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mercoledì 31 gennaio 2007

L'utopia sta all'orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Faccio dieci passi e l'orizzonte si allontana di dieci passi. Per quanto cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l'utopia? A questo: serve a camminare

Eduardo Galeano


Nairobi: il Forum Sociale
alla prova dell’Africa e della concretezza.


L’incontro della Comunità dell’Isolotto, domenica prossima 4 febbraio 2007, ore 11 alle "baracche" via degli Aceri 1 Firenze, sarà dedicato a socializzare l’esperienza di partecipazione al Forum sociale mondiale di Nairobi e a riflettere sulle prospettive:


Gregorio Malavolti presenterà i suoi resoconti giornalieri e le valutazioni in base alla propria partecipazione.


La Comunità renderà disponibile una raccolta di alcuni di tali resoconti corredati da foto.


****


Un brano dai resoconti di Gregorio Malavolti da Nairobi:




"Il successo di questo Forum è indubbio. Ha permesso di fare crescere e sentire la voce dei movimenti e delle associazioni africane. Ha messo al centro delle attività del movimento mondiale un continente come l'Africa che è la sintesi delle contraddizioni più drammatiche del nostro sistema economico. Molte delle ong qui presenti, spronate e sollecitate dalle associazioni e dai movimenti africani che hanno partecipato al Forum, tornano a casa con molte domande e poche certezze rispetto all'efficacia delle proprie attività di cooperazione internazionale. Nonostante questo, a Forum finito vale la pena di chiedersi:


Quali sono le nuove questioni che da questo Forum emergono? Quali le scadenze? Solo il G8 a Rostock in Germania? E come portate avanti in maniera unitaria e visibile l'appuntamento comune previsto per il 2008?"


NB - Consigliata la visione dei domentari sul Forum di Nairobi. (vedi in fondo alla colonna destra del blog, sotto Arcoiris)

L'utopia sta all'orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Faccio dieci passi e l'orizzonte si allontana di dieci passi. Per quanto cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l'utopia? A questo: serve a camminare

Eduardo Galeano


Nairobi: il Forum Sociale
alla prova dell’Africa e della concretezza.


L’incontro della Comunità dell’Isolotto, domenica prossima 4 febbraio 2007, ore 11 alle "baracche" via degli Aceri 1 Firenze, sarà dedicato a socializzare l’esperienza di partecipazione al Forum sociale mondiale di Nairobi e a riflettere sulle prospettive:


Gregorio Malavolti presenterà i suoi resoconti giornalieri e le valutazioni in base alla propria partecipazione.


La Comunità renderà disponibile una raccolta di alcuni di tali resoconti corredati da foto.


****


Un brano dai resoconti di Gregorio Malavolti da Nairobi:




"Il successo di questo Forum è indubbio. Ha permesso di fare crescere e sentire la voce dei movimenti e delle associazioni africane. Ha messo al centro delle attività del movimento mondiale un continente come l'Africa che è la sintesi delle contraddizioni più drammatiche del nostro sistema economico. Molte delle ong qui presenti, spronate e sollecitate dalle associazioni e dai movimenti africani che hanno partecipato al Forum, tornano a casa con molte domande e poche certezze rispetto all'efficacia delle proprie attività di cooperazione internazionale. Nonostante questo, a Forum finito vale la pena di chiedersi:


Quali sono le nuove questioni che da questo Forum emergono? Quali le scadenze? Solo il G8 a Rostock in Germania? E come portate avanti in maniera unitaria e visibile l'appuntamento comune previsto per il 2008?"


NB - Consigliata la visione dei domentari sul Forum di Nairobi. (vedi in fondo alla colonna destra del blog, sotto Arcoiris)

martedì 30 gennaio 2007

Spettacolo consigliato


SAPIA  (Esplorazione Dantesca)

MERCOLEDI' 7 FEBBRAIO 2007  al Circolo Isolotto di Via Maccari, ore 21,

 IL TEATRO DEL TREBBO

di Toni Comello

presenta

IL XIII CANTO DEL PURGATORIO


  Savia non fui, avvegna che Sapìa

fossi chiamata, e fui de li altrui danni

più lieta assai che di ventura mia.


E perché tu non creda ch'io t'inganni,

odi s'i' fui, com' io ti dico, folle,

già discendendo l'arco d'i miei anni.


Eran li cittadin miei presso a Colle

in campo giunti co' loro avversari,

e io pregava Iddio di quel ch'e' volle.


Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari

passi di fuga; e veggendo la caccia,

letizia presi a tutte altre dispari,


tanto ch'io volsi in sù l'ardita faccia,

gridando a Dio: ``Omai più non ti temo!",

come fé 'l merlo per poca bonaccia.


Pace volli con Dio in su lo stremo

de la mia vita; e ancor non sarebbe

lo mio dover per penitenza scemo,


se ciò non fosse, ch'a memoria m'ebbe

Pier Pettinaio in sue sante orazioni,

a cui di me per caritate increbbe.


Leggi la scheda

sul sito del Circolo


e/o su Barbabianca

Spettacolo consigliato


SAPIA  (Esplorazione Dantesca)

MERCOLEDI' 7 FEBBRAIO 2007  al Circolo Isolotto di Via Maccari, ore 21,

 IL TEATRO DEL TREBBO

di Toni Comello

presenta

IL XIII CANTO DEL PURGATORIO


  Savia non fui, avvegna che Sapìa

fossi chiamata, e fui de li altrui danni

più lieta assai che di ventura mia.


E perché tu non creda ch'io t'inganni,

odi s'i' fui, com' io ti dico, folle,

già discendendo l'arco d'i miei anni.


Eran li cittadin miei presso a Colle

in campo giunti co' loro avversari,

e io pregava Iddio di quel ch'e' volle.


Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari

passi di fuga; e veggendo la caccia,

letizia presi a tutte altre dispari,


tanto ch'io volsi in sù l'ardita faccia,

gridando a Dio: ``Omai più non ti temo!",

come fé 'l merlo per poca bonaccia.


Pace volli con Dio in su lo stremo

de la mia vita; e ancor non sarebbe

lo mio dover per penitenza scemo,


se ciò non fosse, ch'a memoria m'ebbe

Pier Pettinaio in sue sante orazioni,

a cui di me per caritate increbbe.


Leggi la scheda

sul sito del Circolo


e/o su Barbabianca

sabato 13 gennaio 2007

L'incontro comunitario di domani domenica 14 gennaio ore 11 alle "Baracche" dell'Isolotto via Aceri 1 Firenze sarà dedicato a socializzare il tema dell'emergenza ambientale:

"C'è un allarme in Europa e nel mondo sulla sostenibilità del nostro stile di vita che è incompatibile con i limiti dell'ambiente naturale.

Quali interventi per evitare una futura catastrofe che già si annuncia?".

Introdurranno Giampaolo Pazzi e Roberto Bartoli.

 

                                                                        La Comunità Isolotto
L'incontro comunitario di domani domenica 14 gennaio ore 11 alle "Baracche" dell'Isolotto via Aceri 1 Firenze sarà dedicato a socializzare il tema dell'emergenza ambientale:

"C'è un allarme in Europa e nel mondo sulla sostenibilità del nostro stile di vita che è incompatibile con i limiti dell'ambiente naturale.

Quali interventi per evitare una futura catastrofe che già si annuncia?".

Introdurranno Giampaolo Pazzi e Roberto Bartoli.

 

                                                                        La Comunità Isolotto

mercoledì 10 gennaio 2007

COSA PENSA LA CHIESA

QUANDO PARLA DI DIALOGO? - DI G. ZAGREBELSKY

da: "la Repubblica" di mercoledì 10 gennaio 2007

Il dialogo, anche quello così frequentemente auspicato tra i cattolici e gli altri (che si indicano, in negativo, come i non-cattolici), presuppone una condizione: che le parti si riconoscano pari, in razionalità e moralità.

Se si parte dal presupposto che l´altro non è solo uno che pensa diversamente, ma è uno da meno o, addirittura, è un mentecatto o un immorale, il dialogo sarà perfettamente inutile; sarà tempo perduto, adescamento o simulazione. Dove vige questo pregiudizio, ci si ignora o ci si combatte.

Si potrà anche fare finta di dialogare, come lo stratega che procrastina lo scontro e rafforza intanto le posizioni. Ma dialogare onestamente, no, non si potrà.

Il maestro del dialogo è quel Socrate che giungeva perfino a gioire di soccombere nella discussione (chi è colto in errore, si libera di un male e quindi riceve un bene). Ma non occorre essere Socrate per comprendere che se non c´è reciproca disponibilità e apertura, tanto vale andarsene ognuno per la sua strada, sempre che non si voglia prendere a bastonate. Onde, se sinceramente si dice: "Il dialogo, così necessario, tra laici e cattolici" (J. Ratzinger, L´Europa nella crisi delle culture, Il Regno – documenti, 9/2005), si dovrebbe supporre che questo riconoscimento di razionalità e moralità sia acquisito. Ma è così?

Nei pubblici interventi della gerarchia cattolica sulla condizione della fede cristiana nel mondo attuale, domina un dubbio angoscioso circa la fine imminente di un ciclo storico, iniziato millesettecento anni fa, con l´unione della fede cristiana e della potenza politica, rappresentata allora dall´Impero romano.

Il dubbio non è che la fede religiosa, e tanto meno la fede cristiana, in quanto tali, siano destinate a scomparire: l´evidenza mostra il contrario.

Il dubbio serpeggiante è invece che la fede cattolica sia destinata a essere assorbita nella sfera puramente soggettiva delle essenze spirituali individuali, perdendo così valore oggettivo e vincolante di coesione sociale. In una formula: credere senza appartenere. Così si spiega l´insistenza, mai stata così accentuata, sulla dimensione necessariamente pubblica o politica della religione cristiana cattolica (e solo di questa).

L´Europa, si ripete all´infinito, è in decadenza e, si aggiunge, ciò deriva dal fatto che l´oggettività sembra essere diventato il privilegio esclusivo della scienza. Tutto ciò che scienza non è, sarebbe irrimediabilmente sottoposto al relativismo delle credenze individuali che, nella sfera pubblica democratica, si esprimono illimitatamente e arbitrariamente con la forza del numero.

Nihil sub sole novum. Se leggessimo oggi la Quanta cura, l´Enciclica del Sillabo (1861), troveremmo molte ragioni di riflessione comparativa tra lo spirito di allora e quello che domina oggi nelle alte sfere.

In quella «tristissima età nostra», scriveva Pio IX, si trattava di difendersi dalla secolarizzazione politica, dal liberalismo, dalla libertà di coscienza, dalla riduzione dell´autorità a forza del numero, dalla filosofia senza teologia; in breve: dalla «moderna civiltà».

Oggi molte cose sono cambiate, a iniziare dal linguaggio, onde non si parla più, ad esempio, di uomini empi «che schizzano come i flutti di procelloso mare la spuma delle loro fallacie e promettono libertà, mentre sono schiavi della corruzione» (una citazione tra tante). Ma la sensazione cattolica dell´assedio in «una Europa – diciamo così (così dice il papa Benedetto XVI) – in decadenza» non è diversa.

Le cause sono ancora quelle di allora, attualizzate: non più il liberalismo ma la democrazia «insana», cioè basata sull´onnipotenza del numero; non più la libertà di coscienza ma il «relativismo etico»; non più la filosofia atea ma la scienza che non conosce limiti.

Allora come oggi, la radice del male è il rifiuto di riconoscere nel magistero della Chiesa, in ultima e decisiva istanza, il fondamento vincolante della civiltà europea, un rifiuto che sottoporrebbe l´Europa di oggi a una "prova di trazione" fuori della tradizione cristiana.

Ciò che sembra diverso è l´atteggiamento: allora, alla denuncia del male, seguiva il rifiuto del mondo ostile; oggi, l´apertura al mondo. I nemici di allora sono diventati «i nostri amici che non credono», con i quali si cerca meritoriamente non solo di convivere, ma anche di collaborare.

Non si lanciano anatemi, ma si danno consigli (come quello di «vivere e indirizzare la propria vita come se Dio ci fosse») e si partecipa intensivamente a quelle procedure politiche della democrazia che, un tempo, erano condannate come opera del demonio (v. L. Zannotti, La sana democrazia. Verità della Chiesa e principi dello Stato, Torino, Giappichelli, 2005). Insomma: la Chiesa vuole essere "dialogante".

Purtroppo però, adottato un atteggiamento esteriore amichevole, non sembra mutato quello interiore. Gli interlocutori continuano a essere considerati non come dei diversi, ma come degli inferiori, sul piano morale e razionale.

La morale. La questione non si pone – speriamo – nei termini triviali di una graduatoria di meriti e demeriti. Nessuno dovrebbe arrischiarsi a rivendicare un primato di questo genere. Non può esserci una competizione come questa, da cui tutti rischierebbero di uscire malconci.

Accade però talvolta che siano proprio alcuni non credenti autolesionisti a tributare riconoscimenti di superiorità ai credenti; oppure, che da parte cattolica, anche altolocata, si ricorra ancora oggi a denunce di collusioni demoniache, non solo per modo di dire (la riduzione delle figure della fede a simboli è condannata) onde, anche chi scrive questo articolo potrebbe essere un adepto, nel migliore dei casi incosciente, di Satana.

La questione è diversa; è, per così dire, di ontologia morale. Solo i credenti – questo il Leitmotiv – sarebbero capaci di "senso della vita". La vita eterna promessa da Dio ai suoi fedeli dà un significato alla loro vita mortale. Se tutto si consuma quaggiù, senza premi e punizioni lassù, allora una cosa vale l´altra e, per ricorrere a Dostoevskij, «tutto è permesso». Ecco allora il relativismo, l´indifferentismo, l´egoismo, il puro calcolo di utilità, la sopraffazione, la disperazione, il non-senso della vita: in breve, l´impossibilità di una morale esistenziale e, dunque, di una vita rivolta al bene piuttosto che al male.

Così ragionando, però, non si è sfiorati dall´idea che si possa dire: la vita non ha un senso ma siamo noi a doverglielo dare e, come si può fondare una morale sulla vita immortale dell´al di là, così si possono cercare i fondamenti della vita morale nell´al di qua, precisamente nel comune destino di noi mortali. Non si considera la possibilità che qui, nella libertà, ci possa essere una ricerca morale – non facciamo graduatorie – degna almeno quanto la fede in promesse di ricompense e punizioni. Postulare una morale esterna, dispensata da un´autorità, sia pure paterna come la Provvidenza divina, significa, nel grande colloquio sulla libertà che occupa un celeberrimo capitolo (II, 5, 5) dei Karamazov, dare ragione all´Inquisitore e torto al Cristo.

La ragione. Secondo tradizione cattolica, fede e ragione coincidono. Entrambe procedono da Dio, e Dio non può contraddire se stesso. Se contraddizione c´è, è solo apparente, in quanto una «verità di ragione» contraria alla fede è, in realtà, «totalmente falsa» (Dei Filius, 1870, del Concilio Vaticano I). Questa impostazione subordinava bensì la ragione alla fede ma, almeno, ne riconosceva la distinzione, una distinzione che oggi sembra sfumare.

Il magistero cattolico segue scoscesi percorsi con l´intento di proporre un Dio avente natura razionale (logos) e sostenere che, nella concezione cristiano-cattolica attuale, fede e ragione coincidono. L´essere umano "di ragione" è tale perché è anche "di fede", onde chi è senza o contro la fede, è anche senza o contro la ragione.

Queste proposizioni rappresentano una svolta. Nella tradizione ebraico-cristiana (fino a poco fa la tradizione), Dio è potenza e amore; la nuova filogenesi greco-cristiana propone l´innesto del Cristianesimo nella concezione del Kosmos, quale ordine del mondo corrispondente alla ragione regolatrice sovrana. La "natura", poiché nessuno può pretendere di alterarla, diventa "diritto naturale"; logos e nomos finiscono per coincidere.

Proclamandosi custode dell´ordine natural-razionale, la Chiesa può proporsi come custode dell´ortodossia della ragione; non solo della ragione filosofica, come è stato per secoli, ma anche della ragione scientifica, cioè della ragione applicata alle scienze naturali.

Gli uomini di Chiesa diventano scienziati; anzi, scienziati accreditati più di tutti gli altri, perché la loro "ragione" onnicomprensiva, che si abbevera alla scienza di Dio, la teologia, può vantare un´esclusiva garanzia di verità. Per qualche misterioso ricorso storico, riappare il volto del cardinale Bellarmino, con la sola differenza che oggi, invece d´invocare l´autorità delle Scritture contro Galileo, si invoca il logos divino.

Su simili premesse, è chiaro che il dialogo onesto che si auspicava all´inizio è impossibile. L´interlocutore non cattolico, per la Chiesa, è uno che, in moralità e razionalità, vale poco o niente; è uno che le circostanze inducono a tollerare, ma di cui si farebbe volentieri a meno. A ben pensarci, la "amichevole" proposta ai non credenti di «vivere [almeno] come se Dio esistesse» è conseguenza di questo disprezzo.

Se ci si confronta con loro, è perché le condizioni storiche concrete non consentono di fare altrimenti. Il dialogo non è questione di convinzione, ma di opportunismo dettato da forza maggiore o da ragioni tattiche, nell´attesa che cambi la situazione.

C´è una distinzione molto cattolica tra tesi e ipotesi, una distinzione che consente alla Chiesa i più spericolati adattamenti pratici anche molto distanti dalle sue concezioni del bene e del giusto. La tesi è la dottrina cattolica nella sua purezza; l´ipotesi è quanto di essa le circostanze consentono di realizzare.

Il dubbio è che il dialogo, per la Chiesa, sia solo "in ipotesi", in vista di tempi migliori, come è per lo stratega di cui si diceva, che prende tempo e accresce le sue munizioni.

Diverso era lo spirito del dialogo che anima molte pagine, aperte alla speranza, del Concilio Vaticano II, nelle quali il "mondo moderno" è assunto come interlocutore positivo, portatore di moralità ed espressivo di segni meritevoli di ascolto.

Diversa era la concezione del rapporto tra fede e ragione, tra fede e attività dei cristiani nel mondo. La subordinazione al magistero della Chiesa nel campo della fede non era vista in contraddizione con la loro autonomia e responsabilità nei campi della ragione pratica.

Questo era il terreno sul quale la speranza di un dialogo onesto era costruita, il terreno sul quale anche l´accettazione piena della democrazia da parte del mondo cattolico poteva fondarsi. Ma è ancora così?

Nel mese di dicembre del 2005, nel pieno di accese polemiche sulle nostre questioni di bioetica, durante le quali si dissero parole chiuse a ogni confronto («principi non negoziabili», appelli all´obiezione di coscienza, inviti al non-voto di candidati non in linea, ecc.), il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Ruini, denunciati ancora una volta il «secolarismo radicale» e il «relativismo» laico, sorprese tutti con queste parole: «Si tratta di affidarsi, anche in questi ambiti, al libero confronto delle idee, rispettandone gli esiti democratici pure quando non possiamo condividerli […]; è bene che tutti ne prendiamo la più piena coscienza, per stemperare il clima di un confronto che prevedibilmente si protrarrà assai a lungo, arricchendosi di sempre nuovi argomenti».

Sagge parole di dialogo. Ma sia lecita la domanda: pronunciate "in tesi" o "in ipotesi"?



Nota di Viadegliaceri:

Il titolo va letto, per la precisione: Cosa pensa la gerarchia vaticana?

Il vocabolo "Chiesa" costituisce un'estensione impropria. Vale anche per l'intero articolo: se leggi Gerarchia vaticana al posto di Chiesa, aiuterai anche Gustavo Zagrebelsky a sfuggire all'autolesionismo dei non credenti che tributano riconoscimenti di "rappresentatività" a chi non rappresenta che se stesso o il proprio gruppo autoreferenziale.
COSA PENSA LA CHIESA

QUANDO PARLA DI DIALOGO? - DI G. ZAGREBELSKY

da: "la Repubblica" di mercoledì 10 gennaio 2007

Il dialogo, anche quello così frequentemente auspicato tra i cattolici e gli altri (che si indicano, in negativo, come i non-cattolici), presuppone una condizione: che le parti si riconoscano pari, in razionalità e moralità.

Se si parte dal presupposto che l´altro non è solo uno che pensa diversamente, ma è uno da meno o, addirittura, è un mentecatto o un immorale, il dialogo sarà perfettamente inutile; sarà tempo perduto, adescamento o simulazione. Dove vige questo pregiudizio, ci si ignora o ci si combatte.

Si potrà anche fare finta di dialogare, come lo stratega che procrastina lo scontro e rafforza intanto le posizioni. Ma dialogare onestamente, no, non si potrà.

Il maestro del dialogo è quel Socrate che giungeva perfino a gioire di soccombere nella discussione (chi è colto in errore, si libera di un male e quindi riceve un bene). Ma non occorre essere Socrate per comprendere che se non c´è reciproca disponibilità e apertura, tanto vale andarsene ognuno per la sua strada, sempre che non si voglia prendere a bastonate. Onde, se sinceramente si dice: "Il dialogo, così necessario, tra laici e cattolici" (J. Ratzinger, L´Europa nella crisi delle culture, Il Regno – documenti, 9/2005), si dovrebbe supporre che questo riconoscimento di razionalità e moralità sia acquisito. Ma è così?

Nei pubblici interventi della gerarchia cattolica sulla condizione della fede cristiana nel mondo attuale, domina un dubbio angoscioso circa la fine imminente di un ciclo storico, iniziato millesettecento anni fa, con l´unione della fede cristiana e della potenza politica, rappresentata allora dall´Impero romano.

Il dubbio non è che la fede religiosa, e tanto meno la fede cristiana, in quanto tali, siano destinate a scomparire: l´evidenza mostra il contrario.

Il dubbio serpeggiante è invece che la fede cattolica sia destinata a essere assorbita nella sfera puramente soggettiva delle essenze spirituali individuali, perdendo così valore oggettivo e vincolante di coesione sociale. In una formula: credere senza appartenere. Così si spiega l´insistenza, mai stata così accentuata, sulla dimensione necessariamente pubblica o politica della religione cristiana cattolica (e solo di questa).

L´Europa, si ripete all´infinito, è in decadenza e, si aggiunge, ciò deriva dal fatto che l´oggettività sembra essere diventato il privilegio esclusivo della scienza. Tutto ciò che scienza non è, sarebbe irrimediabilmente sottoposto al relativismo delle credenze individuali che, nella sfera pubblica democratica, si esprimono illimitatamente e arbitrariamente con la forza del numero.

Nihil sub sole novum. Se leggessimo oggi la Quanta cura, l´Enciclica del Sillabo (1861), troveremmo molte ragioni di riflessione comparativa tra lo spirito di allora e quello che domina oggi nelle alte sfere.

In quella «tristissima età nostra», scriveva Pio IX, si trattava di difendersi dalla secolarizzazione politica, dal liberalismo, dalla libertà di coscienza, dalla riduzione dell´autorità a forza del numero, dalla filosofia senza teologia; in breve: dalla «moderna civiltà».

Oggi molte cose sono cambiate, a iniziare dal linguaggio, onde non si parla più, ad esempio, di uomini empi «che schizzano come i flutti di procelloso mare la spuma delle loro fallacie e promettono libertà, mentre sono schiavi della corruzione» (una citazione tra tante). Ma la sensazione cattolica dell´assedio in «una Europa – diciamo così (così dice il papa Benedetto XVI) – in decadenza» non è diversa.

Le cause sono ancora quelle di allora, attualizzate: non più il liberalismo ma la democrazia «insana», cioè basata sull´onnipotenza del numero; non più la libertà di coscienza ma il «relativismo etico»; non più la filosofia atea ma la scienza che non conosce limiti.

Allora come oggi, la radice del male è il rifiuto di riconoscere nel magistero della Chiesa, in ultima e decisiva istanza, il fondamento vincolante della civiltà europea, un rifiuto che sottoporrebbe l´Europa di oggi a una "prova di trazione" fuori della tradizione cristiana.

Ciò che sembra diverso è l´atteggiamento: allora, alla denuncia del male, seguiva il rifiuto del mondo ostile; oggi, l´apertura al mondo. I nemici di allora sono diventati «i nostri amici che non credono», con i quali si cerca meritoriamente non solo di convivere, ma anche di collaborare.

Non si lanciano anatemi, ma si danno consigli (come quello di «vivere e indirizzare la propria vita come se Dio ci fosse») e si partecipa intensivamente a quelle procedure politiche della democrazia che, un tempo, erano condannate come opera del demonio (v. L. Zannotti, La sana democrazia. Verità della Chiesa e principi dello Stato, Torino, Giappichelli, 2005). Insomma: la Chiesa vuole essere "dialogante".

Purtroppo però, adottato un atteggiamento esteriore amichevole, non sembra mutato quello interiore. Gli interlocutori continuano a essere considerati non come dei diversi, ma come degli inferiori, sul piano morale e razionale.

La morale. La questione non si pone – speriamo – nei termini triviali di una graduatoria di meriti e demeriti. Nessuno dovrebbe arrischiarsi a rivendicare un primato di questo genere. Non può esserci una competizione come questa, da cui tutti rischierebbero di uscire malconci.

Accade però talvolta che siano proprio alcuni non credenti autolesionisti a tributare riconoscimenti di superiorità ai credenti; oppure, che da parte cattolica, anche altolocata, si ricorra ancora oggi a denunce di collusioni demoniache, non solo per modo di dire (la riduzione delle figure della fede a simboli è condannata) onde, anche chi scrive questo articolo potrebbe essere un adepto, nel migliore dei casi incosciente, di Satana.

La questione è diversa; è, per così dire, di ontologia morale. Solo i credenti – questo il Leitmotiv – sarebbero capaci di "senso della vita". La vita eterna promessa da Dio ai suoi fedeli dà un significato alla loro vita mortale. Se tutto si consuma quaggiù, senza premi e punizioni lassù, allora una cosa vale l´altra e, per ricorrere a Dostoevskij, «tutto è permesso». Ecco allora il relativismo, l´indifferentismo, l´egoismo, il puro calcolo di utilità, la sopraffazione, la disperazione, il non-senso della vita: in breve, l´impossibilità di una morale esistenziale e, dunque, di una vita rivolta al bene piuttosto che al male.

Così ragionando, però, non si è sfiorati dall´idea che si possa dire: la vita non ha un senso ma siamo noi a doverglielo dare e, come si può fondare una morale sulla vita immortale dell´al di là, così si possono cercare i fondamenti della vita morale nell´al di qua, precisamente nel comune destino di noi mortali. Non si considera la possibilità che qui, nella libertà, ci possa essere una ricerca morale – non facciamo graduatorie – degna almeno quanto la fede in promesse di ricompense e punizioni. Postulare una morale esterna, dispensata da un´autorità, sia pure paterna come la Provvidenza divina, significa, nel grande colloquio sulla libertà che occupa un celeberrimo capitolo (II, 5, 5) dei Karamazov, dare ragione all´Inquisitore e torto al Cristo.

La ragione. Secondo tradizione cattolica, fede e ragione coincidono. Entrambe procedono da Dio, e Dio non può contraddire se stesso. Se contraddizione c´è, è solo apparente, in quanto una «verità di ragione» contraria alla fede è, in realtà, «totalmente falsa» (Dei Filius, 1870, del Concilio Vaticano I). Questa impostazione subordinava bensì la ragione alla fede ma, almeno, ne riconosceva la distinzione, una distinzione che oggi sembra sfumare.

Il magistero cattolico segue scoscesi percorsi con l´intento di proporre un Dio avente natura razionale (logos) e sostenere che, nella concezione cristiano-cattolica attuale, fede e ragione coincidono. L´essere umano "di ragione" è tale perché è anche "di fede", onde chi è senza o contro la fede, è anche senza o contro la ragione.

Queste proposizioni rappresentano una svolta. Nella tradizione ebraico-cristiana (fino a poco fa la tradizione), Dio è potenza e amore; la nuova filogenesi greco-cristiana propone l´innesto del Cristianesimo nella concezione del Kosmos, quale ordine del mondo corrispondente alla ragione regolatrice sovrana. La "natura", poiché nessuno può pretendere di alterarla, diventa "diritto naturale"; logos e nomos finiscono per coincidere.

Proclamandosi custode dell´ordine natural-razionale, la Chiesa può proporsi come custode dell´ortodossia della ragione; non solo della ragione filosofica, come è stato per secoli, ma anche della ragione scientifica, cioè della ragione applicata alle scienze naturali.

Gli uomini di Chiesa diventano scienziati; anzi, scienziati accreditati più di tutti gli altri, perché la loro "ragione" onnicomprensiva, che si abbevera alla scienza di Dio, la teologia, può vantare un´esclusiva garanzia di verità. Per qualche misterioso ricorso storico, riappare il volto del cardinale Bellarmino, con la sola differenza che oggi, invece d´invocare l´autorità delle Scritture contro Galileo, si invoca il logos divino.

Su simili premesse, è chiaro che il dialogo onesto che si auspicava all´inizio è impossibile. L´interlocutore non cattolico, per la Chiesa, è uno che, in moralità e razionalità, vale poco o niente; è uno che le circostanze inducono a tollerare, ma di cui si farebbe volentieri a meno. A ben pensarci, la "amichevole" proposta ai non credenti di «vivere [almeno] come se Dio esistesse» è conseguenza di questo disprezzo.

Se ci si confronta con loro, è perché le condizioni storiche concrete non consentono di fare altrimenti. Il dialogo non è questione di convinzione, ma di opportunismo dettato da forza maggiore o da ragioni tattiche, nell´attesa che cambi la situazione.

C´è una distinzione molto cattolica tra tesi e ipotesi, una distinzione che consente alla Chiesa i più spericolati adattamenti pratici anche molto distanti dalle sue concezioni del bene e del giusto. La tesi è la dottrina cattolica nella sua purezza; l´ipotesi è quanto di essa le circostanze consentono di realizzare.

Il dubbio è che il dialogo, per la Chiesa, sia solo "in ipotesi", in vista di tempi migliori, come è per lo stratega di cui si diceva, che prende tempo e accresce le sue munizioni.

Diverso era lo spirito del dialogo che anima molte pagine, aperte alla speranza, del Concilio Vaticano II, nelle quali il "mondo moderno" è assunto come interlocutore positivo, portatore di moralità ed espressivo di segni meritevoli di ascolto.

Diversa era la concezione del rapporto tra fede e ragione, tra fede e attività dei cristiani nel mondo. La subordinazione al magistero della Chiesa nel campo della fede non era vista in contraddizione con la loro autonomia e responsabilità nei campi della ragione pratica.

Questo era il terreno sul quale la speranza di un dialogo onesto era costruita, il terreno sul quale anche l´accettazione piena della democrazia da parte del mondo cattolico poteva fondarsi. Ma è ancora così?

Nel mese di dicembre del 2005, nel pieno di accese polemiche sulle nostre questioni di bioetica, durante le quali si dissero parole chiuse a ogni confronto («principi non negoziabili», appelli all´obiezione di coscienza, inviti al non-voto di candidati non in linea, ecc.), il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Ruini, denunciati ancora una volta il «secolarismo radicale» e il «relativismo» laico, sorprese tutti con queste parole: «Si tratta di affidarsi, anche in questi ambiti, al libero confronto delle idee, rispettandone gli esiti democratici pure quando non possiamo condividerli […]; è bene che tutti ne prendiamo la più piena coscienza, per stemperare il clima di un confronto che prevedibilmente si protrarrà assai a lungo, arricchendosi di sempre nuovi argomenti».

Sagge parole di dialogo. Ma sia lecita la domanda: pronunciate "in tesi" o "in ipotesi"?



Nota di Viadegliaceri:

Il titolo va letto, per la precisione: Cosa pensa la gerarchia vaticana?

Il vocabolo "Chiesa" costituisce un'estensione impropria. Vale anche per l'intero articolo: se leggi Gerarchia vaticana al posto di Chiesa, aiuterai anche Gustavo Zagrebelsky a sfuggire all'autolesionismo dei non credenti che tributano riconoscimenti di "rappresentatività" a chi non rappresenta che se stesso o il proprio gruppo autoreferenziale.

martedì 9 gennaio 2007

Contraddizione in termini


Sabato 13 gennaio 2007 dalle ore 10.30, davanti all'ingresso della "Galleria Termini" in Via Giolitti 2/A, Roma,  associazioni laiche e singoli cittadini manifesteranno il loro dissenso per l'intitolazione della stazione Termini a Papa Giovanni Paolo II.


L’iniziativa del Sindaco e del Consiglio comunale di Roma, condivisa dalle Ferrovie dello Stato–Grandi Stazioni,  rappresenta un’offesa al carattere di multiculturalità e multireligiosità della capitale d’Italia, carattere che – quando torna comodo – si  afferma di perseguire. Se si voleva ricordare Papa Giovanni Paolo II, esistevano altri modi per farlo, senza cambiare nome alla Stazione Termini, porta di ingresso e di accoglienza di cittadini di ogni razza e religione.


Durante il presidio saranno raccolte le firme per una interrogazione al Sindaco e una delegazione consegnerà una richiesta di chiarimenti alla società Grandi Stazioni, in Via Giolitti 34.


LiberaUscita aderisce alla manifestazione ed invita i soci ed i simpatizzanti di Roma a partecipare.

Giampietro Sestini -  Segretario di LiberaUscita

Contraddizione in termini


Sabato 13 gennaio 2007 dalle ore 10.30, davanti all'ingresso della "Galleria Termini" in Via Giolitti 2/A, Roma,  associazioni laiche e singoli cittadini manifesteranno il loro dissenso per l'intitolazione della stazione Termini a Papa Giovanni Paolo II.


L’iniziativa del Sindaco e del Consiglio comunale di Roma, condivisa dalle Ferrovie dello Stato–Grandi Stazioni,  rappresenta un’offesa al carattere di multiculturalità e multireligiosità della capitale d’Italia, carattere che – quando torna comodo – si  afferma di perseguire. Se si voleva ricordare Papa Giovanni Paolo II, esistevano altri modi per farlo, senza cambiare nome alla Stazione Termini, porta di ingresso e di accoglienza di cittadini di ogni razza e religione.


Durante il presidio saranno raccolte le firme per una interrogazione al Sindaco e una delegazione consegnerà una richiesta di chiarimenti alla società Grandi Stazioni, in Via Giolitti 34.


LiberaUscita aderisce alla manifestazione ed invita i soci ed i simpatizzanti di Roma a partecipare.

Giampietro Sestini -  Segretario di LiberaUscita

Cronache di anni neri



Christian De Vito, domenica 7 Gennaio 2006, all'assemblea della Comunità dell'Isolotto, qui, alle baracche verdi.


Postfazione


1. Le «cronache fiorentine» — o meglio cronache da un quartiere fiorentino, San Lorenzo — che avete letto fino a qui sono la riscrittura di messaggi di posta elettronica composti nella maggior parte dei casi al ritmo serrato dei prezzi di un internet point. Spesso sono nati dalla necessità di sfogarsi; a volte lo sfogo ha preso i tratti di un incerto abbozzo d’inchiesta. Si tratta in poche parole di un osservazione soggettiva di un quartiere in rapida trasformazione dentro un centro cittadino a prima vista piuttosto statico, fatta anche allo scopo di verificare, esprimere e dimostrare una convinzione: che quel quartiere, di per sé unico ma allo stesso tempo simile a zone di altre città, non è come viene descritto nei giornali e nei discorsi ufficiali dei politici; e che i tanti rapporti che si intrecciano al suo interno non possono essere ridotti alle parole-chiave oggi in voga: «degrado», «microcriminalità», «sicurezza». Sono parole che in un quartiere 4el genere si traducono in ronde di polizia, razzismo diffuso e pervasivo, violenze verbali e fisiche.

Le persone che hanno ricevuto queste cronache hanno poi deciso di incontrarsi di persona con regolarità e di costituire una mailing list, che potesse tenere collegati coloro che non abitano a Firenze. Nel giro di qualche settimana si è consolidato un piccolo gruppo di italiani e non italiani, quasi tutti residenti a Firenze solo da pochi anni, alcuni già amici tra loro, alcuni che si erano conosciuti durante la breve stagione del movimento, tra 2000 e 2003, molti coinvolti in altri gruppi negli ultimi anni, quasi tutti alle prese con lavori precari — in certi casi ancora tra studio, lavoro e attività di ricerca — e vite sospese tra più luoghi.

Anche questo ci ha deciso ad assumere il nome «la voce migrante», non per essere «la» e tanto meno «dei», ma «una» voce che si modula in continuazione, cerca il tono e prova a farsi sentire liberamente, dal basso, ovunque capiti di trovarsi. Persone diverse per esperienze, percorsi, interessi, punti di vista sulle forme dei rapporti personali, della militanza e dell’intervento politico, si sono ritrovate accomunate prima di tutto dall’idea di «andare a vedere» nel quartiere di San Lorenzo e poi riferire, pensando che questo fosse il primo, e utile, passo da fare. Al «fare inchiesta», che restava l’idea centrale, si univa anche un’intenzione — non sempre ben definita — di trascinare, da un lato, e di mettersi a disposizione, dall’altro, cercando di favorire nuove mobilitazioni, di sostenere quelle in corso, per ottenere risultati concreti.


2. L’accoglienza che il gruppo ha ricevuto è stata per certi versi sorprendente. Il fatto di volantinare testi in molte lingue diverse ci ha fatto guadagnare simpatia e immediata credibilità presso coloro che incontravamo. Inoltre, abbiamo avuto subito la sensazione di essere percepiti come una novità, e forse una boccata d’aria fresca, nel tradizionale panorama dell’associazionismo fiorentino. Il nostro era un gruppo appena nato, senza nessun tipo di strutturazione interna — e con scarsissima volontà di darsene una —, con molte differenze implicite non ancora nemmeno sfiorate. Prima ancora che cominciassimo a discutere a fondo tra noi, molti hanno cominciato a interpellarci. Abbiamo subito conosciuto il vortice dall’«emergenza». Sono le «emergenze» che anche i media rilanciano periodicamente: a ottobre l’arrivo di profughi richiedenti asilo; a novembre la necessità di trovare ripari contro il freddo e lo sgombero di campi rom; a dicembre lo sgombero di occupazioni e centri sociali; a gennaio e a febbraio la distruzione di baracche abusive, e la consueta proposta di nuovi «campi nomadi». Poi c’è la «routine» che a livello individuale è emergenza gravissima: ogni mese, settimana, giorno, ronde di polizia, fermi, qualcuno portato via, deportato in un cpt — la Toscana rivendica di continuo di non ospitarne, ma spedisce a Bologna e altrove, dove ce n’è — in attesa di nuova deportazione.

L’emergenza è strutturale nella condizione di vita dei migranti (e non solo), come anche la precarietà, l’incertezza. Non è solo la «clandestinità» a produrre questa situazione. Vi contribuiscono anche l’accentuata precarietà sul mercato del lavoro, la difficoltà nell’accesso a diritti sociali fondamentali quali la sanità e la casa…


Da: Christian De Vito, Cronache di anni neri, Dal quartiere di S.Lorenzo, Firenze 2003-2005. Pag.51,52,

Quaderni di storiAmestre, 2006.

E' stato un piacere averlo tra noi e sentirlo.

Per avere il libro: www.storiamestre.it .


A Firenze distribuito da "Fuoribinario", il periodico dei barboni.


La redazione del giornale si trova in via Giano della Bella 22, a Firenze (zona piazza Tasso, al "Conventino"), ed è aperta il lunedi', il mercoledi' e il venerdi' dalle 15 alle 19.



Oltre a preparare il giornale (cercando, raccogliendo, trascrivendo notizie sui seguenti argomenti: condizioni di vita in città, problema casa, problema carcere, etc.), in redazione ci sono altre cose: è la residenza per alcuni, per cui vi arriva posta per circa 150 nominativi - posta che va smistata ed eventualmente distribuita a chi passa in orario di apertura; c'è un piccolo banco alimentare; ci sono vestiario, coperte per i periodi di "emergenza freddo", etc.



Vi è un archivio molto consistente di riviste sull'emarginazione, sul carcere, sulla situazione delle donne, sui diritti degli emarginati, e altri argomenti. L'archivio necessita di un riordinamento.

Inoltre la redazione è anche un ritrovo per parlare, comunicare con persone che stanno attraversando momenti di difficoltà di vario tipo. A differenza di altre strutture Fuori Binario è autogestito ed autofinanziato, inoltre cerca di evitare le situazioni di assistenzialismo.



Se interessati, venite direttamente in Redazione, nell'orario sopraspecificato, oppure telefonate in redazione: 055 220903, o inviate una mail:



redaz.fuoribinario@libero.it

Potete cercare Roberto o Mariapia.

Grazie


La Redazione



Fuori Binario

via Giano della Bella 22

50125 Firenze

Tel./fax: 055220903

La redazione è aperta lunedì, mercoledì e venerdì dalle 15 alle 18.30


Fuori Binario, giornale di strada dei senza fissa dimora, cerca volontari

disponibili per almeno un 2-3 ore alla settimana.


Cronache di anni neri



Christian De Vito, domenica 7 Gennaio 2006, all'assemblea della Comunità dell'Isolotto, qui, alle baracche verdi.


Postfazione


1. Le «cronache fiorentine» — o meglio cronache da un quartiere fiorentino, San Lorenzo — che avete letto fino a qui sono la riscrittura di messaggi di posta elettronica composti nella maggior parte dei casi al ritmo serrato dei prezzi di un internet point. Spesso sono nati dalla necessità di sfogarsi; a volte lo sfogo ha preso i tratti di un incerto abbozzo d’inchiesta. Si tratta in poche parole di un osservazione soggettiva di un quartiere in rapida trasformazione dentro un centro cittadino a prima vista piuttosto statico, fatta anche allo scopo di verificare, esprimere e dimostrare una convinzione: che quel quartiere, di per sé unico ma allo stesso tempo simile a zone di altre città, non è come viene descritto nei giornali e nei discorsi ufficiali dei politici; e che i tanti rapporti che si intrecciano al suo interno non possono essere ridotti alle parole-chiave oggi in voga: «degrado», «microcriminalità», «sicurezza». Sono parole che in un quartiere 4el genere si traducono in ronde di polizia, razzismo diffuso e pervasivo, violenze verbali e fisiche.

Le persone che hanno ricevuto queste cronache hanno poi deciso di incontrarsi di persona con regolarità e di costituire una mailing list, che potesse tenere collegati coloro che non abitano a Firenze. Nel giro di qualche settimana si è consolidato un piccolo gruppo di italiani e non italiani, quasi tutti residenti a Firenze solo da pochi anni, alcuni già amici tra loro, alcuni che si erano conosciuti durante la breve stagione del movimento, tra 2000 e 2003, molti coinvolti in altri gruppi negli ultimi anni, quasi tutti alle prese con lavori precari — in certi casi ancora tra studio, lavoro e attività di ricerca — e vite sospese tra più luoghi.

Anche questo ci ha deciso ad assumere il nome «la voce migrante», non per essere «la» e tanto meno «dei», ma «una» voce che si modula in continuazione, cerca il tono e prova a farsi sentire liberamente, dal basso, ovunque capiti di trovarsi. Persone diverse per esperienze, percorsi, interessi, punti di vista sulle forme dei rapporti personali, della militanza e dell’intervento politico, si sono ritrovate accomunate prima di tutto dall’idea di «andare a vedere» nel quartiere di San Lorenzo e poi riferire, pensando che questo fosse il primo, e utile, passo da fare. Al «fare inchiesta», che restava l’idea centrale, si univa anche un’intenzione — non sempre ben definita — di trascinare, da un lato, e di mettersi a disposizione, dall’altro, cercando di favorire nuove mobilitazioni, di sostenere quelle in corso, per ottenere risultati concreti.


2. L’accoglienza che il gruppo ha ricevuto è stata per certi versi sorprendente. Il fatto di volantinare testi in molte lingue diverse ci ha fatto guadagnare simpatia e immediata credibilità presso coloro che incontravamo. Inoltre, abbiamo avuto subito la sensazione di essere percepiti come una novità, e forse una boccata d’aria fresca, nel tradizionale panorama dell’associazionismo fiorentino. Il nostro era un gruppo appena nato, senza nessun tipo di strutturazione interna — e con scarsissima volontà di darsene una —, con molte differenze implicite non ancora nemmeno sfiorate. Prima ancora che cominciassimo a discutere a fondo tra noi, molti hanno cominciato a interpellarci. Abbiamo subito conosciuto il vortice dall’«emergenza». Sono le «emergenze» che anche i media rilanciano periodicamente: a ottobre l’arrivo di profughi richiedenti asilo; a novembre la necessità di trovare ripari contro il freddo e lo sgombero di campi rom; a dicembre lo sgombero di occupazioni e centri sociali; a gennaio e a febbraio la distruzione di baracche abusive, e la consueta proposta di nuovi «campi nomadi». Poi c’è la «routine» che a livello individuale è emergenza gravissima: ogni mese, settimana, giorno, ronde di polizia, fermi, qualcuno portato via, deportato in un cpt — la Toscana rivendica di continuo di non ospitarne, ma spedisce a Bologna e altrove, dove ce n’è — in attesa di nuova deportazione.

L’emergenza è strutturale nella condizione di vita dei migranti (e non solo), come anche la precarietà, l’incertezza. Non è solo la «clandestinità» a produrre questa situazione. Vi contribuiscono anche l’accentuata precarietà sul mercato del lavoro, la difficoltà nell’accesso a diritti sociali fondamentali quali la sanità e la casa…


Da: Christian De Vito, Cronache di anni neri, Dal quartiere di S.Lorenzo, Firenze 2003-2005. Pag.51,52,

Quaderni di storiAmestre, 2006.

E' stato un piacere averlo tra noi e sentirlo.

Per avere il libro: www.storiamestre.it .


A Firenze distribuito da "Fuoribinario", il periodico dei barboni.


La redazione del giornale si trova in via Giano della Bella 22, a Firenze (zona piazza Tasso, al "Conventino"), ed è aperta il lunedi', il mercoledi' e il venerdi' dalle 15 alle 19.



Oltre a preparare il giornale (cercando, raccogliendo, trascrivendo notizie sui seguenti argomenti: condizioni di vita in città, problema casa, problema carcere, etc.), in redazione ci sono altre cose: è la residenza per alcuni, per cui vi arriva posta per circa 150 nominativi - posta che va smistata ed eventualmente distribuita a chi passa in orario di apertura; c'è un piccolo banco alimentare; ci sono vestiario, coperte per i periodi di "emergenza freddo", etc.



Vi è un archivio molto consistente di riviste sull'emarginazione, sul carcere, sulla situazione delle donne, sui diritti degli emarginati, e altri argomenti. L'archivio necessita di un riordinamento.

Inoltre la redazione è anche un ritrovo per parlare, comunicare con persone che stanno attraversando momenti di difficoltà di vario tipo. A differenza di altre strutture Fuori Binario è autogestito ed autofinanziato, inoltre cerca di evitare le situazioni di assistenzialismo.



Se interessati, venite direttamente in Redazione, nell'orario sopraspecificato, oppure telefonate in redazione: 055 220903, o inviate una mail:



redaz.fuoribinario@libero.it

Potete cercare Roberto o Mariapia.

Grazie


La Redazione



Fuori Binario

via Giano della Bella 22

50125 Firenze

Tel./fax: 055220903

La redazione è aperta lunedì, mercoledì e venerdì dalle 15 alle 18.30


Fuori Binario, giornale di strada dei senza fissa dimora, cerca volontari

disponibili per almeno un 2-3 ore alla settimana.


venerdì 5 gennaio 2007


Vi invitiamo all'incontro comunitario, domenica prossima, 7 gennaio ore 11, alle "baracche" dell'Isolotto, via Aceri 1, Firenze, nel quale socializzeremo fra noi e con l'autore i temi e le testimonianze del recente libro di Christian De Vito Cronache di anni  neri dal Quartiere San Lorenzo Firenze 2003-2005, ed. StoriaMestre.

 

*******

 

Christian De Vito, autore di saggi sul sistema carcerario, laureato in storia con una tesi intitolata "Sistema penitenziario e società in Italia", relatore prof. Paul Ginsborg, vive da una decina d'anni a Firenze nel quartiere di S. Lorenzo. Nel libro "Cronache di anni neri" racconta dal vivo la realtà e la vita di un pezzo di città dove si condensano i problemi della multicuturalità, della emarginazione, della xenofobia e delle politiche repressive, ma anche dove si creano, svaniscono, rinascono e si intrecciano reti di relazioni e di organizzazioni dal basso tese a trovare varchi verso "un mondo diverso possibile".

Vorremmo che la socializzazione si svolgesse proprio su quest'ultimo aspetto del libro, sollecitati dalle nostre concrete esperienze e prendendo anche spunto dalla significativa citazione di Lev Tolstoj che troviamo nell'ultima di copertina del libro stesso di Christian: "Si dice che una rondine non fa primavera; ma per il fatto che una rondine non fa primavera dovrà essa, che la primavera presenta, aspettare, non volare? Così la primavera non verrebbe mai!".

 

                                            La Comunità dell'Isolotto


Vi invitiamo all'incontro comunitario, domenica prossima, 7 gennaio ore 11, alle "baracche" dell'Isolotto, via Aceri 1, Firenze, nel quale socializzeremo fra noi e con l'autore i temi e le testimonianze del recente libro di Christian De Vito Cronache di anni  neri dal Quartiere San Lorenzo Firenze 2003-2005, ed. StoriaMestre.

 

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Christian De Vito, autore di saggi sul sistema carcerario, laureato in storia con una tesi intitolata "Sistema penitenziario e società in Italia", relatore prof. Paul Ginsborg, vive da una decina d'anni a Firenze nel quartiere di S. Lorenzo. Nel libro "Cronache di anni neri" racconta dal vivo la realtà e la vita di un pezzo di città dove si condensano i problemi della multicuturalità, della emarginazione, della xenofobia e delle politiche repressive, ma anche dove si creano, svaniscono, rinascono e si intrecciano reti di relazioni e di organizzazioni dal basso tese a trovare varchi verso "un mondo diverso possibile".

Vorremmo che la socializzazione si svolgesse proprio su quest'ultimo aspetto del libro, sollecitati dalle nostre concrete esperienze e prendendo anche spunto dalla significativa citazione di Lev Tolstoj che troviamo nell'ultima di copertina del libro stesso di Christian: "Si dice che una rondine non fa primavera; ma per il fatto che una rondine non fa primavera dovrà essa, che la primavera presenta, aspettare, non volare? Così la primavera non verrebbe mai!".

 

                                            La Comunità dell'Isolotto

giovedì 4 gennaio 2007


Eluana 

In coma dal 18 gennaio  1992 (In una camera dell'ospedale di Lecco).

Ed ecco come vive ancora oggi Eluana: i suoi occhi si aprono e si
chiudono seguendo il ritmo del giorno e della notte, ma non ti vedono. Le labbra sono scosse da un tremore continuo, gli arti tesi in uno spasimo e i piedi in posizione equina. Una cannula dal naso le porta il nutrimento allo stomaco. Ogni mattina gli infermieri le lavano il viso e il corpo con spugnature. Un clistere le libera l'intestino. Ogni due ore la girano nel letto. Una volta al giorno la mettono su una sedia con schienale ibaltabile, stando attenti che non cada in avanti. Poi di nuovo a letto.

Video (Parla il padre di Eluana) Clicca sulla foto.  Durata del video 5' 29".



Solo audio



Sull'argomento "eutanasia" apri su Wikipedia


Eluana 

In coma dal 18 gennaio  1992 (In una camera dell'ospedale di Lecco).

Ed ecco come vive ancora oggi Eluana: i suoi occhi si aprono e si
chiudono seguendo il ritmo del giorno e della notte, ma non ti vedono. Le labbra sono scosse da un tremore continuo, gli arti tesi in uno spasimo e i piedi in posizione equina. Una cannula dal naso le porta il nutrimento allo stomaco. Ogni mattina gli infermieri le lavano il viso e il corpo con spugnature. Un clistere le libera l'intestino. Ogni due ore la girano nel letto. Una volta al giorno la mettono su una sedia con schienale ibaltabile, stando attenti che non cada in avanti. Poi di nuovo a letto.

Video (Parla il padre di Eluana) Clicca sulla foto.  Durata del video 5' 29".



Solo audio



Sull'argomento "eutanasia" apri su Wikipedia

mercoledì 3 gennaio 2007

Da:  daniele papi <daniele.papi@arsia.toscana.it>

Inviato:  martedì 26 dicembre 2006 17.03.33

A:  <baraccheverdi@hotmail.it>

Oggetto:  veglia dell'isolotto 2006

 

Cari amici,


la sera della veglia ho fatto un piccolo video col cellulare  (durata 3' 27") riprendendo l’intervento di Enzo Mazzi e l’ho messo su Youtube.

 Potete anche, se lo volete, scaricare il video e metterlo sulle vostre pagine.


Saluti e auguri per il 2007


Daniele papi

Sesto Fiorentino

 

 

Da:  daniele papi <daniele.papi@arsia.toscana.it>

Inviato:  martedì 26 dicembre 2006 17.03.33

A:  <baraccheverdi@hotmail.it>

Oggetto:  veglia dell'isolotto 2006

 

Cari amici,


la sera della veglia ho fatto un piccolo video col cellulare  (durata 3' 27") riprendendo l’intervento di Enzo Mazzi e l’ho messo su Youtube.

 Potete anche, se lo volete, scaricare il video e metterlo sulle vostre pagine.


Saluti e auguri per il 2007


Daniele papi

Sesto Fiorentino