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mercoledì 29 maggio 2013

Teatro delle Pietre nel campo profughi di Jenin


Ricordate Arna e Giuliano Mer Khamis?
Il teatro della Libertà di Jenin in Palestina?
I giovani attori del campo profughi di Jenin?
Hanno bisogno del nostro aiuto !_ Adesso!
Sono stati invitati a partecipare all’estate culturale della città di Bologna.
Andranno in scena il 13 e 14 Luglio 2013 Ma i fondi messi a disposizione non sono sufficienti per coprire tutte le spese ed avere un margine economico per gli attori, che è giusto siano retribuiti per il loro lavoro.
Dobbiamo raccogliere entro il 30 Giugno 5.000 (cinquemila) euro.
Possiamo farcela, sarà un piccolo contributo per far conoscere all'Italia e al mondo la
creatività e la forza della cultura del popolo palestinese.
Versa il tuo contributo sul conto corrente bancario:
Assopace Palestina – causale ___Jenin
Banca Unipol_IBAN _IT 50 O 03127 74610 00000 0001527
Per chi non si ricordasse o non sapesse:
Arna, israeliana, sposata ad un palestinese aveva fondato nella prima Intifadah il Teatro delle Pietre nel campo profughi di Jenin, per togliere i bambini e le bambine dalla strada e dalla violenza, per usare l’arma della cultura come espressione di libertà, e per conquistare la libertà.
Dei giovani attori del teatro delle Pietre, in pochi si sono salvati: nel 2002 hanno difeso anche con le armi il campo profughi di Jenin dall’invasione dell’esercito israeliano. Zakaria Zubeidi, uno dei bambini di Arna, cresciuto e diventato capo delle brigate di Al Fatah, sopravvissuto al massacro di Jenin, ha lasciato le armi ed insieme a Giuliano, figlio di Arna, hanno ridato vita al Teatro della Libertà.
Giuliano Mer Khamis, che diceva di sé di essere al 100% palestinese ed ebreo, è stato ucciso a Jenin da qualcuno ancora sconosciuto.
Qualcuno che voleva distruggere il sogno di libertà dei giovani del Teatro della Libertà.
La sua morte è stata una perdita pesante come le montagne del mondo, ma chi è rimasto ha deciso di continuare e portare ovunque, in Palestina e nel mondo, il suo messaggio di libertà. Da tempo, come AssoPace, seguiamo il lavoro e il progetto del Freedom Theatre.
Nei viaggi di conoscenza e solidarietà che organizziamo in Palestina e Israele, l’incontro con il Freedom Theatre è uno dei momenti più emozionanti .
Abbiamo anche sostenuto, dopo l’assassinio di Giuliano, la campagna finanziaria per dotare il teatro di un nuovo spazio al di fuori dal campo profughi . Luisa Morgantini nella prima Intifadah aveva conosciuto e sostenuto Arna ed il suo teatro. Per questo Giuliano le aveva chiesto di entrare a far parte della Fondazione per il Teatro e per questo, ad oggi, Luisa è ancora nel comitato esecutivo della Fondazione.
La solidarietà è la tenerezza dei popoli! Dimostriamolo!
Raccogliamo i fondi necessari ed organizziamo la massima partecipazione a Bologna il 27 e 28 giugno. Faremo in modo che la loro presenza e la loro arte siano condivise via streaming, così da permettere a chi non potrà andare a Bologna di organizzare eventi nella propria città o paese.
lmorgantiniassopace@gmail.com – tel. 3483921465

www.assopacepalestina.org

lunedì 27 maggio 2013

Don Gallo, cronaca del funerale.

    Quando la vera Chiesa decide di esserci

 di Paolo Farinella                                                                                                                                                                                                                                                                   Il Fatto Quotidiano - 26 maggio 2013
  
Genova 25 maggio 2013 - Già di prima mattina, come nei giorni precedenti, la chiesa di San Benedetto al Porto in Genova, sede della Comunità, è gremita di folla, accorsa per l’ultimo saluto sulla terra a don Andrea Gallo. Piove, come se gli angeli volessero partecipare al distacco fisico e le loro lacrime scendono dal cielo bagnando tutti. La pioggia è una benedizione che purifica tutti per essere degni di partecipare alla morte di un profeta che ha partecipato alla vita di tutti quelli che lo hanno incontrato e amato. In chiesa, oltre alla folla di gente, vi sono alcuni preti, un paio di Genova e gli altri venuti da tutta Italia: da Cossato (Biella), da Torino, da Antrosano (l’Aquila), da Lucca, da Firenze, da Budrio (Bologna), da Napoli, da Caserta e da altre città.
Parte il corteo da San Benedetto al Porto verso la chiesa di N. S. del Carmine e Sant'Agnese, nella zona della Nunziata, passando per la Stazione di Porta Principe. Un mare di ombrelli copre le strade. Quando il corteo giunge alla Nunziata il colpo d’occhio di via Balbi, che è un solo fitto ombrello, toglie il respiro: Genova non ha mai visto un folla così ai funerali di qualcuno, e pure di un prete. C’era Genova, c’era l’Italia e anche oltre. A intervalli spontanei e non organizzati – non esiste nemmeno la parvenza di servizio d’ordine – scoppia dalla folla «O bella, ciao, ciao, ciao» che è la sola preghiera laica che accomuna tutti nel segno della libertà. Alla Nunziata, don Andrea Gallo è preso a spalle dalla Comunità e dai «Camalli» del porto e ci si avvia per il Carmine, distante poche decine di metri. C’è Vauro, c’è Landini, c’è Dalla Chiesa, c’è don Ciotti. C’è Dio.
Altra folla in attesa che unita a quella che arriva forma un oceano di umanità riunita attorno all'Uomo, al Prete, al Combattente che in tutta la vita ha solo unito tutti, restando rigorosamente Uomo, Prete e Combattente di parte perché non si può stare con tutti come alibi per non stare con nessuno. Come in fisica un corpo non può occupare due spazi, così anche la coscienza umana non può stare dalla parte degli oppressi e anche da quella degli oppressori, dei giusti e degli ingiusti, dei ladri e dei derubati, dei poveri e dei ricchi. Don Gallo stava da una parte ben precisa, ma costringeva tutti all'unità con gli altri, facendo scelte radicali. Fu amato da tutti perché non barò mai e non era irenico a buon mercato. La Pace per lui aveva un cognome puntuale: Giustizia.
I funerali sono presieduti dal cardinale Bagnasco Angelo, vescovo di Genova e presidente della Cei. Egli si sforza fin dall'inizio di mantenere un contegno asettico, istituzionale, neutro, impassibile, anzi impenetrabile. Prigioniero del suo ruolo cultuale non riesce – e forse non si sforza nemmeno o non può –  a capire quello che sta succedendo. Non ha visto il mare di persone che affollava non solo la chiesa ma via Brignole De Ferrari, la piazzetta del mercato, Piazza della Nunziata, via Balbi. Bagnasco è «dentro», la gente è «fuori». Egli gestisce un evento straordinario come se fosse un ordinario funerale qualsiasi e non si rende conto che il ritorno di don Gallo al Carmine è una forma di risarcimento postumo, perché da quella Chiesa nel 1969 fu letteralmente cacciato via da un altro cardinale, Giuseppe Siri, campione unico di ottusità maniacale.
Bagnasco prende i fogli, forse scritti da altri, e comincia a leggere. Incauto, non è capace di dire una parola fuori dal protocollo rituale, «recitato» pedissequamente, anche nelle parti lasciate libere all'iniziativa del celebrante, secondo l’occasione del momento. Al nome di Siri «padre e benefattore», da fuori scoppia un urlo che immediatamente si propaga dentro la chiesa al grido di «Andrea, Andrea». Solo l’intervento di Lilli, la storica segretaria di don Gallo e la mamma della Comunità, riesce a calmare lo sdegno e la contestazione.
Un’occasione perduta per il cardinale e per la chiesa istituzionale, rappresentata da una trentina di preti presenti in chiesa, alcuni, assenti con il cuore e l’anima: sono infastiditi dalle preghiere, da alcune presenze e forse anche dalla presenza stessa di don Gallo. Il cardinale non vedendo e non rendendosi conto che la chiesa è là fuori della balaustra e del tempio, parla come se parlasse a un raduno di preti e manca l’appuntamento con la storia della sua città che sabato 25 maggio 2013, dalle ore 11,30 alle ore 13,30 si era data convegno per celebrare l’Eucaristia con il suo prete, con il Gallo, comandante, sobillatore di coscienze, perturbatore delle quiete, dissacratore del Dio dissacrato da tutte le gerarchie ecclesiastiche che hanno fatto finta di appropriarsene per impedire che la gente della strada, gli ultimi, i perduti, i tartassati dai governi dei tecnici e delle larghe intese, appoggiati dalla Cei e dal Vaticano, potessero accedere al Dio della Giustizia e dell’Amore.
Il cardinale Angelo Bagnasco nel giorno del funerale di don Andrea Gallo, non si presenta come il padre di una chiesa in ricerca, ma come il burocrate del sacro e delle formulette prefabbricate, limitandosi a «recitare un funerale» anonimo. La folla lo percepisce come «nemico», anzi peggio, come «altro». Il funerale del Gallo è l’emblema visibile di due chiese parallele: una di popolo, di sfigati, di gente di carne e di sangue, che sbaglia, ma che ama e l’altra quella rappresentata dal cardinale che vive in un altro mondo, un mondo alieno, senza storia e senza cuore. Una chiesa asfittica, morta. Don Gallo morto è vivo e pimpante. Il cardinale vivente e imbacuccato in paramenti e cappelli, è morto e seppellito. Nel giorno del funerale del Gallo abbiamo seppellito una Chiesa, ormai finita e assistito alla risurrezione popolare di un profeta che, autentico, parla anche da morto e fa vibrare i cuori del desiderio di Dio che è lì in quella folla, possente nella sua tenerezza.

domenica 26 maggio 2013

In cammino verso la libertà

Comunità dell’Isolotto: incontri ragazzi, genitori, adulti
26 maggio 2013
“Storie, percorsi ed esperienze di libertà”
In cammino verso la libertà
Gruppo dei bambini – ragazzi - genitori e non solo
(Fuad)

Introduzione

Quest’anno i nostri passi si sono mossi alla ricerca del significato della parola libertà.
Abbiamo conosciuto alcuni movimenti di liberazione: la lotta dei neri d’America e del Sudafrica contro la segregazione razziale, la lotta per la legalità contro i poteri della mafia, l’impegno per fermare la distruzione del pianeta e vivere in armonia con la natura, la lotta dei partigiani contro il fascismo per la libertà e la democrazia, le lotte dei popoli sudamericani, l’impegno dei nostri nonni per avere una buona istruzione per tutti.
Abbiamo scoperto che la parola “libertà” cammina insieme ad altre parole come amore per la natura, responsabilità, diritti e democrazia, fratellanza e solidarietà. E abbiamo anche intuito che chi dice “libertà è fare quello che ci pare fregandosene degli altri” imbroglia, vuol dare “una finta piccola libertà” per avere grande potere sulle ricchezze e sulle persone.
Anche il Vangelo è un messaggio di libertà e liberazione da ogni oppressione e da ogni paura; perché solo persone libere sono capaci di costruzione di un “regno” di pace, fratellanza, diritti, condivisione, che oggi noi spesso chiamiamo “un altro mondo possibile”.
Vogliamo allora condividere oggi alcuni dei tanti messaggi di liberazione che abbiamo trovato lungo il cammino.



Il Discorso della montagna (Ritti in piedi) dal Vangelo di Matteo 
Il cosiddetto “discorso della montagna” è un annuncio di libertà, di speranza, in cui si invitano tutti i poveri, gli esclusi, i perseguitati e coloro che non hanno niente da perdere a trovare la forza e il coraggio di rialzarsi in piedi. Senza paura.

Si rialzino in piedi i poveri, perché di essi è il regno dei cieli.
Si rialzino gli afflitti, perché saranno consolati.
Si rialzino i miti, perché erediteranno la terra.
Si rialzino quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Si rialzino i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Si rialzino i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Si rialzino gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Si rialzino i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. […]



Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; lo aprì e trovò il passo dove era scritto:
Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione,
e mi ha mandato per portare ai poveri una lieto messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi,
e predicare un anno di grazia del Signore.
Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e si mise a sedere.
Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora disse: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi».




Dal Kurdistan poesie per la libertà

Verso la libertàSherko Bekas è nato a Sulaimania nel Kurdistan irakeno nel 1940. A 21 anni per la sua attività poetica, era diventato la voce della resistenza kurda ed era ricercato dalle autorità di Baghdad. Per molti anni ha tessuto la sua vita tra la poesia e la lotta per la liberazione della sua terra; ma nel 1987 fu costretto a scappare e a rifugiarsi in Svezia. Ha pubblicato una decina di libri di poesia, due opere teatrali, un romanzo in forma poetica ed ha ricevuto nel 1988 il premio internazionale Tocholsky. E’ tornato nel Kurdistan irakeno liberato nel 1992, ed è diventato ministro per la cultura della Regione Autonoma del Kurdistan irakeno. Bekas ha scritto alcune delle poesie più belle della poesia kurda contemporanea sull’amore e la natura, ma soprattutto sulla realtà della guerra, sul desiderio di pace e di libertà per la propria terra.
Fuad ha scritto “Verso la libertà” una storia che è anche un percorso verso la libertà attraverso le poesie di alcuni tra i più grandi poeti curdi: Gora, Sherko Bekas, Hejar...




Il diario

Il fiore ha scritto il suo diario:
metà del diario parlava della bellezza dell'acqua.

L'acqua ha scritto il suo diario:
metà del diario parlava della bellezza del bosco.

Il bosco ha scritto il suo diario:
metà del diario parlava della terra amata.

Ma quando la terrà scrisse i suoi diari,
tutti i diari parlavano della libertà.

Separazione

Se dai miei versi strappi le rose,
delle quattro stagioni della mia poesia
una ne morirà.

Se escludi l'amore,
due delle mie stagioni moriranno.

Se porti via il grano,
tre delle mie stagioni moriranno.

Se mi togli la libertà,
tutte e quattro le stagioni moriranno,
e io con loro.










Storie di biciclette e libertà.
con pensieri di Lucia e spunti tratti dal libro di Ilaria Sesana "La manutenzione della bicicletta e del ciclista di città"

E’ una di quelle cose che non si dimenticano mai andare in bicicletta.
Una volta che ti sei impadronita del segreto dell’equilibrio, sai che riuscirai sempre a ripetere quei gesti meccanici, ripetitivi, persino banali. Ho scelto di andare in bicicletta perché prima di tutto la bicicletta è libertà.
Libertà di muovermi per la città senza restare imbottigliata nel traffico o impazzire alla ricerca di un parcheggio.


Libertà di andare al lavoro in pochi minuti.
Libertà di sentire il vento che mi attraversa e di trovare anche in città angoli verdi, strade alternative dove sentire il canto degli uccellini. Gli ostacoli certo non mancano: traffico delirante, smog, piste ciclabili a spezzatino, buche nell’asfalto..la bici è un azzardo, ma ho deciso di puntare su di lei. Perché una bella pedalata mi permette di rilassarmi, di mantenermi in forma e in questo modo posso dare il mio piccolo contributo a rendere la mia città un posto più vivibile.

L’uso della bicicletta è anche uno strumento di lotta e di rivendicazione politica.
Già le Suffragette inglesi di fine Ottocento che reclamavano il diritto di voto usavano la bicicletta come strumento di emancipazione: indossare i pantaloni e mettersi a pedalare liberamente per strada era uno dei gesti più scandalosi e provocatori che una donna potesse compiere.

Durante la  Seconda Guerra Mondiale poi la bicicletta divenne in un certo senso un simbolo della Resistenza e della Libertà dall’oppressore essendo il mezzo più usato dalle “staffette” partigiane. Ragazze giovanissime, 16-18 anni appena, che avevano il compito di garantire il collegamento fra le varie brigate, trasportavano messaggi, fogli di stampa clandestina, armi, medicinali, sapientemente nascosti nei doppi fondi delle borse o in mezzo alle verdure per la minestra.

La storia della Resistenza italiana su due ruote non può dimenticare Gino Bartali. Tra il 1943 e il 1944 entrò a far parte di una rete clandestina che forniva documenti falsi e lasciapassare agli ebrei. Fingendo di essere impegnato in faticosi allenamenti, Bartali trasportava i preziosi fogli nella canna della bici, facendo la spola tra vari conventi della Toscana e dell’Umbria. Bartali corse gravi rischi: sapeva che le spie del regime lo tenevano d’occhio, ma grazie a lui circa ottocento cittadini di origine ebraica riuscirono a sfuggire ai rastrellamenti dei nazi-fascisti e a lasciare l’Italia.


Bella Ciao: una canzone per cantare la lotta per libertà
Bella ciao è una canzone popolare scritta da un autore sconosciuto, secondo lo schema dei canti ottocenteschi delle mondine. Inizialmente cantata soprattutto in Emilia Romagna e sull’Appennino tosco-emiliano, si è diffusa nel dopoguerra un po’ ovunque per cantare la lotta dei partigiani contro il fascismo e che morirono in tanti per la libertà. Cantarla significa rinnovare anche il nostro impegno in difesa della libertà di tutti, oggi e per il futuro.

Don Andrea Gallo, morto nei giorni scorsi, diceva “Nessuno si libera da solo, nessuno libera nessuno, possiamo solo liberarci insieme”. Lo ricordiamo cantando Bella Ciao con lui e la sua comunità a Genova seguendo le immagini su: http://www.youtube.com/watch?v=_5koRYLKUbk
Una mattina mi son svegliato,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
Una mattina mi son svegliato
e ho trovato l'invasor.

O partigiano, portami via,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
O partigiano, portami via,
ché mi sento di morir.

E se io muoio da partigiano,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E se io muoio da partigiano,
tu mi devi seppellir.

E seppellire lassù in montagna,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E seppellire lassù in montagna
sotto l'ombra di un bel fior.

E le genti che passeranno
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E le genti che passeranno
Ti diranno: «Che bel fior!»

È questo il fiore del partigiano,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
È questo il fiore del partigiano
morto per la libertà!


Libertà è fare tutto quello che mi pare?  ecco una filastrocca … come risposta

Filastrocca in libertà

Sono libero di fare tutto quello che mi pare?
Se disegno con Gianfranco non mi arrampico sul banco
e se in cerchio noi parliamo
tutti il turno rispettiamo
libertà certo è pensare
tutto quello che ti pare,
e saper che a casa e a scuola
libertà c’è di parola
ma se parli solo tu
io non mi diverto più!!

La storia di due giovani che brindarono alla libertà

Nel 1961 due studenti portoghesi, in un bar di Lisbona, brindarono alla libertà e alla libertà delle colonie portoghesi. I due giovani furono immediatamente arrestati dal regime dittatoriale di Salazar e condannati a 7 anni di carcere.
L’avvocato inglese Peter Benenson alla notizia di questo fatto rimase profondamente indignato e inviò al quotidiano inglese The Observer un appello che fu pubblicato con il titolo «I prigionieri dimenticati» nel quale invitava i lettori ad unirsi per protestare contro l’arresto dei due giovani e contro le ripetute violazioni della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ovunque si attuino.  Era il 28 maggio 1961.

"Aprite il vostro giornale ogni giorno della settimana e troverete la notizia che da qualche parte del mondo qualcuno viene imprigionato, torturato o ucciso perché le sue opinioni o la sua religione sono inaccettabili per il governo. […] Il lettore del giornale sente un nauseante senso di impotenza. Ma se questi sentimenti di disgusto ovunque nel mondo potessero essere uniti in un’azione comune qualcosa di efficace potrebbe essere fatto" (Peter Benenson, 28 maggio 1961, The Observer).

Nell’appello Benenson chiedeva ai lettori di scrivere a loro volta al governo di Salazar lettere a sostegno degli studenti imprigionati.
La reazione fu imponente e per certi versi inaspettata, centinaia di persone si misero in contatto con l’avvocato Benenson e fu organizzata una grande manifestazione e la prima campagna internazionale in difesa dei Diritti Umani; furono scritte migliaia di lettere a sostegno dei due giovani portoghesi.

Il 28 maggio 1961 è considerata la nascita di Amnesty International la maggiore organizzazione in difesa dei diritti dell’uomo in tutto in mondo e che quest’anno compie 50 anni! Benenson ha scelto come simbolo di questa associazione una candela accesa perché spesso aveva in mente un antico proverbio cinese che dice: 
MEGLIO ACCENDERE UNA CANDELA CHE MALEDIRE L’OSCURITA’



LA LIBERTÀ di Giorgio Gaber (1972)
cantiamo la canzone insieme guardando il video:
http://www.youtube.com/watch?v=wb3fK0NKiII
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   
Vorrei essere libero, libero come un uomo
Come un uomo appena nato che ha di fronte solamente la natura
Che cammina dentro un bosco con la gioia d’inseguire un’avventura
Sempre libero e vitale, fa l’amore come fosse un animale,
incosciente come un uomo compiaciuto della propria libertà
la libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione

Vorrei essere libero, libero come un uomo,
come un uomo che ha bisogno di spaziare con la propria fantasia,
e che trova questo spazio solamente nella sua democrazia,
che ha diritto di votare e che passa la sua vita a delegare,
e nel farsi comandare ha trovato la sua nuova libertà
la libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione

Vorrei essere libero, libero come un uomo,
come l’uomo più evoluto che s’innalza con la propria intelligenza
e che sfida la natura con la forza incontrastata della scienza,
con addosso l’entusiasmo di spaziare          senza limiti nel cosmo,
è convinto che la forza del pensiero sia la sola libertà
la libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione


Le cose elementari di GHIANNIS  RITSOS[1]

In modo maldestro, con ago grosso, con filo grosso,
s’attacca i bottoni della giacca. Parla da solo:
hai mangiato il tuo pane? Hai dormito tranquillo?
Hai potuto parlare? Tendere la mano?
Ti sei ricordato di guardare dalla finestra?
Hai sorriso al bussare della porta?
Se la morte c’è sempre, è la seconda
La libertà sempre è la prima
Lungo cammino verso la libertà di Nelson Mandela
           
            Non sono nato con la sete della libertà. Sono nato libero, libero in ogni senso che potessi conoscere. Libero di correre nei campi vicino alla capanna di mia madre, di nuotare nel limpido torrente che scorreva attraverso il mio villaggio, di arrostire pannocchie sotto le stelle, di montare sulla groppa capace dei lenti buoi. Finché ubbidivo a mio padre e rispettavo le tradizioni della mia tribù, non ero ostacolato da leggi né divine né umane.
            Solo quando ho scoperto che la libertà mi era già stata rubata, ho cominciato a sentirne la sete. Dapprima, quand’ero studente, desideravo la libertà per me solo, l’effimera libertà di stare fuori la notte, di leggere ciò che mi piaceva, di andare dove volevo.
Più tardi, a Johannesburg, quando ero un giovane che cominciava a camminare sulle sue gambe, desideravo le fondamentali e onorevoli libertà di realizzare il mio potenziale, di guadagnarmi da vivere, di sposarmi e di avere una famiglia, la libertà di non essere ostacolato nelle mie legittime attività.
Ma poi, lentamente, ho capito che non solo non ero libero, ma non lo erano nemmeno i miei fratelli e sorelle; ho capito che non solo la mia libertà era frustrata, ma anche quella di tutti coloro che condividevano la mia origine. E’ stato allora che sono entrato nell’African National Congress, e la mia sete di libertà personale si è trasformata nella sete più grande di libertà per la mia gente. E il desiderio di riscatto della mia gente – perché potesse vivere la propria vita con dignità e rispetto di sé – ha sempre animato la mia vita, ha trasformato un ragazzo impaurito in un uomo coraggioso, un avvocato rispettosi delle leggi in un ricercato, un marito devoto alla famiglia in un uomo senza casa, una persona amante della vita in un eremita. Non sono più virtuoso o altruista di molti, ma ho scoperto che non  riuscivo a godere nemmeno delle piccole e limitate libertà che mi erano concessse sapendo che la mia gente non era libera. La libertà è una sola: le catene imposte a uno di noi pesano sulle spalle di tutti, e le catene del mio popolo erano anche le mie.
            E’ stato in quei lunghi anni di solitudine che la sete di libertà per la mi agente è diventata sete di libertà per tutto il popolo, bianco o nero che sia. Sapevo che l’oppressore era schiavo quanto l’oppresso, perché chi priva gli altri della libertà è prigioniero dell’odio, è chiuso dietro le sbarre del pregiudizio e della ristrettezza mentale. L’oppressore e l’oppresso sono entrambi derubati della loro umanità.

            Da quando sono uscito dal carcere, è stata questa la mia missione: affrancare gli oppressi e gli oppressori. Alcuni dicono che il mio obiettivo è stato raggiunto, ma so che non è vero. La verità è che non siamo ancora liberi: abbiamo conquistato la facoltà di essere liberi, il diritto di non essere oppressi. Non abbiamo compiuto l’ultimo passo del nostro cammino, ma solo il primo su una strada che sarà ancora più lunga e difficile; perché la libertà non è solo spezzare le proprie catene, ma anche vivere in modo da rispettare e accrescere la libertà degli altri. La nostra fede nella libertà deve essere ancora provata.
           
            Ho percorso questo lungo cammino verso la libertà sforzandomi di non esitare, e ho fatto alcuni passi falsi lungo la via. Ma ho scoperto che dopo aver scalato una montagna ce ne sono sempre altre da scalare. Adesso mi sono fermato un istante per riposare, per volgere lo sguardo allo splendido panorama che mi circonda, per guardare la strada che ho percorso. Ma posso riposare solo qualche attimo, perché assieme alla libertà vengono le responsabilità, e io non oso trattenermi ancora: il mio lungo cammino non è ancora alla fine.
La canzone di John Brown

Questa è una canzone americana molto famosa.
John Brown è veramente esistito e, come raccontano le parole della canzone, è morto per aver tentato di liberare i neri americani dalla condizione di schiavitù. Nella metà del 1800 negli Stati Univi vi erano oltre 4 milioni di schiavi. Le condizioni di vita erano spesso durissime.
John Brown era un bianco americano vissuto nella prima metà dell’800; aveva giurato di dedicare tutti i suoi sforzi alla liberazione degli schiavi: li aiutava a scappare dai loro padroni del sud America e a trovare rifugio negli stati del nord dove la schiavitù era stata abolita. Negli Usa la schiavitù fu abolita in tutti gli stati nel 1865.
Fu catturato e condannato all’impiccagione nel 1859.

John Brown giace nella tomba là nel pian
dopo una lunga lotta contro l’oppressor,
John Brown giace nella tomba là nel pian
ma l’anima vive ancor

Glory, glory alleluia, Glory, glory alleluja
Glory, glory alleluia ma l’anima vive ancor.

Con diciannove suoi compagni di valor
dall’est all’ovest la Virginia conquistò
con diciannove suoi compagni di valor
ma l’anima vive ancor

Glory, glory alleluia, Glory, glory alleluja
Glory, glory alleluia ma l’anima vive ancor

Poi l’hanno ucciso come fosse un traditor
ma traditore fu colui che l’impiccò
poi l’hanno ucciso come fosse un traditor
ma l’anima vive ancor

Glory,glory alleluia, Glory,glory alleluja
Glory,glory alleluia ma l’anima vive ancor

Oh non temer colui che il corpo ucciderà
Se la tua anime rapire non potrà
Oh non temer colui che il corpo ucciderà
Ma l’anima vive ancor

Glory, glory alleluia, Glory, glory alleluja
Glory, glory alleluia ma l’anima vive ancor.

Stelle del cielo non piangete su John Brown
Stelle del cielo sorridete su John Brown
Stelle del cielo non piangete  su John Brown
La sua anima vive ancor

Glory, glory alleluia, Glory, glory alleluja
Glory, glory alleluia ma l’anima vive ancor.






Canzone della libertà



Viva la libertà che qualcuno
vuol cancellare
che risorge più forte di prima
quando la si vuol sotterrare



Viva la libertà
quella scritta storta sui muri
delle case, delle prigioni
delle fabbriche e dei tuguri.

Parlan di tutti un gran bene di lei
e ci fan sopra lunghi discorsi
anche se molte volte è una scusa
per goderne alla faccia degli altri

Molta gente non sa com’è duro
conquistarla e tenerla vicina
non soltanto sui libri di scuola
ma ogni giorno casa e officina.


Viva la libertà
insidiata per esser sconfitta
da un pennella e una mano di calce
che però han ricalcato la scritta

Viva la libertà
contro il segno di calce più forte
lo scalpello che non può che scavare
sempre più quelle lettere storte

Viva la libertà
c’è qualcuno che ha pronto il piccone
il suo simbolo abbatterà
anche il muro della prigione.






Dagli scritti di Bertrand Russel,
filosofo inglese, allontanato dall’insegnamento per la sua propaganda pacifista.
Nel 1950 ottenne il premio nobel per la letteratura.
Ha fondato un tribunale internazionale per la difesa dei diritti umani.

“ L'uomo felice, come io lo concepisco nella società del futuro,
sarà libero e generoso ed espansivo
e considererà le altre persone come individui
con cui collaborare piuttosto che come concorrenti.
Il suo atteggiamento verso il prossimo
dimostrerà più fiducia di quanto non avvenga oggi.
Avendo appreso da giovane a considerare l’umanità,
come una grande famiglia, egli non penserà istintivamente
alle nazioni straniere come a nazioni nemiche
ed ai suoi occhi la guerra sarà una vera follia.”

I have a dream – Io ho un sogno di Martin Luther King

Il 28 agosto 1963 oltre 200.000 persone parteciparono a Washington (Usa) ad una grande marcia per i diritti civili, il lavoro e la libertà degli afro-americani. Al termine della marcia, davanti al “Lincoln Memorial”,  Martin Luther King  pronunciò un discorso divenuto poi celebre; alcune frasi sono:
Ho un sogno: che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che furono schiavi e i figli di coloro che furono padroni di schiavi possano sedere gli uni accanto agli altri
al tavolo della fratellanza.

Ho un sogno: che un giorno persino lo stato del Mississipi,
uno stato desolato e soffocato
dalla ingiustizia e dall’oppressione
possa trasformarsi
in un’oasi di libertà e di giustizia.

Ho un sogno: che un giorno i miei quattro figlioletti
possano vivere in una nazione
che non li giudicherà per il colore della pelle
ma per il loro carattere.

Oggi ho un sogno
che un giorno lo stato dell’Alabama
dalle labbra del cui governatore
sentiamo pronunciare solamente
parole di contrapposizione e di scontro,
si trasformi in un luogo in cui i bambini neri
e le bambine nere
possano prendere per mano
i bambini bianchi e le bambine bianche
e camminare insieme come fratelli e sorelle

Questo bellissimo messaggio di libertà e fratellanza deve ancora oggi essere compiuto ed il nostro cammino sarà felice se ci impegneremo a continuare la marcia di M.L.King


Pensieri sulla libertà

Non vale la pena avere la libertà se questo non implica avere la libertà di sbagliare. Gandhi

Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere. Voltaire

La mia libertà finisce dove comincia la vostra. Martin Luther King

Una parola muore appena detta: dice qualcuno. Io dico che solo in quel momento
comincia a vivere. Emily Dickinson

Ciascuno di noi è, in verità, un’immagine del grande gabbiano, un’infinita idea di libertà, senza limiti. Richard Bach

Possiamo essere liberi solo se tutti lo sono. Georg Hegel

Giustizia non esiste là dove non vi è libertà. Luigi Einaudi

Non si può separare la pace dalla libertà perché nessuno può essere in pace senza avere la libertà. Malcolm X

La libertà quando comincia a mettere radici è una pianta di rapida crescita. George Washington

La verità vi renderà liberi. Sacre Scritture

Sarà sempre uno schiavo chi non sa vivere con poco. Orazio Flacco


Esperienza liberatrice
di PAUL TOURNIER

Esperienza magnifica,liberatrice
Quando gli uomini imparano
Ad aiutarsi l’un l’altro

Ciascuno di noi ha un immenso bisogno
D’essere ascoltato realmente
D’essere preso sul serio
D’essere capito in profondità

Nessuno può svilupparsi liberamente
Nessuno può vivere pienamente
Senza sentirsi capito
Accettato aiutato



Se questo è un uomo
di Primo Levi

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.


LIBERTA’ – di Paul Eluard

Sui miei quaderni di scolaro
Sui miei banchi e sugli alberi
Sulla sabbia e sulla neve
Io scrivo il tuo nome
 
Su tutte le pagine lette
Su tutte le pagine bianche
Pietra sangue carta cenere
Io scrivo il tuo nome
 
Sulle dorate immagini
Sulle armi dei guerrieri
Sulla corona dei re


Io scrivo il tuo nome
 
Sulla giungla e sul deserto
Sui nidi sulle ginestre
Sull'eco della mia infanzia
Io scrivo il tuo nome
 
Sui prodigi della notte
Sul pane bianco dei giorni
Sulle stagioni promesse
Io scrivo il tuo nome
 
Sui campi sull'orizzonte
Sulle ali degli uccelli
Sul mulino delle ombre
Io scrivo il tuo nome
 
Su ogni soffio d'aurora
Sul mare sulle barche
Sulla montagna demente
Io scrivo il tuo nome
 
Su ogni carne consentita
Sulla fronte dei miei amici
Su ogni mano che si tende
Io scrivo il tuo nome
 
Su ogni mio infranto rifugio
Su ogni mio crollato faro
Sui muri della mia noia
Io scrivo il tuo nome
 
Sull'assenza che non desidera
Sulla nuda solitudine
Sui sentieri della morte
Io scrivo il tuo nome
 
Sul rinnovato vigore
Sullo scomparso pericolo
Sulla speranza senza ricordo
Io scrivo il tuo nome
 
E per la forza di una parola
Io ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per nominarti
Libertà.


                     PAUL ELUA
lo credo nell'uomo di Czernichosky,  poeta ebreo
     L'anima mia ha fame di libertà:
non ho voluto venderla al vitello d'oro.
     Credo nell’uomo e nella forza del suo spirito:
spezzerà ogni catena, salirà su ogni vetta:
al povero darà il pane, all’anima lo spazio.
     lo credo nell' amicizia,
credo che troverò un cuore la cui speranza sia la mia speranza,
e senta col mio cuore la gioia e il dolore.
     lo credo nell' avvenire,
credo che un giorno porterà la pace, la pace ad ogni popolo,
ed ogni popolo sarà benedizione.
     Le labbra del poeta canteranno un canto nuovo,
e sulla sua tomba saranno raccolti fiori di gioia.


Canti comunitari di speranza e libertà
Quando nel 1968 la nostra comunità dell’Isolotto, che fino a quel momento si era ritrovata nella parrocchia e in una bella e grande chiesa che il popolo del quartiere aveva costruito pagando ogni mese dei soldi, fu scacciata dal vescovo e la chiesa fu chiusa, fummo molto tristi ed anche arrabbiati: e ora dove ci troviamo? Come facciamo a continuare il nostro cammino?
Pensavamo di non riuscire a sopravvivere ma decidemmo di non arrenderci e continuammo a trovarci all’aperto, nella piazza del mercato.
Poi scoprimmo che essere fuori, trovarci all’aperto, ci rendeva più liberi e felici.
Ci sentivamo tutti uguali, potevamo incontrare tante persone, tutti potevamo parlare
e raccontare, e danzare e cantare.  Questi sono alcuni dei nostri canti di libertà e speranza

CAMMINANDO SULLA STRADA
LA STRADA (di G.Gaber)
Camminando sulla strada
della vera libertà
Tutti insieme costruiremo
una nuova umanità
          E quando un dì l’umanità
          giustizia e pace conquisterà,
          o signor come vorrei
          che ci fosse un posto per me.
C’è chi dice che la vita
sia tristezza, sia doloro
ma io so che viene il giorno
in cui tutto cambierà
          E quando un dì l’umanità
          giustizia e pace conquisterà,
          o signor come vorrei
          che ci fosse un posto per me.

C’è solo la strada su cui puoi contare
La strada è l’unica salvezza,
c’è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza
          perché il giudizio universale
non passa per le case,
le case dove noi ci nascondiamo,
bisogna ritornare nella strada,
nella strada per conoscere chi siamo.
C’è solo la strada su cui puoi contare
La strada è l’unica salvezza,
c’è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza
          perché il giudizio universale
non passa per le case,
          e gli angeli non danno appuntamenti
          e anche nelle case più spaziose
          non c’è spazio per verifiche e confronti.
C’è solo la strada su cui puoi contare
La strada è l’unica salvezza,
c’è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza
          perché il giudizio universale
non passa per le case,
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita,
dalla lotta dal dolore e dalle bombe.




WE SHALL OVERCOME – NOI CE LA FAREMO

We shall overcome è una canzone di protesta pacifista che negli anni ‘60 divenne un inno del movimento per i diritti civili negli Stati Uniti. Fu cantata da Joan Baez, una famosa cantante statunitense di quegli anni, che la registrò nel 1963 e che la cantò in molte marce per i diritti civili.
I lavoratori agricoli negli Stati Uniti la cantarono in spagnolo durante gli scioperi e i boicottaggi della vendemmia alla fine degli anni '60. In Spagna è stato l'inno del movimento studentesco contro la dittatura all'Università di Santiago di Compostella negli anni 1967-68. La canzone fu poi utilizzata anche in Sudafrica durante gli ultimi anni del movimento anti-apartheid. In India, la traduzione letterale in hindi divenne una canzone patriottica negli anni '80 e cantata ancora oggi. La nostra comunità per 40 l’ha cantata in piazza in segno di solidarietà, libertà, amicizia, speranza e ancora oggi la cantiamo alle baracche.
We shall overcome, 
We shall overcome,
We shall overcome, some day. 
Oh, deep in my heart,I do believe
We shall overcome, some day.

We'll walk hand in hand,
We'll walk hand in hand,
We'll walk hand in hand, some day. 
Oh, deep in my heart,

We shall live in peace,
We shall live in peace,
We shall live in peace, some day.

Oh, deep in my heart,

We shall all be free,
We shall all be free,
We shall all be free, some day. 
Oh, deep in my heart,

We are not afraid,
We are not afraid,
We are not afraid, today 
Oh, deep in my heart,

We shall overcome,
We shall overcome,
We shall overcome, some day. 
Oh, deep in my heart,
I do believe
We shall overcome, some day
Noi ce la faremo
Noi ce la faremo
Noi ce la faremo un dì
Dal profondo del cuor
Nasce la mia certezza
Che noi ce la faremo un dì

Per un mondo più giusto
Per un mondo più giusto
Per un mondo più giusto un dì
Dal profondo del cuor…..

Non aver paura
Non aver paura
Non aver paura mai

Dal profondo del cuor…..

Bianco e nero insieme
Bianco e nero insieme
Bianco e nero insieme un dì
Dal profondo del cuor …….

Diritti umani per tutti
Diritti umani per tutti
Diritti umani per tutti un dì
Dal profondo del cuor ……

Noi ce la faremo
Noi ce la faremo
Noi ce la faremo un dì
Dal profondo del cuor
Nasce la mia certezza
Che noi ce la faremo un dì

C’era un ragazzo che come me..

Dal 1964 al 1976 c’è stata una lunga guerra fra il Vietnam del nord ed il Vietnam del sud, ma era soprattutto una guerra fra grandi potenze Mondiali: la Cina e L’Unione sovietica che sostenevano il Vietnam del Nord e gli Stati Uniti d’America che sosteneva il Vietnam del sud con armi e soldati. Enormi sono state le distruzioni e il numero dei morti sia Vietnamiti che Americani e di altri paesi. A quel tempo, in Europa ed in America sorse un grande movimento contro la guerra in Vietnam. Questa canzone esprime la condanna di una guerra ritenuta da molti di noi ingiusta ed inutile.

C’era un ragazzo che come me
Amava i Beatles e i Rolling Stones
Girava il mondo, veniva da
Gli Stati Uniti d?America.

Non era bello ma accanto a sé
Aveva mille donne se
Cantava help e speak to right
E lui diceva yesterday!

Cantava viva la libertà
Ma ricevette una lettera
La sua chitarra mi regalò
Fu richiamato in America.

Stop coi Rolling Stones
Stop coi Beatles stop
Mi han ditto vain el Vietnam
E spara ai Vietcong.

Tarataa ta taratata ta……

C’era un ragazzo che come me
Amava i Beatles e i Rolling Stones
Girava il mondo ma poi finì
A far la guerra nel Vietnam

Capelli lunghi non porta più
Non suona la chitarra ma
Uno strumento che sempre fa
La stessa nota taratata

Non ha più amici, non ha più fans
Vede la gente cadere giù
Nel suo paese non tornerà
Adesso è morto nel Vietnam

Stop coi Rolling Stones
Stop coi Beatles stop
Nel petto il cuore più non ha
Ma due medaglie o tre

Tarataa ta taratata ta……




Samarcanda di Roberto Vecchioni

C'era una grande festa nella capitale perché la guerra era finita.
I soldati erano tornati tutti a casa e avevano gettato le divise.
Per la strada si ballava e si beveva vino, i musicanti suonavano senza interruzione.
Era primavera e le donne potevano, dopo tanti anni, riabbracciare i loro uomini. All'alba furono spenti i falò e fu proprio allora che tra la folla, per un momento, a un soldato parve di vedere una donna vestita di nero che lo guardava con occhi cattivi.


Ridere ridere ridere ancora
ora la guerra paura non fa,
brucian le divise dentro il fuoco la sera,
brucia nella gola vino a sazietà
musica di tamburelli fino all'aurora
il soldato che tutta la notte ballò
vide tra la folla quella nera Signora
vide che cercava lui e si spaventò.

"Salvami, salvami grande sovrano
fammi fuggire, fuggire di qua
alla parata lei mi stava vicino
e mi guardava con malignità"
"Dategli, dategli un animale,
figlio del lampo, degno di un re
presto, più presto perché possa scappare
dategli la bestia più veloce che c'è".

"Corri cavallo, corri ti prego
fino a Samarcanda io ti guiderò
non ti fermare, vola ti prego
corri come il vento che mi salverò...
oh oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh cavallo,
oh oh cavallo, oh oh".



Fiumi poi campi poi l'alba era viola,
bianche le torri che infine toccò,
ma c'era tra la folla quella nera Signora
e stanco di fuggire la sua testa chinò
"Eri tra la gente nella capitale
so che mi guardavi con malignità
son scappato in mezzo ai grilli e alle cicale
son scappato via ma ti ritrovo qua!"

"Sbagli, ti inganni, ti sbagli soldato
io non ti guardavo con malignità,
era solamente uno sguardo stupito,
cosa ci facevi l'altro ieri là?
T'aspettavo qui per oggi a Samarcanda
eri lontanissimo due giorni fa,
ho temuto che per aspettar la banda
non facessi in tempo ad arrivare qua".

Non è poi così lontano Samarcanda,
corri cavallo, corri di là...
ho cantato insieme a te tutta la notte
corri come il vento che ci arriverà.
"Oh oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh cavallo,
oh oh cavallo, oh oh".


Blowin’ in the wind

Blowin' in the wind (lingua originale)
Soffiando nel vento (Traduzione letterale
How many roads must a man walk down
Before you call him a man?
Yes, 'n' how many seas must a white dove sail
Before she sleeps in the sand?
Yes, 'n' how many times must the cannon balls fly Before they're forever banned?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.

How many times must a man look up
Before he can see the sky?
Yes, 'n' how many ears must one man have
Before he can hear people cry?
Yes, 'n' how many deaths will it take till he knows
That too many people have died?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.

How many years can a mountain exist
Before it's washed to the sea?
Yes, 'n' how many years can some people exist
Before they're allowed to be free?
Yes, 'n' how many times can a man turn his head,
Pretending he just doesn't see?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.

Quante strade deve percorrere un uomo
prima di essere chiamato uomo?
E quanti mari deve superare una colomba bianca
prima che si addormenti sulla spiaggia?
E per quanto tempo dovranno volare le palle di cannone prima che siano abolite per sempre?
La risposta, mio amico sta soffiando nel vento,
la risposta sta soffiando nel vento

Per quanto tempo un uomo deve guardare in alto
prima che riesca a vedere il cielo?
E quanti orecchie deve avere un uomo
prima che ascolti la gente piangere?
E quanti morti ci dovranno essere affinché lui sappia che troppa gente è morta?
La risposta, mio amico sta soffiando nel vento,
la risposta sta soffiando nel vento


Per quanti anni una montagna può esistere
prima che venga spazzata via dal mare?
E per quanti anni può la gente esistere
prima di avere il permesso di essere libere
E per quanto tempo può un uomo girare la sua testa fingendo di non vedere
La risposta, mio amico sta soffiando nel vento,
la risposta sta soffiando nel vento.

traduzione di Mogol (nb: in questa famosa traduzione in italiano, che siamo soliti cantare si dice “risposta non c’è…”, nel testo originale invece la risposta sta soffiando nel vento..) 


Quante le strade che un uomo farà
e quando fermarsi potrà?
Quanti mari dovrà traversar
un gabbiano per poi riposar?
Quando la gente del mondo riavrà
per sempre la sua libertà?

Risposta non c’è o forse chissà
perduta nel vento sarà….(2 volte)



Quando dal mare un’onda verrà
e i monti lavare potrà?
Quando per l’uomo che deve lottar
il duro cammin finirà?
Quante persone dovranno morir
perché sono in troppi a morir?

Risposta non c’è o forse chissà
perduta nel vento sarà…..( 2 volte)


Lettura eucaristica
Quando sarai triste
siediti sul ciglio della strada
e attendi che il vento
ti porti la voce dell'ignoto.
Ascolta in silenzio quello che la voce ti dice,
e poi, alla luce del sole,
chiediti se tutto ciò è possibile.
Rimani così nella calma
sino a quando dal cielo scenderà la sera
perché anch'essa avrà un messaggio per te.
Rimani seduto sul ciglio della strada
sino a quando si accenderanno le stelle
perché anche loro avranno qualcosa da dirti.
Poi verrà la notte
con la sua lunga pausa di riflessione
e ti verrà in mente la vita.
Allora pensa di essere sempre te stesso
a qualsiasi costo,
e non fingere mai con gli affetti profondi
come l'amore, unica cosa grande al mondo.
Accetta con serenità il passare degli anni
perché anche la vecchiaia è un atto della vita.
L'uomo dimostra di essere piccolo o grande
a seconda dell'importanza che dà alle grandi
o alle piccole cose.
Ricordati che se sei venuto al mondo
hai pieno diritto di esistere.
Cerca Dio anche se non sai dove abita
e abbi sempre comprensione per tutti.
Rimani seduto sul ciglio della strada sino all'alba.
Passerà qualcuno e ti chiederà se ti sei perduto
e tu risponderai che ti stai cercando.
Accogliamo questo messaggio
come dono di serenità e saggezza
che ci rende liberi e consapevoli
e vogliamo coniugarlo con il messaggio
ed il gesto di Gesù il quale
prima che venisse ucciso,
mentre sedeva a tavola con i suoi amici,
prese del pane, lo spezzò, lo distribuì loro dicendo:
"prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo".
Poi, preso un bicchiere, rese grazie,
lo diede loro e tutti ne bevvero e disse loro:
"questo è il mio sangue
che viene sparso per tutti i popoli".
I vangeli di ieri
e i vangeli di oggi
siano intrecciati
in una memoria unica
che dà fondamento e senso alla vita.



[1] Ghiannis Ritsos (1909 -1990) è stato un importante poeta greco contemporaneo; ebbe una infanzia difficile segnata da gravi lutti familiari; da adulto partecipò prima alla lotta di resistenza contro i nazisti e poi contro i governi dittatoriali o reazionari succedutisi in Grecia tra il 1936 e il 1970, non dimenticando mai la sua passione per la letteratura e la poesia.


L'albino africano”

Nel passato, l'albino era considerato un diverso per l'handicap del colore della pelle, degli occhi,
e dei capelli. Nell'antichità un bianchissimo neonato poteva parere strano in Africa, ma era comunque, considerato un cucciolo umano come tutti gli altri bambini.
Un dono di Dio o di Madre natura. Difatti la tradizione sociale, economica, politica e religiosa imponeva di rispettare la vita degli innocenti, di abolire la violenza, l'assassinio e ogni comportamento criminale.
E la collettività capiva che era una malformazione quella pelle e che andava protetta dai raggi del sole spalmandola di burro.
Nel tempo la superstizione  attribuì all'albino dei difetti imprecisati, che per il superstizioso erano reali. Vedere un albino scatenava in loro un sentimento di paura che esorcizzavano coi riti, come:”sputarsi sul cuore, e pregare dio di non mettere al mondo” un simile figlio.
O “evitare di guardarlo negli occhi.” Il sapere vulgato quasi proverbiale dice che gli occhi sono
lo specchio dell'anima dell'uomo e della donna...Allora cosa vedeva lui in quegli occhi-specchio?
Forse vedeva il riflesso di se stesso? Ma nonostante la stupida superstizione, nessuno aveva
mai pensato che quel corpo avesse poteri magici.

“Moda o follia...?”

Oggi,come nel XX secolo, ogni educazione politica, economica, sociale e religiosa è più o
meno pervasa dal potere omologante del denaro. Poiché, come sosteneva Simone Weil, nulla è
seduttivo, affascinante e semplice da apprendere come una cifra, anche da un bambino.
È così che ogni educazione si muta in diseducazione e costringe la collettività a disinteressarsi di de stessa per seguire l'imposto pensiero e agire della frustrante omologazione. Così che a educare la cittadinanza a pensare, riflettere e agire secondo “I diritti-umani” pare di lottare contro i mulini a vento... .

In Africa Centrale dal pregiudizio che “ 'albino non può morire, ma solo scomparire” e dalla
vergogna di avere messo al mondo un figlio bianchissimo, si è passati all'orrore di pensare
e decidere che esso “è una preziosa preda. Poiché “vale tanto oro quanto pesa per la diceria dei suoi poteri magici.”
Poteri illusori concretizzati in un macabro, orribile commercio di neri-bianchissimi assassinati.
Poiché un “corpo” vale da “600 mila franchi = a fino a 400 mila euro.”
In Tanzania è diffusa la moda dell'artigiano stregone-commerciante il quale prepara intrugli
con ossa, sangue e capelli degli albini. Questi sono ricercatissimi dai superstiziosi, convinti di
trovare grazie ad essi le gemme più preziose e diamanti, e da chi crede di poter tirare su copiose pescate nel lago Vittoria.
Dopo quaranta omicidi il governo per proteggere gli albini indice il censimento. Col risultato che  nel 2008 la superstizione che sfocia nel criminale commercio scoppia in Burundi. Nel 2010 si rileva che quattro albini al mese vengono immolati sull'altare del dio denaro.

 E che all'Associazione ASF (Albini senza frontiere ) viene “rifiutata l'autorizzazione di 
manifestare per chiedere che gli albini siano considerati esseri umani e siano accettati per quello che sono,”
  Così come avveniva in passato. Occorre sostiene il presidente dell'Asf che il governo:
si metta in gioco affinché gli albini e tutti i burundesi possano essere coscienti che la sicurezza dei diversi non può essere garantita che dalla popolazione,” quando essa riesce a “capire che questi premeditati assassini sono un attacco ad ogni diritto alla vita e al fatto che tutti” donne e uomini, “nascono liberi e uguali.”
Gli ignobili sostenitori del criminale commercio l'attribuiscono alla miseria che genera la crisi dei valori, non all'ignoranza nella quale la gente è tenuta, derubata della possibilità di usare liberamente il proprio pensiero. Per conoscere e rispettare gli altri e rispettando se stessa.