Comunità dell’Isolotto
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“CONDIVIDERE PERCORSI DI PACE
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Non c’è libertà senza pace
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la libertà è per tutti o non è per
nessuno
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Scegliamo la nonviolenza, la giustizia
sociale
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la solidarietà come stili di vita
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per la speranza nel futuro
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E’ questo il messaggio nel quale ci
riconosciamo e che vogliamo condividere la notte di Natale
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con tutte le donne e gli uomini di
buona volontà
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Firenze, 24 dicembre 2012 - ore 22,30
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Baracche verdi, via degli Aceri 1
Introduciamo la veglia con questo testo scritto da Enzo nel Natale 2004 |
Questo Natale fra paura e speranza.
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Siamo tutti alla ricerca di raggi di
speranza.
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Forse tale ricerca è alla radice stessa
della nostra esistenza.
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E' una condizione permanente
dell'essere umano.
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Per questo il Natale è così amato. Per
questo ogni cultura ha il suo Natale, chiamato coi mille nomi della
molteplicità delle esperienze storiche e delle fedi.
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Oggi però soprattutto noi occidentali
lo sentiamo con più forza. Perché la paura è particolarmente invadente. E' un
contagio. I motivi sono tanti.
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Fra tutti emerge il terrorismo, la
guerra infinita, lo scontro di civiltà, l’immigrazione, l'incertezza del
futuro, la rivolta della natura. E tutto questo amplificato dalla
strumentalizzazione che ne fanno i poteri che dominano il mondo. I quali
tentano di annegare nella paura ogni nostra ricerca di speranza e di
cambiamento.
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Ma anche la perenne ricerca di raggi di
speranza è oggi tanto più forte. La sentiamo emergere in noi. Più pressante è
la paura più esplode il bisogno di speranza.
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E il Natale acquista un significato di
notevole attualità.
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Non certo il Natale che esaltando la
nascita di uno solo, uomo-dio, totalmente diverso da tutti i comuni mortali,
di fatto oscura e deprime tutte le altre nascite e pone la storia intera
sotto il segno del peccato per poterla salvare dall'alto della sua
onnipotenza.
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Il Natale invece come festa della vita
che nasce, festa della forza vitale che perennemente risorge, festa del
bambino e della bambina raggio di una speranza che non muore, radice di una
speranza capace di vincere il dominio della paura.
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Il Natale festa della nascita di un
Gesù, bambino fra i bambini, speranza fra le speranze, storia di salvezza fra
le storie di salvezza.
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Questo vedere la nascita e la vita di
Gesù e del cristianesimo delle origini inseriti con tutta la loro originalità
nella pluralità dei movimenti storici di speranza, di salvazione e
liberazione non è affatto un declassamento. E' invece una enorme
valorizzazione.
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Lo si capisce ancor meglio oggi in
questa cultura della globalizzazione che ha come risvolto positivo il senso
della intercultura: tanto più "si è" quanto più si riesce ad
"essere insieme agli altri", ai diversi da noi. Non è solo
tolleranza o rispetto degli "altri". E' molto di più e di diverso. E'
"divenire insieme", "trasformarsi insieme".
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E così viviamo questa veglia in spirito
di accoglienza verso la vita che nasce e come impegno per i diritti dei
bambini in tutto il mondo.
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C come.. crisi
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di Abert Enstein
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Non possiamo pretendere che le cose
cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.
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La crisi è la più grande benedizione
per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi.
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La creatività nasce dall'angoscia come
il giorno nasce dalla notte oscura.
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E’ nella crisi che sorge l'inventiva,
le scoperte e le grandi strategie.
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Chi supera la crisi supera se stesso
senza essere superato.
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Chi attribuisce alla crisi i suoi
fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai
problemi che alle soluzioni.
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La vera crisi, è la crisi
dell'incompetenza.
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L'inconveniente delle persone e delle
nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita.
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Senza crisi non ci sono sfide, senza
sfide la vita è una routine,
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una lenta agonia. Senza crisi non c'è
merito. È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi
tutti i venti sono solo lievi brezze.
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Parlare di crisi significa
incrementarla e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo
duro. Finiamola una volta per tutte con l' unica crisi pericolosa, che è la
tragedia di non voler lottare per superarla.
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(tratto da "Il mondo come io lo
vedo", 1931 )
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Riflessione
biblica
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Per riflettere sul senso della religiosità
noi ci riferiamo alla Bibbia, perché riconosciamo in essa una delle basi
della nostra cultura religiosa e umana. Non bisogna però cadere nel tranello
di considerarla un libro dogmatico, prescrittivo. Essa è piuttosto
testimonianza di un percorso storico di un popolo, un percorso lungo e
tormentato, che tra errori, momenti di rottura e nuove prospettive porta ad
una presa di coscienza dei propri obblighi e della finalità della vita.
Vorrei sottolineare che questo non è un percorso individuale, ma collettivo,
portato avanti da tutto un popolo che matura la coscienza di avere un destino
comune, nel bene e nel male.
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I profeti, in particolare, sono le voci
critiche, gli elementi di rottura con una tradizione religiosa basata su
forme rassicuranti e individualistiche e risvegliano una coscienza sociale
basata sulla condivisione e la solidarietà. Il seguente brano è attribuito al
Secondo Isaia, un profeta che opera alla fine dell'esilio babilonese (fine VI
sec. a.C.) e che annuncia la liberazione del popolo ebraico deportato a
Babilonia. Egli si ricollega volutamente alla liberazione dalla schiavitù
egiziana attraverso la rievocazione del deserto, che rappresenta un elemento
mitizzato, legato alle origini del popolo e a quei valori che sono per lui
fondanti.
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Consolate, consolate il mio popolo,
dice il vostro Dio
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parlate al cuore di Gerusalemme e
annunciatele che è finita la sua sofferenza
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che è stata scontata la sua iniquità.
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Essa ha ricevuto dalla mano di Jahwè
doppio castigo per tutti i suoi peccati.
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Una voce grida: "Nel deserto
preparate la via di Jahwè
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livellate nella steppa la strada per il
nostro Dio.
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Ogni valle sia colmata, ogni monte e
colle si abbassi;
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il terreno accidentato diventi
uniforme, quello scosceso una pianura.
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Si rivelerà la gloria di Jahwè e ogni
uomo vedrà la sua grandezza,
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poiché la bocca di Jahwè ha
parlato" (Is 40,1-5).
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Il popolo, purificato nel deserto,
riacquista il ruolo di servo di Jahwè, con il compito di istruire gli altri
popoli sui veri valori e sul senso da dare alla vita: questa si deve
finalizzare al pieno raggiungimento del diritto, della giustizia e della
solidarietà con gli elementi sociali più deboli.
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Ecco il mio servo, che io sostengo, il
mio eletto, di cui gioisce la mia anima.
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Ho posto il mio spirito su di lui, egli
proclamerà il diritto alle nazioni.
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Non griderà, né farà chiasso, non farà
udire in piazza la voce;
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non spezzerà una canna incrinata, non
spegnerà uno stoppino dall'esile fiamma.
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Con fermezza proclamerà il diritto; non
verrà meno né si abbatterà,
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finché non avrà stabilito il diritto
sulla terra.
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Le isole anelano la sua dottrina.
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Così dice Jahwè, che crea e dispiega il
cielo, distende la terra con i suoi germogli,
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dà il respiro alla gente che la abita e
alito a quanti camminano in essa.
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Io, Jahwé, ti ho chiamato nella
giustizia e ti ho preso per mano,
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ti ho formato e stabilito alleanza del
popolo, luce per le nazioni,
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affinché tu apra gli occhi ai ciechi e
liberi dal carcere i detenuti,
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dalla prigione coloro che abitano nelle
tenebre (Is 42,1-7).
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Questo messaggio viene ripreso e
correttamente interpretato da Giovanni Battista e poi da Gesù: l'appartenenza
al popolo di Jahwé e ai valori a lui collegati non si
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misura su un'eredità etnica, di sangue, ma sull'adesione effettiva agli ideali di
giustizia, di solidarietà e di condivisione.
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L'anno 15.mo dell'impero di Tiberio
Cesare, essendo Ponzio Pilato procuratore della Giudea, Erode governatore
della Galilea e Filippo suo fratello governatore della Iturea e della
Traconitide, e Lisania governatore dell'Abilene, sotto il sommo sacerdozio di
Anna e Caifa la parola di Dio fu indirizzata a Giovanni, figlio di Zaccaria,
nel deserto. Ed egli girava in tutto il circondario del Giordano predicando
un battesimo di penitenza in remissione dei peccati, come sta scritto nel
libro di Isaia: "Una voce grida: nel deserto preparate la via del
Signore".
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Giovanni diceva dunque alle folle, che
venivano farsi battezzare da lui:
"Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sottrarvi alla collera
imminente? Fate dunque frutti degni della penitenza e non cominciate a dire
dentro di voi:"Noi abbiamo per padre Abramo", perché io vi dico che
Dio può da queste pietre far sorgere figli ad Abramo. Anzi, già la scure è
posta alla radice degli alberi; ogni albero
dunque che non fa buon frutto si taglia e si mette nel fuoco".
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E le folle gli domandavano:"E
allora cosa dobbiamo fare?". Egli rispondeva:"Chi ha due tuniche ne
faccia parte a chi non ne ha, e chi ha alimenti, faccia altrettanto".
Vennero anche alcuni pubblicani per farsi battezzare e gli chiesero:"Maestro,
che cosa dobbiamo fare?". Egli rispose:"Non esigete di più di ciò
che vi è stato ordinato di riscuotere". Lo interrogarono anche alcuni
soldati:"E noi che cosa dobbiamo fare?". E disse loro:"Non
vessate, né denunciate falsamente nessuno, e accontentatevi delle vostre
paghe". Ora, poiché il popolo era in attesa e tutti in cuor loro si
domandavano se Giovanni non fosse lui il Messia, Giovanni prese a dire a
tutti:"Io vi battezzo con acqua, ma viene uno che è più potente di me,
al quale io non sono degno di sciogliere la cinghia dei sandali; egli vi
battezzerà con Spirito e fuoco. Ha in mano il ventilabro per ripulire la sua
aia e raccogliere il frumento nel suo granaio; la pula invece la brucerà in
un fuoco inestinguibile".
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E con molte e altre esortazioni
annunciava l'evangelo al popolo. Ma il governatore Erode ammonito da Giovanni
a causa di Erodiade, moglie di suo fratello e per tutte le malefatte da lui
commesse, aggiunse anche questa a tutte le altre: mise Giovanni in prigione
(Luca 3,1-20).
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Giovanni ha un linguaggio fin troppo
chiaro, al limite della buona educazione, e indica quali sono gli obblighi da
rispettare per conformarsi al volere di Dio. Non sono obblighi cultuali,
bensì obblighi sociali, di rispetto della giustizia, di condivisione della propria
ricchezza, di solidarietà con i più deboli. L'impostazione del messaggio è di
rottura con un certo perbenismo e con una religiosità consolatoria e obbliga
ad una scelta ben precisa, concreta, che incida nel vissuto quotidiano.
Proprio per questo Giovanni si crea molti nemici, persone non disposte a
cambiare il loro status sociale, e soprattutto si rende inviso al potere che
non sopporta critiche troppo circostanziate. In conclusione egli verrà
arrestato e poi giustiziato senza che ciò sollevasse una reazione
significativa nel popolo.
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Gesù riprenderà in forma diversa lo
stesso messaggio, infondendovi in più uno spirito nuovo, in particolare un
maggior senso di appartenenza ad una comunità, che come tale può incidere in
modo più significativo nella trasformazione sociale. L'individuo infatti da
solo non ha gli strumenti sufficienti per maturare personalmente e per
diventare lievito nella società; per questo Gesù cura molto l'affiatamento
comunitario dei discepoli che in quanto comunità diventa luce per i popoli,
modello di una società diversa, rinnovata in Dio che è Giustizia, Verità e
Amore.
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L'individuo si rende realmente libero
solo all'interno di una comunità solidale, perché essa soddisfa al meglio
tutte le esigenze dell'uomo, sia esigenze personali che esigenze sociali.
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In questa notte di Natale vogliamo
festeggiare non tanto la nascita di un individuo salvatore, Gesù,, quanto la
nascita di una comunità nuova, che si riconosce nei messaggi dei profeti, di
Giovanni e di Gesù; in questa comunità l'uomo trova la propria salvezza
unitamente alla salvezza di tutta l'umanità.
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Il
treno degli emigranti
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Non è grossa, non è pesante
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la valigia dell'emigrante...
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C'è un po' di terra del mio villaggio,
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per non restar solo in viaggio...
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un vestito, un pane, un frutto
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e questo è tutto.
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Ma il cuore no, non l'ho portato:
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nella valigia non c'è entrato.
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Troppa pena aveva a partire,
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oltre il mare non vuole venire.
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Lui resta, fedele come un cane.
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nella terra che non mi dà pane:
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un piccolo campo, proprio lassù...
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Ma il treno corre: non si vede più.
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Gianni
Rodari
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Voci
dalla realta’ che mette paura e
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voci dall’impegno che costruisce
speranza
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Mediterraneo: “Mare nostrum” o cimitero
d’Europa?
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Il Mar Mediterraneo, frontiera naturale
tra l’Europa e l’Africa, antico luogo di incontro tra i popoli, è oggi un
cimitero marino.
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Il naufragio delle cosiddette “carrette
del mare” è diventato la normalità, addirittura sotto gli occhi delle
pattuglie della Nato.
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Negli ultimi 20 anni sono almeno 20mila
le persone che hanno trovato la morte nel Mare Mediterraneo. E di molti altre
non si hanno notizie.
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Migrare è una scelta per la vita: per
sfuggire alla miseria o alla guerra, per costruire un futuro per sé e per i
propri familiari; tuttavia attraversare le frontiere, terrestri o marittime,
vuol dire spesso rischiare la vita. Le rotte migratorie nel mondo sono
punteggiate di fosse comuni e di tombe. Sono anche luoghi in cui migliaia di
persone scompaiono nel nulla. Succede al confine tra il Messico e gli Stati
Uniti, lungo le piste del Sahara, a Ceuta e Melilla, verso e all’interno della
Cina. Succede anche nel Mare Nostrum.
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Ma c’è anche chi lotta ogni giorno contro
l’assuefazione e l’indifferenza, e perché ad ognuno sia assicurata la
dignità. Questa la lettera che Giusi Nicolini, Sindaca di Lampedusa, ha
scritto di recente.
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Sono il nuovo Sindaco delle isole di
Lampedusa e di Linosa.
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Eletta a maggio, al 3 di novembre mi
sono stati consegnati già 21 cadaveri di persone annegate mentre tentavano di
raggiungere Lampedusa e questa per me è una cosa insopportabile. Per
Lampedusa è un enorme fardello di dolore. Abbiamo dovuto chiedere aiuto
attraverso la Prefettura ai Sindaci della provincia per poter dare una
dignitosa sepoltura alle ultime 11 salme, perché il Comune non aveva più
loculi disponibili. Ne faremo altri, ma rivolgo a tutti una domanda: quanto
deve essere grande il cimitero della mia isola?
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Non riesco a comprendere come una
simile tragedia possa essere considerata normale, come si possa rimuovere
dalla vita quotidiana l'idea, per esempio, che 11 persone, tra cui 8
giovanissime donne e due ragazzini di 11 e 13 anni,
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possano
morire tutti insieme, come sabato scorso, durante un viaggio che avrebbe
dovuto essere per loro l'inizio di una nuova vita.
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Ne sono stati salvati 76 ma erano in
115, il numero dei morti è sempre di gran lunga superiore al numero dei corpi
che il mare restituisce.
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Sono indignata dall'assuefazione che
sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell'Europa
che ha appena ricevuto il Nobel della Pace e che tace di fronte ad una strage
che ha i numeri di una vera e propria guerra. Sono sempre più convinta che la
politica europea sull'immigrazione consideri questo tributo di vite umane un
modo per calmierare i flussi, se non un deterrente.
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Ma se per queste persone il viaggio sui
barconi è tuttora l'unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte
in mare debba essere per l'Europa motivo di vergogna e disonore.
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In tutta questa tristissima pagina di
storia che stiamo tutti scrivendo, l'unico motivo di orgoglio ce lo offrono
quotidianamente gli uomini dello Stato italiano che salvano vite umane a 140
miglia da Lampedusa, mentre chi era a sole 30 miglia dai naufraghi, come è
successo sabato scorso, ed avrebbe dovuto accorrere con le velocissime
motovedette che il nostro precedente governo ha regalato a Gheddafi, ha
invece ignorato la loro richiesta di aiuto. Quelle motovedette vengono però
efficacemente utilizzate per sequestrare i nostri pescherecci, anche quando pescano
al di fuori delle acque territoriali libiche.
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Tutti devono sapere che è Lampedusa,
con i suoi abitanti, con le forze preposte al soccorso e all'accoglienza, che
dà dignità di esseri umane a queste persone, che dà dignità al nostro Paese e
all'Europa intera.
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Allora, se questi morti sono soltanto
nostri, allora io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni
annegato che mi viene consegnato. Come se avesse la pelle bianca, come se
fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza.
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Noi e i migranti siamo la stessa
identica cosa, cacciarli sarebbe come cacciare noi stessi. La testimonianza
di Domenico Lucano sindaco di Riace
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I primi 300 curdi irakeni comparvero
dal mare nel luglio del 1998, erano sfiniti e avvolti in abiti colorati
verdi, gialli e rossi. Furono accolti temporaneamente nel territorio di
Riace, dove i paesi erano svuotati, impoveriti ed intristiti dallo spopolamento
e dall’emigrazione, tipico di molti piccoli paesi del sud.
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Il Sindaco Domenico Lucano, però ebbe
una intuizione: aprendo questi borghi all’accoglienza ed all’integrazione
questi sono rinati a vita nuova tornando a popolarsi con gente pacifica che
qui vi ha stabilito la propria dimora. Dove prima regnava il silenzio della
solitudine e dell’abbandono adesso si sente il vociare di genti di varia
nazionalità, il pianto dei bambini, le voci delle mamme, i saluti dei vicini.
Hanno riaperto numerose botteghe, i migranti hanno portato i loro mestieri e
stanno imparando quelli locali nei settori della ceramica, vetro, rame,
sartoria, lavorazione della ginestra. Riaprono i bar e si è scongiurato il
pericolo di chiusura della scuola con 17 bambini immigrati e 9 originari di
Riace.
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“Dal mare arrivano i miei antenati, i
fondatori della Magna Grecia, dal mare arrivano i bronzi e dal mare arrivano
i migranti. Mio fratello è emigrato in America, un altro nei pressi di Torino
… Noi e i migranti siamo la stessa identica cosa, cacciarli sarebbe un gesto
inutilmente crudele, un po’ come cacciare noi stessi”.
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Il modello Riace, impostosi
all’attenzione dei media di tutto il mondo, parte da qui, da una
considerazione semplicissima: gli immigrati
sono una ricchezza, una risorsa. L’incontro reciproco può essere una
gioia, basta volerlo e costruirlo.
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Gli uomini non cambiano
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Prima parlano d'amore e poi ti lasciano
da sola
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Gli uomini ti cambiano
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E tu piangi mille notti di perché
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Invece, gli uomini ti uccidono
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E con gli amici vanno a ridere di te.
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Piansi anch'io la prima volta
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Stretta a un angolo e sconfitta
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Lui faceva e non capiva
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Perché stavo ferma e zitta
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Ma ho scoperto con il tempo
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E diventando un po' più dura
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Che se l'uomo in gruppo è più cattivo
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Quando è solo ha più paura.
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cantata da Mia Martini
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C’è
un modo di guardare alle donne così…
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• Violenza
quotidiana: in Europa la violenza rappresenta la prima causa di morte delle
donne nella fascia di età tra i 16 e i 50 anni. In Italia nel 2012 ogni due
giorni è stata uccisa una donna; nella grande maggioranza dei casi
l’assassino è stato un (ex)fidanzato, marito, convivente, che spesso nel
proprio delirante fraintendimento riteneva di essere innamorato di lei, di
non poter accettare una separazione.
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• Violenza
sulle donne soldato negli USA: sono oltre 20 le donne-soldato statunitensi
morte in circostanze sospette. E nel 2010 sono stati 3.158 i rapporti su
aggressioni sessuali nelle caserme, ai danni di donne, soprattutto di colore.
E il fenomeno, ampiamente sottostimato, raggiungerebbe quota 19mila
aggressioni l’anno. «Di sicuro i militari non vorranno ammettere che donne
soldato nere sono stuprate e assassinate… Sarebbe devastante ai fini del
reclutamento diffondere sui media .. storie di donne soldato nere brutalmente
violentate». ( da Stupri, ricatti e verità, di Ernesto Carmona).
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• Violenza
sulle donne da parte delle religioni
Marcela Lagarde, antropologa e docente universitaria ha sostenuto in
alcuni suoi studi che uno dei pericoli per le donne è la violenza religiosa:
«La politica del Vaticano nel mio Paese ha causato più danni alle donne che
il narcotraffico. La crociata della Chiesa cattolica nei secoli XX e XXI è la
sua politica globale contro i diritti delle donne in Spagna e America Latina,
come mostra la sua lotta al diritto all’aborto che abbiamo costruito passo
passo negli ultimi 50 anni».
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• Storia
di Marina caduta dalle scale (una delle molte storie raccolte in un Centro
antiviolenza): un giovane dottore al Pronto Soccorso una mattina vede
arrivare una ragazza dai capelli castani, che avanza con un braccio
evidentemente spezzato. “Che le è successo?”. "Sono caduta dalle scale".
Ma il dottore insiste: "Forse non è andata proprio così, chi le ha
spezzato il braccio?". Nessuna risposta. Il dottore ingessa il braccio
rotto ma poi si accorge che esce un po' di sangue dal naso e le dice
accompagnandola: "dovresti inventare qualcosa di più originale!".
Un mese dopo lo stesso dottore vede entrare la stessa ragazza che zoppica e
perde ancora sangue dal naso e dice:
"Sei caduta dalle scale?". Lei sorride, ma quando il medico le chiede
"Tuo padre ti picchia? dì la verità…", lei si chiude in un mutismo
rabbioso e umiliato. Il medico denuncia l'episodio e l’assistente sociale
arriva a casa della ragazza scoprendo
che essa è sposata. Il marito fa entrare la donna e spiega che la moglie non
c'è; l’Assistente sociale si guarda intorno sorpresa, non sembra la casa di
un orco, è pulita e ben tenuta. L’uomo spiega che sua moglie è epilettica
e che è per questo si fa male spesso;
e aggiunge “Marina è una moglie meravigliosa che io amo profondamente, ma è
cocciuta come una capra”. Non appena l’assistente sociale se ne va, l’uomo
raggiunge in giardino Marina che se ne sta
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rincantucciata
in un angolo, la strattona e poi l’abbraccia "Amore mio, nessuno può
dividerci, lo sai che io ho bisogno di te! se te ne vai tu, che faccio?
Promettimi che starai sempre con me!" Marina lo stringe a se chiudendo
gli occhi. "Te lo prometto", l'ama, anche se sa che la picchierà
ancora…
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C’è un altro modo di guardare alle
donne…
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Alle donne Davide Cerullo
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Alle donne coraggiose, mamme, sorelle,
figlie di un mondo che ancora non ha riconosciuto loro la sovranità.
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A quelle che hanno dato la vita per
dare al mondo figli, e a quelle che li hanno perduti.
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A quelle che nessuno più ne fa
memoria.
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A quelle che hanno scritto con coraggio
quello che vedevano, pagando un prezzo altissimo.
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A quelle mal amate, picchiate e
violentate con offese sanguinose.
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A quelle con corpi marchiati, segnati
da tracce che non potranno essere rimosse.
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A quelle entrate in un circolo vizioso
di un potere più grande di loro, che vendono il corpo per aver accesso in
questa società, che diversamente non le accetta.
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A quelle affogate nel silenzio
dell'indifferenza collettiva, vittime di una crudeltà sottaciuta.
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A Carmela, chiusa nel carcere di
Pozzuoli, ristretta a sessanta anni in una cella con altre tre, cui nessuno
più scrive un rigo.
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A quelle che aiutano i bambini di tutte
le Scampie del mondo a sviluppare la propria personalità autonoma.
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A quelle che si sono ribellate alla
cultura mafiosa, non perdendo mai la speranza di un mondo migliore.
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A tutte le donne del mondo, quelle che
nessuno più abbraccia, cui nessuno chiede scusa, quelle che lavorano con un
salario spicciolo e nessuno dice loro "grazie".
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Quelle che sono mani braccia e cuore
del mondo, ma nessuno le riconosce.
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A mia madre, donna con un mondo di
figli a carico, alla quale non sono riuscito ancora a restituire un
sorriso.
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I
Colori della Pace
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Avevo una scatola di colori
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brillanti decisi e vivi,
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avevo una scatola di colori,
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alcuni caldi, alcuni molto freddi.
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Non avevo il rosso
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per il sangue dei feriti,
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non avevo il nero
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per il pianto degli orfani,
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non avevo il bianco
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per le mani ed il volto dei morti
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non avevo il giallo
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per le sabbie ardenti.
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Ma avevo l'arancio
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per la gioia della vita,
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e il verde per i germogli e i nidi,
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e il celeste per i chiari
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cieli splendenti
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e il rosa per il sogno e il riposo.
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Mi sono seduta e ho dipinto la pace.
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(Tali Sorek, una bambina israeliana di
12 anni, al tempo della guerra del Kippur)
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Notizie
e Testimonianze dalla Palestina occupata e
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Voci di speranza da un’altra Israele
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La testimonianza di Daniela Yoel, una
donna ebrea israeliana che ogni mattina da 11 anni va a monitorare i
check-point dell’esercito israeliano nei Territori Palestinesi Occupati, come
altre 150 donne dell’organizzazione israeliana Machsom Watch1.
.
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“Un giorno di molti anni fa venni a
sapere che una donna palestinese, incinta di due maschi, era stata bloccata a
un check point mentre cercava di raggiungere l’ospedale. Fermata dai soldati,
fu costretta a partorire in strada, per terra. Entrambi i suoi bambini
morirono, e le fu concesso di passare solo quando fu evidente che anche lei
stava per morire. In quello stesso periodo anche mia nuora era incinta di due
maschi. Che sono nati normalmente in un ospedale, e che oggi sono i miei
nipoti. Da quel momento non ho potuto fare a meno di pensare a quale enorme
differenza ci fosse tra queste due esperienze; a che tipo di trauma quella
donna palestinese ha dovuto affrontare, ma, soprattutto, al fatto che se
fossi stata presente, forse i soldati l’avrebbero lasciata passare. …
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In Israele la gente ogni mattina si
sveglia, prende il caffè e non vuole saperne niente di quello che succede al
di là del muro”.
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“Israele per me e quelli della mia
generazione ha un significato enorme, perché forse come ebrea non mi sentirei
a mio agio da nessuna parte; ma come israeliana ho una patria, e la patria è
quella di cui ci si può anche vergognare!.Gli architetti del male sono
pochissimi, ma hanno bisogno di gente che non vuole sapere. Accadde così
anche al mio popolo: ma noi non possiamo permetterci di dire ‘io non sapevo’,
come fecero altri con 6 milioni di ebrei”.
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A volte, ai check-point, le donne come
Daniela sono accolte con frasi come: “Sono arrivate le zie”. Altre volte con
insulti e minacce. Potrebbe demoralizzarle, ma per loro al contrario è la
conferma che la loro presenza dà fastidio, è utile.
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La testimonianza di ECO (Ebrei contro
l’occupazione) da Il Manifesto 4.12.2012
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L'Europa ha una responsabilità storica
grave nella creazione del problema e dell'oppressione palestinese; dovrebbe
quindi adottare finalmente le misure politiche necessarie (soprattutto,
sospensione di quegli accordi economico-militari con Israele che ne rafforzano
l'occupazione illegale di terre altrui) a determinare una presa di posizione
internazionale contro i continui atti illegittimi delle leadership
israeliane, la cessazione dell'occupazione e il riconoscimento dei diritti
dei profughi.
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In
quanto ebrei, vogliamo anche sottolineare che la creazione di un loro stato è
un diritto dei palestinesi e non dovrebbe in nessun modo essere subordinato
all'esistenza d'Israele come stato «ebraico», che attribuirebbe perciò
maggiori diritti agli ebrei rispetto agli altri cittadini.
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Peccato che mentre l’Italia vota,
finalmente, a favore del riconoscimento alla Palestina il rango di “Stato
Osservatore” continua a fare accordi militari con Israele. Nonostante la
riesplosione della crisi mediorientale, proprio il 2012 ha rappresentato
l’anno chiave nei trasferimenti di sistemi d’arma tra i due paesi.
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Singoli cittadini, associazioni e
comitati di base hanno dato vita alla Campagna BDS per “il boicottaggio, il
disinvestimento e sanzioni nei confronti di Israele” fino a che esso “non
porrà termine all’occupazione e alla colonizzazione di tutte le terre arabe e
smantellerà il Muro; riconoscerà i diritti fondamentali dei cittadini
Arabo-Palestinesi di Israele alla piena uguaglianza; rispetterà i diritti dei
profughi palestinesi al ritorno nelle loro case e nelle loro proprietà come
stabilito nella risoluzione 194 dell’ONU”.
|
Messaggio del Segretario Generale dell'
ONU
|
in occasione della Giornata Internazionale
di Solidarietà con il Popolo
|
Palestinese
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29 novembre 2012 -
|
---Lʼunità palestinese a sostegno della
soluzione dei due Stati è essenziale
|
per la creazione di uno stato
palestinese a Gaza e in Cisgiordania. Il
|
superamento da parte dei palestinesi
delle loro divisione resta essenziale, e
|
deve basarsi sugli impegni presi dallʼOrganizzazione per la liberazione della
|
Palestina, le posizioni del Quartetto e
lʼIniziativa di pace araba.
|
...È ugualmente importante preservare
gli encomiabili successi raggiunti
|
dallʼAutorità Palestinese nei suoi sforzi di
creazione di strutture statali in
|
Cisgiordania, oltre che la contiguità
territoriale di cui essa ha bisogno. La
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prolungata attività di insediamento in
Cisgiordania, compresa Gerusalemme
|
est, è contraria al diritto
internazionale e alla Road map e deve pertanto
|
cessare. La comunità internazionale non
accetterà alcuna azione unilaterale
|
sul terreno. Occorrono inoltre
pianificazione e sviluppo appropriato della
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zona C, anziché demolizioni e confische
di terre. Israele continua poi a
|
costruire il muro in Cisgiordania
contro il parere consultivo della Corte
|
internazionale di giustizia. Mi
preoccupa anche lʼaumento della violenza dei
|
coloni, che provoca perdite e danni ai
beni dei palestinesi.
|
Il segretario generale dell'Onu Ban Ki
moon
|
L’Assemblea generale delle Nazioni
Unite ha votato il 29 novembre 2012 per il riconoscimento della Palestina
come “stato osservatore non membro”, status che le consentirà di partecipare
ai dibattiti delle Nazioni Unite e di far parte in futuro della Corte Penale
Internazionale. I voti favorevoli sono stati 138, quelli contrari 9, quelli
astenuti 41.
|
Da
Precario il Mondo
|
Tanto il mio lavoro è inutile, diciamo
futile
|
essenzialmente rimovibile,
sostituibile, regolarmente ricattabile
|
il mio lavoro è bello come un calcio
all'inguine dato da un toro
|
il mio lavoro è roba piccola fatta di
plastica
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che piano piano mi modifica, mi ruba
l'anima
|
dice “il lavoro rende nobili” non so
può darsi,
|
sicuramente rende liberi di suicidarsi
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e io mi sono rotto, io mi sono rotto,
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non ho più voglia di abitare lo
Stivaletto
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non ha più senso rimanere grazie di tutto
|
aspetto ancora fine mese poi mi dimetto
|
Precario il mondo precario il mondo
|
flessibile la terra che sto pestando
|
atipica la notte che sta arrivando
volatile la polvere che si sta alzando
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Precario il mondo precario il mondo
|
non è perenne il ghiaccio che si sta
sciogliendo,
|
non è perenne l'aria e si sta esaurendo
|
e d'indeterminato c'è solo il
Quando
|
Daniele Silvestri
|
Quale
lavoro? Quale occupazione? Quale futuro?
|
In Europa e soprattutto in Italia è
cresciuta la disoccupazione così come il ricorso alla cassa integrazione
ordinaria e straordinaria, con un’importante riduzione dei redditi della
classe lavoratrice e un impoverimento generale.
|
Molte imprese grandi e piccole hanno
chiuso, altre sono state de-localizzate.
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La precarietà ha toccato livelli
record, diffondendosi sia tra i giovani che tra gli adulti: oltre un milione
di persone oltre i 34 anni non ha un posto fisso. Ed è cresciuto anche il fenomeno degli
scoraggiati, ossia coloro che hanno rinunciato a cercare un lavoro perché
ritengono di non avere possibilità di trovarlo.
|
In questo contesto si sta diffondendo
una pericolosa contrapposizione tra le generazioni, tra i giovani e gli
adulti, tra i “garantiti” e i precari, tra gli italiani e gli stranieri. Una
contrapposizione che se non viene smascherata e superata è solo “guerra tra i
poveri”, porta solo ad un impoverimento e ad una perdita generale di dignità
e diritti per tutti.
|
Lettera a mio figlio in tempo di crisi
(di Matteo Pucciarelli)
|
Caro figlio,
|
Ti diranno che è colpa mia. Di quelli
della mia età. Ti diranno che siamo noi a rubare il futuro a te e a quelli
della tua generazione. Ti diranno che sono un privilegiato, un garantito, e
che se lo sono il prezzo da pagare oggi è la tua flessibilità perenne
(precarietà è la parola giusta.(….)
|
Vedi, ci hanno fatto il lavaggio del
cervello, usando parole appiccicate sui significati sbagliati. Io e
l'articolo 18 che mi porto appresso non sono un garantito. Sono una persona
che lavora, e che nel lavoro viene trattato con la giusta dignità: poter progettare
la mia vita è un diritto, non un privilegio; stare a casa se sono malato è un
diritto, non un privilegio. E se sul lavoro non mi comporto seriamente, se
vengo scoperto a rubare ad esempio, posso essere licenziato. Non verrò mai
licenziato senza giusta causa o giustificato motivo, dice la legge, e non mi
pare un privilegio ma un diritto. (….)
|
Parliamo di te, piuttosto. Della tua
condizione che al solo pensiero non riesco a dormirci la notte, molto spesso.
A me fa male sapere che non godiamo degli stessi diritti (non privilegi,
ricordalo sempre). Ma tu sbagli tiro, se fai la guerra alla mia generazione.
Vogliono farti credere che il problema siamo noi col nostro vituperato
articolo 18, e invece i cattivi sono sempre loro. Quelli che una volta mettevano
contro gli operai e gli impiegati, ora fanno lo stesso tra giovani e vecchi.
(….)
|
Nessuno ci ha regalato nulla. Nessuno.
Tutto ci è costato qualcosa…….
|
Abbiamo
lottato. Abbiamo invaso le fabbriche, le piazze, le città. La polizie a volte
ha sparato, e alcuni di noi ci sono rimasti secchi. Ma noi abbiamo lo stesso
continuato a lottare, a credere nel cambiamento, a impegnarci
quotidianamente per conquistare
consapevolezze e quindi diritti. Ecco, figlio mio, non ti ho insegnato a fare
la stessa cosa. Ti ho fatto crescere dandoti tutto ciò che desideravi
privandoti di niente. Sei venuto su senza il giusto mordente. Non avevi il
tempo di sentire lo stimolo della fame che ti avevo già nutrito. Per questo
oggi è più facile rivoltarsi contro i padri piuttosto che contro un sistema
ingiusto. …. trova, insieme ai tuoi amici, la forza per ribellarti e
riconquistarti ciò che vi è stato tolto. Un futuro dignitoso. E se cambi idea
e domani vorrai festeggiare con me la mia pensione dopo 37 anni di lavoro da
insegnante, ne sarò molto felice.
|
Vite senza valore nell’Italia
indifferente
|
di
Annamaria Rivera
|
La notte fra l’8 e il 9 dicembre, un
sessantenne di origine egiziana, detto Jimmy, muore assiderato per strada a
Napoli. Il mattino dell’11 dicembre, a Torvajanica, sul litorale romano, in
un casolare abbandonato è rinvenuto un cadavere carbonizzato: secondo i
carabinieri, è di una donna immigrata da un paese dell’Est europeo che era
solita rifugiarsi lì. La sera dell’11 dicembre, un detenuto marocchino, in
attesa di giudizio, s’impicca in cella nel carcere di Catanzaro. La notte fra
l’11 e il 12 dicembre, dalle parti di Prima Porta, estrema periferia romana,
due uomini di origine ecuadoriana, di 62 e 65 anni, muoiono intossicati dal
monossido di carbonio sprigionato da un braciere acceso in casa. La notte fra
il 12 e il 13 dicembre, muore nella sua abitazione, nella zona di Peretola,
estrema periferia fiorentina, una donna di 45 anni di nazionalità cinese,
anche lei uccisa dal monossido di carbonio, questa volta esalato da una
bombola di gas.
|
Sei persone immigrate vittime di morte
violenta in così pochi giorni non sono un fatto banale. Sono invece il
tragico indizio d’una condizione di povertà ed emarginazione, aggravata non
solo dalla discriminazione ma anche dalla recessione, che colpisce in modo
particolarmente impietoso gli ultimi fra gli ultimi.
|
Isa. Bella
|
Capita di
rado che un articolo di giornale faccia spuntare i lucciconi. A me è successo
con la storia raccontata da Laura Bogliolo sul «Messaggero». In apparenza
parla di una signora di 34 anni, Isabella Viola, morta domenica 18 novembre
per un malore sulla banchina della stazione Termini a Roma. In realtà dentro
quella donna c’è tutto. C’è la pendolare che si sveglia alle 4 ogni mattina
per andare a preparare le brioche in un bar del quartiere Tuscolano. C’è
l’orfana precoce che la vita ha costretto a crescere in fretta, come se già
sapesse di non poterle concedere troppo tempo per esprimere i propri talenti.
C’è la mamma di quattro figli che sulla sua pagina Facebook scrive: «Una
donna il suo gioiello più prezioso non lo indossa, lo mette al mondo». C’è la
sognatrice che fantastica di aprire un forno tutto suo per le brioche. C’è la
sgobbona di cuore che risparmia per i regali di Natale dei ragazzini e si
agita per trovare casa a tre cani randagi. C’è la malata che da tempo non si
sente bene, ma non può smettere di alzarsi alle 4 - a Torvaianica, in faccia
a un mare che non vede mai - per prendere un bus e due linee di metropolitana
fino al bar del Tuscolano. C’è una vita dura. E una persona vera,
completa.
|
Da qualche
giorno accanto al bar è spuntata una cassetta con la scritta: «Aiutiamo i
figli di Isabella». Giovani, casalinghe, impiegati e pensionati sfilano come
in una processione, togliendosi magri spicci dalle tasche. Non è
un’elemosina. E’ l’omaggio a una regina.
|
Massimo
Gramellini da La Stampa
|
Lasciateci
parlare di libertà
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Lasciateci
parlare dell'immensa terra
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E delle
anguste strisce su cui noi sgobbiamo
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Lasciateci
parlare di fratelli e di sorelle senza terra
|
E di
bambini e di bambine senza istruzione.
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Lasciateci
parlare di tasse e di bestiame e di miseria.
|
Lasciateci
parlare di libertà.
|
Lasciateci
parlare di lavoro massacrante
|
E di
fredde baracche lontano dalle famiglie.
|
Lasciateci
parlare di lunghe ore di duro lavoro
|
E di
uomini e di donne mandati/e a casa a morire.
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Lasciateci
parlare di ricchi padroni e di magri salari
|
Lasciateci
parlare di libertà
|
Lasciateci
parlare di ricchi alimenti che noi produciamo
|
E di leggi
che ci tengono poveri/e
|
Lasciateci
parlare di crudeli maltrattamenti
|
E di
bambine e di bambini costrette/i a lavorare
|
Lasciateci
parlare di prigioni segrete
|
E di
percosse e di lasciapassare.
|
Lasciateci
parlare di libertà
|
Lasciateci
parlare di cose buone che noi facciamo
|
E delle
dure condizioni in cui lavoriamo
|
Lasciateci
parlare di pass e di pochi posti di lavoro
|
Lasciateci
parlare di capisquadra e di trasporti
|
Di
sindacati, di vacanze e di case.
|
Lasciateci
parlare di libertà
|
Lasciateci
parlare della luce che viene dal sapere
|
E del modo
in cui siamo tenuti al buio
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Lasciateci
parlare dei grandi servigi che possiamo rendere
|
E delle
poche possibilità che ci vengono offerte
|
Lasciateci
parlare di leggi, di governi e di diritti
|
Lasciateci
parlare di libertà.
|
(Anonimo
africano)
|
Paesaggio: bene da depredare o bene comune?
|
Il
Paesaggio d’Italia, bene comune unico e prezioso, da tutelare con
sollecitudine e attenzione, nella realtà è stato spesso depredato, consumato,
violato:
|
• negli ultimi 10-20
anni la superficie agricola si è notevolmente ridotta ed è stata spesso
lasciata andare, abbandonata a sé stessa;
|
• la cementificazione
sia delle periferie urbane che di zone ambientalmente preziose come le aree
ai piedi delle montagne o delle colline, è notevolmente cresciuta;
|
• è in crescita
l’urbanizzazione dei litorali con l’arrivo del cemento quasi fin sulla costa
per la costruzione di moli, infrastrutture, strade, parcheggi, …
|
• gli abusi edilizi sono
incoraggiati dalla certezza che tanto ci sarà un condono…
|
La violenza contro il
territorio sembra una ineluttabile calamità ma non è così! Il bene comune
paesaggio, come ogni altro bene comune, va difeso con un altro orizzonte
culturale e umano.
|
La storia di
resistenza di Ovidio Marras
|
Un vecchio pastore che
sa cos’è la terra e la cultura
|
La cultura genera
vita. E qualche mese fa un uomo di 81 anni ha spiegato con una semplice frase
che cosa è la cultura. La cultura della quale parlava era la sua terra, i
luoghi nei quali è nato e vissuto.
|
Ovidio Marras, 81
anni, pastore di Teulada è riuscito a bloccare una potentissima cordata di
investitori che voleva (e vuole) costruire un mega centro benessere
nell’incontaminato Capo Malfatano, a pochi chilometri da Cagliari.
|
Ovidio è riuscito per
il momento a bloccare l'albergo, visto che è proprietario del terreno sul
quale, con prepotenza, è stata costruita la strada che dovrebbe servire a
raggiungere il nascente complesso turistico.
|
“La terra resta, i
soldi se ne vanno": questo ha detto per spiegare perché si è
intestardito nella sua lotta. Un uomo è uomo quando può dire di vivere in un
luogo che merita di esistere e di durare. Il mondo intero dovrebbe avere
l'aspetto di un luogo che merita di esistere e di durare. Con meno alberghi,
con meno sviluppo, ma con più armonia.
|
Vogliono rubarci i sogni….
|
Ci dicono che la pace
è un'illusione, che le guerre sono giuste e le armi ci proteggono.
|
Ma le bombe cadono
sulle case e sugli ospedali e i soldati sparano ai bambini.
|
Ci dicono che la
giustizia non serve e che la ricchezza dei ricchi sgocciolerà fino ai poveri.
Ma miliardi di persone sono senza cibo, acqua, scuole, medicine.
|
Ci dicono che la
democrazia reale rallenta il progresso e che i padroni dell'economia possono
non rispettare le leggi e non pagare le tasse.
|
Ma gli Stati sono
incapaci di garantire i diritti dei cittadini e i più forti schiacciano i
deboli.
|
Ci dicono che la
cultura è un lusso per pochi, che per essere felici basta pensare tutti allo
stesso modo e mangiare tutti le stesse cose.
|
Ma le civiltà sono
annientate dalle nuove barbarie e la bellezza è soffocata dalla
volgarità.
|
Ma... i sogni non si
possono rubare! Sono più tenaci delle violenze e delle falsità, infondono
coraggio e indicano il cammino.
|
Continueremo ad
operare per la pace e, senza timore di minacce, staremo ovunque dalla parte
delle vittime.
|
Lavoreremo per la
giustizia, condividendo i nostri beni, esigendo che i Governi
ridistribuiscano ai molti la ricchezza dei pochi.
|
Lotteremo per la
democrazia, difendendo i deboli e vigilando sulle decisioni dei potenti.
|
Costruiremo
alternative e sceglieremo la solidarietà perché un altro mondo è possibile.
|
Terremo lo sguardo
alto, rivolto ai cieli dell’Utopia, camminando ogni giorno nella polvere
della Storia.
|
La nonviolenza è.....
|
La nonviolenza è uno
stile di vita ed un metodo per ottenere positivi cambiamenti sociali.
|
E’ il cambiamento che
vogliamo vedere, senza che questo comporti distruzione, umiliazione,
punizione di chi vi si oppone.
|
Sebbene questa
definizione sia molto semplice, è resa di difficile comprensione dal fatto
che la nostra società identifica il potere, la forza e 1’efficacia, con la
violenza, la competizione ed il dominio.
|
La nonviolenza
desidera creare un mondo che sia:
|
• affermativo della
vita: un mondo che valorizza tutto ciò che è vivo;
|
• amabile ed empatico:
un mondo che si cura della gente che al mondo vive;
|
• egualitario: un mondo
che dia valore ad ogni singolo individuo;
|
• cooperativo: un mondo
che incoraggia la condivisione fra tutte e tutti;
|
• democratico: un mondo
che risponde equamente ai bisogni ed ai desideri di
|
ciascuno, in cui
ciascuno assume per sé responsabilità;
|
• gioioso: un mondo in
cui ci sia spazio per ridere e amarsi e giocare.
|
Maria G. Di Rienzo
Portavoce della Convenzione permanente di donne contro le guerre
|
Esser pieno di speranza…non è una follia
|
Howard Zinn2
2
Howard
Zinn (1922–2010) è stato uno storico statunitense. Celebre per aver
scritto importanti e noti testi di
storia partendo non dai presidenti o dalla classe dirigente, ma da quelle
persone escluse dalla storia ufficiale, ovvero i poveri, i nativi americani,
gli schiavi di colore, le donne.
|
Esser pieno di
speranza in tempi cattivi non è poi così follemente romantico.
|
Si basa sul fatto che
la storia umana è una storia non solo di crudeltà, ma anche di passione
comune, sacrificio, coraggio, gentilezza.
|
Quello che noi
scegliamo di esaltare in questa storia così complicata determinerà le nostre
vite.
|
Se noi vediamo solo il
peggio, questo distrugge la nostra capacità di fare qualcosa.
|
Se noi ricordiamo quei
tempi e luoghi, e ce ne sono tanti, dove la gente si è comportata
magnificamente, questo ci dà l'energia per agire, e almeno la possibilità di
mandare questa trottola del mondo in una direzione differente.
|
E se noi agiamo, per
quanto in piccolo, noi non abbiamo da attendere qualche grande utopia
futura.
|
Il futuro è una
infinita successione di presenti, e vivere ora come noi pensiamo che gli
esseri umani dovrebbero vivere, a dispetto di tutto quello che c'è di male
intorno a noi, è in se stesso una meravigliosa vittoria.
|
Se la storia ha da
essere creativa in modo da anticipare un possibile futuro senza negare il
passato, essa dovrebbe, credo, mettere in evidenza nuove possibilità
mettendo in luce quegli episodi del passato che sono stati tenuti nascosti,
quando, anche se in brevi sprazzi, la gente dimostrò la sua capacità di
resistere, di mettersi insieme, e qualche volta di saper vincere.
|
Condividere percorsi di pace.
|
Condividere percorsi
di libertà
|
Il gruppo dei ragazzi
genitori della Comunità sta facendo un lavoro quest’anno alla ricerca del senso
della parola libertà. Per molti libertà “è fare quello che ci pare,
fregandosene di tutto e di tutti”. Per
noi no! Per noi libertà ha molti significati, tutti collegati alle relazioni
positive con la natura e con le persone, alla dignità da riconoscere ad ogni
creatura vivente, con il senso di amicizia e di responsabilità che ci lega
gli uni con gli altri. Ecco alcuni dei significati che abbiamo raccolto tra
noi e nel cerchio della Comunità.
|
• Mi sento libero quando
cammino nel bosco, respiro aria pulita e sento il vento frusciare tra le
foglie
|
• Per me la libertà è
riconoscere la luce in ogni ombra
|
• Mi sentirò libera
quando tutti gli uomini si vorranno tutti bene
|
• Per me la libertà è
comunicare e stare con gli altri …
|
• Mi sento libera quando
sono felice delle cose che ho e non cerco di avere di più.
|
• Mi sento libero quando
suono la chitarra, pattino, vado in bici, cammino in montagna, cammino coi
piedi nel fiume
|
• Mi sento libero quando
vivo e respiro la piazza
|
• Mi sento libero quando
nessuno soffre
|
• Mi sento libero quando
mi accorgo di vivere in mezzo a uomini e donne libere
|
• Mi sento libero quando
scrivo alle mie amiche
|
• Mi sento libero quando
cerco palindromi e sono a Palazzuolo
|
• Per me libertà è
scegliere quello che vuoi fare
|
• Per me libertà è poter
partecipare anche se non si sa parlare
|
• Per me la libertà è
andare oltre i luoghi comuni e le abitudini consolidate
|
• Per me la libertà è
esprimere quello che siamo veramente…
|
• Mi sento libera quando
non do troppa importanza ai giudizi degli altri
|
• Per me la libertà è
incontrare l’altro/a senza pregiudizi
|
• Per me libertà è
partecipazione
|
• Mi sento libero quando
sto con i miei amici
|
• Per me la libertà è
quando siamo liberi tutti
|
• Mi sento libero quando
sono con gli altri
|
• Per me libertà è
togliere le paure, tutte le paure
|
• Per me libertà è avere
un lavoro che mi permetta di progettare il futuro
|
• Mi sento libero quando
penso che domani potrò fare una cosa bella e gradevole
|
• Per me libertà è
esprimere con la mente e la parola ciò che penso
|
• Per me la libertà è
vivere in armonia con tutti e tutto
|
• Per me libertà è
rispetto reciproco, uguaglianza
|
• Per me libertà è
vivere con consapevolezza
|
• Mi sento libero quando
posso organizzare il mio tempo senza condizionamenti ..
|
• Ci sarà libertà quando
tutti i Paesi riconosceranno che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed
eguali in dignità e diritti…”.
|
Lettura comunitaria
|
Non credo al diritto
del più forte, al linguaggio delle armi, alla potenza dei potenti.
|
Voglio credere al
diritto dell’uomo, alla mano aperta, alla potenza dei non-violenti
|
Non credo alla razza o
alla ricchezza, ai privilegi, all’ordine stabilito.
|
Voglio credere che
tutti gli uomini sono uomini,
|
che l’ordine della
forza e dell’ingiustizia è un disordine.
|
Non credo di potermi
disinteressare a ciò che accade lontano da qui.
|
Voglio credere che il
mondo intero è la mia casa e il campo nel quale semino,
|
e che tutti mietono
ciò che tutti hanno seminato.
|
Non credo di poter
combattere altrove l’oppressione se tollero l’ingiustizia qui.
|
Voglio credere che il
diritto è uno, tanto qui che altrove,
|
che non sono libero
finché un uomo è schiavo.
|
Non credo che la
guerra e la fame siano inevitabili e la pace irraggiungibile.
|
Voglio credere
all’azione semplice,
|
all’amore a mani nude,
alla pace sulla terra.
|
Non credo che il sogno
degli uomini resterà sogno e che la morte sarà la fine.
|
Oso credere invece,
sempre e nonostante tutto, all’uomo nuovo.
|
Osiamo credere al sogno di Dio stesso:
un cielo nuovo, una terra nuova, dove
abiterà la giustizia.
|
Uniamo questi germogli
di speranza al messaggio della religiosità del natale ed alla memoria di Gesù il quale
|
la sera prima di
essere ucciso, mentre mangiavano, prese del pane lo spezzò e lo diede loro
dicendo:
|
prendete questo è il
mio corpo.
|
poi prese un bicchiere
rese grazie,lo diede loro e tutti ne bevvero e disse loro:
|
questo è il sangue mio
dell’alleanza che si sparge per molti.
|
Questo pane che
condividiamo,
|
intrecciando
liberamente i sentimenti,
|
le ansie, le
esperienze e le fedi più diverse
|
siano un segno e un
principio di speranza
|
un segno fra tanti di
solidarietà e di pace universale.
|
Canti
|
Sally
|
Sally
cammina per la strada senza nemmeno….
|
….
guardare per terra
|
Sally è
una donna che non ha più voglia
|
…. di fare
la guerra
|
Sally ha
patito troppo
|
Sally ha
già visto che cosa….
|
“ti può
crollare addosso”!
|
Sally è
già stata “punita”…
|
per ogni
sua distrazione o debolezza…
|
per ogni “candida
carezza”…
|
“data” per
non sentire…. l’amarezza!
|
Senti che
fuori piove
|
senti che
bel rumore…
|
Sally
cammina per la strada sicura
|
senza
pensare a niente!
|
…. ormai
guarda la gente
|
con aria
indifferente…
|
…. sono
lontani quei “momenti”…
|
quando
“uno sguardo” provocava “turbamenti”…
|
quando la
vita era più facile…
|
e si
potevano mangiare anche le fragole….
|
perché la
vita è un brivido che vola via
|
è tutt’un
equilibrio sopra la follia….
|
…… sopra
la follia!
|
Senti che
fuori piove
|
senti che
bel rumore…
|
Ma forse
Sally è proprio questo il senso… il senso…
|
del tuo
“vagare”…
|
forse
davvero ci si deve sentire….
|
alla fine….
un Po’ male!….
|
Forse alla
fine di questa “triste storia”
|
qualcuno
troverà il coraggio
|
per
affrontare “i sensi di colpa”…
|
e
Cancellarli da questo “viaggio”….
|
per vivere
davvero ogni momento…..
|
con ogni
suo “turbamento”!….
|
e come se
fosse l’ultimo!
|
Sally
cammina per la strada… “leggera”…
|
ormai è
sera…
|
“si
accendono le luci dei lampioni”…
|
“tutta la gente
corre a casa davanti alle televisioni”…
|
ed un
pensiero le passa per la testa
|
“forse la
vita non è stata tutta persa”…
|
forse
qualcosa “s’è salvato”!!…
|
forse
davvero!… non è stato “poi tutto sbagliato”!
|
“forse era
giusto così!?!”….
|
……
eheheheh!……
|
forse ma
forse ma sì….
|
Cosa vuoi
che ti dica io
|
senti che
bel rumore…
|
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