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L’intervento
Palazzo Peruzzi, nuova vita per la casa degli operai
Camera del Lavoro di Firenze e Comunità dell’Isolotto
da l'Unità 23 Aprile 2008
Operai e operaie non di rado vestiti da lavoro, pensionati a volte un po’ ansimanti, impiegati e funzionari più agghindati, immigrati del campionario umano multicolore che sta creando la nostra ricchezza e riceve briciole quando non calci nel sedere, si cimentano ogni giorno col ripido scalone che porta alle sale di ritrovo e agli uffici della Camera del Lavoro fiorentina, nel bellissimo palazzo Peruzzi in via Borgo dei Greci, vicino a piazza Santa Croce, il cui sontuoso restauro viene inaugurato domani. Gli ori lucenti delle ornamentazioni, le armoniose volte, gli arazzi, gli affreschi, gli eleganti specchi non incutono timore.
Qui si sentono a casa propria. Hanno contribuito in tanti di loro a restituirla alla sua eleganza. Poeticismo enfatico? Forse, per lo sguardo miope senza coscienza storica. Se invece si proietta il disincanto del quotidiano sullo schermo di una storia secolare allora le immagini sbiadite della frequentazione consueta della Camera del Lavoro divengono un grande affresco che emoziona.
È il cerchio di una grande storia che si chiude, la storia del proletariato.
Ed è un orizzonte nuovo di un’altra storia che si apre, definita post-moderna, in cui le classi si rimodellano secondo categorie sociologiche ancora non ben definite. È una storia nuova dagli esiti molto incerti, una specie di scommessa, che va gestita con sapienza e lungimiranza e che invece è giocata per tanti, troppi aspetti, senza senso del limite, sconsideratamente, con poca saggezza, umanità e giustizia.
Salendo quello scalone il pensiero corre indietro, burlandosi della quantità dei secoli trascorsi, quasi sette, ad altri operai detti Ciompi, cenciosi, sporchi e vocianti, che osarono pensare e proporsi di salire gli scaloni dei sontuosi palazzi fiorentini, dimora esclusiva e dominio incontrastato dell’oligarchia magnatizia, compreso lo scalone del Palazzo dei Priori o della Signoria.
Il tumulto dei Ciompi - afferma lo storico Niccolò Rodolico - s’iscrive nella storia del lavoro e degli operai come evento generativo di un processo storico che dal Medio Evo giunge fino all’età nostra: «È la prima volta, in cui si forma e si afferma una coscienza operaia con un proprio programma che si vuole inserito in un ordinamento politico» (I Ciompi, Sansoni, Firenze, 1945).
C’è un altro elemento che può saldare il cerchio della grande storia della modernità e aprire la storia nuova: l’influsso della spiritualità dei “fraticelli” sul “Tumulto dei Ciompi”. I dissidenti francescani che nel XIV-XV secolo ripudiarono il carattere autoritario e oppressivo dei poteri compreso il potere ecclesiastico, furono portatori in mezzo alle masse popolari di tutta Europa di una spiritualità basata sul valore della povertà, della semplicità, della piccolezza, della fraternità fra poveri, vivendo e predicando un cristianesimo “ribelle” verso tutte le forme di alienazione e di dominio. Non a caso i Ciompi chiamarono “Popolo di Dio” il popolo minuto che si sollevava. Popolo di Dio e non più popolo dell’Arte o della corporazione. Trasformazione spirituale-religiosa e trasformazione economica-sociale-politica si alimentavano a vicenda (cfr. Raoul Manselli, Religiosità e rivolte popolari nell’Europa della seconda metà del trecento, in AA. VV. Il Tumulto dei Ciompi, Olschki. Firenze 1981).
Questo rapporto fra le culture della liberazione religiosa e le culture della liberazione economica-sociale-politica è oggi di sconcertante attualità. Ne è una significativa testimonianza la recente pubblicazione curata da Carlo Ghezzi in occasione dei cento anni della CGIL, La CGIL e il mondo cattolico, Ediesse, Roma, 2008.
Sulla stessa linea di testimonianza si è mossa la Camera del Lavoro fiorentina che in occasione dell’inaugurazione dei lavori di restauro del Palazzo Peruzzi ha voluto esporre nell’atrio d’ingresso la mostra che testimonia il rapporto di incontro e reciproca positiva contaminazione fra la Comunità dell’Isolotto e il mondo operaio. Si tratta di una esperienza emblematica sviluppatasi nella città del “dialogo alla prova”, in quella Firenze che ha avuto un ruolo trainante a livello nazionale e oltre nel processo storico di ricomposizione non solo politica ma vitale e globale della rovinosa frattura storica fra mondo operaio e mondo ecclesiale, ricomposizione che è sfociata nella ricerca attuale di nuove sintesi culturali, sociali e politiche.
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