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martedì 31 gennaio 2012

L'utopia della base

Gentile comunità dell'Isolotto,

siamo gli autori di un saggio storico che desideriamo portare alla vostra conoscenza. Il saggio, edito alla fine del 2011 dalle Edizioni Punto Rosso di Milano, è intitolato: "L'utopia della base. Un Collettivo operaio nella Toscana tra gli anni '60 e '70". Prefato da Mario Tronti, nel libro viene raccontata la storia del Collettivo operaio sorto alla fine degli anni '60 a Colle di Val d'Elsa, delle sue premesse storiche, economiche e sociali e dei contatti che questo ebbe con le altre realtà "eretiche" della Toscana, come la vostra, da noi documentata nel saggio. In particolare il legame tra il Collettivo e la vostra comunità fu tenuto da una figura che avrà un ruolo non secondario nel nostro saggio: don Auro Giubbolini, sacerdote della parrocchia di Borgatello e organizzatore di un'interessante esperienza di doposcuola.

Il libro che abbiamo scritto a tre mani rientra in un progetto di più ampio respiro che riguarda la costruzione di un archivo multimediale sulla Memoria operaia. Vi allego il link del sito: http://www.utopiadellabase.it

Il 20 febbraio prossimo faremo una presentazione presso il Consiglio Regionale toscano. Siete naturalmente invitati e se il libro ed il progetto trova vostro interesse potete pubblicizzarlo sulle pagine del vostro sito web.

Certi di un vostro interesse vi inviamo i nostri migliori saluti.

Francesco Corsi
Pietro Peli
Stefano Santini.

Abbiamo ritrovato questa memoria d'archivio che dedichiamo agli estensori dell'email e a D.Auro:


09.11.69. Il buon grano e la zizzania crescono insieme. Anche dentro di noi. BA044 (al giro 629
della prima parte della bobina che inizia questa volta con la coda rossa).
(Interventi di: Enzo Mazzi, Sergio Gomiti, d. Auro Giubbolini di Colle Val d’Elsa, Urbano Cipriani, Raffaello Corsi, altre voci non identificate)
Enzo M.: Stamattina si era detto che doveva esserci il battesimo della bambina della Fiorella, quella
signora che ci annunziò questo fatto domenica scorsa, solo che è ammalata nel frattempo e ci tiene
tanto ad esserci anche lei presente insieme a Pierluigi che è suo marito e allora ha preferito
rimandare il battesimo a quando potrà esserci e quando sarà guarita. Per la sua bimba un pochino
più grande mi ha mandato a dire questo e ci ha mandato saluti a tutti. Noi gli auguriamo buona
guarigione e una sollecita guarigione anche. [Una voce maschile fa notare a Enzo M, che invece si tratta del figlio di Maurizio e non della Fiorella]. Ah!, Sì, ho sbagliato, è il figlio di Maurizio, Maurizio, sì, la moglie di Maurizio si è ammalata e gli auguriamo pronta guarigione.
[A questo punto sono registrati solo alcuni accordi di chitarra per iniziare un canto e poi la voce del celebrante che inizia il “Confesso a Dio onnipotente”. Non è registrato il proseguo della messa fino all’intervento del celebrante dopo le letture].
d. Auro G.: Abbiamo letto la lettera di San Paolo ai colossesi, una lettera molto importante perché
quella Comunità della città di Colossi era impegnata a superare alcune difficoltà rappresentate da
idee che contrastavano col messaggio cristiano. Sembra che queste difficoltà nascessero da un
ritorno del giudaismo, del concetto giudaico del rapporto umano basato sul legalismo e non
sull’amore che Cristo era venuto a portare sulla terra. Sembrava che a questo si aggiungesse anche
un’altra forma che minava al fondamento del messaggio cristiano. Ed era il concetto del bene e del
male che non era un qualche cosa che calava nella realtà e nella storia degli uomini ma era un
qualche cosa che dall’esterno veniva imposto agli uomini. L’angelo e il demonio erano le due realtà
di bene e di male esistenti nel mondo. E allora in questo contesto di errori Paolo vuole riportare la
figura di Cristo al suo centro, nel suo vero regno che è la realtà dell’uomo che vive la sua vita. E la
vive in mezzo al bene e in mezzo al male, la vive la lotta del bene e del male, che è una lotta degli
individui, della società, del mondo, dell’uomo, per realizzare quell’avvento del regno che Cristo ha
profetizzato con la sua presenza nel mondo. Quindi è interessante, importante questo. Forse
importante sarebbe leggerla più a lungo non solo in questo pezzo che forse non ci dà questa idea
centrale che ha voluto San Paolo portare alla Chiesa che era nella città di Colossi. Ma certo che
accoppiato soprattutto alla parola di Matteo della zizzania – avete sentito – può essere base di
meditazione del nostro incontro comunitario di questa mattina, della nostra celebrazione eucaristica.
In che cosa consiste per noi il bene e il male? Cioè che cosa vuole Cristo rappresentare in un mondo
e nel mondo degli uomini in cui insieme alla bontà, insieme all’amore, insieme all’attenzione alle
cose e agli altri c’è l’egoismo, c’è la disuguaglianza, c’è la sofferenza? Che cosa vuole
rappresentare il messaggio di Cristo, immesso nei nostri cuori e nella nostra vita, in un mondo dove
il bene e il mal non lo vediamo derivare da fattori extra terreni ma da fattori terreni? Cosa possiamo
rappresentare noi di fronte a questa realtà? Falciamo la zizzania, dicono i servi al padrone. Lasciate
che la storia gli uomini la costruiscano e la costruiscano in questa realtà qui che vivono, perché è da
questa realtà che supereranno anche il loro male, perché in tutti noi il seme del male esiste, quale
(che) sia. Io tento di scoprire il mio; con la mia gente tento di scoprire il nostro; nella realtà che
viviamo tentiamo di scoprire e in questo facciamo la storia delle nostre Comunità, della nostra
Chiesa. Quello che sarà per voi la zizzania della Chiesa fiorentina io non lo so. Questa è una
riflessione che potete fare voi approfondendo questa parte del Vangelo. Forse nelle chiese oggi – il
Vangelo si presta – si ricorderà forse la vostra Comunità come elemento di zizzania nella Chiesa
fiorentina. Non lo so, può darsi. Pensano così. Credo che ci sarà chi lo pensa e chi lo dice così,
magari anche da un altare. Io dico che la cosa non è così facile, perlomeno la cosa non è così facile
stabilire chi è zizzania, chi è grano buono e credo che non sia la divisione verticale, sia orizzontale,
cioè un po’ di male c’è in tutti come un po’ di bene forse ci sarà in tutti. Lo stare insieme, il capirci,
il dialogare è un modo di andare avanti e di capire forse. Fino a che stiamo lontani, fino a che
sentiamo di dare dei giudizi non realizziamo la storia nuova del cristianesimo, quella parola di
amore che ci ha detto Paolo come risoluzione al problema della divisione del bene e del male, Paolo
che ha portato centralità di Cristo nella mia storia: cioè portare questa volontà di rinnovamento, di
conversione, di cambiamento interiore e sociale nella vita dell’individuo e della storia, portare
questa parola nuova che è l’amore, conservare, come dice Paolo, la parola di Dio. Questi sono
elementi positivi che noi possiamo mettere insieme per capirci qualche cosa, per vedere se non
altro, individuare se non altro alcuni aspetti della zizzania che può essere e nella Chiesa di Dio e nel
mondo e nella realtà del mondo. E’ certo che nel vostro cammino, da quanto ho potuto seguire io,
alcuni aspetti della zizzania nel mondo come ingiustizia, come alcune realtà disumane esistenti le
avete presenti nella vostra storia di Comunità dell’Isolotto. Forse ancora del cammino ne farete per
individuare ancora, sia socialmente e sia individualmente, alcuni elementi di divisione nel mondo
degli uomini e questo apporto che voi recate all’umanità sia un apporto veramente di persone vive
come lo siete oggi e come spero rimaniate nella storia futura perché il mondo ha bisogno della
vostra presenza. Come forse ha bisogno degli altri. Una ragione ci sarà. Il Vangelo ci ha detto che
deve e zizzania e grano buono andare avanti insieme, il male e il bene camminare insieme. Una
ragione misterica ci sarà. E’ certo che arriverà il regno e arriverà l’amore. La vostra strada che avete
scelto, la mia strada che ho scelto, la strada di tanti altri forse tenderà a questo recupero dell’amore
nel mondo. Speriamo. E’ certo che la presentazione che la lettera di Paolo e la lettura di Matteo ci
ha presentato non deve, non può finire qui: discorso molto lungo e molto vasto, un discorso che non
posso proporlo io perché è il discorso della vostra Comunità. Il discorso del bene e del male deve
essere visto dove si opera e voi operate in Firenze, nella Chiesa che è in Firenze. Io non sono in
Firenze. Qualche cosa di più potrei dire alla mia gente. A voi non posso altro che prospettarvi il
problema, ricordare la parola di Cristo e augurarvi che le vostre riflessioni e il vostro cammino
continuino sempre per il bene vostro e della Chiesa e anche dell’umanità. Se qualcuno vuole
aggiungere qualche cosa…
Enzo M.: Anzitutto volevo dire che il discorso che ci ha fatto questo sacerdote è un discorso che noi
sentiamo profondamente perché è da tanto tempo che diciamo che noi consideriamo la Chiesa la
Comunità di coloro che si accolgono nonostante tutti i limiti che possiamo avere. Tante volte
abbiamo detto anche questo: che noi non accetteremmo volentieri, non vorremmo un
provvedimento autoritario nemmeno nei confronti di Florit perché tutto ciò che nella Chiesa vi è di
autoritarismo, di oppressione verso chiunque noi lo rifiutiamo proprio in nome di quell’amore, di
quel dialogo, di quell’essere un po’ tutti zizzania e un po’ tutti buon grano di cui ci ha parlato
questo parroco. E quindi ci dà un po’ di fiducia, un po’ di speranza la notizia che è apparsa su un
giornale di ieri, quella del cardinale Florit che ha risposto di no al papa il quale lo voleva mandare a
Venezia. Ci dà una certa fiducia perché anzitutto dimostra che siamo tutti un po’ buon grano e tutti
un po’ zizzania allo stesso modo e quindi è illogico, è ridicolo colpire una Comunità, colpire delle
persone perché hanno della zizzania perché c’è in tutti. Quindi non si deve giudicare l’un l’altro.
Bisogna aiutarsi a trasformarci costantemente in buon grano. Ci dà fiducia questa notizia perché
vogliamo sperare che il cardinale Florit capisca, capisca pagando di persona, trovandosi in fondo
nella nostra stessa situazione, perché capisca e perché arrivi anche lui a cercare una unione nel
dialogo, non nel prepotere, una unione nell’amore, nella fraternità, non nell’autoritarismo, una
unione nella solidarietà con coloro che soffrono e non nel Diritto che il più potente impone verso i
più deboli. Noi abbiamo fiducia. La nostra fiducia non deve venire mai meno ed effettivamente non
viene mai meno. Inoltre vorrei anche dirvi che insieme ad alcuni della comunità, come vi avvisai
domenica scorsa, d’accordo con voi perché ne abbiamo parlato in una assemblea precedente, siamo
stati ad incontrare alcune Comunità in Germania e in Svizzera, e in particolare in Svizzera, gli
emigrati. Una relazione di quello che abbiamo fatto, degli incontri che abbiamo avuto ve la daremo
mercoledì prossimo. Già fino da ora io posso portarvi la simpatia, la solidarietà, l’attenzione e la
ricerca che c’è anche, lo sapevamo di già ma si è toccato con mano, che c’è anche in regioni così
lontane da noi. Ci sono comunità, si cono persone, ci sono laici, sacerdoti che cercano con passione,
con amore, a volte pagando di persona anche loro, cercano questa nuova strada dell’unità, questa
nuova strada della fraternità, questa nuova strada della pace. La cercano con entusiasmo e dobbiamo
dire che questi incontri che abbiamo fatto sono incontri che servono molto, servono a noi perché ci
fanno capire che questo cerchio che noi componiamo intorno a questo altare non è un cerchio
chiuso, ristretto ma è un cerchio aperto che comprende uomini e Comunità di tutto il mondo, che
sono presenti qui anche se non fisicamente sono presenti con tutto il loro essere, con tutta la loro
tensione, la loro ricerca, la loro fede, ci fa capire che la nostra Comunità non è una setta religiosa
ma una Comunità che comprende tanti uomini ormai in tutto il mondo e serve a loro per lo stesso
motivo, perché spesso queste Comunità, questi gruppi, queste persone, questi emigrati hanno
l’impressione di sentirsi soli, hanno l’impressione di essere abbandonati da tutti, hanno
l’impressione di non avere sbocchi e invece questa comunione, questi incontri servono ad aprire
l’animo, il cuore a tutti e a rendere più efficace a rendere più pieno, più comunitario il cammino
della fede. Comunque un resoconto, come ho detto, lo daremo mercoledì prossimo all’assemblea
che faremo alle Baracche come sempre. E un’ultima cosa: dobbiamo di nuovo ringraziare il Signore
per questo sole che ci dà che è qualcosa di misterioso che non sappiamo veramente spiegare. A
Ravensburg, in Germania, quest’anno, a memoria di uomo, sono fiorite le rose di novembre.
Sergio G.: Io vi voglio leggere due lettere che ci sono arrivate molto importanti proprio per
verificare quello che Enzo diceva, di quante persone nel mondo tendono verso questa strada. Questa
lettera è della parrocchia di Cristo Giovane, Largo de Lapas, San Paolo del Brasile. E’ una
parrocchia che ci scrive e dice:
“Caro don Enzo e Comunità dell’Isolotto. La nostra Comunità vuole inviare la propria solidarietà ai
nostri fratelli per l’amore e la lotta sostenuta in ogni momento contro lo strutturalismo e il legalismo
della Chiesa istituzionalizzata allo scopo di restare fermi e fedeli al Vangelo, dentro il dialogo che
lo Spirito del Vangelo ispirò al Concilio Vaticano secondo. Un giorno sarà riconosciuto il vostro
sforzo e il vostro lavoro che noi non dubitiamo affatto sia stato diretto dall’amore per gli uomini e
dal servizio al Popolo di Dio. Noi seguiamo con molta attenzione gli avvenimenti qui in Brasile,
consapevoli che questo sia l’unico mezzo di vivere l’incarnazione nel mondo in cui viviamo. Vi
inviamo le nostre preghiere. Preghiamo Dio che vi mantenga fermi nella lotta in questa prova fino
al punto di uscire dal deserto per arrivare a vivere nella speranza del trionfo della fede che ci
stimola. Ricevete le nostre preghiere di solidarietà. Vostro fratello nella fede don Pedro Vareze,
parroco della parrocchia di Cristo Giovane di San Paolo”.
Questa è invece la lettera di un sacerdote che è prete da poco tempo e ce l’ha scritta prima di essere
ordinato prete:
“Carissimi. Questa lettera avrei dovuto scrivervela diversi giorni fa ma solo oggi mi sono deciso.
Dopodomani sarò ordinato prete dal mio Vescovo. Mi giungono diverse lettere di amici veri e di
amici falsi in cui leggo continuamente auguri e felicitazioni per il coraggio e la testimonianza che
do per il fatto stesso che mi fo prete. E’ tanto il coraggio che non ne ho avuto neanche un pizzico
per scrivervi come ho fatto con tutti gli amici. Vi scrivo ora quasi di nascosto come Nicodemo
quando va a trovare Gesù di notte. Non me ne vogliate e prendetemi così come sono, con la
vigliaccheria che ho dentro di me, incapace ancora di fare precise scelte. Voi avete molti amici che
si dichiarano tali in pubblico senza paura. Io sono vostro amico soltanto dentro di me, non sono
ancora capace di essere libero e di agire come sento. Forse lo Spirito di Dio un giorno o l’altro me
lo concederà. Ancora gli resisto troppo. Dopo la famosa messa di Florit all’Isolotto io ho perduto la
speranza per la pace religiosa della Chiesa fiorentina. Non so a che punto siate adesso voi.
Comunque sia dopodomani anch’io sarò prete. Non ho fatto il passo a occhi chiusi: ormai ho una
certa età e capisco cosa significa farsi prete oggi. Mi manca solo il coraggio che deriva dalla fede e
certo non è poco, comunque aspetto di avere un popolo con cui lavorare e spero di non fallire. Spero di non parlare di un Dio mistificato e falso, fatto su misura per i borghesi. Durante questo mese forse verrò a Firenze e parleremo meglio di queste cose. Intanto vi saluto con i vostri preti Enzo, Sergio e Paolo. Don David”. Ha detto messa pochi giorni fa.
d. Auro G.: Prima di continuare è giusto che dica chi è in comunione con voi questa mattina ed è
qui in mezzo a voi. Sono don Auro, mi chiamo don Auro, don perché è l’usanza da mettere davanti
al prete, al nome del prete. Sono parroco di un chiesetta di campagna alla periferia di Colle,
parrocchietta di poche anime ma interessante come ambiente perché è un ambiente completamente
in trasformazione che è base colonica ma con la vicinanza delle industrie e quindi la unione
economica tra il campo e l’industria ha creato problemi completamente nuovi che è inutile che io
stia qui ad indicarli a voi perché ne avete tutti tanti altri molto più grossi forse di quelli che ci sono
là. Ma in ogni modo, dato che è una società in evoluzione, quindi è interessante starci nel mezzo
come io ci sto, come Auro. Il resto, quello che mi chiedono penso di farlo. Poi ho un doposcuola,
ragazzi che sentono questo mutamento, il cambiamento sociale che vivono nella parrocchia, nella
zona per cui si tenta, nel doposcuola, di crearlo, di orientarlo veramente verso una risposta da dare a
ragazzi di quella specifica società. Non so se avete desiderio di qualche altra notizia…e, se c’è
qualcuno che vuole parlare sia su quello che abbiamo detto in precedenza sia chiedere qualcosa a
me, io sono qua. Ho quarantasei anni fra poco [Applausi]. Che all’Isolotto non parli nessuno, altro che i preti? Non ci credo. Allora i giornali inventano tutto? Allora vi ho addormentato io!
Urbano C.: Io, assieme a Osvaldo, Sergio e Mauro ho parlato fino all’una e mezza di stanotte.
Siamo andati lì in provincia di Lucca e si è avuto un incontro con della gente che è dalla nostra,
qualcheduno con perplessità ma istintivamente. Io sono stato con un gruppo dell’Isolotto da don
Auro dalla sua Comunità vicino a Colle Val D’Elsa e si fece una bella chiacchierata. Fra l’altro io ci
incontrai lì un prete che mi aveva fatto scuola in prima media a cui io volevo tanto bene, di quei
preti simpatici, bravi e si fece una solenne litigata proprio da amici sull’Isolotto e lì venne fuori…
No, non eri te. Io incontrai lì da don Auro quest’altro sacerdote, mio amico, proprio di quei preti che
si fanno voler bene dai bambini, però che quando i bambini diventano ragazzi e giovanotti li
perdono, perché non basta il pallone, non basta la maglietta della Fiorentina, eccetera, non bastano
neppure le olimpiadi e neppure dire ai ragazzi grandi andiamo a fare la San Vincenzo e andiamo a
fare l’elemosina ai poveri. Non basta neppure quello se non c’è accanto un discorso di giustizia. In
parole povere questo prete, che vi dico bravo, onestissimo, in buona fede, di quelli che sono tutto
cuore, pensa ancora, come pensano i preti di Firenze, che gli invalidi si aiutano portandoli a
Lourdes, mandandogli su in cima all’ascensore, però non si aiutano andando un bel giorno per le vie
di Firenze, mentre loro fanno la manifestazione, tutti, unitaria, tutti per avere l’applicazione di una
legge, 382 cosa fosse. Cioè ci sono questi preti che sono ancora così ingenui, così alienati col
lavaggio del cervello che hanno avuto che non si rendono conto di questo. Chi c’era con quegli
invalidi quella mattina? C’era don Borghi, mi pare don Fanfani, un prete che veniva dalle missioni
mi pare delle Filippine, e c’era don Mazzi. Non c’era mica Florit. Non c’era mica monsignor
Panerai, non c’era mica don Pietro, non c’era mica don Gabriele, non c’era mica il diacono. Capito?
Magari non c’erano neanche tanti di noi però noi ci siamo sempre. Ci siamo in altre occasioni, se
non ci siamo stati ci andremo. Questo è il discorso. Ecco e stamani da don Auro imparo di nuovo
questo discorso. Io aspetto e voglio che lui glielo dica a questo prete a cui io voglio tanto bene che
venga a dir messa. Per lui sarebbe come morire, pensare che ha fallito tutta la vita e poi però, dopo
una settimana, rivedrebbe tornare i giovani, quelli che non ci sono più, quelli che gli han voluto
bene da ragazzi, eccetera. Bisogna mettere insieme la carità e la giustizia. Bisogna dire la messa in
quel poggetto dove don Auro la dice e dirla anche su questa piazza perché, senza tante chiacchiere,
lui si sottopone alla stessa oppressione a cui siamo sottoposti noi e soprattutto i poveri del mondo,
perché lui si sottomette al pericolo di essere sospeso a divinis, d’essere dichiarato un sacerdote
contestatore. A quarantasei anni gli diranno che ti sei messo a fare il birichino ma ingrullisci
invecchiando. Nell’ambiente di preti, un uomo che fa come lui a quarantasei anni è una cosa che
bisognerebbe farla noi. D’altronde noi abbiamo queste donne anziane che sono le più feroci
paladine dell’Isolotto e sono quelle che, con la sola presenza e senza parlare, sono quelle che stanno
facendo la rivoluzione all’Isolotto. Io, e finisco, ho letto in un libro scientifico, un discorso
sull’Isolotto fatto da un ragazzo in gamba, marxista, che conosce le cose dal profondo, eccetera,
insomma stringi, stringi di quel libro che cosa dice? La cosa che più mi ha colpito andando
all’Isolotto è stata le persone anziane, quelle vecchie per intendersi e la cosa che più dà noia,
evidentemente, a chi l’Isolotto lo vorrebbe soffocare, è la presenza di quella signora lì, che sta lì
tremolando. Voglio dire, don Auro, anche se non ti parlano, hanno dentro un cuore che basta la
presenza. Queste donne qui così anziane – ora lo dedico a voi perché tanto ho un debole, pazienza!
– con questa sola presenza loro hanno la soddisfazione, dopo una vita di lotte, di sacrifici, forse di
stenti, perché che cos’è una donna che tira al mondo dei figlioli lo sanno solo loro, la soddisfazione
con la sola presenza di fare più canaio, di obbligare la gente a convertirsi molto più di io che sto qui
e faccio il parolaio, proprio stando lì e magari battendo le mani come han fatto prima. Loro aiutano
molto di più quei i bambini di Grottaferrata, quelli dei Celestini, i nostri ragazzi che vanno alla
comunione, aiutano molto di più loro che non io e forse che noi tutti giovani messi insieme. Io
forse sono andato fuori del discorso ma sono sempre dentro al circolo e allora viva le vecchie
dell’Isolotto! [Applausi].
Enzo M.:Non ce ne sono vecchi all’Isolotto, siamo tutti giovani. Anche se ci s’ha parecchi anni ma
lo spirito è giovane e quindi siamo giovani.
Raffaello C.: Scusate, volevo fare una riflessione su San Francesco. L’avevo scritta ma l’ho lasciata
a casa La improvviso così. Da un fatto: San Francesco volle, lasciò detto di voler essere sepolto ad
carnarium. Non so se sapete, cioè fra i giustiziati. Volle essere sepolto nudo e così per essere più
vicino agli ultimi, proprio agli ultimi, agli esclusi, volle essere vicino a questi ultimi seppellito
nudo. E allora io vorrei invitare alla riflessione alla diversità di questo esemplare di quello che è
veramente lo spirito di Cristianesimo, dell’umiltà, della rinuncia ai beni terreni con la diversità di
questo esempio con quello che succede oggi nella Chiesa tradizionale. Con questo atto Francesco
volle anche condannare la società del godimento dei beni terreni e allora vorrei invitare a questa
riflessione: vedere la differenza fra questo che poi è stato fatto santo, fra questo esemplare del
cristianesimo puro a quello che fanno oggi i principi della Chiesa, a come si comportano oggi i
principi della Chiesa, peni di ricchezze, non solo, ma non vogliono addirittura lasciare queste
ricchezze, non solo, ma sono attaccati al potere della ricchezza.
Enzo M.: Il signor Lunghi, Lunghi che è dell’Associazione genitori chiedeva di poter dare un
avviso. Credo che siamo d’accordo.
Lunghi: Soltanto poche parole. Martedì prossimo, alle dieci andiamo in delegazione a parlare con la
Preside della scuola media Barsanti. Avremmo bisogno di essere in diversi. Ora siamo soltanto sei
persone. Avremmo bisogno di essere quindici, venti. Quindi chi è disponibile martedì mattina e ha i
ragazzi alla scuola media Barsanti può venire da me o da Franco o da Sbordoni o da qualcuno di
noi. Martedì mattina alle dieci ci troviamo direttamente alla scuola. Chi può venire lo fa per sé e per
noi tutti. Abbiamo bisogno di tutti. Martedì mattina alle dieci davanti alla scuola Barsanti. Caso mai
per accordi può venire a parlare con me o con Franco Quercioli o con Mauro Sbordoni. Va bene?
Enzo M.: Buon appetito!
[Termina la registrazione e l’assemblea del 9 novembre ’69 al giro 966 della prima parte della bobina. Il resto della bobina nella prima parte ha tracce di musica e canzoni ma si ritiene praticamente vuota. Si passa alla seconda parte che inizia con l’assemblea del 12.11.69]


Scheda del libro:
Un collettivo operaio della Toscana degli anni ‘60 e ‘70 e l’utopia della base [31/01/2012]

Francesco Corsi, Pietro Peli e Stefano Santini
La nostra analisi trova il suo culmine tra la seconda metà degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, quando più conflittuale fu la dialettica tra le componenti che si muovevano all’interno del movimento operaio locale e più evidente la carica delle contraddizioni destinate a deflagrare sulla scena politica. In effetti, questo nostro lavoro vuol essere il racconto di una rottura politica, nata e sviluppatasi in un ambito ben preciso: quello del Partito comunista e della Camera del Lavoro di Colle Val d’Elsa. E’ in questo contesto che si andarono gettando le basi per la formazione di un nucleo di militanti, prima informale poi sempre più strutturato, che avrebbe dato vita alla singolare esperienza del Collettivo operaio, gruppo a vocazione pre-partitica e di base, animato da operai, intellettuali e studenti.

La storia del Collettivo operaio - Proprio le vicende del Collettivo operaio rappresentano la pietra angolare della nostra ricerca. Questa esperienza fu, principalmente, il risultato dell’incontro di tre diversi elementi: un radicale rinnovamento all’interno della Camera del Lavoro con l’emergere di una diversa concezione del sindacato e della lotta di fabbrica; la presenza all’interno del Pci di una componente critica, seppure minoritaria e non strutturata, che si interrogava da tempo sulla natura dello stalinismo e sull’inadeguatezza del centralismo democratico; infine, l’influenza culturale e politica delle istanze del ’68 studentesco e del ’69 operaio. L’acuirsi della tensione politica tra Pci e Camera del Lavoro, la cui impronta politica si era radicalizzata, portò inevitabilmente a uno scontro frontale tra le due realtà. A questo contribuirono anche significative sollecitazioni esterne come le vicende del Maggio francese, la nascita di nuove formazioni alla sinistra del Pci e, soprattutto, la radiazione del gruppo del Manifesto. Si posero così le condizioni per una cesura di carattere non solo politico, ma anche generazionale, che si concretizzò nel 1970 con la radiazione dal Pci locale di 5 membri del Collettivo, le dimissioni di altri 17 militanti e con la riconquista della Camera del Lavoro da parte della corrente legata al Pci. La rottura determinò la trasformazione del Collettivo da movimento di base della sinistra operaia a organizzazione autonoma, fino alla sua confluenza, nel 1975, nel Pdup per il Comunismo. Gli effetti di questo scontro si ripercossero nell’immediato (tanto nei partiti quanto nelle fabbriche e nel sindacato) e si sarebbero perpetuati, nel corso degli anni, nell’immaginario collettivo e politico del sistema locale.

La Val d’Elsa - Il nostro progetto, tuttavia, non si presenta semplicemente come una ricerca di storia locale. Gli avvenimenti e le dinamiche sociali e politiche che si sono sviluppate a Colle Val d’Elsa in quegli anni possono rappresentare un microcosmo significativo utile per un’analisi più ampia. Lo studio di questo periodo storico in un ambito territoriale ristretto ci permette di osservare, da ottiche diverse, fenomeni che troppo spesso sono diventati emblematici unicamente in ambito metropolitano. Del resto quella colligiana non è semplicemente una realtà di provincia; essa presenta una sua originalità fin dall’età medievale per la vivacità economica e sociale dovuta, in modo particolare, alla forza idraulica che ha alimentato le sue manifatture e attività produttive: un contesto proto-industriale che si è evoluto nel tempo, mantenendo, anche nel ‘900, un significativo rilievo in particolare nel settore del vetro, che contribuì a far emergere dal punto di vista sindacale alcune figure che superavano l’ambito locale, come nel caso del segretario nazionale del Sindacato Vetro, Orazio Marchi. Questa vivacità economica e sociale ha sviluppato una tradizione culturale che si è espressa in vari campi, dalla presenza, a partire dal XIX secolo, di riviste e quotidiani che hanno ricoperto un ruolo spesso determinante all’interno del dibattito politico toscano (e talvolta nazionale), come “La Martinella”, “L’Elsa”, “La Giustizia sociale”, fino al “Selvaggio”, con importanti riflessi nell’ambito della cultura, come nel caso di Romano Bilenchi. Colle Val d’Elsa si inserisce pienamente in quelle aree di subcultura rossa (o di terza Italia) che è stata ampiamente analizzata in numerosi contributi storiografici e sociologici. Mancava tuttavia un’analisi che mettesse a fuoco i rilevanti, e poco conosciuti, spazi di eresia politica sorti all’interno di una salda egemonia riformista.

Gli anni ’60 e ’70 - La nostra ricerca si è concentrata soprattutto negli anni Sessanta e Settanta, finendo per coincidere con la periodizzazione, ormai classica, del lungo Sessantotto italiano. Rimane aperto, a questo riguardo, un interrogativo: se la vicenda del Collettivo operaio sia completamente ascrivibile alla categoria dei movimenti sessantottini. Senza dubbio il Collettivo può considerarsi, a livello locale, l’espressione più fedele delle istanze della contestazione, dal momento che ha coperto lo spazio politico dei gruppi extraparlamentari e ha attratto a sé gran parte del movimento studentesco. Tuttavia possiamo scorgerne alcuni presupposti sia nella trasformazione del sindacato sia nella dialettica politica all’interno del Pci, a partire dalla crisi del 1956: tematiche politiche che travalicano lo spirito politico del Sessantotto; questo, semmai, ha agito da detonatore per determinare la rottura degli equilibri da un punto di vista politico, sindacale e culturale.

L’importanza della memoria - Il nostro lavoro verte in gran parte sull’analisi di fonti primarie: documenti, circolari, volantini, manifesti e materiali conservati in fondi pubblici e privati; una mole documentaria che, assieme alle cronache riportate sulla stampa del periodo, ha permesso la definizione delle linee portanti e dei contorni della storia che abbiamo provato a raccontare. Tuttavia non ci sarebbe stato possibile completare il quadro senza fare ricorso ad altri tipi di contributi come le testimonianze orali e la memorialistica inedita. Delle prime sono stati già ampiamente ricordati, in sede di ricerca storiografica, pregi e limiti; ci è sufficiente, in questa sede, evidenziare quanto il contributo del ricordo e della rievocazione testimoniale sia stato utile per colmare i vuoti lasciati dalla carenza (quando non dall’assenza) di documentazione ufficiale e, d’altro canto, anche per restituire importanza al lato prettamente umano ed emotivo di quell’esperienza. Diverso, e più complesso, il discorso sull’utilizzo della memorialistica inedita. Da questo punto di vista, due sono state le assi portanti di questo lavoro: la memoria “Il 68 a Colle” scritta da Enzo Sammicheli e il diario di Silvano Tanzini.

Enzo Sammicheli - La memoria di Sammicheli - segretario della Camera del Lavoro colligiana dal 1953 al 1967 e poi sindaco fino al 1980 - ha ricoperto un’importanza significativa per il nostro lavoro perché si è trattato del primo tentativo di fornire una rielaborazione organica degli eventi intorno agli anni della contestazione in ambito locale; ricostruzione tanto più interessante in quanto proveniente da una voce contrapposta a quella del Collettivo operaio.

Silvano Tanzini - Il diario di Tanzini ha assunto invece un ruolo del tutto particolare nell’economia della nostra ricerca. Silvano Tanzini è stato una figura di primaria importanza nell’ambito delle vicende legate al Collettivo e alla rottura all’interno del movimento operaio colligiano1. Il suo diario, che copre un arco di 45 anni, si presenta come un’opera insolitamente ricca dal punto di vista della riflessione politica, culturale ed esistenziale. La traccia lasciata dai ricordi di Tanzini si è trasformata spesso nel filo conduttore delle vicende più importanti che abbiamo raccontato ne “L’utopia della base”. Ma, al di là di questo, Silvano Tanzini ha avuto un altro grande merito: egli è stato il primo a dedicarsi alla ricerca in relazione alla storia del movimento operaio colligiano degli anni Sessanta e Settanta. Molto del materiale da lui raccolto è lo stesso che noi abbiamo utilizzato per portare avanti la stesura del libro e il compimento di questo progetto. E’ anche grazie al suo lavoro se “L’utopia della base” ha potuto essere scritto e pubblicato.


lunedì 30 gennaio 2012

Esiste una via di uscita a sinistra ?



Comunità dell’Isolotto - Firenze, domenica 29 gennaio 2012
Storie dell’altro mondo: la crisi, ma esiste una via di uscita a sinistra ?
riflessioni di Carlo, Chiara, Claudia, Gisella, Luisella, Maurizio
con un intervento di Moreno


“Il popolo non è tornato a chi lo percuoteva;
non ha ricercato il Signore degli eserciti.
Pertanto il Signore ha amputato a Israele capo e coda,
palma e giunco in un giorno.
L’anziano e i notabili sono il capo,
il profeta, il maestro di menzogna, è la coda.
Le guide di questo popolo lo hanno fuorviato
e i guidati si sono perduti.
[…]
Brucia l’iniquità come fuoco,
che divora rovi e pruni,
divampa nel folto della selva,
da dove si sollevano colonne di fumo.
Per l’ira del Signore brucia la terra,
e il popolo è come un’esca per il fuoco;
nessuno ha pietà del proprio fratello.
Dilania a destra, ma è ancora affamato,
mangia a sinistra, ma senza saziarsi;
ognuno mangia la carne del proprio vicino.”                                        [Isaia, 9, 12-19]


“Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli : “quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio.” I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole, ma Gesù riprese :”Figlioli, com’è difficile entrare nel regno di Dio. E’ più facile che un canapo passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio.” Essi, ancora più sbigottiti, dicevano fra loro :”E chi mai si può salvare?”. Ma Gesù guardandoli disse: ”Impossibile agli uomini, ma non presso Dio, perché tutto è possibile presso Dio”.
                                                                                                     [Marco, 10, 23-27]     

“[…] Il Dio in cui gli uomini credevano al tempo di Gesù era una divinità che andava temuta, della quale avere paura. Ed era questo il Dio che il Messia al suo arrivo avrebbe manifestato, un Dio più facile all’ira che alla compassione, alla collera che al perdono.
E alle folle questo andava bene.
Tremavano quando sentivano Giovanni il Battista tuonare contro di loro con parole tremende (“razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente?”), ma lo accettavano.
Si spaventavano, ma non si scandalizzavano.
Era questo il Dio in cui sempre avevano creduto e da lui non si aspettavano altro. Era un Dio che premiava i (pochi) buoni, ma castigava inesorabilmente i (tanti) malvagi, come minacciava il Battista: ”la scure è posta alla radice degli alberi, perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco.”   
Il nome di Dio era associato più alla paura che all’amore, al castigo più che al perdono, al timore più che alla fiducia, al sacrificio più che al dono, alla sofferenza più che al piacere.
Finché non apparve Gesù e tutto questo cambiò, e cominciò lo scandalo.
Le persone pie e devote, che non si scandalizzavano quando si presentava loro un Dio che castigava i suoi figli con atroci pene, si sdegnavano quando Gesù parlava loro di un amore che era più grande di qualsiasi colpa.
Per la gente religiosa era normale presentare un Dio la cui giustizia prevaleva sulla misericordia, capace di punire per l’eternità anche a causa di un solo peccato, ma essa poi si scandalizzava quando le si presentava un Signore che agli ultimi concedeva lo stesso salario dei primi, ovvero un amore che questi non avevano meritato.”

[Alberto Maggi, Versetti pericolosi, ed. Campo dei fiori, 2011]
“…il passaggio più recente dal primato della produzione a quello del consumo si inserisce all’interno di un orizzonte ancora governato da presupposti e finalità politiche.
Poi, con l’imporsi irresistibile del capitale finanziario, anche questo compromesso economico-politico è saltato in una forma che lascia addirittura pensare a una sorta di teologia economica.
Con questa categoria, elaborata negli anni ’20 del Novecento si intendeva indicare il carattere di vera e propria religione assunto dal Capitale: non più derivato da un’antica fede, ma oggetto di culto esso stesso, con i propri preti, i propri luoghi di celebrazione (costituiti dalle Borse), i propri inesorabili castighi che, nell’attuale situazione, sono rappresentati dalle minacce di default che pesano sui Paesi insolventi. Per evitare la bancarotta, gli stati europei si sono dovuti affidare a medici capaci di curare i loro corpi malati con farmaci essi stessi tossici, destinati più che a guarirli, a prolungarne la tenuta economica fino alla prossima crisi.
Da qui la scelta, del tutto conseguente e ormai inevitabile, vista la gravità irreparabile della situazione, di mettersi nelle mani dei grandi sacerdoti, vale a dire della tecnostruttura economica interna al gioco dei mercati. E’ evidente come in questo quadro, insieme alla sovranità dei diversi Stati, è la stessa politica a segnare il passo, ormai guidata dalla finanza e perfino dalla speculazione internazionale.
Per il necessario rinnovamento teorico della sinistra credo che la prima direzione da seguire riguardi la nozione di “bene comune”.
Contro la rivoluzione d’alto imposta dai mercati mondiali, è tempo che la sinistra metta in moto un nuovo processo dal basso capace di salvare i singoli Paesi senza abbandonare il mondo alle forze della distruzione.
[Roberto Esposito, dalla Teologia ai beni comuni, Micromega, dicembre 2011]

“Non si può assolutamente fare politica senza avere dei grandi ideali. Soprattutto i partiti di sinistra si distinguono di solito dai partiti di destra e dai partiti conservatori proprio perché vogliono trasformare la società. I conservatori sono quelli che vogliono conservare quello che c'è: i partiti di sinistra vogliono trasformare. Per trasformare bisogna farlo in base a principi, in base a degli ideali che giustifichino la trasformazione: bisogna giustificare la trasformazione. La differenza fra il conservatore e il riformatore è che il conservatore non ha bisogno di giustificare la conservazione, invece colui che vuole riformare la società deve giustificare, deve giustificare perché la vuole; e non può giustificarlo se non ricorrendo a dei grandi principi.
Io ritengo che il politico di sinistra deve essere in qualche modo ispirato da ideali, mentre il politico di destra basta che sia ispirato da interessi. “
Norberto Bobbio, "Che cos'è la democrazia?" - Torino, Fondazione Einaudi, 28 febbraio 1985

“La sinistra è oggi introvabile, almeno come forza organizzata e presenza istituzionale. Sinistra infatti vuol dire eguaglianza, lotta incessante per l’eguaglianza, impegno inesausto per riforme che asintoticamente l’approssimino. Senza la bussola dell’eguaglianza, “sinistra” diventa flatus voci: irrisione e menzogna.”  Ma l’uguaglianza implica libertà. Logicamente e storicamente. L’azione della sinistra, la sua efficacia e la fedeltà alle ragioni che la costituiscono si misura perciò in più eguaglianza e più libertà. Insieme. “  
Paolo Flores D’Arcais, "La sinistra presa sul serio", Micromega, dicembre 2011

“[…] Dove sono gli Stati Uniti d'Europa? Non chiamiamo Europa la destra europea, la coppia Merkel-Sarkozy. Il riformismo neo-liberista della sinistra europea ha fallito la propria missione: quella di temperare le febbri della globalizzazione e di dare coscienza sociale al Capitale. E oggi il tema della sinistra torna discriminante. Euro Mediterraneo, la primavera araba, la questione palestinese, chiarezza con la Libia e con i nostri partner sul rispetto dei diritti umani. Rifondare la sinistra per rifondare l'Europa. Il mondo alla ricerca di un nuovo equilibrio: la Cina , India, Brasile, la Russia, le speranze e le incognite africane.
Oppure abolire la sinistra per governare tecnicamente nella stagione della recessione e della povertà di massa […].
C'è una girandola di domande che ruota attorno alla politica, ma la politica discetta dei vizi e delle virtù dell'animo umano. Noi sentiamo come insopportabile il tentativo violento di rimuovere, di abolire quelle domande. Non è previsto un calcolo dello spread sociale, o ambientale, o culturale. Noi quelle domande le vogliamo ascoltare: investono persino il senso del vivere associato. Chiamano in causa le prerogative del genere umano anzi umanizzato, prerogative smarrite nei labirinti dell'individualismo celebrato dalla Lady di quel ferro liberista che ha percosso le nostre comunità di lavoro e di sentimento. Noi le dobbiamo sapere intendere, sondarle, tradurle, quelle domande. Non sfuggire alla loro radicale politicità, non buttarla in filosofia. […].”
Nichi Vendola, intervento alla assemblea generale di SEL, gennaio 2012
Le radici vitali di una società fondata sui beni comuni, di Enzo Mazzi

Lo spettro di un baratro verso cui stiamo inesorabilmente scivolando sta riaprendo la riflessione sui fondamenti della vita sociale, sul senso dello sviluppo, della crescita e del consumo, sulla «razionalità» del mercato, sugli stili di vita individuali e collettivi, sulla nostra quotidianità. È questo il succo dell'incontro che si è tenuto recentemente al centro sociale Rivolta di Marghera, attorno ai due grandi protagonisti attuali della scena pubblica e cioè gli operai della Fiom, i ricercatori, gli studenti medi e universitari.
In discussione è l'asse del vivere civile imposta al mondo intero dalla oligarchia che domina l'economia e la politica a livello planetario: la guerra di tutti contro tutti, chiamata eufemisticamente competizione mondiale. È la follia al potere. Quando avremo raggiunto il fondo a cosa ci attaccheremo per risalire? Non è dal potere che verranno le soluzioni. Perché «non si possono risolvere i problemi con gli stessi schemi di pensiero con cui sono stati creati».

Un nuovo paradigma storico si sta delineando, appena intravisto. È basato sulla cooperazione anziché sulla competizione, sulla condivisione anziché sull'appropriazione individualistica. Il nuovo paradigma si sta configurando come un nuovo patto tra gli esseri umani che però include necessariamente anche un nuovo patto con la terra, con la natura, con la vita. Un sogno? Un'utopia consolatoria senza aderenza alla realtà? Qualche volta il dubbio ci assale. E allora bisogna alimentare la speranza alle esperienze concrete, alle buone pratiche e anche alle buone teorie.

Ci viene in aiuto una recente pubblicazione curata da Paolo Cacciari pubblicata con il titolo “La società dei beni comuni”: una rassegna. «Il libro - è scritto nel risvolto di copertina - raccoglie diciannove opinioni di autrici e autori italiani che da diverse visuali disciplinari ... si sono confrontati con i temi dei commons. Aria, acqua, terra, energia, e conoscenza sono risorse speciali, beni primari da cui tutto dipende e la cui fruizione richiede quindi attenzioni particolari. L'applicazione a tali beni della logica del mercato ha sperimentato infatti i più clamorosi fallimenti. ... ma cresce anche l'opposizione da parte di numerosi gruppi di citttadinanza attiva».
Dopo una panoramica complessiva del problema offerta dall'introduzione di Paolo Cacciari e dal documento “La società dei beni comuni” redatto dalla Officina delle idee di «Rete@Sinistra», si snodano i vari contributi suddivisi in due grandi sezioni: «Le buone teorie» e «Le buone pratiche». Se è permessa una critica, posso rilevare l'assenza di una riflessione sulla memoria. La crisi strutturale che stiamo vivendo oggi c'impone di riscoprire criticamente nella nostra storia i germi di quelle esperienze alternative, di pensiero e di pratiche, che ci hanno preceduto. Non si tratta di riproporre oggi sogni, lotte, racconti del passato ma di ispirarsi di nuovo ai loro valori di fondo. La memoria del vivere sociale ha una grande vitalità generativa: produce identità collettiva, tesse la trama del tessuto relazionale della città, crea di continuo comunità solidali e ostacola i germi distruttivi della frantumazione egoistica.
La memoria sociale, però, non è solo questo. È anche un luogo di resistenza, anzi il luogo privilegiato della resistenza. Il neo-liberismo infatti si afferma nella misura in cui riesce ad annullare la memoria sociale. Perché è creatore di società-necropoli. Ha bisogno di produttori/consumatori senza identità sociale. Per questo salvaguardare la memoria sociale, spogliarla dalla ritualità necrofila, attualizzarla, è uno dei compiti più urgenti di chi vede un futuro per l'umanesimo sociale, per la solidarietà planetaria, per la società dei diritti a partire dai diritti sociali, per l'etica comunitaria aperta oltre i confini.

La via d’uscita (a sinistra)

Si può definire “un altro mondo” quello che si è riunito a Firenze al teatro Puccini il 9 dicembre 2011: le 800 persone che hanno partecipato al forum “La via d’uscita. L’Europa e l’Italia, crisi economica e democrazia” promosso da Rete@Sinistra, Sbilanciamoci, Il Manifesto e Lavoro e Libertà ?
Forse sì, un “mondo” che ha cercato di parlare, confrontarsi, capire, analizzare per trovare e proporre “un’altra strada per l’Europa”. Almeno è stata una voce diversa che, in questo incontro, ha parlato del disastro italiano, del debito italiano, del governo Berlusconi e del berlusconismo e delle manovre del governo Monti; ma soprattutto ha parlato e ha cercato di confrontarsi su proposte alternative a livello europeo, inserite in un’ottica di globalizzazione, che vadano nel segno di mantenere saldi alcuni temi “imprescindibili”: un’altra Europa può essere possibile se prende il volto del lavoro, dell’ambiente, della democrazia, della pace, di una maggiore integrazione.
Al Forum sono stati trattati temi che definiamo “imprescindibili”; ci si è interrogati su:
-come salvare e praticare la democrazia all’interno dell’ormai conclamata sua crisi in Europa, e quale democrazia, vedendo come nodo ancora da sciogliere la ricerca di una sintesi tra democrazia rappresentativa e democrazia “partecipativa” diretta;
-come integrare le politiche economiche in un “modello di sviluppo alternativo” (per non parlare di crescita e decrescita) in cui l’assunto sia aumentare l’occupazione, tutelare il lavoro, ridurre le disuguaglianze, quindi rilanciare la domanda, difendere il welfare, estendere le attività e i servizi pubblici;
-come ridimensionare la finanza e fare in modo che la politica si riprenda il suo potere, uscendo anch’essa dalla sua crisi e individuare un soggetto deputato a fare proposte, analizzando seriamente, senza mascheramenti, la crisi dei sindacati e dei partiti;
-come riportare il controllo degli Stati sul movimenti dei capitali, sulla manovre finanziarie.

Parlavamo di temi “imprescindibili”, ma per che cosa? Per la costruzione di una società basata sull’uguaglianza, sulla giustizia, sull’equità, sulla democrazia, una società di “sinistra”? Ma cosa significano oggi “destra e sinistra”. Vorremmo interrogarci e confrontarci su questi temi, capire come li sentiamo noi, oggi, come riusciamo a miscelare utopia e realtà.

La giornata di discussione al Puccini è stata suddivisa in tre sessioni in cui sono stati affrontati da vari relatori diversi temi.
La prima sessione si intitolava “La rotta d’Europa” ed è stato affrontato il doppio senso che la frase propone: rotta d’Europa perché si cerca di individuare quale rotta, quale direzione l’Europa può ancora prendere, per non diventare un’ Europa rotta, in rotta.
Gli interventi di Massimo Torelli, Rossana Rossanda, Mario Pianta, Luigi Ferrajoli concordavano nel dire che va trovata una via d’uscita alternativa alla depressione economica, in cui le proposte per sanare il deficit di bilancio non vanno cercate fra i più deboli, nelle pensioni, nei salari, nella riduzione della spesa pubblica, del welfare, della scuola, dell’istruzione, ma la tassazione deve spostarsi sui redditi alti e sulla ricchezza, sulle transazioni finanziarie, sull’evasione fiscale. Ma oltre che avanzare proposte alternative in economia, se per economia si intende la “contabilità di bilancio”, vanno affrontate misure politiche, nel senso che la politica si riassuma i suoi poteri per dare una struttura democratica all’Europa, sotto il profilo dei rapporti fra le classi, in cui le decisioni vengano prese dai popoli. Basti pensare che l’Europa Unita, invece di luogo preparato a fermare la globalizzazione, ne è diventata avamposto e che quando la UE si è costituita, il primo atto è stato la creazione di una moneta unica, l’euro, non una costituzione comune, cioè una dichiarazione politica unitaria. E, a questo proposito, Ferrajoli ha proposto, e il forum le ha fatte sue, due azioni immediate:
a)      l’avvio di un gruppo di lavoro che veda insieme giuristi, economisti e politici sui trattati europei per arrivare ad una costituzionalizzazione dei diritti, del diritto al lavoro e dei lavoratori, una costutuzionalizzazione dei beni demaniali e “comuni” ( in base all’esperienza di Napoli), e dei diritti sociali.
b)      b) l’avvio di un gruppo di lavoro sull’audit del debito, per capire non solo a che punto siamo, ma come questo debito si è costituito.

La seconda sessione “Italia: le alternative all’austerità, al debito, per il lavoro” attraverso i relatori ( Gabriele Polo, Giulio Marcon, Guido Viale, Francuccio Gesualdi, Annamaria Simonazzi e Maurizio Landini) ha affrontato più nello specifico quale modello di sviluppo, quale economia si vuole costruire, cioè quale produzione e consumi incentivare.
E’ stata fatta un’analisi della crisi, una crisi molto profonda “nel” capitalismo, non “del” capitalismo che, come sistema, non sta perdendo la sua egemonia, anzi ha reagito con grande determinazione e aggressività agli scossoni del ’68; il neo liberismo “ha vinto”, cambiando l’organizzazione del lavoro, mondializzandola, ha enfatizzato lo spazio della finanza che ha sommerso l’economia reale, il dominio del capitale finanziario non ha più limiti e si stanno smantellando anche quegli elementi riformisti che erano considerati come “diritti” intoccabili, minando alle radici della democrazia.
Si è parlato di uscire dall’opposizione  crescita-decrescita, scegliendo il termine sviluppo, che non significa aumento dei consumi materiali, con la conseguente ricaduta sull’ambiente e su di noi, ma come? Con chi? Va tenuto presente che nel mondo, oggi, ci sono paesi ancora alla fame, paesi emergenti desiderosi di crescere e consumare, enormi interessi contrastanti.
E lo sviluppo deve portare ad un aumento dell’occupazione, soprattutto giovanile.
E’ stato ripreso il tema del lavoro legato ad una rivisitazione del concetto stesso di lavoro, inteso, da una parte, come soddisfacimento dei bisogni e quindi sono tornati slogan quali lavorare meno, lavorare tutti, ridistribuire risorse e salari, puntare su investimenti in infrastrutture sociali che utilizzino capitale umano, quali il tempo pieno a scuola, la formazione, i servizi di cura.
Dall’altra parte Landini ha sottolineato, con forte emotività, il fatto che in Italia e nel mondo, nonostante la disoccupazione galoppante, non ci sono mai stati tanti lavoratori salariati come oggi. Il problema è che il lavoratore non ha più capacità di contrattazione, è ricattato dalle aziende e le domande da porci sono:
-       quale può essere, oggi, il soggetto politico in grado di fare delle proposte, sottolineando la profonda crisi dei sindacati, dei partiti e della stessa “classe operaia”;
-       dove e quali sono i “luoghi” di discussione;
-       come si mette di nuovo al centro la rappresentanza del lavoro;
-       cosa serve oggi produrre;
-       come ricostruire una democrazia sociale.

Dai relatori sono state avanzate anche proposte concrete “riformiste”, come: colpire la finanza con una tassazione forte, colpire gli alti patrimoni e l’evasione fiscale, reintrodurre il controllo dei capitali, ridare fiato agli organismi comunitari, ricondurre la Bce ai suoi obiettivi, riqualificare la spesa in infrastrutture sociali, nei servizi (non tanto in “grandi opere”), per creare occupazione e sostenere l’occupazione femminile, rivedere le pensioni (se si allungano gli anni lavorativi, come possono crearsi posti di lavoro per i giovani?).

La terza sessione “La democrazia, la politica” ha affrontato, tramite Norma Rangeri, Paul Ginsborg, Donatella Della Porta, Alberto Lucarelli, Mario Dogliani e Tania Rispoli questi temi con grande passione, talora sconforto, talora punte di speranza, ma sempre con grande desiderio di trovare “una via d’uscita” e di non tirare i remi in barca.
Passato in secondo piano Berlusconi, l’imbroglione, ora Monti, il pulito, l’onesto ci copre onestamente di lividi. “Gli economisti stanno governando mentre la democrazia sta cercando il modo di rappresentarsi ai cittadini. Siamo governati da paura e da sensi di colpa, la democrazia sembra un lusso. Crisi economica, crisi politica, crisi di leadership; a sinistra non esiste più il partito come soggetto collettivo, i partiti oggi sono un ostacolo al rinnovamento della politica e della rappresentanza”. Sono, all’incirca, le parole di Norma Rangeri che sono servite ad aprire un fertile e acceso dibattito su cosa si intende oggi per democrazia, qual è la sintesi possibile tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa diretta, rispetto a cui Alberto Lucarelli, assessore ai Beni Comuni del Comune di Napoli, ha portato la sua interessante esperienza della costruzione di una rete fra Comuni in cui questi possano diventare laboratori di partecipazione dal basso.
Riportiamo alcuni stralci di un’intervista fatta ad Alberto Lucarelli, (Professore ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico, Università di Napoli Federico II, dal 1999 Componente della Commissione Rodotà per la riforma del regime civilistico della proprietà pubblica e per la difesa dei beni comuni, diventato assessore nella giunta De Magistris), da Checchino Antonimi e  ripresa da “Liberazione” del 17 luglio 2011.
“Napoli è la prima città a introdurre la nozione di “bene comune” nel proprio Statuto. Quando la modifica statutaria che riprende la nozione elaborata dalla “Commissione Rodotà” è passata in Giunta, Alberto Lucarelli, assessore ai Beni comuni, non ha esitato a evocare la rivoluzione. Da allora sembra prendere corpo un approccio inedito ai temi della partecipazione e dei beni comuni. Già la prima riunione di Giunta, nell’imminenza del referendum aveva stabilito immediatamente la ripubblicizzazione del servizio idrico da affidare a un ente di diritto pubblico con i cittadini nel Cda. Passano alcune settimane e centinaia di persone riempiono una sala di Piscinola, la municipalità di Scampia, per lanciare dal luogo simbolo del degrado sociale, la Costituente per i beni comuni – “Laboratorio Napoli”. Lucarelli le chiama «assemblee del popolo. La parola cittadino — spiega – riconduce alla rivoluzione borghese, popolo richiama le conquiste del XX secolo. Il tutto è avvenuto seguendo un particolare modo di lavorare. C’è stata un’assemblea di duecento persone al Maschio Angioino, esponenti di associazioni, singoli cittadini. Il modello che seguiamo è quello definito dalla convenzione di Aarhus (è legge dello Stato dal 2001) con cui l’Ue prevede che i cittadini partecipino alla determinazione delle politiche ambientali, non solo alle fasi di proposta o controllo. E’ qualcosa di più della democrazia partecipativa. Si può definire democrazia deliberativa e a Napoli verrà estesa non solo ai temi ambientali ma a tutte le tematiche locali. E’ il senso della prima assemblea del popolo di Piscinola. Verranno istituite dodici consulte, una per ciascun assessorato, autogestite ma in contatto on line tra loro e con l’assessorato, ciascuna consulta avrà più tavoli tematici e dalle consulte verranno proposte delibere per l’assessore. La Giunta deve attenersi al deliberato oppure argomentare la scelta differente. Ne immagino 2-3 in un anno.
Questo percorso ci aiuta ad uscire dalle mistificazioni della partecipazione, usata spesso per scaricare la responsabilità sui cittadini o per mascherare forme lobbistiche o corporative. In effetti, spesso la partecipazione è ridotta alla messinscena di un rito. E i riti servono a confermare i rapporti di forza.
E’ certo un rischio del processo partecipativo ma l’assessorato sarà garante dell’interesse pubblico, di questa trasformazione che è una rivoluzione perché così si va a destrutturare il concetto di diritto pubblico che prevede finora un processo decisionale ottocentesco, la finzione giuridica dello stato borghese per cui la sovranità appartiene al popolo ma la esercita qualcun altro a suo nome. Il diritto pubblico, fino ad ora, prevede tre dimensioni: quella amministrativo-gestionale, la più autoritaria, la dimensione politica e, con Weimar e con la nostra Costituzione del 1948, arriva la dimensione sociale. Dagli anni 70 ogni forma di democratizzazione non è stata sufficiente a realizzare una democrazia sostanziale. Oggi affermiamo una quarta dimensione quella partecipativa che si può affermare solo se passa una categoria giuridica nuova, quella dei beni comuni. Una dimensione comunista, in grado di uscire dalla strettoia dei regimi proprietari pubblici o privati, dall’accentramento decisionale, dalle politiche sociali calate dall’alto e dallo sfruttamento sui beni pubblici e privati. Tutto ciò è stato reso più grave dai processi di privatizzazione degli anni ’90, da allora assistiamo ad un’accelerazione del saccheggio. Ecco allora l’esigenza di uscire dalla dicotomia pubblico-privato con la categoria dei beni comuni che sono una categoria inclusiva e collettiva in contrasto con i principi escludenti, individualistici e borghesi della proprietà.»

Tornando alla terza sessione del Forum, fertile dibattito anche sulla possibile “alternativa” oggi, su “chi siamo, quanti siamo, come allargare queste riflessioni”, come analizzare la crisi delle forme partito e sindacato e come riattivare un processo che parta dal basso, tenendo presenti che segnali positivi e di speranza ci sono, basti pensare alle risposte che i lavoratori della Fiat riescono ancora a dare, ai movimenti che si sono sviluppati dalla primavera araba, agli indignados nelle piazze del mondo, compresi quelli di Occupy Wall Street che hanno sfilato a New York chiedendo l’istituzione di una “Robin Hood Tax” dell’1% su tutte le transazioni finanziarie e gli scambi di valuta e alle tante altre esperienze sparse per il mondo.

Dal Forum “Via di uscita”- Firenze 9 dicembre 2011 
Proposta di Appello Europeo per “Un’altra strada per l’Europa”
La crisi dell’Europa è l’esaurirsi di un percorso fondato sul neoliberismo e sulla finanza. Negli ultimi vent’anni il volto dell’Europa è stato il mercato e la moneta unica, liberalizzazioni e bolle speculative, perdita di diritti ed esplodere delle disuguaglianze. Alla crisi finanziaria, le autorità europee e i governi nazionali hanno dato risposte irresponsabili: hanno rifiutato di intervenire con gli strumenti dell’Unione monetaria per arginare la crisi, hanno imposto a tutti i paesi politiche di austerità e tagli di bilancio, che saranno ora inseriti nei trattati europei. I risultati sono che la crisi finanziaria si estende a quasi tutti i paesi, l’euro potrebbe saltare, si profila una nuova grande depressione, c’è il rischio della disintegrazione dell’Europa.
L’Europa può sopravvivere soltanto se cambia strada. Un’altra Europa può essere possibile, se prende il volto del lavoro, dell’ambiente, della democrazia, della pace, di più integrazione. E’ la strada indicata da una parte importante della cultura e della società europea, dai movimenti per la giustizia, dalle proteste in tutti i paesi contro le politiche di austerità dei governi. E’ una strada che non ha ancora trovato un’eco tra le forze politiche europee.
La strada per un’altra Europa deve far convergere le visioni di cambiamento, le proteste sociali, le politiche nazionali ed europee verso un quadro comune.
Proponiamo cinque obiettivi da cui partire:
Ø  Ridimensionare la finanza. La finanza – all’origine della crisi – dev’essere messa nelle condizioni di non devastare più l’economia. L’Unione monetaria dev’essere riorganizzata e deve garantire collettivamente il debito pubblico dei paesi che adottano l’euro; non può essere accettato che il peso del debito distrugga l’economia dei paesi in difficoltà. Tutte le transazioni finanziarie devono essere tassate, devono essere ridotti gli squilibri prodotti dai movimenti di capitale, una regolamentazione più stretta deve impedire le attività più speculative e rischiose, si deve creare un’agenzia di rating pubblica europea.
Ø  Integrare le politiche economiche. Oltre a mercato e moneta servono politiche comuni in altri ambiti, che sostituiscano il Patto di Stabilità e Crescita, riducano gli squilibri, cambino la direzione dello sviluppo. In campo fiscale occorre armonizzare la tassazione in Europa, spostando il carico fiscale dal lavoro alla ricchezza e alle risorse non rinnovabili, con nuove entrate che finanzino la spesa a livello europeo. La spesa pubblica – a livello nazionale e europeo – dev’essere utilizzata per rilanciare la domanda, difendere il welfare, estendere le attività e i servizi pubblici. Le politiche industriali e dell’innovazione devono orientare produzioni e consumi verso maggiori competenze dei lavoratori, qualità e sostenibilità. Gli eurobond devono essere introdotti non per rifinanziare il debito, ma per finanziare la riconversione ecologica dell’economia europea, con investimenti capaci di creare occupazione e tutelare l’ambiente.
Ø  Aumentare l’occupazione, tutelare il lavoro, ridurre le disuguaglianze. I diritti del lavoro e il welfare sono elementi costitutivi dell’Europa. Dopo decenni di politiche che hanno creato disoccupazione, precarietà e impoverimento, e hanno riportato le disuguaglianze in Europa ai livelli degli anni trenta, ora serve mettere al primo posto sia la creazione di un’occupazione stabile, di qualità, con salari più alti e la tutela dei redditi più bassi che la democrazia e la contrattazione collettiva.
Ø  Proteggere l’ambiente. La sostenibilità, l’economia verde, l’efficienza nell’uso delle risorse e dell’energia devono essere il nuovo orizzonte dello sviluppo europeo. Tutte le politiche devono tener conto degli effetti ambientali, ridurre il cambiamento climatico e l’uso di risorse non rinnovabili, favorire le energie pulite, le produzioni locali, la sobrietà dei consumi.
Ø  Praticare la democrazia. La forme della democrazia rappresentativa e della democrazia solciale  attraverso partiti, rappresentanza sociale e governi nazionali, sono sempre meno capaci di dare risposte ai problemi. A livello europeo, la crisi toglie legittimità alle burocrazie – Commissione e Banca centrale – che esercitano poteri senza risponderne ai cittadini, mentre il Parlamento europeo non ha ancora un ruolo adeguato. In questi decenni la società civile europea ha sviluppato movimenti sociali e pratiche di democrazia partecipativa e deliberativa – dalle mobilitazioni dei Forum sociali alle proteste degli indignados in molti paesi – che hanno dato ai cittadini la possibilità di essere protagonisti. Queste esperienze hanno bisogno di una risposta istituzionale. Occorre superare il divario tra i cambiamenti economici e sociali di oggi e gli assetti istituzionali e politici che sono fermi a un’epoca passata. L’inclusione sociale e politica dei migranti è una condizione imprescindibile di promozione della convivenza civile e rappresenta un’opportunità per l’inclusione dell’area europea dei movimenti dell’Africa mediterranea che hanno rovesciato regimi autoritari.
Ø  Fare la pace. L’integrazione europea ha consentito di superare molti conflitti, ma l’Europa resta responsabile della presenza di armi nucleari e di un quinto della spesa militare mondiale: 316 miliardi di dollari nel 2010. Con gli attuali problemi di bilancio, drastici tagli e razionalizzazioni della spesa militare sono indispensabili. L’Europa deve costruire la pace intorno a sé con una politica di sicurezza umana anziché di proiezione di forza militare. L’Europa si deve aprire alle nuove democrazie del Medio oriente, così come si era aperta ai paesi dell’Europa dell’est. Si deve aprire ai migranti riconoscendo i diritti di tutti i cittadini del mondo.
Le mobilitazioni dei cittadini, le esperienze della società civile, del sindacato e dei movimenti che hanno costruito quest’orizzonte diverso per l’Europa devono ora trovare ascolto nelle forze politiche e nelle istituzioni nazionali ed europee.
Trent’anni fa, all’inizio della “nuova guerra fredda” tra est e ovest, l’Appello per il disarmo nucleare europeo lanciava l’idea di un’Europa libera dai blocchi militari e chiedeva di “cominciare ad agire come se un’Europa unita, neutrale e pacifica già esistesse”. Oggi, nella crisi dell’Europa della finanza, dei mercati, della burocrazia, dobbiamo lanciare l’idea e le pratiche di un’Europa egualitaria, di pace, verde e democratica.
Primi firmatari (relatori e organizzatori dell’incontro di Firenze):
Rossana Rossanda, Maurizio Landini, Paul Ginsborg, Luigi Ferrajoli, Mario Pianta, Massimo Torelli, Gabriele Polo, Giulio Marcon, Guido Viale, Annamaria Simonazzi, Norma Rangeri, Donatella Della Porta, Alberto Lucarelli, Mario Dogliani, Tania Rispoli, Claudio Riccio, Gianni Rinaldini, Chiara Giunti, Domenico Rizzuti e Vilma Mazza.

 Forum dei Comuni per i Beni Comuni
Il Comune di Napoli ha promosso, per il 28 gennaio, il Forum dei Comuni per i beni comuni. Protagonisti della giornata saranno amministratori, movimenti, associazioni, cittadine e cittadini.
Location dell'evento: Teatro Politeama e Maschio Angioino.

Una giornata, quella che si svolgerà a Napoli il 28 gennaio, che vorremmo fosse dedicata al tema della difesa dei beni comuni, fondamento irrinunciabile dei diritti, ma anche pilastro della democrazia partecipativa.
Documenti
Programma
Ore 9-10,00: Registrazione presso il Teatro Politeama, via Monte di Dio
Ore 11,00: apertura dei lavori:
Norma Rangieri (Il manifesto)
Alberto Lucarelli (Assessore ai beni comuni e democrazia partecipativa del Comune di Napoli)
Ore 12-17,30: presso il Maschio Angioino, svolgimento dei quattro tavoli tematici:
1. Autonomia finanziaria degli enti locali
2. Beni comuni, partecipazione e servizi pubblici
3. Politiche del welfare, diritti, politiche dei migranti e del lavoro
4. Nuovo modello urbano e sviluppo sostenibile
Ore 13,30: light lunch presso il Maschio Angioino
Ore 17,30: pausa caffè presso il Maschio Angioino
Ore 18-19,00: presso il teatro Politeama, in via Monte di Dio: Report dei quattro tavoli tematici
Interventi di: Nichi Vendola (Presidente della Regione Puglia), Massimo Zedda (Sindaco di Cagliari), Giuliano Pisapia (Sindaco di Milano), Michele Emiliano (Sindaco di Bari), Giorgio Orsoni (Sindaco di Venezia), Virginio Merola (Sindaco di Bologna), Nicola Zingaretti (presidente della Provincia di Roma)
Conclusioni di Luigi de Magistris (Sindaco di Napoli)


Valori della sinistra di Pierluigi Bersani (dal Programma “Vieni via con me” 15.11.2010)

La sinistra è l'idea che se guardi il mondo con gli occhi dei più deboli, puoi fare davvero un mondo migliore per tutti.
Abbiamo la più bella Costituzione del mondo, la si difende ogni giorno e il 25 aprile si fa festa.
Nessuno può star bene da solo: stai bene se anche gli altri stanno un po' bene. Se pochi hanno troppo e troppi hanno poco, l'economia non gira, perché l'ingiustizia fa male all'economia.
Si vuole un mercato che funzioni, senza monopoli, corporazioni, posizioni di dominio, ma ci sono beni che non si possono affidare al mercato: la salute, l'istruzione, la sicurezza.
Il lavoro non è tutto, ma questo può dirlo solo chi un lavoro ce l'ha. Il lavoro è la dignità di una persona: sempre. E sopratutto quanto hai 30 anni e hai paura di passare la vita in panchina.
Ma chiamare flessibilità una vita precaria è un insulto. E allora un'ora di lavoro precario non può costare meno di un'ora di lavoro stabile.
Chi non paga le tasse mette le mani nelle tasche di chi è più povero di lui. Se 100 euro di un operaio, di un pensionato, di un artigiano pagano di più dei 100 euro di uno speculatore, vuol dire che il mondo è capovolto.
Davanti ad un problema serio di salute non ci può essere né povero né ricco né calabrese, né lombardo, né marocchino: si fa con quel che si ha, ma si fa per tutti.
L'insegnante che insegue un ragazzo per tenerlo a scuola è l'eroe dei nostri tempi: indebolire la scuola pubblica vuol dire rubare il futuro ai più deboli.
La condizione alla donna è la misura della civiltà di un paese: calpestarne la dignità è l’umiliazione di un paese.
Dobbiamo lasciare il pianeta meglio di come l'abbiamo trovato perché non abbiamo il diritto di distruggere quello che non è nostro e l'energia va risparmiata e rinnovata sgombrando la testa da fanta-piani nucleari.
Il bambino figlio di immigrati che è nato oggi non è né immigrato né italiano. Dobbiamo dirgli chi è: lui è un italiano.
Se devo morire attaccano per mesi a mille tubi non può deciderlo il parlamento, perché un uomo resta un uomo con la sua dignità, anche nel momento della sofferenza e del distacco.
C'è un modo per difendere la fede di ciascuno, per garantire le convinzioni di ciascuno, per riconoscere la condizione di ciascuno. Questo modo, irrinunciabile, si chiama laicità.
Per guidare un'automobile – che è un fatto pubblico – ci vuole la patente – che è un fatto privato.
Per governare – che è un fatto pubblico – bisogna essere persone per bene, che è un fatto privato.
Chi si ritiene di sinistra, chi si ritiene progressista deve tenere vivo il sogno di un mondo in pace senza ovvie violenze e deve combatterle contro la pena di morte, la tortura, ogni altra sopraffazione fisica o morale e ogni illegalità.
Essere progressisti significa combattere l'aggressività che ci abita dentro, quella del più forte sul più debole, dell'uomo sulla donna, di chi ha potere su chi non ne ha. E prendere la parte di chi ha meno forza e meno voce.

Qui finisce il mio tempo, ma non certo il mio elenco. Grazie.

 Destra Sinistra di Giorgio Gaber

Tutti noi ce la prendiamo con la storia
ma io dico che la colpa è nostra
è evidente che la gente è poco seria
quando parla di sinistra o destra.

Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

Fare il bagno nella vasca è di destra
far la doccia invece è di sinistra
un pacchetto di Marlboro è di destra
di contrabbando è di sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
Una bella minestrina è di destra
il minestrone è sempre di sinistra
tutti i films che fanno oggi son di destra
se annoiano son di sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
Le scarpette da ginnastica o da tennis
hanno ancora un gusto un po' di destra
ma portarle tutte sporche e un po' slacciate
è da scemi più che di sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

I blue-jeans che sono un segno di sinistra
con la giacca vanno verso destra
il concerto nello stadio è di sinistra
i prezzi sono un po' di destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
I collant son quasi sempre di sinistra
il reggicalze è più che mai di destra
la pisciata in compagnia è di sinistra
il cesso è sempre in fondo a destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
La piscina bella azzurra e trasparente
è evidente che sia un po' di destra
mentre i fiumi, tutti i laghi e anche il mare
sono di merda più che sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

L'ideologia, l'ideologia
malgrado tutto credo ancora che ci sia
è la passione, l'ossessione
della tua diversità
che al momento dove è andata non si sa
dove non si sa, dove non si sa.

Io direi che il culatello è di destra
la mortadella è di sinistra
se la cioccolata svizzera è di destra
la Nutella è ancora di sinistra.

Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

Il pensiero liberale è di destra
ora è buono anche per la sinistra
non si sa se la fortuna sia di destra
la sfiga è sempre di sinistra.

Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
Il saluto vigoroso a pugno chiuso
è un antico gesto di sinistra
quello un po' degli anni '20, un po' romano
è da stronzi oltre che di destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

L'ideologia, l'ideologia
malgrado tutto credo ancora che ci sia
è il continuare ad affermare
un pensiero e il suo perché
con la scusa di un contrasto che non c'è
se c'è chissà dov'è, se c'é chissà dov'é.

Tutto il vecchio moralismo è di sinistra
la mancanza di morale è a destra
anche il Papa ultimamente
è un po' a sinistra
è il demonio che ora è andato a destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
La risposta delle masse è di sinistra
con un lieve cedimento a destra
son sicuro che il bastardo è di sinistra
il figlio di puttana è a destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
Una donna emancipata è di sinistra
riservata è già un po' più di destra
ma un figone resta sempre un'attrazione
che va bene per sinistra e destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

Tutti noi ce la prendiamo con la storia
ma io dico che la colpa è nostra
è evidente che la gente è poco seria
quando parla di sinistra o destra.

Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

Destra-sinistra
Destra-sinistra
Destra-sinistra
Destra-sinistra
Destra-sinistra
Basta!