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lunedì 13 dicembre 2010

Padre Vincenzo Barbieri




Addio al fondatore di Coopi


Giovedí 09.12.2010 18:00


“Quegli 800 euro per i bambini…”: queste sono state le ultime parole di padre Vincenzo Barbieri, a detta dei testimoni che fino all’ultimo hanno tentato di rianimare il suo cuore, oramai malato da tempo. Padre Barbieri si è spento all’Ospedale Sacco di Milano, all’età di 79 anni. Da venerdì 10, presso la sede dell’ong in Via de Lemene 50, verrà allestita la camera ardente.


 


Padre Barbieri


 


La sua scomparsa è un duro colpo per tutti coloro che da anni lavorano con lui al servizio dei più deboli della terra. Padre Barbieri è stato il fondatore, direttore ed infine presidente di una delle maggiori organizzazioni umanitarie italiane, COOPI – Cooperazione Internazionale, nonché il padre del volontariato internazionale in Italia.


 


Quella di padre Barbieri è una storia che inizia negli anni ’60, quando lancia l’idea del volontariato laico, coinvolgendo moltissimi giovani a partire per le missioni umanitarie. Nel 1965 fonda COOPI con un’impronta laica, decisamente orientata alla praticità e alla concretezza. Grazie alla tenacia e determinazione di padre Barbieri, COOPI cresce fino a diventare un’organizzazione umanitaria composta da centinaia di professionisti e che attualmente supporta più di 4,5 milioni di persone. Nel frattempo, padre Barbieri gestisce interamente da solo il sostegno a distanza di quasi 1.000 bambini in Africa e Sud America e contemporaneamente porta avanti attività di supporto ai migranti a Milano, città che nel 2005 lo insignisce della Civica Benemerenza.


 


Da oggi si apre un nuovo capitolo della storia di COOPI. Il suo fondatore non sarà più presente tra noi, ma il suo spirito  non abbandonerà mai le persone che come lui si dedicano ogni giorno alla sconfitta della fame, delle ingiustizie e delle guerre. “Certo ci rendiamo conto che la nostra azione è una goccia d’acqua 



La fonte
  

Baraccheverdi ricorda padre Barbieri che fu presente all'Isolotto nei momenti più duri della ormai storica vicenda. Da qui rendiamo omaggio alla sua memoria; questa:







 



Processo Isolotto


 

A. I fatti

 

Contesto storico

 

          6 novembre 1954

Inaugurazione del quartiere popolare dell'Isolotto. Il territorio dell'Isolotto, anticamente alluvionale (di qui il nome) si trova sulla riva sinistra dell'Arno, di fronte al parco delle Cascine. Don Enzo Mazzi viene nominato parroco della nuova parrocchia dal cardinale Elia Dalla Costa. Si costruisce la chiesa. Successivamente saranno inviati all'Isolotto come coadiutori due preti: don Sergio Gomiti, che nel 1965 sarà nominato a sua volta parroco di un villaggio di "case minime" per sfrattati, chiamato "La Casella", vicino all’Isolotto, e don Paolo Caciolli.

 

          Dal 1954 al 1968

Nella parrocchia dell'Isolotto si sviluppa una esperienza di rinnovamento complessivo, liturgico-biblico-catechetico-sociale, di orientamento conciliare. Tale esperienza si connette con i molti fermenti che, ognuno con la propria peculiarità, animano la diocesi e la città di Firenze, in connessione con movimenti simili di livello europeo e mondiale, che faranno strada al Concilio e poi cercheranno di attualizzarlo.

 

          1966

L'impegno delle esperienze conciliari fiorentine per la pace, per la liberazione dei popoli, per la difesa del lavoro, per i valori della cultura operaia e poi nell'emergenza alluvione, dà forza e credibilità a un processo, già in atto da tempo, di confronto critico, conoscenza, arricchimento reciproco fra culture diverse e fra "mondi" tradizionalmente contrapposti, in particolare fra "mondo cattolico" e "mondo operaio". Ciò crea allarme. Nelle elezioni amministrative di quell'anno, La Pira, con tutta la sinistra interna, viene escluso dalla lista democristiana. Quarantadue cattolici sottoscrivono un documento di denuncia e dichiarano di non votare il partito cattolico. Il cardinale Ermenegildo Florit, succeduto a Dalla Costa, individua in don Mazzi e don Rosadoni gli ispiratori del gesto e intima loro di dissociarsi. Avviene la dissociazione ma ugualmente inizia il processo canonico, sostanzialmente segreto, contro l'Isolotto.

 

          Ottobre 1968

Le comunità di tre parrocchie fiorentine scrivono una lettera di solidarietà col gruppo cattolico allontanato a forza dalla polizia dal duomo di Parma dove svolgeva una contestazione in forma di preghiera contro la spesa di alcuni miliardi per costruire un'altra cattedrale. Il card. Florit scrive a don Mazzi e solo a lui: "o ritratti o ti dimetti". Viene convocata la comunità parrocchiale che sostanzialmente chiede al vescovo di recarsi all'Isolotto. Una richiesta ritenuta inaccettabile in quella situazione. Nel dicembre giunge la "rimozione" di don Mazzi il quale si allontana dall'Isolotto in formale ubbidienza al papa Paolo VI che gli aveva inviata una lettera autografa.

 

31 dicembre 1968

La Comunità in una pubblica assemblea riconsegna al delegato del vescovo le chiavi della chiesa. Durante la riconsegna, prima qualcuno poi tutte le centinaia di presenti alzano le loro chiavi per dire che considerano la chiesa come casa loro e che si sentono sfrattati. E’ una scena drammatica e insieme esilarante.

La domenica precedente, 29 dicembre, erano già cominciati i tentativi della Curia di ripristinare la celebrazione della messa. Il prete inviato dal vescovo per celebrare è accompagnato da un gruppetto di fedeli per lo più estranei all’Isolotto, “fra i quali facevano spicco alcuni esponenti di estrema destra” (dalla cronaca de La Nazione del 30 dicembre, firmata dall’inviato Pier Francesco Listri). E’ una vera e propria squadra di una trentina di neofascisti armati di catene, bastoni, spranghe malamente coperte dai cappotti. Di alcuni neofascisti che accompagnavano il prete abbiamo i nomi desunti da un documento ufficiale e cioè dalla denuncia fatta al Procuratore generale che dice: “una massa di cento-duecento persone irrompeva nella chiesa… ed iniziava … quella che veniva definita ‘veglia di preghiera’, interrompendo così la messa già iniziata…” (denuncia firmata da Alfonso Ughi, federale del MSI il quale indica come testimoni dei fatti Marco Cellai, esponente dello stesso MSI, noto picchiatore coinvolto spesso in di azioni di squadrismo, Pasquino Conti, eletto consigliere comunale fiorentino e poi espulso per il passato di criminale fascista, condannato a 24 anni di reclusione di cui solo tre scontati). Anche la Curia con un comunicato denuncia come la messa “sia stata disturbata da gruppi di persone che hanno preteso di tenere in luogo sacro una ‘assemblea” contemporaneamente alla santa messa…”.

Sabato 4 gennaio si svolge in chiesa un’assemblea della Comunità con la partecipazione di molte centinaia di persone per decidere il comportamento da tenere il giorno dopo, domenica 5. La provocazione fascista contro una comunità parrocchiale a difesa di una messa imposta dal vescovo, divulgata dai media a livello nazionale ha sconvolto e preoccupato molti cattolici e laici. Sono presenti all’assemblea oltre alla gente della Comunità anche laici e preti di Firenze e di altre parti d’Italia. La polizia in borghese registra gli interventi e fotografa. Il clima è di grande preoccupazione ma gli interventi sono tutti tesi a incoraggiare una pacifica fermezza: “Non possiamo accettare che la messa serva per coprire farisaicamente il rifiuto di un popolo e della sua esperienza evangelica, per imporre autoritariamente dei provvedimenti ingiustificati e non motivati, per dispensarsi dal dialogo fraterno”: così conclude un documento stilato al termine dell’assemblea.

La notte dello stesso 4 gennaio, alle porte della chiesa dell'Isolotto, nella quale al mattino dovrà esser celebrata la Messa dell'inviato del vescovo viene affisso un volantino che porta una firma inedita e inquietante: “Le squadre d'azione fiorentine”: una sigla di comodo dietro la quale si cela la rete di organizzazioni neo-fasciste ritenuta ormai da molti, anche da alti livelli istituzionali, come la esecutrice materiale della strage di piazza Fontana e di altre stragi della strategia della tensione.

E’ scritto nel volantino:

"Italiani, fiorentini. Un branco di teppisti, strumentalizzati da partiti antinazionali e da preti sovversivi, insidiano la religione, insultano cittadini, sviliscono le Autorità, offendono le Forze Armate, vogliono una polizia disarmata. In questa situazione, con i valorosi tutori dell'ordine pubblico, sempre più impotenti ad arginare il sovvertimento scatenato per la mancanza di un Potere centrale capace di precise disposizioni, NOI ...siamo pronti a tutte le iniziative necessarie...Siamo certi che tutti gli Italiani saranno con noi il giorno che, dietro la bandiera tricolore, marceremo alla riconquista dell'Italia - Le squadre d'azione fiorentine".

 

Domenica 5 la chiesa è stracolma di gente. Il delegato del vescovo, mons. Ernesto Alba, di fronte a tutta questa folla, già vestito dei sacri paramenti, chiede chi non vuole la sua messa. Una foresta di mani alzate. L’inviato del quotidiano La Nazione, Pier Francesco Listri, conclude così la sua cronaca nel giornale del 6: “Un laico (così dice a mons, Alba): - ‘Da tre mesi diciamo che vogliamo parlare col nostro vescovo. Vogliamo parlarci anche ora, subito; vogliamo dirgli: ci preme dialogare con lei e lei invece ci manda uno a fare la messa per forza …lei continua ad imporci la messa come un dittatore non come un padre. Noi la vogliamo come padre; basta, sono tre mesi, siamo stanchi. E per dimostrare che questo rifiuto della messa è provvisorio, siamo disposti ad andare subito dal vescovo…’. Una delegazione è partita subito per la Curia”.

 

Martedì 7 gennaio mons. Alba si reca in Questura e sporge una accurata dichiarazione in cui denuncia il fatto di essere stato fisicamente impedito di celebrare la messa.

Il 14 gennaio arriva, dunque, da parte del Procuratore della Repubblica, Pier Luigi Vigna, il mandato. di comparizione ad undici laici e cinque sacerdoti per i due seguenti reati:

 

[...] Istigazione a delinquere [...] perché, in concorso fra loro, la sera del 4 gennaio 1969, in Firenze e precisamente nella chiesa dell'Isolotto, luogo aperto al pubblico, e alla presenza di numerose persone, pubblicamente istigavano ad impedire la celebrazione delle messe che il giorno successivo dovevano essere celebrate nella chiesa dell'Isolotto da parte di mons. Ernesto Alba, delegato dell' Arcivescovo di Firenze [...]

[...] turbamento di funzioni religiose del culto cattolico [...] perché in Firenze, e precisamente nella chiesa dell'Isolotto, il 5 gennaio 1969, in concorso fra loro e con altre persone allo stato non identificate, impedivano la celebrazione delle messe delle ore 11 e 12 che dovevano essere dette da mons. Alba, delegato dell'Arcivescovo di Firenze, occupando con panche e sedie lo spazio intorno all'altare, invadendo questo con le loro persone, facendo opera di ostruzionismo ed impedendo allo stesso mons. Alba di raggiungere l'altare ostruendogli il passaggio.

Con l'aggravante di cui all'art. ... per essere concorsi nel reato più di 5 persone.

 

Le parti sono rovesciate: sono perseguiti gli aggrediti e non gli aggressori. Non i fascisti, non i crociati, non mons. Alba, ma il popolo.

Di fronte all’inquietante emergere della illegalità della destra estrema antidemocratica e stragista e dei suoi mandanti, la magistratura fiorentina (il Pubblico Ministero era Pier Luigi Vigna), invece di indagare sui propositi criminali dei neo-fascisti e sui loro legami con altri centri eversivi, quelli che si preparavano a compiere le stragi, incrimina, “per aver impedito la Messa dell’inviato del vescovo”, pacifiche persone che in maniera assolutamente non-violenta si oppongono alla "riconquista dell'Italia" e della loro chiesa. Un depistaggio in piena regola.

Si fa intorno agli imputati tutto il popolo, unito come non mai. Mille persone firmano una lettera di corresponsabilità. La Procura ne incriminerà 438. Non si conoscono i criteri con i quali queste sono state scelte. Per due lunghi anni durerà lo stillicidio delle chiamate per gli interrogatori, prima presso i carabinieri, poi da del Giudice istruttore.

Tutta questa colossale oscura imbastitura processuale è accompagnata da ricatti; allettamenti, minacce, lettere e telefonate anonime, licenziamenti dal lavoro, minacce di trasferimento, mancate assunzioni. Sei analfabeti, due invalidi, un cieco e coloro che li avevano aiutati a porre la firma sul documento di corresponsabilità, venti persone, sono imputati di delitto di falsità in scrittura privata al fine di procurarsi un vantaggio (art. 485 c.p.; pena prevista: da sei mesi a tre anni di reclusione).

Si arriva cosi al luglio 1970. Il Giudice istruttore applica l'amnistia ad 80 imputati perché inferiori a 18 anni o superiori ai 70 e rinvia a giudizio gli altri 358.

A questo punto il colpo di scena: quella magistratura cosi attenta a tutte le sfumature del codice e della procedura diviene ad un tratto liberale e di manica larga: contro la sentenza del Giudice istruttore, contro la richiesta scritta di ciascuno dei singoli imputati, i quali chiedono di essere processati per avere il riconoscimento della loro innocenza, dichiara ed impone l'amnistia.

          Si vuole evitare a tutti i costi un processo di massa. Vengono rinviati a giudizio solo i nove istigatori.

Affermerà il magistrato Beniamino Deidda, attualmente Procuratore generale a Firenze, nella testimonianza pubblicata su Isolotto sotto processo, Laterza Bari 1971 e qui riportata integralmente a pag….:

“(In conseguenza) della inaspettata decisione del Tribunale di applicare l’amnistia a 349 imputati …il processo alla Comunità si trasforma in un processo a nove persone che non rappresentano più una linea politica ed ecclesiastica e che nei capi d’imputazione vengono dipinti come …pericolosi istigatori dell’altrui delinquenza. E’ in questo atteggiamento che si rivela la concezione autoritaria della magistratura. C’è nell’ideologia della magistratura una tacita presunzione che il comportamento del cittadino, dell’uomo della strada, sia costituzionalmente incapace di dissentire dall’autorità”.

 

Il processo alla Comunità dell'Isolotto è emblematico e forse inaugura la stagione dell'uso depistante e repressivo dei processi che pioveranno a decine di migliaia sul movimento studentesco e operaio del '68-'69 (cfr. “14.000 denunce, chi, dove, come, quando, perché”, citato).

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E’ per questo tipo di depistaggi che la magistratura italiana si mostra tutt’ora impotente a far luce completa sulle trame eversive della criminalità stragista. Tanto che lo stesso presidente Napolitano nel messaggio per il quarantesimo anniversario della strage di Bologna ha voluto denunciare quella impotenza e impegnare tutti i magistrati e le istituzioni “a far luce finalmente sulle trame e le complicità sottese”.

 

          1969

In agosto il card. Florit riapre la chiesa che era rimasta chiusa per otto mesi. La comunità non viene accolta ed è sconfessata: il vescovo non le riconosce la qualifica di "comunità cristiana". Dopo questi fatti la Comunità decide di riprendere a celebrare l’eucaristia in piazza. Si è trattato di un vero e proprio esodo di massa dal tempio alla piazza. Nella piazza era nata una nuova identità: la comunità di base dell’Isolotto che dura tuttora. Molte altre comunità di base nacquero in quel tempo in tutta Italia. Alcune vivono e resistono ancora, unite fra loro in un Collegamento nazionale.

Dopo venti anni, nel 1985, il card. Silvano Piovanelli e il Sinodo diocesano hanno riaperto il dialogo con la "Comunità dell'Isolotto", riconoscendone il valore in una prospettiva di pluralismo ecclesiale.

 

          1971

Il 3 maggio inizia il dibattimento processuale ai quattro laici e ai cinque preti che termina il 5 luglio con la seguente sentenza:

 

Presidente: In nome del popolo italiano, il Tribunale di Firenze, visto l’articolo 479 Codice di procedura penale:

assolve Barbieri don Vincenzo, Merinas don Vittorio, Ricciarelli don Pier Giovanni, Fanfani don Renzo, Scremin don Bruno, Furlani Casimira, Consigli Carlo, e Protti Daniele Alberto dall’imputazione loro ascritta al capo ‘d’ (istigazione a delinquere e turbamento di funzioni religiose del culto cattolico - ndr) perché il fatto non sussiste;

assolve Benvenuti Lino dall’imputazione afflittagli al capo ‘a’ per non aver commesso il fatto.



B. I fatti

 

Contesto territoriale

 

L’Isolotto è nato almeno due volte: una prima volta nel novembre 1954, quando furono consegnate le chiavi del lotto iniziale di circa mille alloggi di quella che era stata progettata come la prima “città satellite” nella piana a sud-ovest di Firenze; la seconda nascita avviene nell’autunno 1969, quando la massa della popolazione dell’Isolotto, ingranditosi a dismisura e divenuto ormai davvero quasi una città dotata di identità propria e di vari aspetti di autonomia, partecipò, pur se con diversi livelli di consapevolezza e intensità, al processo di trasformazione della società destinato a cambiare nel profondo la cultura e i modi di vivere.

Ambedue le nascite, o meglio le due fasi di un unico processo di nascita, si collocano in momenti cruciali della trasformazione della società italiana e a tale trasformazione danno un contributo originale e incisivo.

Nel 1954, quando si verifica il primo atto di nascita dell’Isolotto, si era nel pieno della grande migrazione che in pochi anni cambierà volto alla penisola. Masse di popolani dei quartieri storici delle città vengono espulse dalle loro case, sfrattate dalla strategia economica e politica che dominava l'Italia del boom e che puntava a liberare i centri storici per favorire la speculazione edilizia, dare spazio al terziario, creare città-museo funzionali al turismo di massa. In secondo luogo c'era bisogno di risucchiare nelle città gli abitanti delle campagne e specialmente i meridionali da riciclare nell'industria affamata allora di manodopera dequalificata per lavori ripetitivi in catene di montaggio senz’anima. In dieci anni, dal ’51 al ’61, la campagna italiana dimezzerà letteralmente la sua forza lavoro mentre le città specialmente del nord Italia avranno un incremento che le porterà ad esplodere. Nelle periferie delle grandi città nascono i fenomeni delle baraccopoli e dei quartieri-dormitorio. In questi insediamenti inumani si crea la spersonalizzazione della massa della popolazione dalla vecchia identità contadina, artigianale e di classe verso la scalata alla nuova condizione di individuo piccolo-borghese, piccolo proprietario, produttore e consumatore, egoista insaziabile. Tutte le grandi città italiane vivono tale transizione quasi senza batter ciglio.

A Firenze la politica esprime invece un progetto culturalmente e socialmente più nobile e più razionale, prima col sindaco Mario Fabiani e poi, dal ’51, con Giorgio La Pira il quale si lascia ispirare dall’umanesimo di urbanisti come Giovanni Michelucci. "Il tetto è una cosa sacra, un diritto primario inalienabile…Firenze ha il problema delle case, faremo le case": questo era l'impegno che aveva preso il neo-sindaco, La Pira appunto, nella riunione per l'insediamento della nuova Giunta, il 5 luglio 1951. E l’emergenza dell’immigrazione fu in effetti affrontata con una politica adeguata al bisogno. I soli casi più urgenti erano 3000 in quell’anno. Si incominciò con la creazione di un apposito “Ufficio alloggi”. Si proseguì con la requisizione di alcune grandi ville gentilizie praticamente inutilizzate, in base alla riesumazione di una legge del 1865 che estendeva le competenze del sindaco fino alla requisizione in caso di pubbliche calamità. Si dette il via alla costruzione veloce di complessi di “case minime” per tamponare le emergenze più immediate. Ma il sogno di La Pira non erano solo le case, erano le città come simbolo e concretizzazione della fraternità universale, città umane e umanizzanti. L'utopia che animava il suo impegno politico era la pace mondiale fondata sull'incontro fra le città. Dove hanno fallito gli Stati, riusciranno i popoli. Il 6 novembre 1994, consegnando le chiavi di quasi mille appartamenti, nella indimenticabile cerimonia d'inaugurazione dell'Isolotto, spiegò il senso di quella che egli definì come città-satellite.

La città è un'unità organica che ha tutti gli elementi - disse - per stabilire, cementare, accrescere, una comunione fraterna di scambi e di vita. Città-satellite è una vera città, la quale, seppure orbitando intorno alla metropoli, ha tutti i servizi e le strutture che la rendono autonoma.

La prima nascita dell’Isolotto sembrò dunque dare un’anima al “Piano Fanfani” di edilizia popolare a livello nazionale. E fece discutere e creò opposizioni.

Il sogno della politica fiorentina infatti non era per niente condiviso dai centri di potere che avevano consentito che si scucissero i finanziamenti dello Stato per realizzare l'insediamento abitativo. L'utopia della città a misura di persona umana fu usata finché si ritenne che servisse politicamente per fermare il comunismo nelle sue stesse roccaforti. Senza convinzione, però. La Pira fu tradito. L’Isolotto di fatto nacque anch’esso come quartiere dormitorio al pari di tutti gli altri, mancante di tutti i servizi.

Ma proprio da qui, dalla disgregazione urbanistica cinicamente programmata, nacquero ovunque in Italia e anche all'Isolotto straordinarie esperienze di socialità, di identità comunitaria, di "comunismo dal basso". Perché la mancanza di servizi essenziali, come la scuola, i mezzi di trasporto, l'ambulatorio medico, la farmacia, il mercato e la chiesa stessa, mise in moto energie incredibili di solidarietà. E la lotta per ottenere i servizi negati creò unità oltre le divisioni ideologiche e fece scoprire identità di interessi al di là delle separazioni di bandiera e di credo. Il territorio che doveva essere quasi un anti-fabbrica, nel senso che doveva servire a omologare la gente nella cultura dell’individualismo egoista e a ghettizzare nella fabbrica la conflittualità sociale, si legò invece proprio al mondo operaio. Si creò un'alleanza tra fabbrica e territorio che mise paura. La disgregazione urbanistica produsse indubbiamente i suoi frutti distruttivi dell’anima sociale, ferì profondamente il sogno di una società comunitaria oltre i confini perseguito dallo sforzo immenso di un secolo e più di esperienze e lotte sociali per la giustizia, il riscatto dei poveri, la solidarietà, ma generò anche, per contraddizione, nuove identità comunitarie. Il sogno negato dal potere fu perseguito e in parte realizzato dal basso. Col contributo di tanti in ogni settore de vivere sociale e civile: la scuola, la casa del popolo, la Biblioteca comunale, il movimento dei “quartieri” per la partecipazione e il decentramento amministrativo, un vasto associazionismo.

Nel nuovo quartiere fiorentino composto di immigrati, chiamato dispregiativamente dai fiorentini la Korea, nasce una nuova chiesa, una delle prime chiese in Italia con l’altare verso il popolo, emblema di una impostazione della nuova parrocchia strutturalmente comunitaria “oltre i confini”, dentro il processo storico che anticipa il Concilio e lo genera. Quel cerchio di popolo in piedi intorno all’altare, tavola imbandita per la condivisione e non ara sacrificale, è segno e attuazione del nuovo “popolo di Dio”. Altri segni di un progetto pastorale comunitario non isolato ma anzi partecipe del grande processo mondiale di trasformazione della società e della Chiesa che sfocerà nel Concilio: la chiesa aperta alla partecipazione sociale, una catechesi partecipata e centrata sul Vangelo, assoluta gratuità dei servizi religiosi, i preti cominciano a vivere del proprio lavoro, una casa-canonica a disposizione di tutti e soprattutto di chi ne ha più bisogno, piena autonomia in un orizzonte di laicità riconosciuta a tutto ciò che nasce. L’alloggio destinato ai preti messo a disposizione di tre case famiglia per bambini senza famiglia, gli ambienti parrocchiali ospitano: ex carcerati, una scuola materna il laboratorio per handicappati gravi autogestito (LIDI,), la fabbrica (FIABA) a cui vengono concessi in affitto i locali parrocchiali a condizione che gli imprenditori assumano giovani del quartiere e che diano lavoro agli handicappati gravi. Il parroco della nuova parrocchia è don Enzo Mazzi, altri due giovani preti si affiancano a lui. Altre parrocchie fiorentine si avvicinano a quelle esperienze di rinnovamento conciliare. Verranno chiamate “parrocchie rosse”.

Si innesta qui la seconda nascita dell’Isolotto. Quando giunge l’onda della rivoluzione sociale del ’68, l’Isolotto è pronto a fare la sua parte. Non per motivi ideologici né per radicalismo parolaio e sognatore. Ma perché nei quindici anni di vita, dalla prima alla seconda nascita, ha percorso con serietà, gradualità, intensità profetica i sentieri impervi e faticosi della ricerca umanizzante in tutti i campi del vivere umano, nessuno escluso: dalla religione, all’etica, alla politica. La pubblicazione della Comunità dell’Isolotto, Isolotto 1954-69, edito da Laterza nel 1969, tradotto in molte lingue, documenta un tale impegno complessivo e graduale di riforma del vivere, passo dopo passo, senza avventurismi, e tuttavia con straordinaria linearità e coerenza. E tutto ciò in collegamento con i grandi processi di trasformazione che animavano la cultura europea, la stessa pastorale e la teologia europee.


Il contesto e i particolari di questa breve sintesi storica si trovano anche nelle pubblicazioni della Comunità dell’Isolotto: Isolotto sotto processo, Bari, Laterza. 1971; Oltre i confini, L.E.F, Firenze 19……; Il mio ’68…….Centrolibro, Scandicci Firenze 19……

Processo all'Isolotto. Sesta udienza. Interrogatorio degli imputati.

 

(24 giugno 1971)

(Bobina: BA073 - CD3)

 

Vincenzo Barbieri: Intendo rispondere.

 

Presidente del Tribunale: l’imputato per istigazione a delinquere e turbamento di funzioni religiose del culto cattolico don Vincenzo Barbieri intende rispondere.

 

Vincenzo Barbieri: Dunque, volevo premettere questo che io sono giunto all'Isolotto non quella sera del 4 gennaio né a caso. Ero giunto molto tempo prima. Mi ero in pratica fermato quasi tutto il periodo natalizio, da Natale fino all'Epifania perché vi era una esperienza che mi interessava assai e proprio in funzione di questo interesse io ho fatto quell'intervento. Brevemente dirò quali erano i tempi, rispettata di interesse, per me, della situazione dell'Isolotto. Un primo interesse era questo: verificare un nuovo tipo di Chiesa, una nuova forma di organizzare la comunità cristiana. Perché questo?  Perché vedevo, e non soltanto io, facevo parte di un gruppo di sacerdoti, sia confratelli gesuiti sia altri con cui ci si radunava spesso e ci accorgevamo che quasi più niente resisteva della struttura ecclesiastica. Ci crollava in testa tutto ciò in cui avevamo creduto. Io venivo dall'Azione Cattolica. Ero entrato a vent'anni nella Compagnia di Gesù e quindi negli anni ruggenti del dopoguerra, dal '45 al '50. Avevo fatto tutte le battaglie dell’integralismo cattolico, del trionfalismo sia nell’Azione Cattolica, sia coi Comitati civici, sia durante le elezioni e continuamente eravamo stimolati da questo senso di conquista, diciamo, del potere e spirituale e politico. Ecco, anche io ero emiliano e quindi eravamo abbastanza caldi da ambedue le parti insomma. Coi rossi, coi bianchi, il nostro compito: i bianchi eravamo noi, i rossi erano quelli che andavano all’inferno, il nostro compito era di far venir bianchi i rossi. Ci tiravamo secchi di colla in testa vicendevolmente quando si andava ad attaccare manifesti. Ecco, ero vissuto in questo clima. E anche quando entrai nella Compagni di Gesù, nel ’50, io ero entrato un po’ con questo spirito di trionfalismo. Eravamo i più forti nella Chiesa, trentacinquemila, un mezzo corpo d’armata, sparsi in tutto il mondo, avevamo in mano tutti i gangli del potere, dalle riviste a.., eravamo i più stimati, i più intelligenti e quindi era bello sentirsi parte di una Compagnia molto forte, rispettata, tutta servita, si viaggiava, ci davano il posto, e avanti! A un bel momento invece ci siamo accorti che tutto questo non reggeva più, che non era questo che faceva parte della nostra vita sacerdotale né del nostro ministero. Ci avevano un  po’ strumentalizzati in tutto, ecco.. Periodicamente le elezioni, avanti! e in confessione e sul pulpito e sulla stampa bisognava in ogni modo dire, indirizzare i voti in un certo modo.

Ed allora ci eravamo trovati, ci ritrovavamo e : cosa facciamo ? C’era chi se ne andava, i seminari si svuotavano, i preti se ne andavano, la gente diceva: ah! Chi sa che cosa c’è sotto qui. No, non era il fatto, spesso, il fatto sentimentale, il fatto che la gente pensa sia la donna. No! Era che molti non trovano più lo scopo della loro vita. Finora mi avevan detto che c’era il grande capo stimato, il seminario per noi era stato quasi una scuola di allievi ufficiali dove si imparava tutto a comandare fuori a della gente che obbediva. Allora quando abbiamo trovato l’Isolotto, abbiam sentito sulla stampa, abbiam detto: Ah! Forse ci siamo! Forse il Concilio si sta salvando, forse c’è, mentre tutto crolla, c’è una esperienza che è vivace, che si propaga, dove c’è un gruppo di laici che costituisce insieme ai propri preti un nuovo modello di Chiesa. Allora bisogna andarci. Andiamo. Intanto per imparare qualche cosa e per vedere e poi se possibile dare il nostro aiuto per salvarla, perché, se è efficace, veramente non deve morire questa esperienza.

 

Questo era il primo motivo che ho già dettato. Un altro motivo, per cui io venni, era perché ero stato ufficialmente delegato a venire insieme ad altri giovani dall’Associazione Cooperazione Internazionale nella cui Comunità io vivevo. Perché era stato votata questo nella nostra associazione di mandare una delegazione all’Isolotto? Perché la nostra vicenda era stata abbastanza simile a quanto capitava all’Isolotto. Si trattava di una situazione di la
ici che io insieme ad alcuni giovani avevamo fondato, registrandola in Tribunale con uno statuto, fatto davanti ad un notaio, quindi a posto di fronte alla legge, e che si occupava della preparazione dell’ invio di giovani, di signorine, di coppie di sposi come laici missionari nelle varie missioni cattoliche. Dopo vari anni che l’esperienza aveva funzionato, avevamo avuto già quattro urgenze da Paolo VI, improvvisamente la Compagnia di Gesù dice: no, questa associazione è mia. E noi diciamo: no, c’è lo statuto. Ecco, prendi questa carta, firma: io padre Barbieri dichiaro che l’associazione è della Compagnia di Gesù, che non vale niente lo statuto e naturalmente cerca di convincere uno ad uno gli altri a fare altrettanto e a sciogliere l’associazione. Io dicevo: no, questo non va . E’ contro la legge. Non preoccuparti. Ci arrangeremo noi. Firma. Ecco, proprio questa …. quando don Mazzi: o ritratti o ti caccio. La stessa cosa. E allora avevamo dovuto combattere molto per difendere questa libertà che ci veniva anche dai documenti conciliari. Si trattava non di questione di dottrine ma di questione di organizzazione pratica.

 

Avv. P. Filastò. Dovevate argomentare che veniva anche dalla Costituzione questa libertà.

 

Vincendo Barbieri: Appunto, perché era stata costituita con uno statuto notarile secondo l’articolo 16, mi sembra, della Costituzione della libertà di associazione. Ed allora era stato deciso di portare la solidarietà all’Isolotto che era un’altra esperienza cristiana che si cercava di sopprimere insomma, in nome non si sa di che cosa.

Un altro motivo per cui io sono venuto era perché mi trovavo molto all’unisono, vorrei dire, con alcune iniziative intraprese dall’Isolotto. Fra le tante ne cito alcune per brevità. Una iniziativa era stata la presa di posizione molto netta della Comunità dell’Isolotto riguardo alla marcia della pace in Vietnam. Io avevo partecipato a questa marcia, a piedi da Milano a Roma, e subito il mio superiore mi aveva detto: Sì, sì, vai! E’ bene che ci sia uno di noi in modo che non si dica che sono sempre gli altri che fanno queste cose! Ecco, poi sono arrivato alle porte di Roma, improvvisamente, mi si dice: no, tronca tutto. Avevo incontrato a Prato e proseguito per parecchio con molti della Comunità dell’Isolotto, con don Mazzi stesso, e quindi mi ero affratellato con loro. Quando mi sento dire, chiamare a Roma: No, piantala! Io qui ho fatto riferimento con quanto era capitato all’Isolotto dove il cardinale si era opposto ala veglia della pace per il Vietnam in chiesa e con dei motivi ben poco evangelici. Ricordo che in una discussione, a Roma, io dissi: ma qual è il motivo? Ah! Perché la politica vaticana attualmente è di neutralità e noi ci dobbiamo adeguare. Io gli dissi: ma veramente forse c’è qualche altra cosa. Io so che c’è una ditta che manda napalm nel Vietnam e voi ci avete delle azioni dentro, forse non volete perdere dei soldi. Ah! Queste cose non le devi dire, lascia stare, eccetera.

 

Avv. P. Filastò: Scusi, qual’era questa ditta?

 

Vincenzo Barbieri: Era la Montedison. Che mandava il napalm in Vietnam.

 

Pubblico Ministero (Pierluigi Vigna): Senta don Barbieri, noi si può accettare tutto, ma..

 

Presidente: Non possiamo star zitti di fronte..

 

Vincenzo Barbieri. Va bene! Per dire..

 

Presidente: Continuiamo.. siamo lontani.. dai fatti che riguardano il processo.

 

Vincenzo Barbieri: Per dire.. era per dire, ecco, dato che avevo partecipato insieme a questi amici dell’Isolotto e sapevo che una delle opposizioni che si facevano da parte della Curia erano proprio il fatto di avere partecipato a queste attività in favore del Vietnam, allora mi sentivo all’unisono perché era stata la stessa posizione che abbiamo avuto da ambo le parti.

Un’altra iniziativa, su cui ero d’accordo, era veramente quella libertà di coscienza che avevo sentito che avveniva lì all’Isolotto, ecco, proprio riguardo alle prese di posizioni nel campo sociopolitico, soprattutto al tempo delle elezioni. Mentre io appunto avevo avuto varie esperienze in questo campo, anche molto dolorose, anch’io ero stato indotto a scomunicare a destra e a sinistra, ecco.

Un altro punto ancora fu la solidarietà, come sacerdote, a don Mazzi, perché ravvisavo nel modo con cui lui era trattato, dopo tanti anni di una esperienza vissuta, sofferta, costruita insieme ai laici, ravvisavo una stretta somiglianza con quanto io e altri sacerdoti avevamo passato e qui sentivo il dovere sia di stargli vicino, sia di avvertirlo di certi inconvenienti a cui poteva andare incontro. Mi ricordo quando, per esempio, lessi sui giornali che era invitato ad andare a riposarsi un po’ perché era stanco e la Curia stava preparando, così, per farlo riposare. Era capitato anche a me la stessa storia. Mi avevano detto: allontanati un po’, sei stanco, riposati. Avevo anche subìto in quel momento un mese di internamento in un manicomio, perché.. così, portato naturalmente, preso alla sprovvista,  portato là, dopo mi lasciarono andare perché dopo un mese non avevo niente. Però i medici mi avevano detto: ci capita spesso che i Vescovi, per risolvere tante questioni, ci mandano i preti disubbidienti, perché noi dichiariamo, vediamo un po’ che gli si metta a posto la testa. E io dissi: Eh! qui succede che anche don Mazzi succede la stessa cosa. Con questo metodo: sta poco bene, riposerà, vedrà.. E attenti eh! Quando fan questo scherzetto è la volta che fan sul serio! Avevo avuto…

 

Presidente: Non dobbiamo divagare troppo, don Barbieri. Dobbiamo rientrare nel binario..

 

Vincenzo Barbieri: Rientriamo nel binario. Vede..

 

Presidente: Io anche per corrispondere all’invito dell’avvocato Filastò, volevo precisarle che c’è differenza tra la norma giuridica e la norma morale. La norma giuridica è caratterizzata dalla possibilità di essere  imposta con la forza, invece la norma morale presuppone semplicemente l’adesione della coscienza. Questa è una differenza molto essenziale e  molto importante.

 

Avv. P. Filastò: Mi pare che le deposizioni..

 

Presidente: Ma siccome si stabiliva un parallelo con quello che potrebbe essere anche la posizione dei giudici di fronte a determinate situazioni, la norma giuridica ha una caratteristica particolare che la distingue da tutte le altre norme. E la caratteristica è proprio questa: che la norma giuridica può essere imposta con la forza. Deve essere eseguita, deve essere applicata.

 

Prof. Mantovani: Non so a cosa lei si riferisce, se si riferisce alla legge dello Stato o alla legge della Chiesa, comunque questo non interessa molto. Voglio dire che  queste…

 

Avv. P .Filastò: Quelle che sono le pressioni, le premure ricevute da don Barbieri, quelle che lo hanno condotto in manicomio, questo racconto qui, non mi pare che corrispondano né a una norma giuridica dello Stato, né a una norma canonica!

 

Presidente: No, no, mi riferivo alla prima fase  del discorso.

 

Avv. P. Filastò (Dà sulla voce del Presidente per portare avanti la sua delucidazione sul problema sollevato). Non credo che esista nella norma canonica un potere della Chiesa di imporre il voto per questo o quest’altro partito. Anzi, per una norma del Concordato la Chiesa dovrebbe astenersi dall’intervenire nella vita politica dello Stato. E’ giustamente il contrario.

 

Presidente: Si tratta di una semplice dissertazione su concetti generali.

 

Vincenzo Barbieri: Comunque volevo dire questo. Questa solidarietà che io portavo all’Isolotto e a don Mazzi come sacerdote derivava da questo: dall’aver vissuto certi fatti ben precisi, che poi erano abbastanza collimanti con quanto capitava all’Isolotto e che avrebbero dovuto  esser lasciati alla libera norma morale della coscienza, mentre invece c’era una imposizione giuridico ben precisa sia sul piano della coscienza perché se non fai questo vai all’inferno, e io ripetevo agli altri, oppure se non fai questo ti buttiamo fuori. Non so. L’avvocato Filastò si ricorda di un altro fatto ben preciso. Quando io avevo fatto una denuncia a Mattei della Nazione, che durante la marcia della pace, mi aveva fatto un articolo molto insultante, dovevamo avere il processo per direttissima per diffamazione e improvvisamente mi arriva l’ordine da Roma di ritirare questa querela, ecco, perché dovevo ritirarla, pena la immediata cacciata dalla Compagnia di Gesù. Lei se lo ricorda molto bene, avvocato!

... (tutto il testo del Processo è conservato e visibile nell'Archivio della Comunità dell'Isolotto).




 

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