Come nasce la casta sacerdotale
(dedicato alle dimissioni di papa Ratzinger, come segno dell'inizio della fine del Concilio di Trento e come segno di ripresa del Concilio Vaticano secondo che lentamente rinasce dalle sue ceneri)
Roberto Bartoli - Riforma cattolica e reazione antiprotestante
pp.64-65
... Il basso clero fu, infatti,
strappato a forza dal suo ambiente naturale, a quel mondo dei rustici di cui
era figlio ed al quale partecipava in modo totale, condividendone le tristi
condizioni di vita materiale e gli originari ed autonomi valori culturali.
Seguendo le linee di una politica religiosa e culturale elaborata, organizzata
e diretta soprattutto dai gesuiti, i futuri curati di campagna vennero isolati
dalle loro comunità per andare a ricevere la loro formazione intellettuale,
teologica, religiosa e culturale in quella sorta di collegi per preti che
furono i seminari. Nel seminario il futuro prete ebbe una cultura superiore di
tipo letterario classico, conformemente al programma di studio modellato sulla
"ratio studiorum" dei gesuiti, unitamente alla cura per la sua
preparazione teologica. Uno dei segni di questa superiorità culturale dello
stato ecclesiastico, fu il latino. Con la conoscenza del latino il prete
entrava nella classe intellettuale, si appropriava di un linguaggio difficile
ed incomprensibile per il popolo. Finiva, perciò, per essere investito di
un'aureola di magica superiorità con l' accesso a questo esoterismo
linguistico, che incantava e
suggestionava i semplici proprio attraverso il mistero di quelle parole
incomprensibili. Orbene, questa formazione culturale superiore, accompagnata al
riassetto della proprietà ecclesiastica nelle campagne che consentisse al
curato una certa agiatezza economica, ebbe lo scopo di inquadrare il basso
clero in modo organico nell'«ordo clericorum», in modo da farlo sentire
partecipe di un corpo clericale nettamente separato dal mondo dei semplici
rustici, nel quale doveva svolgere la sua missione sacerdotale. Come si è già
messo in risalto, anche l'atteggiamento esterno del curato, il suo modo di comportarsi,
di parlare, di gesticolare, il suo abito dovevano essere segni visibili di
appartenenza ad un corpo privilegiato e superiore, con funzione di comando, e
quindi tale da incutere rispetto già di per se stesso. In altre parole, tutto
doveva indicare la rottura e la separazione più complete dai corrispondenti
modi di vita del mondo contadino.
Le prescrizioni conciliari erano
in proposito tassative. Il già ricordato Canone I della XXII sessione del 17
settembre 156266, stabiliva norme precise per il comportamento esterno dei
chierici. Abbiamo visto in precedenza che non fu il solo. Infatti il già citato
canone IV della XIV sessione del 25 novembre 1551, li richiamava a portare
l'abito conforme al proprio stato. Anche i seminaristi dovevano prendere subito
la tonsura ed indossare la veste clericale, come disponeva la sessione XXIII
del 15 luglio 1563 al canone XVIII. Nella sessione XXI del 15 giugno 1562, il
canone primo vietava a coloro che entravano al servizio di Dio, di mendicare o
di esercitare un mestiere ignobile come mezzo di guadagno. Da queste
prescrizioni, come da molte altre -ad esempio i canoni IV e V della XXIII
sessione del 15 luglio 1563 facevano divieto di ammettere alla prima tonsura
"quelli che non sappiano leggere e scrivere" e si dispone (canone V)
"che i chierici ammogliati debbano prestare servizio nella chiesa in cui
sono destinati e portino I' abito clericale e la tonsura" -emerge con
estrema chiarezza quella che doveva essere la condizione del prete, così come
viene confermata da altri documenti e testimonianze 67. A questo riguardo i
canoni tridentini costituiscono una fonte preziosa per la conoscenza della
situazione religiosa del popolo e del clero prima di Trento. In sostanza, per
riepilogare gli aspetti più rilevanti messi in risalto anche nelle pagine
precedenti, quello del clero e quello dei laici incolti erano due stili di
condotta e di contegno esterni che rivelavano, già nell'immediatezza delle
apparenze, due condizioni sociali e, sul piano ecclesiale, fissavano in maniera
definitiva e completa la scissione fra Chiesa sacerdotale e gerarchica e quella
discente degli umili fedeli. Agli occhi del povero contadino, il curato doveva
perciò rappresentare la superiorità della gerarchia e, pertanto, incutergli un
senso di deferente e filiale devozione, in modo da instillare nel suo animo
quel complesso di inferiorità e di nullità personale che lo rendesse pronto ad
accogliere con obbedienza filiale l'indottrinamento e la disciplina pratica
trasmessigli autoritativamente dal prete.
66. Documenti cit. pag. 651
67. Documenti cit. pag. 617, 673,
636/7, 666/7
68. Si veda il paragrafo in
questo capitolo "Gli strumenti per il controllo della fede popolare nel
programma tridentino: il ruolo
del clero e la nuova figura del prete"
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