Uscire dal ghetto rom
Paola Galli e la propria esperienza con le donne della cultura romani
Costrette a sposarsi a 13 anni, magari con un uomo che nemmeno conoscono. L’orizzonte costretto nel misero interno di una bidonville. “Si parla spesso dell’importanza delle tradizioni, ma la maggior parte delle tradizioni è semplicemente arretrata, incorpora i vizi del passato”, questi i termini del confronto proposto venerdì sera al Cafè de la Paix da Paola Galli, insegnante e scrittrice, impegnata da anni in diversi ambiti del sociale. Tema dell’incontro l’attuale condizione delle donne rom in Italia, parte di un programma più vasto organizzato dalla cooperativa il Germoglio per favorire una maggiore comprensione della cultura romanì. Dopo il primo incontro dedicato alla lettura di brani del testo “Zingari, storia di un’emergenza annunciata”, Paola Galli ha presentato il libro di testimonianza “Storie di donne rom”, una raccolta di appunti biografici nata dall’esperienza del laboratorio Kimete a Firenze.
“Nel quartiere dell’Isolotto c’è sempre stata una grande accozzaglia di persone diverse. É una zona periferica, per molto tempo è stata una vera e propria bidonville – ha raccontato la scrittrice -. Molti rom hanno iniziato ad abitarci, soprattutto profughi dalla Macedonia e dal Kosovo. Con alcune donne il quartiere, supportato da una cooperativa sociale, ha iniziato un percorso di integrazione. Inizialmente sono stati organizzati dei corsi di alfabetizzazione, poi il corso di cucito che ha permesso di strutturare Kimete, il laboratorio sartoriale dove si effettuano piccole riparazioni e servizio di stireria”. La storia di questa attività è stata illustrata ai presenti attraverso la proiezione del documentario “Donne per le donne”, realizzato per il programma “Un mondo a colori” da RaiTv2.
Paola Galli ha poi approfondito la propria esperienza personale, esprimendo le proprie speranze e perplessità: “il libro è corale, raccoglie le vicende e i pensieri di due generazioni: le madri più anziane e le figlie più giovani. Non è sempre stato facile raccogliere le loro confidenze. La tradizione pesa molto sulle loro spalle: quelle considerate anziane hanno magari solo quarant’anni, ma possono ricordare un matrimonio imposto appena adolescenti, le botte della suocera, l’incapacità di gestire le prime gravidanze. Le figlie spesso accettano le stesse imposizioni, come il non poter scegliere il compagno della vita, reclutato dai genitori anche all’estero, ma lo fanno consapevoli della loro ingiustizia. Il desiderio di cambiamento è forte”.
Tanto che qualcuna osa ribellarsi. Come il caso di una delle testimoni cui il libro dà voce, “spedita” in Germania per un matrimonio combinato e tornata in Italia dopo un anno, fuggita da una casa che era diventata una prigione e da una relazione coniugale al’interno della quale il suo ruolo non andava oltre il sentirsi serva del marito.
Luciana Tufani, l’editrice che ha pubblicato il libro e ha introdotto la serata, ha considerato come “la situazione non è diversa da quella vissuta dalle donne italiane cinquanta anni fa. Si subivano grandi pressioni, ma si iniziava a essere coscienti della loro iniquità. Per iniziare a cambiare sul serio è servita l’indipendenza economica”.
Il ghetto è secondo Paola Galli l’ostacolo più difficile da superare: “bisogna che si abituino a vivere con il resto della città. Le più giovani hanno fatto la terza media, e almeno fino a quell’età – prima di andare spose – hanno potuto godere di una minima socializzazione con la realtà esterna. Per gli uomini è diverso, loro escono e hanno più coscienza di ciò che accade nel mondo, anche a livello economico e politico. Le donne è come se vivessero in una scatoletta, dove tutti si guardano e controllano. Le giovani generazioni a contatto con il mondo crescono, mutano, ma affinché questo percorso si realizzi è necessario un discorso serio sul valore della tradizione”.
Licia Vignotto
da Estense.com 22 ottobre 2011
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