Il sale della Terra
riflessioni
di Carlo, Claudia, Gisella, Luisella, Maurizio,
con
la proiezione di foto di Sebastiao Salgado e la lettura di alcune sue parole
Lettura dal Levitico
E ogni offerta che offrirai, la condirai con
sale,
e non lascerai la tua offerta mancare di sale,
segno del patto del tuo Dio.
Su tutte le tue offerte offrirai del sale.
Lettura dal Vangelo di Matteo
Prendendo allora la parola, diceva loro:
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno
dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
[…]
Voi siete il sale della terra;
ma se il sale perde il sapore,
con che cosa lo si può render salato?
A null'altro serve che ad essere gettato
via e calpestato dagli uomini.
Ci vogliamo
soffermare in particolare sulla ultima parte della lettura: prendiamo spunto da
un commento a questo brano di Alberto Maggi, il quale dice “… qual è il
significato di questo sale? Da sempre nell’antichità il sale aveva una
grandissima importanza per la conservazione degli alimenti. Da questa esigenza
pratica il sale diventò simbolo di ciò che rende valida e duratura una
alleanza, che la conserva nel tempo, tanto che, per dare valore ad un documento
vi si spargeva sopra del sale. Nell’Antico testamento il sale è così diventato
simbolo dell’alleanza di Dio con il suo popolo: nel libro del Levitico si legge
“non lascerai mancare il sale
dell’alleanza del tuo Dio”. Quindi il sale rende valida e continua l’alleanza
fra Dio e il suo popolo”. Ma a quale
alleanza si riferisce, Gesù? Quando Gesù dice “voi siete il sale della terra?”
ha appena proclamato le beatitudini; quindi è il mondo delineato con le
beatitudini la nuova alleanza, e Gesù chiama chi lo segue e condivide questa
prospettiva a realizzarla, ad esserne garante, ad essere appunto sale. “I
discepoli, con il loro atteggiamento e con la loro vita, devono essere i garanti
di tutto questo. Ma se il sale perde il sapore (letteralmente, impazzisce), è
come colui che costruisce la sua casa sulla sabbia; quindi il sale che
impazzisce indica l’atteggiamento dei discepoli che accolgono il messaggio di
Gesù ma non lo mettono in pratica. Se i discepoli non saranno fedeli
meriteranno soltanto il disprezzo della gente; la gente che attende dai
discepoli una alternativa a questa società, una modalità diversa nella vita”.
Lettura da “Ecologia profonda, spiritualità e
liberazione”
E’ difficile
sapere se il collasso delle specie viventi più sviluppate – compresa l’umana –
sia orami irreversibile o se ci sia posto per una soluzione. Ciò che è indiscutibile
è che tutti gli allarmi sono stati lanciati, che la responsabilità principale è
dell’azione umana e che solo una svolta drastica della civiltà potrà evitare il
disastro generale.
La specie
umana, meravigliosa forma della Vita, risulterà un cancro per tutto il pianeta,
questo meraviglioso pianeta? Il momento è grave. E’ in gioco la vita di tutti.
E’ ora di stringere un patto solenne per la comunità della vita sul pianeta.
(…)
E’ ora di
ricordare che la Terra non ci appartiene. Noi apparteniamo alla Terra, che
appartiene a tutti gli esseri viventi. (…) E’ ora di fermare la macchina – letale
per tutti, soprattutto per gli esseri più vulnerabili – della crescita
illimitata, della massima produzione possibile e della speculazione senza
scrupoli: l’economia al servizio dell’arricchimento. E’ necessario che tutti
apprendiamo a vivere meglio con meno. Ed è urgente che alcuni Paesi decrescano
perché altri possano vivere. Il pianeta non potrà sopravvivere senza un
autentico eco-socialismo planetario (..) La Vita ci spinge con urgenza verso
un’ecologia profonda, o – che è lo stesso, verso una spiritualità
eco-liberatrice, più in là di ogni frontiera culturale, politica e religiosa.
[il testo
del teologo spagnolo José Arregi è tratto dal doppio numero (II e III sem
2014) della rivista Voices nel quale l’Associazione dei teologi e delle
teologhe del terzo mondo hanno scritto una lunga riflessione da titolo “Ecologia
profonda, spiritualità e liberazione”. Si veda anche Adista n.46 dic. 2014]
Lettura da “Liberare la terra” di Leonardo Boff
“Gli ultimi
secoli si sono distinti per una infinità di scoperte : continenti, popoli,
specie viventi, galassie, stelle; ma non abbiamo scoperto la Terra come
pianeta, come nostra casa comune, finché non ce ne siamo allottanti. E’ stato
necessario uscire dalla Terra per vederla dal di fuori e constatare la Terra-umanità. […]
Il profeta,
in senso biblico, non è quello che prevede il futuro. E’ colui che analizza il
presente, identifica tendenze, ammonisce e perfino minaccia. Annuncia il
giudizio di Dio sul corso presente della storia e fa promesse di liberazione dalle
calamità. In fondo, afferma “se continuerà questi tipo di comportamenti da
parte dei dirigenti del popolo, fatalmente succederanno disgrazie.” Le sciagure sono conseguenze delle violazioni
di leggi sacre.
Leggendo
tutti i profeti dell’Antico Testamento e
anche gli avvertimenti di Gesù, è facile che vengano in mente gli attuali
dirigenti e il loro comportamento irresponsabile di fronte agli scenari che si
stanno profilando per la Terra, per la biosfera
e l’eventuale destino della nostra civiltà.
Nel contesto
drammatico del VIII secolo a. C. il profeta Isaia ammonisce “avverrà lo stesso
al creditore e al debitore, sarà tutta devastata la terra. la terra è stata
profanata dai suoi abitanti perché hanno trasgredito le leggi, hanno
disobbedito al decreto, hanno infranto l’alleanza eterna. per questo la
maledizione divora la terra, e i suoi abitanti ne scontano la pena. A pezzi
andrà la terra, rovinosamente crollerà come un ubriaco, vacillerà come una
tenda, arrostirà la luna, impallidirà il sole.”
Non si sono
forse viste scene simili con gli tsunami, i grandi tornadi e tifoni, La gente
non è rimasta sgomenta di fronte a queste devastazioni?
Nonostante
tutti gli scenari di distruzione, la parola profetica termina sempre con
accenti di speranza; dice il profeta Isaia: ”Dio strapperà su questo monte il
velo che copre la faccia di tutti i popoli, il Signore asciugherà le lacrime su
ogni volto, e si dirà in quel giorno: ecco il nostro Dio, in lui abbiamo
sperato perché ci salvasse.”
Oggi ci
rendiamo conto che la Terra è un piccolo pianeta, vecchio e limitato, che non
sopporta più i progetti di sfruttamento illimitati. Dobbiamo cambiare il
modello di produzione e assumere altre abitudini di consumo, dobbiamo produrre
in funzione dei bisogni dell’umanità, in armonia con la Terra, rispettandone i
limiti, in uno spirito di equità e di solidarietà con le generazioni future.
Questo richiede un nuovo paradigma di civiltà, diverso da quello che predomina
oggi.
Oggi, di
fronte ad una realtà mutata, la domanda che dobbiamo porci è : come produrre,
vivendo in armonia con la natura, con gli esseri viventi, con gli esseri umani
e con il trascendente?
A seconda
delle risposte che verranno date si deciderà se ci saranno o no una prosperità
senza crescita per i paesi sviluppati e una con crescita per quelli poveri ed
emergenti.
Gli ultimi
secoli sono stati caratterizzati da interventi sistematici sui ritmi della
natura, al punto di renderci sordi alla musicalità degli esseri e ciechi alla
grandezza del cielo stellato. Così abbiamo perduto l’esperienza della sacralità
dell’universo. Al suo posto è subentrata una profanità che riduce l’universo a
una realtà inerte, meccanica e matematica, e la Terra ad un semplice
magazzino di risorse riservate alle
necessità umane. E’ stata tolta la parola a tutte le cose, affinché solo la
parola umana esercitasse il dominio.
1. Introduzione:
perché raccontiamo questa storia
Sebastiao
Salgado è un fotografo di origine brasiliana. Le sue foto sono conosciute in
tutto il mondo ma la sua storia, le sue scelte umane e professionali e il suo
sguardo sul mondo sono poco note e, a nostro avviso, ci riguardano, ci
coinvolgono, in qualche modo in esse ci riconosciamo.
Inoltre dopo aver attraversato un periodo
difficile, nel quale si accorge di essersi ammalato nel fisico e nell’anima, a
causa di tutto il dolore che aveva accumulato negli anni per aver visto e
documentato molte situazioni di violenza, di guerre fratricide, di distruzione
(un dolore che gli aveva fatto perdere la sua connaturata fiducia nell’umanità e
nelle possibilità di cambiamento), ha trovato un percorso di rinascita che gli
ha ridato speranza e fiducia. Un percorso che ci sollecita e ci conforta perché
offre a tutti noi elementi di speranza e semi di positività.
Per raccontare questa storia abbiamo tratto
informazioni dal libro “Dalla mia terra alla terra” (Ed
Contrasto), dal film-documentario “Il sale della terra” (di Wim
Wenders) e dalla sua ultima mostra fotografica “Genesi”.
2. Dalla mia terra alla Terra - storia di Sebastiao Salgado
e Leila Wanich[1]
L’infanzia,
la terra e la luce: Sebastiao è nato nel 1944 nello Stato di Minas
Gerais in Brasile, nella grande e verdissima valle del Rio Doce. La sua
famiglia possedeva una fattoria che dava lavoro e sostentamento a 30 famiglie;
vi si producevano riso, mais, pomodori, patate, frutta; vi si allevavano maiali
e bovini. Nessuno era ricco e nessuno era povero.
Sebastiao ha vissuto l’infanzia a contatto con
la natura della foresta atlantica ricchissima di biodiversità, di ogni tipo di
piante e di animali; un territorio immenso dove ha imparato a percorrere a
piedi anche grandi distanze.
“Di questa terra ho ricordi
meravigliosi. Giocavo nei grandi spazi, c’era acqua ovunque. Nuotavo nei corsi
d’acqua che erano pieni di caimani, che non attaccano l’uomo contrariamente a
quanto si crede. Avevo un cavallo … e io galoppavo fino al confine della tenuta
[…] Sono abituato ai grandi spazi e agli spostamenti: a dormire una notte in un
posto, quella dopo in un altro. Quando ero molto giovane i miei genitori mi
lasciavano andare a visitare le mie sorelle… già sposate, che abitavano
lontano. Percorrevo da solo distanze equivalenti a quelle tra Parigi e Mosca.
Le vie di comunicazione non erano facili. Una parte del tragitto si faceva a
piedi. Così ho imparato molto presto a viaggiare. […] Qui ho imparato a vedere
e ad amare le luci che mi hanno seguito per tutta la vita. […] Sono cresciuto
con le immagini di cieli carichi trafitti dalla luce. E queste luci sono
entrate nella mie fotografie”.
La
formazione, la militanza politica, l’esilio: a 15 anni lascia la
fattoria per andare nella capitale dello Stato di Espiritu Santo per iscriversi
all’università. Qui vive con altri giovani, comincia a interessarsi di
politica, trova un lavoro per mantenersi, si appassiona agli studi di economia,
anche perché sono anni in cui cresce nei giovani il desiderio di dare il
proprio contributo per far uscire il Brasile dall’arretratezza. Così scrive di
Juscelino Kubitschek, presidente dal 1956 al 1961: “Con lui il Brasile ha iniziato a
risvegliarsi da un lungo sonno di quattrocento anni e noi avevamo la sensazione
di vivere in un paese nuovo. Come molti giovani, anch’io avevo voglia di
partecipare a questo rinnovamento”.
Presto si accorge dell’impoverimento delle popolazioni inurbate, delle
disuguaglianze sociali, dei meccanismi economici che causano la povertà e
partecipa attivamente a movimenti di lotta di matrice cristiano-marxista, ma
dopo il golpe militare la situazione diventa così pericolosa che insieme a
Leila - che sposa nel 1967, anno in cui si laurea in economia e statistica
- è costretto all’esilio verso Parigi.
Leila,
la sua compagna di una vita: Leila Wanich, brasiliana, è
stata la sua compagna e socia in ogni sua impresa nella vita e nella
realizzazione concreta di gran parte delle sue mostre e dei suoi libri.
A
Parigi: all’inizio la situazione questa giovane coppia è difficile,
sono giovani, arrivati a Parigi senza conoscere nessuno, sono immigrati e non
hanno lavoro, ma poi entrano in contatto con i movimenti della sinistra
francese e con i movimenti cristiani di base che sostengono gli esuli delle
dittature latino-americane. Così “…ci
trovammo a far parte di una rete di solidarietà in cui regnava un vero senso
della condivisione e dell’aiuto reciproco, sul piano materiale e morale.
Soffrivamo di nostalgia ma ci sentivamo accolti e, a nostra volta, cercavamo di
aiutare chi arrivava. Era anche l’epoca della repressione in Portogallo e ci
sentivamo coinvolti dai movimento contro la dittatura di Salazar: come brasiliani
eravamo vicini ai portoghesi. Ma ci sentivamo vicini anche con i polacchi, gli
angolani, i cileni, insomma con tutti gli immigrati e i clandestini”.
Dall’economia
alla fotografia: A Parigi dopo le prime difficoltà Salgado trova
lavoro proprio grazie ai suoi studi di economia che gli aprono delle
prospettive a livello internazionale, e infatti nel 1971 comincia a lavorare in
Africa per conto dell’Organizzazione Internazionale del Caffè. Ma è proprio in
Africa che scopre di trarre maggiore soddisfazione nel documentare la realtà
scattando fotografie, piuttosto che scrivendo relazioni. E così nel 1973, dopo
un tempo d’incertezza nel quale raccomandava a sé stesso di essere ragionevole
- “Tentavo
di essere ragionevole e mi ripetevo: “Bisogna che tu sia un economista serio,
hai lavorato molto per questo, mentre la fotografia…””, decide di
lasciare le buone prospettive di lavoro da economista per un incerto futuro di
fotografo. Intanto Leila preparava la tesi di architettura e per provvedere al
mantenimento di entrambi, e del primogenito Juliano arrivato da poco, lavorava
in un piccolo giornale di brasiliani, dove impara “grazie
al quale [Leila] imparò tutto quello che sarebbe stato utile per la
pubblicazione dei nostri libri: l’impaginazione, la redazione di testi,
l’editing iconografico. Investimmo i nostri risparmi in materiale fotografico.
Avevamo un obiettivo e per raggiungerlo eravamo disposti a tutto. Ricordo che
non avevamo la doccia, ma avevamo molti amici da cui potevamo andare a lavarci”.
L’attenzione
per i grandi temi del nostro tempo: Salgado dedica la sua
attenzione ai grandi temi del nostro tempo: la povertà, lo sfruttamento del
lavoro, le migrazioni dei popoli, i diritti degli indigeni, le guerre, gli
effetti distruttivi dell’economia di mercato, le carestie. “Quando
mi sono lanciato nella fotografia, ho sperimentato di tutto: il nudo, lo sport,
i ritratti. E un giorno, senza sapere né come né perché, mi sono ritrovato ad occuparmi di temi sociali. Era abbastanza ovvio. Avevo fatto parte di
una giovane generazione che … si era interessata molto ai problemi sociali”.
“Quando mi chiedono come sono arrivato a occuparmi di
fotografia sociale, rispondo che non ho fatto che prolungare il mio impegno
politico in continuità con le mie origini”.
Le sue foto e le sue parole esprimono il senso
del suo impegno ma mai retorica.
“Non sono originario del Nord del mondo e
non ho il senso di colpa di certi miei colleghi. Non fotografo la povertà
materiale perché mi sento colpevole: fa parte del mondo da cui provengo [ma] da
sempre non trovo giusto il modo in cui la ricchezza è ridistribuita tra Nord e
Sud. Ho voluto mostrare la fame in Africa agli abitanti dei paesi ricchi perché
prendessero coscienza …”
“Nessuna foto, da sola, può far niente
contro la povertà nel mondo. Tuttavia le mie immagini, insieme ai libri, ai
film e a tutto l’operato delle organizzazioni umanitarie e ambientaliste …
contribuiscono a sensibilizzare sulla capacità che noi tutti abbiamo di
cambiare il destino dell’umanità”.
“Ho sempre cercato di mostrare le
persone nella loro dignità. Nella maggior parte dei casi sono vittime della
crudeltà degli eventi. Le ho fotografate quando avevano perso la casa dopo aver
assistito all'uccisione dei loro cari, a volte dei loro figli. Si tratta in genere di persone innocenti, che non hanno meritato le disgrazie che sono
capitate loro. Queste foto, le ho scattate perché pensavo che tutti dovessero
sapere. È il mio punto di vista, ma non obbligo nessuno a guardarle. Non voglio
salire in cattedra e nemmeno mettermi la coscienza a
posto suscitando non so bene quale sentimento di compassione. Ho realizzato
queste immagini per un dovere morale, etico. Mi si chiederà che cosa sia la
morale, che cosa sia l'etica in momenti così drammatici. È quando sono di fronte a qualcuno che sta morendo e devo decidere se
scattare oppure no”.
Vicini
al cristianesimo sociale: Sebastiao e Leila si definiscono non
credenti ma vicini al cristianesimo sociale; e hanno partecipato a quei
movimenti del cattolicesimo di base presente in Francia negli anni ’70-80,
perché condividevano la loro scelta di stare a fianco dei poveri, dei migranti
e dei rifugiati; e proprio alcune riviste e associazioni facenti parte di
questo movimento, Salgado lavora per molto tempo e condivide impegno e diversi progetti. E nei
viaggi in Sudamerica conosceranno da vicino, condividendone le idee e le
azioni, le comunità di base e la
Teologia della liberazione.
Uno
stile fotografico paziente e rispettoso: Salgado non fotografa
mai carpendo ai soggetti la loro immagine ma vive per molti mesi e cammina per
migliaia di chilometri, con le persone che intende fotografare, così che queste
intuiscano il senso del suo lavoro e in qualche modo lo consentano. Salgado
prima di tutto vuole conoscere e condividere un tratto di vita con le persone
che poi fotografa, poiché sente che questa conoscenza è essenziale; senza
questa conoscenza le foto non sarebbero autentiche. E questo stile lo segue anche con gli
animali: “ …quando fotografo gli umani, non piombo mai in un gruppo in incognito,
ma mi faccio sempre introdurre. Mi presento alle persone, do spiegazioni,
discuto e in questo modo a poco a poco, ci si conosce. Ho capito quindi che il
solo modo di fotografare quella tartaruga era di fare la sua conoscenza, sintonizzarmi
sulla sua lunghezza d’onda. Allora ho cominciato a imitare il suo
comportamento: mi sono accovacciato e ho camminato alla sua altezza, con mani e
ginocchia per terra. Da quel momento la tartaruga non è più fuggita. … Mi ci è voluta una giornata intera per
farle capire che rispettavo il suo territorio…”.
Leila, i
figli, il mondo dell’handicap: “Quando ci
siamo incontrati lei aveva 17 anni e io con ancora 20; da allora abbiamo sempre
vissuto insieme […] ma la nostra vita non è stata sempre facile. Abbiamo avuto liti furibonde. Siamo stati sul
punto di separarci molte volte. Ma abbiamo condiviso tante esperienze forti,
grandi gioie come grandi paure. Insieme abbiamo preso decisioni importanti. Non
so dove comincio io e dove finisce lei.
[…] Adoro mia moglie. E la trovo molto bella. Léila è una persona di una
tale energia, un tale piacere di vivere …
Il fatto di avere un figlio down, .. ci ha
aperti a un altro mondo. […] il giorno in cui è nato il nostro figlio down,
abbiamo raggiunto un altro livello di percezione: della vita, della società e
della realtà in generale. E’ cambiato perfino il mio modo di camminare per
strada. Prima gli handicappati non li vedevo nemmeno. Ora ho imparato a
vederli. Da oltre trent’anni la nostra vita, la mia come quella di Léila e di
Juliano, si svolge anche nel mondo dell’handicap. Abbiamo sperimentato la
solidarietà come anche la sua mancanza. Quando è nato Rodrigo alcuni nostri
cari amici hanno preso le distanze. Per loro era insopportabile e questo fa
molto male. … Ma gli amici per fortuna non sono tutti così. ….
Non abbiamo mai relegato nostro figlio in
un istituto. Rodrigo frequenta un centro diurno e di sera torna a casa. Lo
portiamo dappertutto …
Rodrigo è nostro figlio, è parte di noi, ed
è così. Dobbiamo innanzi tutto amarlo, e amarlo per com’è.
Nostro figlio ci ha confermato quanto ci
avevano predetto: quando si dà, si riceve in sovrabbondanza. Chi non dà niente,
non riceve niente”.
Alcuni
dei suoi lavori e reportages
Nel 1973 documenta la siccità e la carestia in Africa.
Nel 1974 la guerra
in Angola e Mozambico.
Nel 1977 vive per molti mesi con i popoli indigeni del Sudamerica iniziando
i reportage che diventeranno il libro Altre
Americhe.
Dal 1984 al 1986 documenta la carestia e la guerra in Africa, lavorando
in collaborazione con Medici senza Frontiere: nel 1985 esce in Francia il libro
sul Sahel Sahel, L’homme en detresse
e poi nell’1988 in Spagna Sahel, el fine
del camino.
S. Salgado - Region of Lake
Faguibine. Mali . 1985
|
S. Salgado - Korem camp. Ethiopia . 1984
|
Nel 1984 e nel 1985 questa parte d'Africa ha vissuto una siccità catastrofica. La siccità e la guerra presente in molte zone hanno determinato migliaia di morti e un esodo di grandi dimensioni. Salgado ha vissuto e documentato questa situazione con Medici senza frontiere rendendola visibile a tutto il mondo. |
Dal 1986 al 1992 mostra il lavoro di produzione
industriale in 23 paesi e realizza la straordinaria raccolta Workers
(in italiano: La mano dell’uomo). Racconta il lavoro manuale, quello duro e
pesante di tante donne e uomini in tutti i continenti, vuole mostrare la fatica
e le dure condizioni di sfruttamento dei più poveri, e rendere omaggio alla
umanità e dignità di tutti i lavoratori che ha incontrato.
S. Salgado – Workers
|
S. Salgado – Workers – Miniera d’oro,
Serra Pelada Brasile
|
Negli anni ’90 si dedica al tema delle
migrazioni e camminando a fianco dei migranti per mesi e migliaia di Km
realizza In cammino e poi Ritratti di bambini in cammino.
“In ogni parte del globo, le persone si
spostano più o meno per le stesse ragioni di carattere economico .... Al
momento di entrare nel terzo millennio ho voluto mostrare le persone “in
cammino” e rendere omaggio alla loro volontà di inserirsi, al loro coraggio
nell’affrontare lo sradicamento, alla loro incredibile capacità di adattarsi in
situazioni spesso molto difficili. Ho voluto mostrare che tutti contribuiscono
con il loro spirito di iniziativa e la ricchezza delle loro differenze. Agli
albori del XXI secolo ho cercato di far comprendere la necessità di rifondare
la famiglia umana sulla base della solidarietà e della condivisione”.
Negli
anni ’90 va a documentare la guerra nei Balcani. “Sono stato
anche nei Balcani, dove ho incontrato persone
disorientate, aizzate le une contro le altre da dirigenti guerrafondai e
disonesti. Milioni di ex jugoslavi diventati altrettanti croati, serbi e
bosniaci, tutti nemici gli uni degli altri, costretti a fuggire dai luoghi in
cui erano sempre vissuti. Nei Balcani ho incrociato
anche gli zingari braccati. Poi ho visto l'esodo degli albanesi e quello dei
Kosovari e ho finito per sentirmi sopraffatto dalla forza dei tanti drammi,
tutti simili l'uno
all'altro”.
Nel 1994 va in Ruanda, un paese che conosceva
dal 1971, che amava e dove aveva cari amici; ci va per documentare e fotografare
il genocidio nel Ruanda, i massacri degli Hutu e Tutsi, e ne rimanendone
sconvolto.
“Ho visto gente forte, guerrieri, svuotarsi in poche ore e morire come
insetti. Per la promiscuità, queste diarree Infettive
si propagavano alla velocità della luce e uccidevano migliaia di persone ogni
giorno. Non era possibile nemmeno seppellire i corpi, che venivano ammucchiati
l'uno sull'altro. Ho visto ammassi di cadaveri per centinaia di metri. L'esercito francese procedeva con un bulldozer
per scavare fosse comuni. Una pala meccanica afferrava 10,15 corpi alla volta e
li metteva in un buco, lasciandosi dietro un braccio, una testa o una gamba. I
sopravvissuti sembravano ormai insensibili. Io,
invece, cominciavo a sentirmi morire. In Ruanda ho trascorso nove mesi
così difficili che a un certo punto non
ho più resistito, né fisicamente né mentalmente.....”
“….non stavo bene, né fisicamente né psicologicamente. Fino ad
allora non avevo immaginato che l'uomo potesse
appartenere a una specie così crudele verso se stessa e non riuscivo ad
accettarlo. Ero depresso e sprofondavo nel pessimismo. Mi preoccupava anche
constatare quanto gli sconvolgimenti economici, sociali e politici avessero cambiato il pianeta. Gli alberi abbattuti, i paesaggi
rovinati, gli ecosistemi distrutti.....”.
Ho pensato allora di
mettere in piedi un progetto che denunciasse l'inquinamento e la distruzione
delle foreste. Intanto Leila aveva avuto
l'idea geniale di ripiantare la foresta sulla terra
ormai sinistrata dei miei genitori; ci eravamo lanciati in un'avventura
pazzesca ed ecco che, improvvisamente, gli alberi rinascevano
Dal deserto della deforestazione alla rinascita: alla fine degli anni ’90 tutta la violenza che Sebastiao aveva assorbito in tanti anni lo portano ad ammalarsi nel fisico e nell’anima. Così decide di tornare in Brasile con la moglie Leila alla fattoria paterna ma lì trova un territorio devastato dalla deforestazione: dove tutto un tempo era verde ora era diventato sorta di suolo spoglio, arido e sterile.
Leila gli propone : “riportiamo questa valle al paradiso che era…”. Decidono di affrontare la situazione e di provare a riportare quel territorio al suo stato naturale di foresta pluviale subtropicale. Hanno cercato dei partner e fondi a livello nazionale e internazionale e hanno chiesto aiuto agli indios che conoscono tutte le piante della zona, e hanno fondato un’organizzazione che si chiama Instituto Terra. Sono stati piantati più di 2 milioni di alberi di tante specie diverse native della foresta atlantica e più di 4 milioni di piantine sono quasi pronte per essere piantate. Quella terra è tornata ad essere verde, il clima sta tornando normale, l’acqua è tornata ed è stato avvistato il giaguaro, l’ultimo anello della catena alimentare.
Con Leila e i nostri amici abbiamo piantato 2 milioni di alberi.
Ma ciascuno può fare qualcosa, secondo le proprie possibilità. Basta sentirsi coinvolti.
… oggi siamo fieri di poter ripiantare la foresta grazie al frutto del nostro lavoro e a coloro che ci hanno sostenuto. Ma soprattutto grazie alla nostra energia che ci proviene dalla certezza: tornare al pianeta è l’unico modo per vivere meglio.
|
2013, Fazenda Bulcao, oggi Istituto Terra.
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L’ultimo lavoro di Sebastiao e Leila è “Genesi” un percorso fotografico nei
5 continenti che racconta la bellezza del nostro pianeta e il rispetto con cui
si deve guardare alla terra e a tutto ciò che lo abita – il mondo animale,
vegetale e minerale; un percorso che costituisce un appello rivolto a tutti
sull’urgenza di prendersi cura della Terra.
Per approfondimenti e altre informazioni:
Il libro: Dalla mia terra alla terra, Ed
Contrasto, 2014
Il film-documentario “Il sale della terra” di
Wim Wenders, prossimamente in uscita anche in DVD
Il sito ufficiale delle fotografie di Salgado: http://www.amazonasimages.com/
Il sito di Instituto Terra: www.institutoterra.org
3. Scheda del film “Il Sale della terra” di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado
Regia: Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado
Fotografia: Hugo Barbier, Juliano Ribeiro Salgado
Montaggio: Maxine Goedicke, Rob Myers
Produzione: Decia Films,
Solares Fondazione delle Arti, Amazonas Images
Distribuzione: Officine UBU
Paese: Brasile, Francia,
Italia
Durata: 100 minuti
Uscita: 2014
Il film, come spiega lo
stesso Wim Wenders, prende spunto dalle parole di Gesù rivolte agli
uomini. Il
regista tedesco, egli stesso fotografo, si è innamorato di Salgado comprando
due sue fotografie e ha deciso di fare un film su di lui per capirlo e
conoscerlo meglio.
Il sale della terra è un documentario che
traccia l'itinerario artistico e umano del fotografo brasiliano. Co-diretto da
Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, figlio dell'artista, Il sale della
terra è un'esperienza sullo splendore del mondo e sull'irragionevolezza
umana che rischia di spegnerlo. Alterna la storia personale di Salgado con le
riflessioni sul suo mestiere di fotografo. Al figlio, che lo accompagna sul
campo alla scoperta di paesi incontaminati, spetta di ritrovare e riscoprire un
padre preso talmente dal suo lavoro da farne uno stile di vita, e da tenerlo per
lunghi periodi lontano dalla famiglia. A Wenders spetta di riprodurre
attraverso gli scatti fotografici le
idee di cui essi sono portatori, di animare, per così dire le foto e farle
diventare protagoniste che informano, emozionano, provocano e al tempo stesso
mettere in luce la passione e la personalità di Salgado che prima di fare uno
scatto deve vivere, immedesimarsi e comprendere profondamente quelle realtà.
Scatti che penetrano le
foreste tropicali dell'Amazzonia, del Congo, dell'Indonesia e della Nuova
Guinea, attraversano i ghiacciai dell'Antartide e i deserti dell'Africa,
scalano le montagne dell'America, del Cile e della Siberia. Ma scatti anche che
denunciano l’avidità
di milioni di ricercatori
d'oro brasiliani sprofondati nella più grande miniera a cielo aperto del mondo,
i genocidi africani, i pozzi di petrolio incendiati in Medio Oriente, che
testimoniano i mestieri e il mondo industriale dismesso, e l’orrore che fa
perdere la fede davanti ai cadaveri accatastati in Rwanda.
Un viaggio quello di
Salgado che testimonia l'uomo e la natura e ci permette di approcciare
fotograficamente le questioni del territorio, la maniera dell'uomo di creare o
distruggere, le storie di sopraffazione scritte dall'economia, l'effetto delle
nostre azioni sulla natura, intesa sempre come bene comune. Un viaggio però
pieno di speranza!
preghiera eucaristica
La
solidarietà abita nel più profondo di ognuno di noi.
Scoprendo
l'universo degli altri, diversi ma simili,
e
coltivando orizzonti di vicinanza e solidarietà
riusciamo
a liberarci dalle catene che ci imprigionano
e
a cercare modi più umani ed autentici di vivere.
E’
tenendoci per mano che riusciamo a dare alla vita
un
senso nuovo, aperto ad orizzonti ancora impensati,
e
al tempo stesso antico,
ricco
di tutta la sapienza del cammino umano nei secoli.
l’anelito
e la ricerca di un mondo in cui non esistano più gerarchie,
dove
le ultime e gli ultimi siano le prime e i primi,
dove
possiamo vivere liberamente la differenza
ed
arricchirci delle differenze.
Questa
ricerca ha animato anche l’esperienza di Gesù.
il
quale, la sera prima di essere ucciso,
durante
la cena pasquale con le donne e gli uomini che lo seguivano,
prese
del pane, lo spezzò e lo distribuì loro dicendo:
"Prendete
e mangiatene tutti, questo è il mio corpo".
Poi
prese il calice del vino, lo diede loro e disse:
"Prendete
e bevetene tutti, questo è il calice del mio sangue
versato
per tutti i popoli".
Sapienza,
condivisione, partecipazione,
sono
oggi le parole che accompagnano il cerchio di persone qui riunito
il
quale, insieme a tutte le donne e gli uomini di buona volontà,
cerca
di dare alla vita un senso sempre
rinnovato
senza
perdere una goccia di tutta la sapienza
del
cammino umano nei secoli,
compresa
la sapienza dischiusa dal Vangelo.
[1] In
grassetto corsivo le parole si Salgado tratta dal libro “Dalla mia terra alla
Terra”, Ed Contrasto.