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lunedì 4 aprile 2011

Mario Fabiani e l'Isolotto






Assemblea di domenica 3 aprile 2011

Cecilia Pezza, consigliera comunale di Firenze presenta la figura di Mario Fabiani, oggetto della sua tesi di laurea.



(Questo che segue è preso dal fascicolo distribuito dal gruppo formato da Antonietta, Lucia, Paola)

Vita di Mario Fabiani


Mario Fabiani nasce ad Empoli nel 1912 da Ida Berlincioni e Raffaello Fabiani, proprietario di una piccola attività commerciale. All'età di diciassette anni Mario Fabiani venne assunto dalla ditta Rigoli di Empoli, nella quale svolse mansioni di rappresentante di generi alimentari, prevalentemente nella zona di Colle Val D'Elsa e Poggibonsi.

Entrato nel movimento giovanile comunista empolese nel 1929, su iniziativa del cugino Paolo Vezzi, Fabiani ne divenne in breve tempo il principale esponente. La Fgci contava allora a Empoli circa duecento iscritti, non pochi per le dimensioni della cittadina.

A Parigi e a Mosca Nel dicembre 1931 espatriò clandestinamente, per sottrarsi ad un ormai sempre più probabile arresto. Fabiani raggiunse a Parigi il centro estero del PCI. Successivamente, nel maggio del 1932, approdò a Mosca. Lì frequentò la scuola leninista. In seguito fu di nuovo a Parigi, da dove, a partire dall'estate del 1933, compì varie missioni clandestine in Italia, in particolare nelle zone attorno a Modena e a Bologna.

La permamenza in Unione Sovietica rappresenta una tappa fondamentale nel forgiarsi del pensiero politico dell'empolese: Fabiani infatti, tra tutti i dirigenti che erano stati in URSS, resterà quello con la posizione maggiormente disincantata.

Arresto a Bologna Nel 1934, rientrato in Italia, viene arrestato a Bologna e condannato a ventidue anni di carcere, di cui ne sconterà nove.

Scarcerazione Nell'agosto 1943

Fabiani riconquista la libertà e torna ad Empoli, prendendo immediatamente contatti con il Pci fiorentino ed assumendo ruoli cruciali nella battaglia per la liberazione della città. Sindaco di Firenze (1946-1951)

Dopo la Liberazione, Fabiani assume il ruolo di vicesindaco e assessore al personale nella giunta formata dal CTLN e guidata da Pieraccini, in attesa delle prime elezioni democratiche, avvenute il 10 Novembre 1946: dopo questa tornata elettorale, nella quale conquista 21.564 voti di preferenza, l'”ex impiegato dalle spalle strette e l'occhio pensoso” viene designato sindaco di Firenze.

In piazza Signoria, il neoeletto sindaco afferma: “[la Giunta] è fermamente decisa ad amministrare la città tenendo presenti le condizioni del popolo lavoratore e colpire quindi tutti coloro che hanno speculato sulla fatica di esso.” Questa sua particolare tensione è il segno evidente dell'esperienza antifascista, della consapevolezza cresciuta in Fabiani che senza la classe operaia, senza i lavoratori della Galileo, del Pignone, la città non avrebbe potuto festeggiare la propria Liberazione. Ma è anche il segno della realtà che il giovane sindaco si trova di fronte: quella di una città devastata dai bombardamenti, piena di sfollati e di disoccupati, da ricostruire sia fisicamente che moralmente.

Accanto ai problemi urgenti, dalla ricostruzione dell'acquedotto al riassestamento delle scuole, l'impegno della nuova Giunta va anche verso la riapertura del Maggio musicale fiorentino: azione che denota come, nel pensiero di Fabiani, non potesse esserci una ripartenza reale della comunità fiorentina lasciando in secondo piano gli attori culturali che ne erano stati, negli anni, protagonisti. Nel 1949, durante il dibattito sul Bilancio in Consiglio, il Sindaco torna sul tema della giustizia sociale, e della responsabilità di ogni amministratore per cercare di concretizzarla, con parole chiare e dirette: “Tutte le volte che ci accingiamo a far pagare veramente i ricchi, ci accorgiamo che, per i ricchi, c'è sempre il modo di sfuggire al pagamento; ed allora noi finiamo per accordarci con essi, siamo da essi ricattati. (…) Se almeno una volta riusciremo a farli pagare, sarà una soddisfazione morale per tutti i lavoratori ai quali chiediamo di pagare l'imposta di famiglia e che la pagano in proporzione molto più forte dei ricchi.”

Accanto alla sensibilità forte verso i diritti dei più deboli, il sindaco comunista si contraddistingue sempre di più per la sua elevata attenzione al rispetto delle regole democratiche: si denota in questo aspetto il trascorso della gioventù durante la dittatura fascista, e la volontà di difendere la libertà da qualsiasi elemento nocivo, sia esso di un colore politico piuttosto che di un altro. I due grandi nodi su cui si sviluppa il lavoro di Fabiani sindaco sono essenzialmente la questione urbanistica, dalla ricostruzione dei quartieri bombardati allo studio di un piano regolatore comunale, e il pareggio del bilancio.

Ma Mario Fabiani è innanzitutto ricordato come sindaco della ricostruzione:

quando la sua Giunta prende in mano questo lavoro, sicuramente risente del dibattito avvenuto nei mesi precedenti da parte dell'intellettualità fiorentina: dalle pagine di molte riviste, tra le quali si contraddistingue “Il Ponte”, architetti, storici e studiosi in generale si confrontano sul futuro della città, e soprattutto sul modo di ricostruirne le parti distrutte dalla guerra. È una discussione profonda e stimolante, cui partecipano tra gli altri Michelucci, Berenson, Bianchi Bandinelli.

Fabiani sarà l'uomo contro il culto della personalità, anche di quella comunista, prendendo posizioni sicuramente scomode per la cultura politica cui appartiene: è celebre il suo commento ai compagni riuniti in Federazione, nel 1953, alla notizia della scomparsa di Stalin, nel quale consiglia di non piangere la morte di un dittatore. Il giovane sindaco ha conosciuto infatti l'Unione Sovietica quando, come abbiamo ricordato, negli anni Trenta viene mandato a studiare alla scuola moscovita, per diventare un “rivoluzionario di professione” . Da quell'esperienza apprende cosa sia il socialismo reale sovietico: e forse è proprio per averlo conosciuto direttamente che questo personaggio resta sempre un comunista sui generis, sempre pronto per esprimere la propria posizione anche in contrasto con la linea ufficiale.

In un articolo su “Rinascita”, pochi giorni dopo la sua morte, Alberto Cecchi continua a ricordarlo con queste emblematiche parole: “Il binomio rinnovamento-continuità diventerà con lui combattimento arduo nell'uno e nell'atro senso. (…) Ci insegnerà che l'unità non è né ovvia e grigia dispiplina uniforme, né coacervo di comode indiscipline o di arroganti certezze individuali, ma combattuta conquista collegiale di teste sollecitate continuamente a pensare

Il piano INA-Casa e i 19 villaggi popolari – L’Isolotto

Mario Fabiani, sindaco di Firenze, era a Roma nel novembre del 1950; a lui furono assegnati per il biennio 1951-52, 2 miliardi e 400 milioni dal Comitato di attuazione dell'INA-Casa, come amministratore di una delle 19 aree, distribuite su tutto il territorio nazionale, in cui costruire i nuovi quartieri, in genere alla periferia di grandi città (Cesate a Milano, Falchera a Torino, Mestre a Venezia, Panigale a Bologna. ...Dopo la visita a Roma il sindaco incaricò gli ingegneri Burci (dell'IACP), Giuntoli del Comune, Poggi e gli architetti Pastorini, Pellegrini e Tiezzi di redigere il piano urbanistico dell'area...) (Daniela Poli, Storie di Quartiere, ed. Polistampa 2004, p.73).

Nel 1951, alle porte del voto amministrativo, si svolge in Consiglio il dibattito sul piano regolatore: la caratteristica principale del lavoro svolto, oltre quella di essere il primo piano regolatore della città dopo circa venti anni, è per l'appunto quella di avere per la prima volta nella storia di Firenze un'ottica intercomunale. Ancora una volta la città diviene protagonista di un dibattito nazionale, non solo perchè è fra le prime grandi città a produrre un suo atto di pianificazione, ma perchè lo fa in modo innovativo, scartando il modello di crescita a macchia d'olio e affermando il rifiuto di un comune che attinge energie solo al suo interno.. Il piano propone un modello, si apre all'esterno, secondo una forma di grande “tenaglia” che stringe l'Arno e la Piana allungandosi verso Prato.

Una convergenza operosa

 





(La Pira e Fanfani, sindaco entrante e sindaco uscente - 1951)





Nel 1949 la città sta uscendo dalla fase più difficile del dopoguerra e della ricostruzione, ed è in questo periodo, soprattutto dal 1950, che si accende in Consiglio comunale quella spiccata sensibilità internazionalista e pacifista che caratterizzerà in particolar modo l'amministrazione presieduta da La Pira. Questo legame tra i due primi sindaci è importante e messo in risalto bene nelle memorie di molti protagonisti dell'epoca, tra i quali Romano Bilenchi, che racconta: “Quando La Pira sembrava un po' stanco gli proponevamo uno dei piani che tenevamo sempre pronti. Non certo per sminuire la sua opera importante che soltanto lui avrebbe potuto portare avanti, posso affermare con tranquillità che alcune iniziative di La Pira, delle più acclamate, erano spesso partite da un suggerimento di Fabiani, come quella dell'incontro fra i sindaci di città dell'Est con i sindaci di città americane.”

...Ci accomunava, dirà effettivamente La Pira commemorando Fabiani, l'idea che, in tempi di guerra fredda e di virulento scontro ideologico Est-Ovest, fosse necessario mettere Firenze a servizio della coesistenza pacifica, della unità e della giustizia dei popoli. Per questo La Pira descriveva il suo ventennale rapporto con Fabiani come una convergenza operosa.

Presidente della Provincia di Firenze (1951-1962) e Senatore

Fabiani fu eletto tre volte senatore nelle liste del PCI: nel 1963, nel 1968 e nel 1972. Nel 1966, da consigliere comunale e senatore, nei giorni tragici dell'alluvione di Firenze, fu punto di riferimento insostituibile per migliaia di cittadini fiorentini. Da presidente della provincia di Firenze, Fabiani dette un impulso fondamentale alla nascita della Unione regionale delle province toscane (Urpt) e della rivista La regione, pubblicazione dedicata alla riflessione sul futuro delle autonomie locali nel sistema istituzionale italiano.

L’impegno nel Movimento regionalista

Fin dalla relazione di insediamento del 10 luglio 1951 affronta il problema del riassetto istituzionale del Paese. La questione dell’Ente Regione è una sorta di filo rosso nella battaglia di Fabiani in favore delle autonomie locali, è un tema su cui torna in ogni possibile occasione, quasi a sottolineare l’importanza sia su un piano politico generale, sia per i compiti specifici cui potrebbe assolvere in proprio o di cui favorirebbe l’assolvimento da parte dei Comuni e delle Provincie. In Toscana, a differenza che nel resto d’Italia, il fronte regionalista, anche grazie alla figura determinante di Mario Fabiani, resta ampio e vede il favore anche di alcune parti della Democrazia Cristiana, come il già ricordato contributo di Nicola Pistelli e della sua rivista. Fabiani legge l’ordinamento regionale prima di tutto come garanzia e tutela dello spazio democratico per le forze popolari, contro gli abusi monopolistici ed il potere centrale. Rende quindi la battaglia per l’Ente Regione una battaglia non solo istituzionale, ma politica, militante. Firenze rappresenta, tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, il palcoscenico principale delle discussioni intorno al Titolo V della Costituzione, agli spazi di autonomia locale, ai temi principali cui l’autonomia dà voce. L’Istituto Nazionale di Urbanistica organizza in questa città il suo appuntamento sui temi del governo del territorio; sarà sempre all'ombra della cupola di Brunelleschi che si riunirà per la prima volta, il 12 settembre 1960, il consiglio nazionale del Movimento regionaliosta e tanti altri sono i momenti in cui la discussione passa da qui.

L'idea della Toscana in Mario Fabiani

Nel 1963 riprende la pubblicazione della rivista curata dall’URPT (Unione regionale provincie toscane), “La Regione” . Gli autori della rivista chiariscono subito quale sia la Toscana cui si rivolgono e a cui pensano: non la regione da cartolina, passata alla storia come locus amoenus immobile, cristallizzato nei tempi antichi, protetto da un’aurea quasi sacra che avvolge coloniche di campagna, filari di cipressi e discussioni accademiche da salotti aristocratici. Non la Toscana che “significa vita tranquilla per i beati possidentes”. La Toscana di chi amministra e conosce il territorio è un’altra cosa: è la regione della crisi della mezzadria, delle grandi masse che cercano nuovi sbocchi lavorativi, che si muovono dalle campagne verso i centri abitati. È la Toscana dei distretti industriali che stanno nascendo, con tutte le fratture sociali e culturali che si portano dietro. La Toscana della piccola impresa che riparte favorita dal boom economico che sta attraversando tutto il Paese. La Toscana dei porti, delle vie di comunicazione da incentivare, a partire dalle strade e ripristinando la rete ferroviaria. La Toscana che produce, cresce, si sviluppa. Per cogliere la nuova idea di Toscana, Mario Fabiani, Elio Gabbuggiani e il resto della redazione approfondiranno in ogni numero della rivista un aspetto diverso della regione: che sia l'urbanistica piuttosto che il sistema aeroportuale, o l'agricoltura. È interessante a questo proposito interpretare il rapporto tra la politica ed il lento abbandono del sistema mezzadrile a favore della piccola e media industria, che inizia a costellare, insediandosi, varie zone del territorio. Come sostiene Giacomo Becattini, la difesa della mezzadria è stata per lo più sostenuta in una chiave squisitamente sociale da autori, romantici e conservatori, ma dal punto di vista strettamente economico anche i suoi sostenitori ne hanno ben presto riconosciuto i limiti. Sono state le prime agitazioni popolari del dopoguerra, e soprattutto la crescente presa di coscienza dei propri diritti e della possibilità di modernizzazione individuale ancor prima che sociale, a far crollare questo sistema che per anni ha retto l'economia toscana. L'esodo di massa prodotto dall'abbandono dei campi ha posto gli amministratori, per lo più comunisti, di fronte a nuove esigenze cui dare risposte: è il periodo della crescita urbanistica, cui abbiamo già accennato, ma soprattutto è il periodo cui si rivolgono le parole dell'editoriale della rivista, nel 1963: “Nessuno più di noi è infatti lontano dal mondo degli stanchi adoratori della Toscanina della quale discettava or è un secolo un gruppo di colti ed amabili signori che nella regione possedeva grandi estensioni di terra, che era il depositario del sapere come del potere e che ha lasciato dietro di sé tanti sospiri languorosi ora magari repressi ma non spenti: una Toscanina che significava vita tranquilla per i beati possidentes, capacità di elaborare gruppi di validi anche se non sempre vigorosi ingegni intellettuali, povera agricoltura mezzadrile, contadini impigriti e non diremmo egemonizzati ma addirittura succubi del buon padrone, con elegantissime ma silenziose città ed aviti castelli o rinascimentali ville dove la grande proprietà andava a braccetto con la borghesia antica e recente e con l'intellettualità delle pandette e del verso a godersi vicendevolmente i frutti del loro raffinato mondo

Il progetto di Toscana che Mario Fabiani, e con lui un'intera generazione di governanti, vuole mettere in campo è dunque strettamente legato al futuro delle autonomie locali, alla possibilità di modellare un territorio partendo dalla volontà degli amministratori, dal rapporto con i cittadini. La battaglia per l'attuazione del Titolo V diventa quindi una prima prova verso i modelli di democrazia partecipata, di rappresentanza territoriale, di autonomia nelle scelte. È una battaglia per il futuro dei territori.

(Fonti: Cecilia Pezza, Daniela Poli, Wikipedia)

Tre belle foto (da "Cronache fiorentine del XX secolo" di Franco Quercioli, provenienti dall'Archivio di Red Giorgetti. (g.c.). )


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