NON E’ QUI, E’ RESUSCITATO (Lc 24,5-6)
Maggio 2010
Abbiamo un sincero rispetto delle molte migliaia di cristiani che in questi giorni vengono a Torino per vedere la sindone. Non giudichiamo la fede di chi, vedendo l’immagine di un corpo martoriato impressa in un vecchio lenzuolo, prova emozione, si sente confortato nella sua fede. Non ci permettiamo di giudicare la fede di nessuno.
Né ci interessa argomentare sull’autenticità del “sacro lino”, anche se concordiamo con chi ritiene che non abbia veramente avvolto il corpo di Gesù.
Come cristiani e cristiane appartenenti a piccole comunità sparse per il Piemonte (Chieri, Torino, Pinerolo, Piossasco, Alba, Cuneo) riteniamo che i vertici della chiesa cattolica abbiano perso una occasione per ricordare al popolo dei credenti che Gesù non lo incontriamo in un lenzuolo ma nella vita, nella sofferenza, nelle lotte e nelle speranze dei poveri, perché Gesù è vivo, è presente nella storia.
Crediamo che non ci sia bisogno di immagini per vivere la fede: Dio si rivolge a noi con la forza della sua parola che ci richiama a cercarlo tra i vivi, a testimoniarlo tra le tante persone che vivono con fatica.
Riteniamo invece gravissima la scelta del vescovo di Torino di utilizzare la sua autorità per concedere alle donne che, nei giorni dell’ostensione della sindone, confessano a un prete di aver abortito, l’automatica cancellazione della scomunica che, altrettanto automaticamente, era stata loro comminata.
Gesù aveva affidato la responsabilità di “legare e sciogliere” alla comunità intera, in una relazione di amore reciproco che è il cuore della sua preghiera eucaristica, così come leggiamo nel Vangelo di Giovanni: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato” (Gv 15,12). Davanti a lui nessuno aveva tirato la pietra a quell’adultera... Invece questa responsabilità comunitaria è stata trasformata in un “potere” esclusivo dei “sacri gerarchi”.
Viene utilizzata l’occasione dell’ostensione per arrogarsi il diritto di condonare una scomunica, data arbitrariamente per un atto così delicato che provoca enormi sofferenze alle donne che lo vivono.
Ci limitiamo a constatare quanto poco amore evangelico ci sia in queste assurde scelte della gerarchia.
La gerarchia della chiesa cattolica insiste nel culto delle reliquie; non ci stupisce, ma ci amareggia profondamente, perché così facendo sposta l’attenzione dei fedeli dalla testimonianza alla superstizione.
Noi, cristiani e cristiane delle comunità di base del Piemonte, con umiltà pensiamo che nell’oggi difficile che stiamo vivendo non dobbiamo cercare il volto di Gesù nelle immagini e nelle reliquie, ma nel volto del nostro prossimo, qualunque sia la sua cultura o la sua fede.
Solo tentando di vivere la fede in Gesù in questo modo, nella fatica di tutti i giorni, possiamo essere un segno, una testimonianza utile a costruire una società meno divisa, più accogliente, più cristiana.
Le comunità cristiane di base del Piemonte (maggio 2010)
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