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TESTAMENTO BIOLOGICO:
ECCO PERCHÉ È UN DIRITTO
Ad avviare il
complesso dibattito riguardante il testamento biologico (alias "Dichiarazione
anticipata di trattamento") è stato il caso di Eluana Englaro. Eluana, ragazza
in stato vegetativo permanente da 17 anni a causa di un incidente stradale, è
alla fine deceduta per sospensione della nutrizione artificiale. Tale decisione
era stata da lei ripetutamente comunicata preventivamente e in piena salute al
padre Beppino, qualora le fosse successo di cadere in coma irreversibile. Altre
vicende altrettanto note e drammatiche sono quelle che hanno riguardato pazienti
in condizioni di estrema sofferenza ma ancora vigili come L. Coscioni, PG Welby,
G. Nuvoli, e P. Ravasin, tutti accomunati dal desiderio di porre fine ad una
vita ritenuta ormai insopportabile.
Tra tutte queste
inumane vicende una delle più sconvolgenti (ma fare una graduatoria è davvero
crudele e impossibile) è quella Giovanni Nuvoli. Dopo ripetute suppliche di
Nuvoli, pienamente cosciente e dopo visite multidisciplinari favorevoli ad
accogliere il suo desiderio di porre fine ad una situazione insostenibile,
l'anestesista Tommaso Ciacca accetta la responsabilità di staccare il
respiratore dopo aver sedato il paziente come da sua precisa richiesta. Ma non
può farlo perché viene bloccato dalle forze dell'ordine attivate dalla Procura
di Sassari. Così Nuvoli, come Welby tenuto un vita contro la sua volontà da un
respiratore, avendo già da giorni rifiutato cibo e liquidi e soffrendo come non
avrebbe voluto fino all'ultimo istante, morirà di fame e di sete.
Questioni così
delicate e dolorose hanno sollevato e ancora sollevano ciclicamente sui giornali
e in televisione un'accesa discussione giuridica, filosofica, religiosa e
politica. Nucleo peculiare del dibattito è se una alimentazione artificiale può
essere considerata nutrizione tout court o invece atto terapeutico, una cura.
Questa distinzione è inevitabilmente diventata cruciale anche nel produrre una
normativa che a molti sembra ancora davvero incongrua.
Secondo la
Costituzione italiana nessuno può essere sottoposto obbligatoriamente ad una
cura o comunque ad un trattamento sanitario, salvo casi particolari previsti
dalla legge. Per questo nel 1997 è stata ratificata la cosiddetta "Convenzione
di Oviedo" sui diritti umani, la quale stabilisce che è obbligatorio considerare
e rispettare la volontà del paziente che non sia vigile al momento
dell'intervento medico, naturalmente se espressa precedentemente. L'Italia ha
recepito la Convenzione nel proprio ordinamento giuridico per mezzo della legge
145 28 marzo 2001, ma lo strumento di ratifica non è ancora depositato presso il
Segretariato Generale del Consiglio d'Europa (non sono stati emanati i decreti
legislativi previsti dalla legge per l'adattamento ai principi e alle norme
della Costituzione) e per questo motivo il nostro Paese non fa parte della
Convenzione di Oviedo. Purtroppo, in assenza di una precisa normativa, la
volontà del paziente può essere considerata non valida o inaccettabile
eticamente, ciò che ha originato un contenzioso di varia natura in cui l'aspetto
umano viene lasciato per ultimo. Il Comitato Nazionale di Bioetica, da parte
sua, obbliga in verità ai medici a tenere in considerazione le direttive
anticipate scritte e firmate dall'interessato, ma anche a documentarne per
iscritto l'esito, sia nel caso che le sue volontà vengano rispettate ed attuate,
sia che esse vengano disattese.
Nel contesto di una
situazione così confusa il 5 novembre 2008 il Tribunale di Modena ha emesso un
decreto di nomina di un "Amministratore di sostegno" per un soggetto che in
futuro sia incapace di intendere e di volere. A tale Amministratore spetterebbe
il compito di dare il consenso necessario ai trattamenti medici. Questo di fatto
equivarrebbe giuridicamente ad un testamento biologico pur in assenza di una
normativa specifica.
Gli sviluppi del caso
di Eluana Englaro hanno dimostrato che le cose non sarebbero state così lisce.
Invece di essere affrontato in termini strettamente medico-scientifici il
dibattito sul testamento biologico, e in particolare sull'obbligatorietà di una
nutrizione artificiale, si è via via sviluppato secondo ottiche mediche,
religiose e politiche. Qualcuno si è chiesto se alcuni messaggi del
cristianesimo non possano aiutare ad affrontare la questione rifuggendo da
preconcetti ideologici. Dar da mangiare agli affamati e dar da bere gli assetati
sono due delle sette "Opere di misericordia corporale" raccomandate da Gesù nel
Vangelo (Matteo 25) e sembrano imperativi morali davvero ineludibili. Secondo la
misericordiosa raccomandazione cristiana questo sancirebbe l'obbligo di
mantenere in vita con cibi e liquidi una persona sana o malata che necessiti o
implori cibo e acqua e, non nutrita, questa persona morirebbe di fame e di sete,
mentre al contrario, se nutrita migliorerebbe o potrebbe persino ritornare ad
una vita normale. Quelle Opere di misericordia corporale prevedevano chiaramente
un solo tipo di alimentazione, quella naturale, per via orale: un pezzo di pane,
una ciotola d'acqua, un frutto. Questo tipo di alimentazione in effetti non è
una terapia ma un atto di umanità. Il secondo scenario ha invece per ipotetici
protagonisti un malato cronico inguaribile, ancora lucido e cosciente, straziato
da un dolore intrattabile oppure un paziente in stato di coma irreversibile da
molti anni, i quali non sono in grado di alimentarsi normalmente per bocca. In
questi ultimi casi la nutrizione del paziente può avvenire solo in modo
innaturale.
La somministrazione
innaturale di cibo e liquidi può realizzarsi con varie modalità, ma sempre
inevitabilmente con l'ausilio di qualche apparecchiatura. L'alimentazione
enterale (cioè attuata per via intestinale) è fatta ricorrendo ad un sondino
nasogastrico oppure a una stomia (un pertugio) tra cute addominale e stomaco (o
intestino tenue) praticata negli ultimi anni per via endoscopica (la cosiddetta
PEG o gastrostomia endoscopica percutanea). Tramite sondino o PEG vengono
somministrati ai pazienti dei "pasti" preparati in modo da garantire un introito
calorico giornaliero adeguato con l'aggiunta di vitamine, minerali e spesso
anche farmaci. Sondino e PEG, devono restare in situ a lungo termine e talora
per sempre. L'alimentazione parenterale, pure essa non naturale, viene invece
attuata mediante inserimento di un sondino in una grossa vena, solitamente del
collo (la giugulare), che consentirà l'infusione di principi nutritivi
essenziali che arriveranno per via ematica ai vari organi senza passare per il
tratto gastrointestinale. Queste manovre, non scevre di qualche rischio,
risultano causare inevitabilmente ulteriori sofferenze e disagi nei pazienti
coscienti, e risultano accettabili solo dopo il loro consenso informato e
soltanto nell'ottica di produrre un miglioramento clinico e psicologico
significativo. Utile infine ricordare che l'attuazione un'alimentazione
artificiale richiede personale specializzato o il training di parenti o badanti
quando i pazienti da un ambiente clinico adeguato dovessero essere rimandati a
domicilio.
Chiaro dunque che
l'alimentazione per via strumentale è comunque sempre "innaturale" e costituisce
pertanto un vero e proprio intervento terapeutico in soggetti ancora vigili il
quale, pur se accettato, sarà motivo di ulteriore disagio e sofferenza con
probabile peggioramento della qualità di vita. Sembrerebbe allora
imprescindibile che siano gli stessi pazienti vigili a decidere in merito,
mentre i medici dovrebbero tener conto delle volontà da questi espresse.
Nell'eventualità di pazienti in coma profondo irreversibile, queste volontà
devono ovviamente risultare inoppugnabili, ribadite in largo anticipo
(verbalmente o per iscritto) dal soggetto ancora perfettamente cosciente. Nel
caso di un malato in stato vegetativo per anni, la volontà del paziente deve
essere testimoniata al di la di ogni ragionevole dubbio da un documento scritto
o da familiari attendibili che lo amano ancora. Ovviamente, il medico avrà il
dovere di alimentare chi, non avendo lascito disposizioni contrarie, si sarà
dichiarato favorevole all'alimentazione artificiale perché desidera vivere di
più pure a prezzo di una ulteriore sofferenza. Ma pure il paziente contrario
all'alimentazione artificiale dovrebbe essere rispettato dal medico se,
cosciente, deciderà di interrompere l'alimentazione o rifiuterà di essere
assistito da un punto di vista cardiorespiratorio. Invece, nella legge 2007 la
decisione di accettare o rifiutare cibo e acqua non è lasciata all'individuo che
peraltro può paradossalmente rifiutare altri interventi sanitari.
E' ancora vivo il
ricordo infatti di delle persone (due donne, una siciliana e l'altra di San
Remo) e Michele (di Termoli), tutti diabetici, deceduti nel 2004 per essersi
opposti all'amputazione del piede andato in gangrena, pur consapevoli che il
rifiuto avrebbe comportato il decesso.
La politica, che si è
del tutto disinteressata per 60 anni di questo problema etico di grande peso,
dopo il caso Englaro ha cominciato a muoversi in gran fretta solo per
sintonizzarsi (e con il sospetto intento di ricadute politiche vantaggiose) con
la posizione della Chiesa per la quale legittimamente solo Dio potrebbe decidere
quando spegnere una vita bloccando l'alimentazione e non il diretto interessato.
Tuttavia, pur considerando legittima la posizione del Vaticano non pochi
rilevano la scarsa charitas
dimostrata dalla Chiesa nel negare un funerale religioso a chi ha ritenuto di
avere il diritto di decidere lui sulla propria vita. Stride in effetti che i
funerali religiosi siano stati negati a Welby e ad altri come lui e concessi
invece, ad esempio a Pinochet o a mafiosi sicuramente pluriomicidi. "Perché a
loro sì, ma non a mio marito?"- si è chiesta a suo tempo Mina, la moglie
credente di Piergiorgio Welby.
Sconcerta poi che la
intransigenza della Chiesa varia di molto a seconda dell'area geografica. Ad
esempio, nella ultracattolica Spagna i vescovi hanno distribuito già nel 1986 un
modello di testamento biologico nel quale si condanna l'eutanasia (che per altro
è tutt'altra cosa), ma in cui si auspica pure che il paziente "non si mantenga
in vita a mezzo di trattamenti sproporzionati" e che "non si prolunghi
abusivamente il suo processo di morte". Analogamente, nel gennaio 2009, in molti
episcopati germanici veniva distribuito un modulo di testamento firmato
congiuntamente dal cardinale cattolico Karl Lehmann, capo della Conferenza
Episcopale Tedesca, e dal protestante Manfred Kock, Presidente delle Chiese
Evangeliche. Alcuni stralci delle volontà testamentali, meritano di essere
riportati alla lettera: "Non debbono essere intraprese nei miei confronti misure
di prolungamento della vita, se è attestato che ogni misura è senza prevedibile
miglioramento e dilazionerebbe solo la mia morte... Trattamenti medici, così
come un'assistenza premurosa debbono in questi casi essere indirizzati a ridurre
i dolori, l'agitazione, la paura, l'affanno, la nausea, anche quando non si
possa escludere che il necessario trattamento antidolorifico possa abbreviare la
vita. Io vorrei poter morire con dignità e pace, per quanto possibile vicino e
in contatto con i miei parenti, le persone care e nell'ambiente che mi è
familiare".
Di fatto, il diritto
costituzionale di una persona, che non distingue credenti da non credenti, viene
gravemente violato se l'alimentazione forzata e/o altre misure di sostegno
vengono imposte per legge a chi le rifiuta. Sarebbe il colmo che potessimo
rifiutare una trasfusione (come avviene per i testimoni di Geova), o
l'amputazione di un piede (come negli esempi di cui sopra), ma non un passato di
verdure, un omogenato proteico o una flebo zuccherata. Ad opporsi a questo
paradosso pure l'Ordine dei medici e degli odontoiatri: in un documento
presentato anni fa al Parlamento si chiariva che nutrizione e idratazione
artificiale sono da considerare terapie che, in quanto tali, vanno pertanto
somministrate solo con il consenso informato del paziente e sospese invece
quando questo consenso non c'è. In appoggio al testamento biologico pure la
Fondazione Veronesi, secondo la quale già oggi la legge permetterebbe in
sostanza che ogni persona abbia il diritto "di consentire o non consentire alle
cure proposte (consenso informato)." Una dichiarazione in tal senso può
concretamente essere fatta e firmata in tre copie di cui una per l'interessato,
una lasciata alla persona di sua fiducia (parente o non parente) ed una
depositabile in uno studio legale o notarile. Tuttavia, questo documento
scritto, in base alla normativa vigente, può non avere alcun valore.
Concludendo, è bene
ribadire che il testamento biologico nulla ha a che vedere con l'eutanasia
attiva o passiva o con l'accanimento terapeutico, questioni complesse sulle
quali assumere una posizione equilibrata è tutt'altro che semplice. E' invece in
gioco la libera scelta che un soggetto credente o no dovrebbe fare ben prima che
problemi di accanimento terapeutico o di eutanasia vengano a crearsi. Venisse
riconosciuta totalmente la dichiarazione anticipata di trattamento, vorrà dire
che il credente più ligio non solleciterà mai l'interruzione dell'alimentazione
innaturale né ogni altra procedura di supporto, senza però che ad altri sia
impedito di decidere diversamente.
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