Archivio storico della Comunità dell’Isolotto Comune di Firenze
Laicità
nella società, nello stato, nella chiesa
Autonomia di giudizi e coscienza critica nei problemi di oggi contro le gestioni autoritarie del sacro.
VIII Convegno nazionale delle Comunità Cristiane di Base Italiane
Firenze-Scandicci 1-3 Maggio 1987
Nuova edizione riveduta degli atti
Firenze Tipografia Comunale Novembre 2006
A cura di Enzo Mazzi
Tina Savitteri
Stefano Toppi
Volume fuori commercio uscito in questi giorni, di sorprendente attualità.
Dopo 19 anni spira vento di teocrazia da tutti i quattro angoli del globo, non ultima la patria delle libertà quale sembrava essere l’America di Jefferson.
Abbiamo anticipato in un post precedente l’Introduzione del Vicesindaco di Firenze Giuseppe Matulli.
Mettiamo oggi l'intervento bomba di Padre Balducci.
Non ci può essere cultura di pace se non con la eliminazione del sacro.
Ernesto Balducci (Intervento fatto a Firenze in Palazzo Vecchio, salone dei 500, il primo maggio 1987)
Nel vedere questo salone così gremito, sono riandato a 25 anni fa e precisamente al 29 settembre del 1962 quando, alla vigilia del Concilio, si tenne qui una assemblea cittadina, promossa dal sindaco Giorgio La Pira e da questa parte del tavolo c'erano due teologi e il sottoscritto: Jean Danielou che sarebbe stato uno dei grandi leader del Concilio, Jean Marie Feré il teologo dell'Apocalisse ed io. E in questa manifestazione preparatoria del Concilio, ricordo bene, dominava in noi una vaga speranza che non riusciva a prendere concretezza, determinazione: non erano ancora avvenuti i gesti che avrebbero dato all'Assemblea Conciliare una movenza libera e creativa come sappiamo. Il Concilio sembrava imbrigliato negli schemi preparatori che lo avrebbero voluto condurre a conchiudersi con una nuova sequela di condanne e di scomuniche. Però predominava in noi la speranza che il Concilio avrebbe condotto la Chiesa a confrontarsi con quello che Giorgio La Pira amava chiamare il crinale apocalittico. Dobbiamo dire che questa speranza, germinata in questa sala sacra alle profezie, si è realizzata.
Mi chiedo: che cosa è successo in questo lungo lasso di tempo, in questo quarto di secolo, che cosa testimonia una assemblea così gremita come quella di questa sera? Testimonia un processo che non era nelle attese nostre e probabilmente nemmeno nelle consapevolezze del Concilio. In questi decenni si è avviato e procede tutt’ora un mutamento radicale che consiste, per esprimermi in parole sintetiche come si conviene ad un intervento costretto in un piccolo numero di minuti, stiamo passando da una comprensione delle fede di tipo ascetico-sacrale ad una comprensione delle fede di tipo profetico-messianico. L'asse si è spostato. Ed è uno spostamento di gravissime e di importantissime conseguenze. Le Comunità di base sono, nel multiforme mondo cristiano, quella porzione in cui più vivamente il trapasso si sta compiendo. Esso non può essere ricondotto in modo superficiale, approssimativo, con paradigmi vigenti, ai fenomeni della secolarizzazione "tout court".
Il processo ha radici più profonde. Tocca, direi, le stesse ragion d'essere del messaggio evangelico. E allora permettete che tenti, con molta brevità, e vi chiedo scusa perché dovrò procedere in modo assertorio, di mostrare il senso che hanno le parole che Ventura ha avuto la bontà di citare. Io sono convinto che la fine del sacro è la fine della cultura di guerra e che non ci può essere cultura di pace se non con la eliminazione del sacro. Il messaggio di Gesù era il messaggio della pace, della nonviolenza: "in qualunque casa andate dite: pace a questa casa". I primi cristiani vivevano al di fuori delle strutture sacrali, celebravano l'eucaristia in casa, non nel tempio. Lasciarono il tempio, anzi furono gettati fuori dal tempio, non avevano sacerdoti, i loro ministri erano presbiteri, “anziani”, rifiutarono le parole sacrali. La loro collocazione nella società era una collocazione di tipo laico. Son parole, capisco, che hanno una loro storia e non si possono proiettare nel passato senza improprietà, ma mi si capisca. Non avevano cornici sacre. Il mondo pagano era un mondo religioso. I cristiani erano combattuti perché non erano religiosi, cioè non avevano una simbologia sacrale, non sacrificavano a nessuno. Il loro momento espressivo era la cena. E non c'erano tra loro gerarchie ma ministeri. Quindi anche questa struttura sacrale della gerarchia non esisteva. E non dimentichiamo che i cristiani obbiettavano di fronte al mondo della potenza, di fronte alla ideologia imperiale, di fronte ad una unità del mondo basata sulla coazione, sul "parcere subiectis et debellare superbos". I cristiani non accettavano questo. E morivano versando il sangue per l'umanità nuova. Quando è avvenuto l'inserimento delle comunità cristiane negli spazi del potere c'è stata la sacralizzazione della Chiesa. E' cominciata l'avventura della fede dentro le categorie del sacro.
E qui dovrei richiamare che le categorie del sacro non sono l'invenzione del diavolo, sono delle funzioni di ogni società. Come l'antropologia culturale ci spiega, il sacro ha una funzione nella società, una funzione scambiabile anche. Non è detto che il sacro debba essere di tipo religioso: lo ricordava Spini. Emile Giurkaieff che ha studiato il rapporto tra religione e società si mostrava preoccupato agli inizi del secolo constatando il deperimento definitivo del cristianesimo interrogandosi su quali altri simboli sacri sarebbero venuti a sostituire questo vuoto pericolosissimo. Noi sappiamo che sono venuti poi dei riempitivi. Adesso non posso nemmeno divertirmi con delle indicazioni di identificazioni, ma la suppurazione sacrale continua. Al Cremlino ci sono state le mummie. Da noi l'altare della patria è ancora lì, i segreti di Stato sono in qualche modo un mysterium arcani che arieggia al linguaggio religioso e così via.
Sbaglieremmo se identificassimo il sacro con la sua espressione di tipo religioso. La sacralità è una funzione del potere, del dominio e dell'espropriazione dell'uomo. Ovunque si afferma lo spazio sacro ivi c'è l'interdizione per l'uomo di inserirsi con l'azione o con la ragione. Ove c'è il sacro ivi c'è la frattura. La sacralità esterna è la proiezione di una frattura interna, di una mancanza di autonomia. La lunga stagione vissuta dalla fede fino a questi anni, a questa soglia atomica, è la stagione della mediazione del messaggio profetico della liberazione umana attraverso la mediazione sacrale, attraverso le categorie sacrali. Il sommo pontefice è parola pagana, la parola sacerdote è parola pagana, lo "iereus" era una figura sacrale. Il cristianesimo si è inserito nei quadri della cultura sacrale ed ha assolto la funzione di religione della società. E la religione in una società ha il compito di portare i sigilli alla violenza della società.
Come sappiamo, la cultura che abbiamo vissuto fino alla crisi di questi tempi, che per me è decisiva, è epocale, va ricondotta per un analogo del passato, per capire la sua importanza, alla rivoluzione del neolitico. Ma qual'è il fatto nuovo, antropologicamente nuovo? Che nella società in cui siamo entrati non è più possibile quello che invece era il compito della cultura del passato, che io chiamo cultura di guerra, la integrazione della forza dentro le regole della ragione. Non la eliminazione ma la integrazione della forza e l’uso della forza come momento dirimente nei conflitti sia interni che esterni alla città. Questa è la caratteristica della nostra cultura. La religione era in funzione di questa forza, la legittimava, la rendeva intangibile, veneranda attraverso il suo universo simbolico. Anche Dio era il Dio degli eserciti. La Bibbia è piena di questa contaminazione della cultura di guerra, anche se sappiamo che accanto al Dio degli eserciti c’è il Dio dei profeti che è un Dio della liberazione.
Ora, vedete, io penso – e quante ce ne sarebbero da dire al riguardo – alla situazione in cui noi ci troviamo in questo momento. Il cristianesimo è lacerato al suo interno in maniera irrimediabile da questa doppia polarità. Da una parte il cristianesimo pretende di essere la religione della società, chiede spazi, concordati, riconoscimenti. Allora esso è inevitabilmente funzionale alla logica della violenza, senza rimedio. Ma il cristianesimo in quanto fede profetico-messianica è un annuncio e una esperienza di liberazione dell’uomo da ogni forma di alienazione, da ogni forma di sudditanza alla forza e di trasmissione della forza e quindi è di per sé una profezia e una esperienza di pace.
Le comunità di base sono comunità di pace nel senso forte e ricco della parola. Esse mirano ad esorcizzare la violenza che attraverso la stessa pedagogia della fede abbiamo introiettato, che si annida anche nei nostri riti. E tendono a inventare una forma di mediazione del messaggio evangelico del tutto libera dalle categorie sacrali. Quindi non è un cedimento alla secolarizzazione borghese, tecnologica, quella che noi stiamo vivendo. E’ una restaurazione della forza anticipatrice della profezia nei confronti della storia per cui noi viviamo, questa è la situazione. Ci troviamo a vivere in una situazione fortemente contraddittoria. Ma rendersene conto è importante perché noi spesso perseguiamo forme di modernità della fede che sono del tutto apparenti e non sostanziali. Perché quel che conta è il rapporto che ha la fede evangelica con le dinamiche della violenza nella società. E noi dobbiamo constatare che la fede cristiana si è come corrotta, imputridita, il sale è diventato scipito, gettato per la strada appunto perché essa, la fede, ha vissuto con un “concordato” con la cultura della violenza, con la cultura della guerra, che è la cultura del passato. E’ inutile che io stia a indicare i cappellani militari, le teorie della guerra giusta, l’obbligo fatto ai cattolici di obbedire alle autorità legittime quando ci convocano alla guerra perché se la guerra è ingiusta la responsabilità non è dei cristiani che devono obbedire ma delle autorità che ne risponderanno a Dio. Questo svuotamento dell’uomo è stata una operazione specifica d’una educazione cattolica, non evangelica, non centrata sulla parola profetica del Vangelo.
Che cosa è avvenuto tramite il Concilio? Appunto, la riappropriazione della parola evangelica come parola liberatrice e quindi la eliminazione del sacro in quanto alienazione.
Certo il sacro in certo modo si può dire che resta, ma in un senso diverso e opposto. Il sacro non è uno spazio determinato, né un contenuto della ragione. E’ una esigenza critica che sorge là dove sorgono i limiti della razionalità storica.
Il sacro è la percezione del relativo, il bisogno del trascendere il relativo in cui siamo immersi. Ma esso non si deve mai reificare, oggettivare, perché in quel momento la frattura esterna diventa frattura della coscienza. Ora la proprietà dell’Evangelo è quella di metterci in una intransigente lotta contro il sacro, cioè contro le idolatrie e il sacro dovunque si trovi. Perché il sacro non è solo quello che si annida nel tempio, che è alimentato da innumerevoli alienazioni umane, non solo il sacro che terrorizza le coscienze attraverso le presentazioni terroristiche di Dio e della sua punizione, non solo il sacro che sacralizza le cosiddette leggi di natura che sono invece una opaca e inerte coltre che grava sulla creatività spontanea della coscienza umana. Non solo contro questa sacralità, ma anche contro la sacralità dello Stato, la sacralità della scienza di cui diceva Spini. La fede cristiana ci rende intransigenti nei confronti di qualsiasi sacralizzazione in quanto la sacralizzazione è la stessa cosa che l’alienazione dell’uomo.
Allora quello di oggi è un passaggio straordinario, fondamentale. E questo passaggio è reso possibile e anzi inevitabile perché è venuta meno la logica che ha governato la cultura del passato, dal neolitico ad oggi, che era questa: la possibilità di integrare la violenza dentro i confini della ragione. E ci siamo riusciti. Ci siamo riusciti, possiamo dire, con lacrime e sangue. Ma nell’era atomica non è più possibile, per l’eccedenza dello strumento che abbiamo in mano, contenere la forza entro i limiti della ragione per cui salta la cultura sistemica del passato e ogni elemento del sistema è come impazzito. Allora noi dobbiamo guidare la transizione da una cultura che integrava la forza nella formalità razionale rendendo violenta anche la ragione perfino la ragione scientifica. Anche gli uomini di Los Alamos che inventarono la bomba atomica, rispettabili, erano schiavi della violenza e la loro intelligenza era al servizio della violenza. Chi ha fatto la bomba atomica ha un peccato. Ha peccato gravemente nella storia dell’umanità perché si è reso strumento di una strategia di forza e di sterminio. Non importano le condizioni soggettive. Sappiamo che c’è un peccato che trascende la consapevolezza soggettiva. Noi dobbiamo passare ad una cultura che elimini la violenza e la forza. E il Vangelo appare a noi straordinariamente come l’annuncio del mattino, come una proposta di alternativa di cultura – la chiamerò così, in maniera approssimativa, dovrei fare distinzioni – nella quale ogni violenza sia eliminata, perfino la violenza che è intrinseca in quel Dio che la nostra Lidia Menapace ci ha descritto con un revanscismo femminista.
Vorrei raccomandare una preghiera che faceva Master Hescart: “O Dio liberaci da Dio”, perché in fondo la preghiera non è che una invocazione a Dio perché si levi di torno continuamente, è un ritrovare Dio al di là dei nomi, delle immagini che sono concretizzazioni delle nostre provvisorietà e delle nostre deformazioni storiche.
Ma una fede evangelica non ha bisogno di domandar se Dio è maschio o femmina perché questo appartiene alla frivolezza.
E allora da qui tutta una catena, diremo così, di binomi, di endiadi nella quale si annida la contaminazione della violenza del sacro andrebbe esaminata. Quando venendo qui pensavo di dire altre cose avevo scritto queste endiadi: Chiesa e Stato, chierici e laici. uomo e donna, legge di Dio e autonomia umana, ortodossia e ortoprassi, ecclesiocentrismo e cosmocentrismo, teismo e ateismo. Queste sono le endiadi decadute che appartengono alla cultura del passato. Non hanno più valore semantico per esprimere la nuova realtà che stiamo faticosamente creando. (pag.191-199 del libro)
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