Da: Enzo Mazzi [mailto:emazzi@videosoft.it]
Inviato: mercoledì 27 maggio 2009 10.24
A: Comunità isolotto
Oggetto: INVIO CONTRIBUTO IN TEMA DI FAMIGLIA
Carissimi,
trovo il saggio (allegato) di Giorgio Collura chiaro, preciso, completo e rigoroso. Ma sopratutto è scritto da una persona che intreccia l'impegno cattedratico universitario con la partecipazione alla "cattedra" della cultura di base. Nella sua esposizione si avverte l'ispirazione che viene dal basso. Collura è Professore ordinario di Diritto Privato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Firenze.
Ritengo che il suo saggio debba essere divulgato dagli strumenti di comunicazione della nostra area.
Sperando di avervi fatto cosa gradita, vi saluto caramente
Famiglia o famiglie? Riflessioni in tema di laicità dello Stato
1. Famiglia o famiglie? Un solo modello o modelli diversi? Questa incertezza fra il singolare e il plurale è al centro del dibattito attuale, sia politico che culturale e religioso.
Occorre in primo luogo sottolineare che il singolare – la posizione tradizionale del cattolicesimo – è tornato alla ‘ribalta’ con forza ancora una volta e non è un caso che la nuova offensiva delle istituzioni ecclesiastiche torni a prendere la famiglia come punto di partenza e ‘roccaforte’ da difendere a tutti i costi.
Un ‘baluardo’ da cui si può vedere – e valutare – tutto il campo di battaglia: una battaglia antica e nuova. Per la Chiesa, un punto di forza; per gli altri di tutte le fedi e ‘bandiere’, una debolezza.
Il grande tema della famiglia presenta per la Chiesa molti vantaggi, in quanto si radica facilmente nella tradizione, e la tradizione del nostro paese è largamente cattolica: consente, inoltre, molti collegamenti profondi fra etica, politica, diritto e religione, ma pure fra le varie generazioni: gli interessi del bambino si uniscono a quelli dell’anziano, quelli del garantito a quelli del disoccupato e del precario, la città alla campagna e alla fabbrica, l’uomo alla donna.
La famiglia è dunque un punto di osservazione elevato e ‘panoramico’, di sintesi, e il confronto/scontro su di essa, che ha sempre più toni accesi e radicali, comprende temi come l’aborto, l’eutanasia e il testamento biologico, ma anche altri capitoli all’ordine del giorno, dalla bioetica alla procreazione assistita, omologa ed eterologa, dalle coppie di fatto a quelle dello stesso sesso.
Ad esempio, la Chiesa ricorda alle nazioni e ai politici la priorità assoluta, cioè la difesa della vita, e punta dritto sull’aborto con argomentazioni perentorie: «il diritto umano fondamentale, il presupposto per tutti gli altri diritti» – osserva – «è il diritto alla vita stessa. Ciò vale per la vita dal concepimento fino alla sua fine naturale e l’aborto, di conseguenza, non può essere un diritto umano, ma il suo contrario»; si aggiunge inoltre che la Chiesa si fa «avvocata di una richiesta profondamente umana», sentendosi «portavoce dei nascituri che non hanno voce».
Non solo, ma tocca anche il tema dell’eutanasia, ribadendo un secco diniego a questa e al testamento biologico: «c’è da temere che un giorno possa essere esercitata una pressione non dichiarata o anche esplicita sulle persone gravemente malate o anziane, perché chiedano la morte o se la diano da sé». Afferma inoltre che «la risposta giusta alla sofferenza, alla fine della vita è un’attenzione amorevole, l’accompagnamento verso la morte, anche con l’aiuto della medicina palliativa, e non con l’aiuto a morire».
La famiglia, che ricomprende tutte queste tematiche, è quindi un punto di osservazione privilegiato, rappresenta la summa di quei ‘valori’ in cui la gerarchia cattolica spera che tutti si riconoscano e così accolgano il suo magistero; è un ‘fortino’ per così dire ‘ecumenico’, luogo di abbracci, di strette di mano, di professioni di fede e di devozione perfino impreviste, e i ‘laici’ (termine da adoperarsi per la verità con molte virgolette) che non vogliono essere considerati ‘laicisti’ costituiscono ormai una popolazione piuttosto ridotta, anche se sicuramente assai preziosa.
Questo è il progetto cattolico, che ama definirsi culturale ma che è sempre più politico e il giurista non può non tenerne conto, in quanto il momento religioso ha inciso e sempre più incide nel nostro paese sulla costruzione di un moderno diritto di famiglia, insieme senza dubbio ad altre ragioni di natura culturale o di tipo socio-economico[1]. La Chiesa, infatti, vede un’Europa triste, secolarizzata, vecchia, in perenne calo demografico e le chiede un sussulto di orgoglio: ricominciare cioè dalla difesa della vita (no all’aborto, più figli nelle famiglie) per ritrovare la sua anima perduta, la sua natura aperta e solidale, le sue radici cristiane che «sono una componente dinamica della nostra civiltà per il cammino nel terzo millennio». D’altronde «all’origine di ogni cosa vi è la ragione creatrice di Dio» e «fa parte dell’eredità europea anche una tradizione di pensiero, per la quale è essenziale una corrispondenza sostanziale fra fede, verità e ragione».
Le leggi e gli orientamenti che la Chiesa vorrebbe fare osservare a tutti, non soltanto ai suoi fedeli, sono, infatti, leggi razionali: la fede abbraccia la ragione, la giustifica e la controlla, anche se non può più imporla, come ha cercato di fare nel passato.
Un pensiero che prende come punto di partenza il giudizio sul mondo moderno e la sua cultura, il cui centro geografico e polemico è sicuramente l’Europa.
Una posizione che trova le sue radici in Sant’Agostino e significa pessimismo sul mondo moderno nettamente dominato dal relativismo etico, lontano dalla “città di Dio” che cerca non tanto di abbracciarlo quanto di convertirlo: con risultati per la verità scarsi, in quanto la lontananza permane.
Quel pessimismo di fondo lontano dal giudizio di Papa Giovanni XXIII che nel suo discorso di apertura del Concilio Vaticano II condanna «quei profeti di sventura che non vedono nei tempi moderni che prevaricazioni e rovine, dicendo che la nostra età, in confronto con quelle passate, è andata peggiorando» e fa comprendere sia alcune simpatie più o meno implicite, sia alcuni possibili pericoli.
Le simpatie ovviamente si rivolgono a quei settori della cultura, anche giuridica, e della politica che riconoscono che tutto il mondo va male e sono convinti (credenti o meno) che «solo la fede religiosa ci può salvare» e che sia necessario il ritorno ad un’etica assoluta e sicura per tutti. Ma questa fede salvatrice della società spinge inevitabilmente la religione verso quella che si è soliti chiamare ‘religione civile’: quest’ultima, dunque, sostiene la società, ne sana le ferite e la salva dalla sua corruzione.
Pertanto, i termini del confronto-scontro, anche se espressioni di una battaglia sempre più, nel nostro paese, a senso unico, sono ormai chiari: soprattutto si fa leva sul matrimonio, con tutto quel che coinvolge e comporta, dalla sessualità (condanna della pillola anticoncezionale) alla famiglia.
La gerarchia cattolica continua a ripetere la correttezza dei suoi interventi, sulla base di due presupposti fondamentali, che sarebbero indiscutibili.
Il primo è che l’unica forma di famiglia è quella che la dottrina cattolica sostiene e che è valida per tutti, in quanto la sancisce un diritto naturale che la Chiesa ha il compito di mantenere e insegnare, anche se non tutti – non ancora! – lo accettano. Da ciò il secondo presupposto: a questo unico matrimonio valido pure gli Stati si devono adeguare.
A questa posizione a tutto campo – che cerca di convincere che la fede è razionale perché la razionalità ha bisogno di essa, tanto che persino la scienza senza Dio può essere una minaccia, ignorando che può esistere un’altra etica frutto della conoscenza e che la religione non può considerarsi portatrice dell’unica verità possibile, in quanto l’etica della Verità è sbagliata e crea solo conflitti – la risposta di una parte del mondo laico è nota: la gerarchia ha il pieno diritto di diffondere il suo insegnamento, di dire, cioè, la sua dottrina ai suoi fedeli, ma non può pretendere di imporla al di là del suo ‘recinto’, tanto da esigere che ad essa si adeguino gli Stati, anche se a maggioranza cattolici.
Del resto è ormai molto difficile parlare di famiglia solo al singolare[2]: il vecchio e classico modello occidentale è “deperito”, come gli studi di antropologia, sociologia e psicologia confermano. Le famiglie di fatto e quelle tra persone dello stesso sesso aumentano, quelle ‘di diritto’ diminuiscono: ne aumenta anche la provvisorietà e la globalizzazione (e i mass media che la evidenziano di ora in ora) mette a contatto la nostra famiglia classica con tutti gli altri modelli che fino ad ieri consideravamo lontani. La crisi del concetto di ‘natura’ – unica, universale, eterna – è sotto gli occhi di tutti, ma la nostra famiglia era proprio fondata su una ‘natura’ umana che quanto meno ora relativizziamo: eppure la Chiesa continua a proporlo con decisione ed insistenza e buona parte del mondo cosiddetto laico – come si è accennato in precedenza – lo approva in modo più o meno sincero o imbarazzato, quasi non fosse il caso di discuterne.
Un imbarazzo grave, che si trascina da tempo, nonostante i successi sui referendum del divorzio e dell’aborto, e forse la sconfitta nel referendum sulla procreazione assistita ha rafforzato quegli antichi timori: si vuole evitare, in altri termini, un contrasto con il ceto moderato – così tanto rincorso in questi anni – sui temi religiosi, etici.
Comunque sia, questo atteggiamento ‘condiscendente’ rivela la rinuncia ad un’idea di laicità dello Stato e di ipotesi di convivenza civile che prendano atto di differenti opinioni, stili di vita, etiche e scelte: si dimentica che la laicità è un metodo di convivenza di tutte le ideologie e le filosofie possibili, le quali devono rispettare, come regola primaria, il principio che nessuno può pretendere di possedere la verità. L’idea europea di laicità e il suo pendant di secolarizzazione non è dunque una «deviazione che necessita di una correzione», come sostiene la Chiesa, ma è piuttosto l’anticipazione di quell’ethos riflessivo che è l’unico a potere integrare una società mondiale multiculturale.
Non solo, ma non ci si rende conto del fatto che ormai, da anni, il cattolicesimo italiano non rappresenta una realtà compatta ed univoca, tutt’altro: la cultura laica, in particolare, dovrebbe prestare maggiore attenzione, conoscerne meglio la complessità e anche le contraddizioni.
Oltretutto questo atteggiamento della Chiesa – per cui la Verità sta sopra e prima di tutto, senza cedimenti – comporta il rischio di un ritorno al passato preconciliare: l’ecumenismo certo non viene condannato – ma certamente ridimensionato, sostenuto più a parole che con i fatti –, come ha dimostrato il recente documento sulla Chiesa romana come unica vera chiesa di Cristo, che ha suscitato discussioni e amarezze.
2. Da quanto sin qui detto si comprende come il momento religioso sempre più condizioni nel nostro paese il legislatore nella costruzione di un moderno diritto di famiglia[3]: ne risentono, infatti, il matrimonio, quale atto che fonda la comunità familiare, l’educazione e l’istruzione dei figli, le scelte inerenti la separazione dei coniugi e lo scioglimento del matrimonio, il riconoscimento delle famiglie non fondate sul matrimonio e le unioni tra i soggetti dello stesso sesso, il modo di intendere la vita che nasce e la sua dignità e, di conseguenza, l’ammissibilità dell’interruzione volontaria della gravidanza o delle diverse tecniche di fecondazione medicalmente assistita. Dinanzi a temi di questa natura «si avvertono tutte le difficoltà di costruire un diritto laico, secolarizzato che garantisca i diritti di tutti nel rispetto delle diverse concezioni che accompagnano la vita, la sessualità, la procreazione»[4], che salvi in ultima analisi le differenze, le possibilità. Difficoltà oggi maggiori rispetto al passato, in quanto – come si è già avuto modo di precisare – si assiste all’idea, anche da parte di diversi settori della cultura e della politica su un piano trasversale, di una fede che abbraccia la ragione, la giustifica e la controlla, salvatrice della società che spinge inevitabilmente la religione verso la ‘religione civile’, in cui la pregiudiziale etica non è altro che l’imposizione di una posizione particolare.
Se è vero che fra le ‘certezze’ andate perdute nel secolo scorso c’è anche quella della famiglia che ha suggerito la relativa legislazione, è tanto più sorprendente che oggi invece ne cresca il valore simbolico e anzi il principio della ‘sacralità’ della famiglia venga agitato in ogni momento dalle diverse forze politiche.
Così è per gli aspetti sociali della riproduzione della specie che si stanno riscrivendo e con questi l’etica della persona e, evidentemente, i rapporti di sesso e tra i sessi: si discute con il Vaticano sopra la testa della realtà e sostanzialmente non se ne vuole sapere.
Se sotto vari aspetti il legislatore della riforma (L. 19.05.1975, 151) ha saputo interpretare con l’aiuto della dottrina e della giurisprudenza le trasformazioni della famiglia nella società contemporanea[5], si deve pur dire, scorrendo le norme della riforma, che questa portata innovatrice non costituisce una cesura rispetto alla situazione preesistente, ma è il risultato dell’attuazione di un complesso di norme costituzionali, che solo l’inerzia del legislatore aveva reso per lunghi anni da precettive a programmatiche di fatto. Pertanto la riforma del diritto di famiglia non è che uno tra i molti profili normativi di una realtà in progressiva evoluzione, alla quale il legislatore ordinario – nel quadro delle direttive offerte dalla Costituzione e dal diritto privato europeo – deve dare ancora attuazione, in quanto la disciplina della famiglia è strettamente collegata con la normativa che delinea la condizione giuridica e sociale della donna, con il trattamento dei minori, con la regolamentazione del lavoro.
La definizione costituzionale della famiglia e la conseguente traduzione normativa dei relativi principi evidenziano infatti ancora sorprendenti resistenze della tradizione, anacronistici residui di concezioni definitivamente superate, ma soprattutto interventi continui da parte della Chiesa – si pensi, ad esempio alla dura ‘offensiva’ contro la L. 22.05.1978, n. 194, «che ha aperto un’ulteriore ferita nelle nostre società, già purtroppo gravate da profonde sofferenze» – ed eloquenti silenzi da parte del nostro legislatore.
Il caso più significativo «concerne il fenomeno sociale delle convivenze, in un primo tempo esclusivamente more uxorio, in seguito anche omosessuali»; un ‘silenzio’ solo di recente marginalmente rotto (ma non superato) da leggi che hanno introdotto nel codice un riferimento al “convivente”, equiparato al coniuge in tema di “ordine di protezione contro gli abusi familiari” (è il caso dei nuovi artt. 342 bis e ter c.c.) o ai fini della scelta di un amministratore di sostegno (ove il legislatore precisa che si deve trattare di “persona stabilmente convivente”: art. 408 c.c.), ovvero da leggi che, fuori dal codice, hanno previsto un’equiparazione tra coppie coniugate e coppie conviventi di sesso diverso (ad esempio, è il caso della legge “in materia di procreazione medicalmente assistita – L. 19.02.2004, n. 40, art. 5 – che peraltro inspiegabilmente non prevede il presupposto di stabilità»[6] e quello dell’art. 129 D.Legis. 7.09.2005, n. 209, che equipara il convivente more uxorio al coniuge non legalmente separato ai fini dell’esclusione, limitatamente ai danni alle cose, dai benefici derivanti dai contratti di assicurazione obbligatoria). Si tratta di un fenomeno – come si è già accennato – pure in Italia socialmente diffuso, se si pensa che l’ultimo rapporto Istat stima che nell’ultimo decennio il numero di convivenze more uxorio è salito a 606.000 (sia “prematrimoniali” che “definitive”), cioè più del doppio dei matrimoni, senza che corrisponda ancora una regolamentazione organica: nella trascorsa legislatura la discussione della proposta di legge governativa sulle coppie di fatto (‘Dico’) – per la verità assai discutibile anche sul piano tecnico – e delle altre presentate presso la commissione giustizia del Senato è proceduta troppo a rilento e non si è arrivati così all’approvazione di una legge adeguata.
Intorno a questo tema non sono mancati ancora una volta gli interventi (rectius le ‘ingerenze’) dei vertici ecclesiastici – Vaticano, vescovi, organi di stampa – che ritengono la legalizzazione delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo.
Il rifiuto della Chiesa suona ancora più forte e chiaro quando prende in esame quelle «unioni di persone dello stesso sesso che negherebbero la differenza sessuale, che è insuperabile»: qui, infatti, come tornano a proclamare i vescovi, «il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge», in quanto «è sempre più urgente per i cristiani prendersi cura della cosa pubblica in un momento in cui va diffondendosi un pericoloso relativismo culturale, che diventa facilmente relativismo morale». Un fenomeno nocivo per la vita democratica che, si sottolinea, «deve sostanziarsi di valori e principi etici, che per la loro natura e per il loro fondamento della vita sociale non sono negoziabili».
Più in particolare, riferendosi alle sole convivenze di fatto eterosessuali, i vertici ecclesiastici sono inoltre consapevoli che ci sono «situazioni concrete in cui possono essere utili garanzie e tutele giuridiche per la persona che convive», anche se restano convinti che questo obiettivo sia perseguibile nell’ambito dei diritti individuali senza così ipotizzare una nuova figura giuridica.
Questo persistente silenzio del legislatore – che rende ancora più ‘fragili’ i minori e le famiglie di cui fanno parte – non trova invece conferma sul piano della comparazione: ad esempio, in Francia, il legislatore ha introdotto nel Code civil un “pacte civil de solidarité” (PACS), che pone in primo piano gli accordi tra i conviventi ai quali spetta disciplinare le relazioni di coppia (tanto eterosessuali, quanto omosessuali), opportunamente limitati da alcuni vincoli legali a tutela della enunciata solidarietà e quindi aventi rilevanza pubblica, senza peraltro incidere sulla distinzione rispetto al matrimonio[7]. In Germania, invece, la disciplina riguarda esclusivamente le coppie omosessuali e si incentra su un apposito istituto (la Lebenspartnershaft) equivalente al matrimonio, in ottemperanza alle sollecitazioni europee; vieta al tempo stesso l’accesso a questo istituto alle coppie eterosessuali, alle quali rimane «aperto l’accesso al matrimonio», come con sentenza pronunciata il 17.07.2002 ha stabilito la Corte costituzionale tedesca nel respingere la questione di legittimità costituzionale per disparità di trattamento che si viene ad introdurre nei confronti delle convivenze “altre”[8]. Pertanto la legge tedesca e più di recente il legislatore spagnolo – aggiungendo all’art. 44 c.c. un comma in cui si ribadisce «el matrimonio tendrà los mismos requisitos y efectos quando ambos cotrayentes sean des mismo o diferente sexo»[9] – vengono ad incrinare il portato di una secolare tradizione che ha resistito e tuttora resiste ancora in Europa, se la Corte di Giustizia con una sentenza del 31.05.2001 ha considerato “pacifico” che il concetto di matrimonio, «secondo la definizione comunemente accolta dagli Stati membri», si riferisce a «una unione tra due persone di sesso diverso». Infine, in altri sistemi, come nell’esperienza nordamericana, rilevano gli accordi tra i conviventi, come ogni altro patto di natura economica, a prescindere dalla loro ufficializzazione, in conformità al principio dell’autonomia ivi prevalente[10]. In Italia, come si è detto, manca una regolamentazione organica delle convivenze, mentre il dibattito dottrinale è vivace ed ampia è la giurisprudenza in tema di famiglia di fatto (eterosessuale): progetti di legge di ispirazione diversa – come non si è mancato di dar conto – si sono succeduti nelle più recenti legislature senza peraltro mai tradursi in leggi[11] e le stesse delibere comunali, rivolte ad istituire “registri” o “elenchi” delle unioni civili, di valore più che simbolico, sono talvolta incorse nell’annullamento ad opera dei Tar[12]. Chi è contrario ad essa spesso fa riferimento all’art. 29 Cost., muovendo dal fatto che il riconoscimento della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio costituisce un ostacolo di principio alla tutela di qualsiasi forma di convivenza diversa da quella legittima[13]: infatti si afferma che quest’ultima è tipizzata e legale, mentre la via attraverso cui passa la garanzia giuridica delle convivenze non è quella della legge, ma l’altra dell’autonomia privata. Questa posizione dimentica l’art. 2 Cost. che dà protezione ad ogni “formazione sociale” in cui si svolge la personalità umana e dunque ad ogni “unione”, anche diversa da quella formalizzata nel matrimonio, che realizzi una comunione di vita, in cui siano presenti affetto e solidarietà[14], nonché l’art. 3 Cost. sul divieto di discriminazioni per le condizioni personali dei cittadini e l’art. 30, primo comma, Cost., in cui si afferma che “è dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”. Il fondamento del rapporto tra genitori e figli si sposta, dunque, dal matrimonio che, nel vecchio sistema costituiva il fondamento della filiazione alla generazione, nella linea segnata da quest’ultimo articolo, ed è in questo contesto che va letto lo stesso art. 317 bis c.c.: è la procreazione che fonda la responsabilità dei genitori nei confronti di tutti i figli, anche di quelli privi di status e il matrimonio viene a perdere la sua centralità[15]. Oggi, nell’evoluzione del sistema, si affaccia l’ipotesi che diversi possano essere i ‘titoli’ della filiazione: oltre alla generazione, l’adozione (già nella legge del 1967 si approda ad una forma di adozione legittimante, che dà rilevanza alla responsabilità, volontariamente assunta di crescere un figlio) e il consenso alla inseminazione eterologa (v. art. 9, L. 19.02.2004, n. 40)[16]. Si viene cioè a delineare una «linea di tendenza che partendo dal matrimonio e passando per la generazione approda alla responsabilità come fondamento dei rapporti parentali»[17]. Non si tiene conto infine della Carta europea dei diritti – l’art. 9 garantisce a tutti gli individui di sposarsi e di costituire una famiglia – che è già divenuta punto di riferimento per molte Corti nazionali e assumerà carattere vincolante nel nostro ordinamento a decorrere dal 1 gennaio 2009: infatti nel sistema costituzionale europeo non si può più parlare come se il matrimonio fosse l’unica istituzione familiare riconosciuta, «l’isola grande» per parafrasare la celebre immagine suggerita da Jemolo, e le altre forme di unione familiare un’eccezione da tollerare («un arcipelago di piccole isole» concernenti i rapporti parafamiliari)[18]. Ritorna, in altri termini, da una parte delle forze politiche una lettura “chiusa” della Costituzione, che si pensava di esserci lasciata alle spalle con la riforma del diritto di famiglia del ’75, basata quest’ultima su una concezione della famiglia degli affetti e delle relazioni reali, e non su un modello unico e pertanto rigido della famiglia.
Anche nella prima metà degli anni ’70 circolava, nel mondo giuridico e politico, una lettura ‘chiusa’ degli artt. 29 e 30 della Costituzione, per impedire il riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio: i promotori del referendum abrogativo della legge sul divorzio ne minacciarono un altro su questo punto, ma la vittoria del ‘no’ bloccò e sbloccò la riforma del diritto di famiglia.
Oggi il gioco è rovesciato: la sconfitta nel referendum sulla procreazione assistita inverte una tradizione di laicità dello Stato in materia familiare, conquistata a fatica, e rafforza i tentativi di tornare a una interpretazione della Costituzione precedente a quella riforma.
Non c’è da stupirsi del resto: è un tassello del più complessivo attacco alla prima parte della Costituzione che è in atto in Italia non da ora, del protagonismo sempre più marcato della Chiesa (e di un certo mondo cattolico e non) nella cosa pubblica e nella difficoltà culturale delle forze laiche di contrastare questo punto di vista, che ribadisce l’universalità e l’unicità della famiglia ‘cattolica’, come ‘naturale’, cioè valida per tutti e sempre, e pretende, oggi più che mai, che le leggi degli Stati si adeguino alla morale cattolica.
La questione della omosessualità tocca poi nel più profondo l’etica cattolica: è tutto il suo impianto che viene ‘scardinato’ se si aprono le porte da parte del legislatore, anche in misura minima, alle coppie omosessuali.
Se è corretto affermare che tutto l’impianto dell’etica cattolica si basa su di un assunto fondamentale – quello, come si è detto, di una ‘natura umana’ sempre uguale nel tempo e nello spazio, le cui leggi sarebbero intoccabili e alla cui custodia proprio l’etica cattolica provvederebbe più e meglio di tutte le altre etiche che sono in circolazione –, da qui vengono due conseguenze di estrema importanza, proprio quelle che alcuni disegni di legge (addirittura con firme, questa volta, trasversali) sui diritti degli omosessuali hanno messo in discussione nelle passate legislature.
La prima: tutto ciò che è ‘naturale’ è assolutamente intoccabile, e non dipende dalle leggi umane (neppure da quelle ecclesiastiche), e la famiglia, naturalmente eterosessuale, diretta alla procreazione, è proprio al centro ed al cuore della legge naturale e universale, e quindi non si tocca. Così l’etica cattolica deriva direttamente da una metafisica, proprio quella che lega società, famiglia, Stato, educazione ecc. al Dio creatore e legislatore universale.
Un impianto solido, ben strutturato, che ha retto per secoli, anche se oggi vacilla, come oggi è in crisi il concetto di ‘natura’ eguale per tutti e sempre, e la questione della omosessualità contribuisce ad evidenziarne la debolezza.
La seconda conseguenza della suddetta impostazione riguarda appunto la sua pretesa di ingerenza nelle leggi degli Stati. Nessuno, infatti, può negare alla Chiesa il diritto di annunciare ai suoi fedeli la sua morale, nella quale è compreso il dovere di una sessualità soltanto etero[19]: ciò che correttamente viene contestata è la pretesa che il legislatore si conformi alla morale cattolica, come se – non seguendo questa posizione – il termine famiglia venisse a perdere la sua specifica connotazione linguistica e divenisse un insolito ‘calderone’ in cui rientra tutto ed il contrario di tutto. Pertanto, dinanzi all’incalzare della pluralità dei modelli di famiglia, «anche il giurista più osservante della tradizione non può non notare come il perdurante riferimento che la legge fa alla famiglia legittima come prototipo dei rapporti familiari faccia apparire ‘socialmente non aggiornata la riforma’, e di ciò il legislatore deve tenere conto nel progettare regole per il futuro»[20], anche alla luce del dibattito dottrinale in corso e della giurisprudenza. L’art. 29 Cost. assicura alla famiglia fondata sul matrimonio una tutela specifica, ma non esclusiva, e riconoscimento della famiglia di fatto non significa equiparazione di quest’ultima alla famiglia legittima, in quanto «occorre rispettare la libertà di chi ha scelto di vivere al di fuori degli schemi legali e di vincoli formali, ma nello stesso tempo non si deve trascurare di far valere le responsabilità assunte nei confronti dei figli e gli affidamenti generati nel partner»[21]. Non si tratta però di pensare ad una contrapposizione tra famiglia legittima e famiglia di fatto, bensì di dare rilevanza «alle differenze che derivano dall’essere l’una fondata sull’atto che crea il vincolo e l’altra quotidianamente sul rapporto, la vita comune, la solidarietà che in esso si manifesta, in modo da non appiattirle l’una sull’altra»[22]. Del resto la «caratteristica principale della riforma consiste proprio nel non aver attribuito cittadinanza privilegiata ad un modello piuttosto che ad un altro, preoccupandosi, invece, di mettere a punto una disciplina sufficientemente elastica, tale cioè da consentire un adattamento a situazioni tra loro assai diverse, cioè ai diversi tipi di famiglia già oggi presenti in Italia o a quelli che si delineano per il futuro»[23]. Come conciliare libertà e responsabilità diventa, allora, la questione decisiva e il legislatore potrebbe forse fare riferimento ad una regolamentazione simile a quella adottata in Francia nel PACS, dopo avere definito l’unione di fatto come convivenza stabile e continuativa fra due persone di sesso diverso o dello stesso sesso che conducono una vita di coppia[24], cercando pure di precisare i criteri – in verità piuttosto generici – della ‘stabilità della convivenza’ e della ‘convivenza continuativa’. Resta fermo che, nel campo delle coppie omosessuali, la questione prevalente su ogni altra è quella della parità di trattamento rispetto alle convivenze di sesso diverso[25] e, nell’ambito della famiglia, il principio di non discriminazione sulla base delle ‘tendenze sessuali’ dovrebbe tradursi nella pari opportunità di accesso alla formalizzazione del rapporto, con il matrimonio o con un’istituzione con questo comparabile, come richiesto dallo stesso Parlamento europeo già con la risoluzione dell’8.02.1994[26] e quella più recente del 16.03.2004: ma, al momento, in Europa pochi paesi hanno ammesso il matrimonio omosessuale[27].
* Professore ordinario di diritto privato presso l’Università degli Studi di Firenze. [1] A.L. Zanatta, Le nuove famiglie, Bologna, 2002, p. 11 ss. [2] G. Collura, Il civilista, la famiglia e le sue trasformazioni, in Trasformazioni sociali e trasformazioni giuridiche, a cura di A Poggi e O. Roselli, Napoli, 2007, p. 103 ss. (e in Riv. crit. dir. priv., 6, 2007, p. 627 ss.). In particolare, sul tema delle famiglie ricomposte, che introducono elementi di non lieve portata nel panorama familiare, cfr. I. Théry, Le costellazioni familiari ricomposte: una questione sociale e culturale, in Le nuove costellazioni familiari, a cura di C.M. Mazzoni, 2002, p. 30; P. Rescigno, Nuove prospettive giuridiche per le famiglie ricomposte, ivi, p. 69; G. Ferrando, Famiglie ricomposte e nuovi genitori, in Bilanci e prospettive del diritto di famiglia a trent’anni dalla riforma, a cura di T. Auletta, Torino, 2007, p. 285 ss.
[3] P. Donati, Manuale di sociologia della famiglia, II ed., Roma-Bari, 1999, n. 71. [4] G. Ferrando, Manuale di diritto di famiglia, Roma-Bari, 2005, p. 4. V. inoltre S. Rodotà, La vita e le regole. Tra il diritto e il non diritto, Milano, 2006, p. 14 ss. [5] Per una approfondita analisi del processo evolutivo che porta alla riforma del ’75, v. G. Ferrando, Il matrimonio, in Trattato di diritto privato e commerciale, già diretto da A. Cicu - F. Messineo e proseguito da L. Mengoni, Milano, 2002, p. 43 ss. Sui principi generali del diritto riformato, cfr. G. Alpa, I principi generali, in Trattato di diritto privato, diretto da G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2000, p. 237 ss. [6] F.D. Busnelli, in U. Breccia - L. Bruscuglia - F.D. Busnelli - F. Giardina - A. Giusti - M.L. Loi - E. Navarretta - M. Paladini - D. Poletti - M. Zana, Diritto privato, Parte seconda, Torino, 2004, p. 898. Ma v. per il rilievo complessivo della famiglia di fatto nella nostra legislazione, M. Fortino, Diritto di famiglia. I valori, i principi, le regole, II ed., Milano, 2004, p. 63 ss.; C.G. Terranova, Convivenza e rilevanza delle cc. dd. coppie di fatto, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, vol. I, tomo 1, Milano, 2002, p. 803 ss.; M. Sesta - G.F. Zanetti, La coppia di fatto tra morale e diritto. Opzioni a confronto, in Familia, 2004, p. 659 ss.; L. Balestra, La famiglia di fatto tra autonomia ed eteroregolamentazione, in Nuova giur. civ. comm., 2007, p. 194 ss. Per una sintesi della giurisprudenza della Corte costituzionale e della magistratura ordinaria in tema di famiglia di fatto, cfr. M. Bessone - M. Dogliotti - G. Ferrando, Giurisprudenza del diritto di famiglia, vol. II, Rapporti personali e patrimoniali tra coniugi. La famiglia di fatto, Milano, 2002, III ed., p. 614 ss.
[7] Per un commento critico della Legge 15.11.1999, cfr. J. Rubellin-Devichi, Le coppie non sposate. Lo stato della legislazione in Francia, in M.R. Marella - F. Grillini (a cura di), Matrimonio e matrimonii, collana L’alambicco del comparatista, diretta da M. Lupoi, vol. II, Milano, 2000, p. 59 ss.; P. Vitucci, “Dal dì che nozze…”. Contratto e diritto di famiglia nel “pacte civil de solidarité”, in Familia, 2001, p. 713 ss.; P. Rescigno, Osservazioni sulla legge francese, in E. Moscati - A. Zoppini (a cura di), I contratti di convivenza, Torino, 2002, p. 269 ss.; F.D. Busnelli, La famiglia tra “ordine” e “disordine”, in M. Gorgoni (a cura di), I modelli familiari tra diritti e servizi, cit., p. 25 ss. [8] Sulla legge tedesca del 15.02.2001, cfr. F.D. Busnelli, op. ult. cit., p. 23; F.B. d’Usseaux, I partnerschaftsvertrage nella giurisprudenza tedesca, op. ult. cit., p. 231 ss. [9] Sull’esperienza spagnola, v. F.D. Busnelli, op. ult. cit., p. 23. [10] Cfr. S. Sica, Gentlemen’s Agreement e intento giuridico, Napoli, 1995, p. 180 ss.; G. Giamo, I contratti paramatrimoniali, in Common Law, Palermo, 1997. [11] Cfr. A.M. Benedetti, Le proposte italiane in materia di convivenza, in Matrimonio, matrimonii, cit., p. 209 ss. V. anche, G. Palmeri, Il contenuto atipico dei negozi familiari, Milano, 2001, p. 74 ss. [12] T.A.R. Toscana, 09.02.1996, in Foro it., 1999, III, c. 254, con commento critico di R. Romboli - E. Rossi. V. anche, P. Repetto, I registri comunali delle unioni civili in Italia, in Matrimonio, matrimonii, cit., p. 6 ss.; E. Colombo, Il riconoscimento degli Statuti regionali di Toscana, Emilia e Umbria in materia di coppie di fatto: significati e prospettive, in Iustitia, 2005, fasc. 2, p. 193 ss. [13] V. per tutti, A. Trabucchi, Natura, legge, famiglia, in Riv. dir. civ., 1977, I, p. 3 ss.; Id., Pas par cette voie s’il vous plait, in Riv. dir. civ., 1981, I, p. 329 ss.; Id., Morte della famiglia o famiglie senza famiglia, in Riv. dir. civ., 1988, I, p. 19 ss. [14] Infatti, muovendo dalla premessa secondo cui «non può attribuirsi all’espressione ‘società naturale’ un valore diverso da quello che compete alla espressione ‘formazione sociale’» nell’art. 2 Cost. (così, testualmente, P. Barcellona, Famiglia (diritto civile), in Enc. dir., XVI, 1967, p. 782), già in tempi risalenti si era giunti a vedere nella definizione dell’art. 29 «il riconoscimento del poliformismo familiare» (l’espressione è di V. Frosini, Il diritto di famiglia nella teoria generale del diritto, in Foro it., 1977, IV, p. 84 ss.), legittimato dalla predisposizione di uno schema aperto alla recezione delle spontanee forme organizzative desumibili dalla realtà sociale (v. T. Mancini, Uguaglianza tra coniugi e società fondata nell’art. 29 della Costituzione, in Riv. dir. civ., 1963, p. 222 ss.; E. Russo, Le idee della riforma del diritto di famiglia, in Studi sulla riforma del diritto di famiglia, Milano, 1973, p. 23 ss.; R. Alagna, Famiglia e rapporti tra coniugi nel nuovo diritto, Milano, 1983, p. 25 ss.), ossia di un “non modello” o quanto meno di un «modello di famiglia delineato dall’art. 2» (M. Bessone, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, sub art. 29-31, Bologna-Roma, 1977, p. 52), e quindi reso funzionale al libero svolgimento della personalità di coloro che ne sono membri (G. Cotturri - R. Sodo - G. Piepoli, Individuo e gruppi sociali. Il gruppo familiare, in N. Lipari, Diritto privato. Una ricerca per l’insegnamento, Bari, 1974, p. 171). [15] P. Zatti, Rapporto educativo e intervento del giudice, in L’autonomia del minore tra famiglia e società, a cura di M. De Cristofaro - A. Belvedere, Milano, 1980, p. 224 ss. [16] Id., Maternità e surrogazione, in Nuova giur. civ. comm., 2000, p. 193 ss. [17] G. Ferrando, Manuale di diritto di famiglia, cit., p. 220. [18] V. sul tema, F.D. Busnelli, La famiglia e l’arcipelago familiare, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 509 ss. V. inoltre, sulla difficile linea di confine tra famiglia e non-famiglia e sulle direzioni diverse in cui si muove la dottrina, Id., La famiglia tra “ordine” e disordine”, cit., p. 19 ss. [19] Cfr. Sacra Rota (Stato Città Vaticano), 24.11.1983, in Dir. eccl., 1984, p. 260, secondo cui «la deviazione dell’orientamento sessuale che si riscontri negli omosessuali è tale da rendere questi ultimi incapaci sia di costituire con l’altro contraente un rapporto d’amore veramente umano, perpetuo, esclusivo, ed ordinato alla prole, sia di instaurare e di conservare una comunione perpetua ed esclusiva». [20] G. Ferrando, Manuale di diritto di famiglia, cit., 17. [21] Id., op. ult. cit., p. 122. Cfr. anche, Corte cost., n. 166/1998; E. Roppo, Il giudice nel conflitto coniugale, Bologna, 1981, p. 265; F.D. Busnelli - M. Santilli, Il problema della famiglia di fatto, in Una legislazione per la famiglia di fatto?, cit., p. 114 ss. [22] F. Gazzoni, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983, p. 174; R. Tommasini, La famiglia di fatto, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, Il diritto di famiglia, vol. IV, tomo I, Torino, 1999, p. 503, osserva che nella famiglia di fatto «viene in emergenza il momento del rapporto, la cui fonte causativa è rinvenibile in un fatto di sentimento che si manifesta nella realizzazione della ‘communis omnis vitae’». [23] S. Rodotà, La riforma del diritto di famiglia alla prova, in Pol. dir., 1975, p. 661 ss., in part. 675. [24] F.D. Busnelli, La famiglia tra “ordine” e disordine”, cit., p. 31 ss. [25] Sulle convivenze omosessuali, v. C. Forder, Riconoscimento e regime giuridico delle coppie omosessuali in Europa, in Riv. crit. dir. priv., 2000, p. 107 ss.; A. D’Angelo, La difesa del matrimonio omosessuale negli Stati Uniti, in F.B. d’Usseaux - A. D’Angelo (a cura di), Matrimonio, matrimonii, cit., p. 267 ss.; G. Ferrando, Convivenze e modelli di disciplina, op. ult. cit., spec. 309 ss.; F. Grillini, Omosessuali e diritti. Il PACS in Francia e il confronto con la situazione italiana, in Riv. crit. dir. priv., 2000, p. 183 ss.; M. Bonini Baraldi, Società pluraliste e modelli familiari: il matrimonio tra persone dello stesso sesso in Europa, in Familia, 2001, p. 419 ss.; D. Messinetti, Diritti della famiglia e identità della persona, in I modelli familiari tra diritti e servizi, cit., p. 439, spec. p. 444 ss.; V. Mazzotta, Le relazioni omosessuali in Italia, in La nuova giur. civ. comm., 2004, 1, p. 163; G. Ferrando, Il contributo della Corte Europea dei diritti dell’uomo all’evoluzione del diritto di famiglia, loc. ult. cit., 2005, p. 263 ss.; N. Pignatelli, Coppie omosessuali: la Spagna va oltre le socialdemocrazie scandinave, in Quaderni costituzionali, 2005, fasc. 3, p. 654 ss.; R. Romboli - N. Pignatelli - Marc. Carrello - Exposito Gomez Enriqueta - E. Lauroba - F. Dal Canto - G. de Marzo, in Foro it., 2005, 12, p. 256 ss.; A. Riccio, Libertà della persona e fonti del diritto, in Contr. e impr., 2006, p. 304 ss.; A. Barbera - C. Fusaro, Corso di diritto pubblico, Bologna, 2002, p. 124 ss., secondo cui gli artt. 2 e 3 Cost. riconoscono e garantiscono il fondamentale diritto della persona al libero orientamento sessuale. V., inoltre, per un approccio sociologico sul tema, M. Barbagli - A. Colombo, Omosessuali moderni, Bologna, 2001, p. 9 ss. In giurisprudenza, v. Trib. Latina, 10.06.2005, in Fam e dir., 2005, p. 4; App. Roma, 17.07.2006, in Guida al diritto, 2006, n. 35, p. 55.
[26] Aa. Vv., Le coppie omosessuali: la parificazione al matrimonio, in Matrimonio, matrimonii, cit., p. 49 ss.; F. D’Agostino, Una filosofia della famiglia, Milano, 2003, p. 140; M. Sesta, Verso nuove trasformazioni del diritto di famiglia italiano?, in Familia, 2003, p. 137 ss.; N. Lipari, Riflessioni sul matrimonio a trent’anni dalla riforma del diritto di famiglia, a cura di G. Frezza, Milano, 2005, p. 22. [27] K.A. Dinesen, Il “Registred partnership”, un approccio nordico alla legislazione per le coppie non sposate, in M.R. Marella - F. Grillini (a cura di), Stare insieme, cit., p. 185 ss., M.C. De Cicco, La tutela delle convivenze: cenni alle esperienze straniere, nel Tratt. dir. fam., diretto da P. Zatti, I/1, Famiglia e matrimonio, a cura di G. Ferrando e M. Fortino, Milano, 2002, p. 807 ss.; F. Galgano, La comunione dei beni fra coniugi a trent’anni dalla sua introduzione, in Contr. e impr., 2005, p. 101 ss., il quale precisa che gli omosessuali hanno ottenuto il riconoscimento del loro matrimonio in Spagna (L. 30.06.2007), in Olanda (L. 30.03.2001), in Belgio (L. 9.12.2002).
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