoro
dell'esperienza che l'anziano trasmetteva ed evitare eventuali fallimenti nella
propria attività. C'era cioè una continuità nella maturazione della coscienza
di un popolo, una continuità che dava garanzie di sicurezza per un giovane che
si inseriva in un ruolo sociale.
Attualmente si è perso questo anello di congiunzione, per
cui l'anziano si sente spesso privato di un ruolo educativo, anzi si sente di
peso agli altri, spesso sopportato nelle sue debolezze ed estromesso dalla vita
familiare. Le cause di questa situazione sono diverse: oggi le conoscenze
vengono acquisite in gran parte attraverso i mass-media e in particolare
internet, scavalcando il rapporto interpersonale, e poi c'è una cultura che
enfatizza la giovinezza, per cui i giovani rifuggono istintivamente dal modello
degli anziani. D'altra parte il mondo ha avuto un'accelerazione dello sviluppo
talmente rapido che gli anziani si trovano incompetenti non solo nella
manipolazione degli strumenti tecnologici, ma anche le loro passate esperienze
risultano obsolete, non più fruibili dai giovani che si trovano in un contesto
sociale fortemente cambiato, sia in famiglia, sia al lavoro, sia anche rispetto
all'uso delle droghe ecc.
Allora in questo quadro di
sviluppo frenetico, spesso disordinato, quale può essere il ruolo positivo
dell'anziano nella società?
Lettera agli amici – Riflessioni di un
anziano
Fra i medici si discute di
spostare da 65 anni a 70 la soglia convenzionale dell' inizio della vecchiaia
ed è diffuso il desiderio di prolungarla, vivere cioè più a lungo. Ogni 2 – 3
anni, è stato confermato che l' età
media era in crescita. Ma credo che sia opportuno non esagerare. Il progresso
allontana il momento finale, ma non si è ancora trovata la ricetta per
allontanare i segni della tarda età: la prestanza fisica che si riduce, la
rinuncia a tante cose, le più banali, come una girata in città, che ci
procurava piacere, l' aumento della fragilità, il dolore degli acciacchi, la
sfiducia nei propri mezzi, il degrado della propria facoltà intellettiva, la
dimenticanza del lessico, le parole giuste al momento giusto. Un antropologo ha
scritto “Invecchio dunque vivo, sono invecchiato dunque vivo, avere la nostra
età significa vivere e i suoi segni sono segni di vita”. Qualcuno ha scritto
che la vecchiaia ha un suo fascino; è bello invecchiare, ed io cercherò di
vivere la mia vecchiaia possibilmente con letizia. Altri sono di parere
contrario. Su una tomba etrusca è stata scritta una maledizione ”Colui che
viola questa tomba possa morire ultimo dei suoi cari”.
Comunque c'è anche l'avvilimento
del mio orgoglio per dover ricorrere agli aiuti degli altri, anche se questo è stato superato, tanto da dirmi
fortunato, perché ho trovato in tutti voi e nei miei figli una disponibilità e
gentilezza che mi commuove. Nella solitudine, imposta dalla mia condizione,
talvolta, guardandomi allo specchio, non mi riconosco e ritorna imperioso il
ricordo di mio padre, al quale assomigliavo. Mio padre artigiano sarto,
ottimista per natura, serio e bravo nel suo lavoro, sorridente e gioioso con
tutti i bambini, aveva avuto una vita dura, partecipato alla guerra del 15/18,
aveva una famiglia di sette persone, antifascista, aveva superato tutte le
prove più difficili con serenità. Giunse a 88 anni, in buona salute. Colpito
dalla demenza senile, aveva perso la testa e a malapena riconosceva tutti noi
familiari. Abitava con mio fratello che stava vicino a me. Un paio di volte lo
riportarono a casa perché sul bavero del cappotto avevano attaccato un
biglietto col nome, indirizzo e n° telefono. In casa non voleva stare anche se
mio fratello gli aveva nascosto le chiavi di casa per prudenza. Un giorno uscì
come al solito e non tornò a casa. Lo cercammo senza riuscire a trovarlo, ma
più tardi arrivò una telefonata da Borgo a Buggiano che ci sollevò. Sapemmo poi
che lui col treno era tornato al suo paese natale e era andato a bussare alla
casa dove aveva abitato 70 anni prima per trovare la sua mamma. Nonostante le sue
impazienti e ripetute domande, alla fine fu costretto ad andarsene incredulo,
smarrito e disperato perché non riusciva a capire. Un sarto suo vecchio amico,
più giovane, passando lo trovò seduto su uno scalino, piangente e disperato, lo
riconobbe. Poi telefonò a mio fratello che lo riportò a Firenze. Questo episodio,
che non ho mai potuto dimenticare, lo ricordai qualche anno dopo con queste
parole che sgorgarono spontaneamente dalla tragicità commovente di quel giorno.
Piangeva mio padre
sulla sua mente sconvolta
sulla sua memoria perduta
Piangeva mio padre
come un bimbo
che nascendo
sente intorno a sé
l' ostilità di un mondo sconosciuto
Piangeva mio padre
perché perduta la strada
non riusciva ad approdare
a un lido amico
Piangeva perché
i vivi per lui
erano morti
e i morti vivi
e più non distingueva
il sogno dalla realtà
(Danilo)
Considerazioni di Noemi
Voglio prima di tutto
scusarmi per l'argomento che non è certo gradevole.
Ma io e Danilo siamo ad un
punto della vita che pone dei problemi particolari. Perché non socializzarli?
Questa vita che ci è tanto
cara, marcata dalla sua limitatezza, piena di contraddizioni che non riusciamo
a capire, che mescola sentimenti di paura alla fatica di viverla il più possibile
nella serenità dell'attesa.
Questo sentire ci distanzia
sempre più dai giovani, perché il mutamento sempre più rapido capovolge il
rapporto di chi sa e chi non sa.
Il vecchio non è più il
saggio che può trasmettere, raccontare come una volta le tradizioni ed i
valori. Quanto più rimane ancorato ai suoi punti di riferimento, tanto più si allontana
dal tempo in cui vive.
Il mondo presente e futuro è
così fatto d'immaginazioni che la maggioranza di noi misconosce. Essere vecchi vuol dire essere quasi sempre
stanchi con acciacchi più o meno gravi, ogni giorno una rinuncia, di rapporti,
di amicizia, d'impegni.
Si cambia lentamente,
prendiamo anche la distanza dalle cose, si azzera la vita sociale.
Oltretutto il sostegno
affettivo non viene certo dalle strutture pubbliche che non ci sono. Le
famiglie patriarcali che abbiamo tanto osteggiato non ci sono più.
Le nuove famiglie composte da
genitori e figli senza disponibilità di tempo e senza spazio nelle case, non
sono più soggette a relazioni autoritarie o invadenti, ma mancano spesso di
relazioni affettive che generano emozioni e vicinanza.
I legami familiari simbolici
spesso si rivalutano dopo la scomparsa dei componenti più vecchi.
Questi se hanno la fortuna di
essere frequentati dai nipoti sono ripagati da un amore intenso e
disinteressato che compensa ampiamente tutte le rinunce che ho elencato.
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