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domenica 22 dicembre 2013

Veglia di Natale

Comunità dell’Isolotto
Veglia di Natale 2013
Perdersi, ogni giorno, nella creativa fatica dell'incontro
nato nelle capanne-tenda dei campi profughi, nei CIE, nei ghetti e sotto i ponti delle nostre civili città

FIRENZE, 24 DICEMBRE 2013
 BARACCHE VERDI, VIA DEGLI ACERI 1, ore 22,30


Dove finisce l'arcobaleno
ci sarà un luogo, fratello, dove il mondo
potrà cantare canzoni d'ogni sorta,
noi canteremo insieme
neri e bianchi fratelli, una canzone.
Non esiste un motivo che sia nero,
non esiste un motivo che sia bianco.
C'è musica soltanto
Canteremo musica, fratello,
dove finisce l'arcobaleno.
(Richard Rive)

INTRODUZIONE: Siamo Liberi?
di María López Vigil (1)

1.     Non siamo liberi di scegliere chi ci genera, da chi nasciamo, chi saranno nostro padre e nostra madre, i nostri fratelli o sorelle, quali geni ci saranno trasmessi in questa nuova combinazione con la quale il puro caso ci segna dal volto fino all’anima. Non siamo liberi di scegliere molto di ciò che ereditiamo nel gioco della vita. Però sì! siamo liberi di decidere ciò che faremo, che personalità costruiremo con questo ingranaggio di geni unico e irripetibile, con i suoi vantaggi e i suoi svantaggi, con le sue potenzialità, le sue possibilità e i suoi limiti.
2.    Non siamo liberi di sceglierci il sesso con il quale nasciamo, bambino o bambina, maschio o femmina, con un orientamento sessuale o con un altro. Però sì! siamo liberi per apprendere e per decidere di vivere e gioire della nostra sessualità sempre come espressione di amore e di comunicazione, e mai come espressione di potere e di violenza.
3.    Non siamo liberi di scegliere il colore della nostra pelle. Però sì siamo liberi di non disprezzare o invidiare chi non ha il nostro colore. E lo siamo anche per rispettare, valorizzare e celebrare i colori di tutte le pelli.
4.    Non siamo liberi di scegliere la lingua con la quale impariamo a parlare o parole e sfumature con le quali diamo nome alle cose. Però sì, siamo liberi di scegliere le parole di questa lingua che useremo, a chi le rivolgeremo e per quale motivo le utilizzeremo. Resi umani grazie al linguaggio, grazie al potere della parola potremo opprimere o liberare, insegnare o instupidire, potremo fare danni o sanare, creare e cambiare oppure ripetere e ancora ripetere. Potremo abbellire il mondo o renderlo più brutto. Potremo anche apprendere nuove lingue e nelle loro parole altre scoprire i molti altri accenti attraverso i quali altre genti danno nome alle cose del mondo.
5.    Non siamo liberi di scegliere la religione nella quale saremo educati. Perché tutte le religioni sono espressione del Paese, della cultura, del popolo o della famiglia nella quale nasciamo. Tutte sono cammini, differenti, alla ricerca della Realtà Ultima. Tutte possiedono scelte errate e svolte che si aprono su meravigliosi paesaggi. Però sì siamo liberi di accettare o rifiutare le credenze, i dogmi, le pratiche, i riti, i mediatori, le autorità della religione appresa. E lo siamo anche per rivedere queste tradizioni, per ripensarle e decidere se ci nutrono, se ci donano senso, allegria e libertà. O, al contrario, se sono sbarre di una prigione ideologica dove abbondano colpe, paure, repressioni, un carcere dal quale siamo liberi di scappare.
6.    Non siamo liberi di scegliere di nascere nella povertà o nella ricchezza, in una vita tranquilla o precaria. Però sì siamo liberi di scegliere se condividere o meno ciò che abbiamo, se correre o meno rischi nella lotta per fare meno diseguale questo mondo nel quale ci è toccato vivere, se vivere contemplando le ingiustizie del mondo o contribuire a trasformarlo.
7.    Non siamo liberi di scegliere il Paese in cui nasciamo. Però sì siamo liberi di scegliere un altro Paese in cui vivere, lavorare, lottare e anche morire. E in questo Paese di adozione siamo anche liberi di dare il nostro contributo perché vivano con dignità coloro che sono arrivati fino allo stesso porto però non liberi, ma spinti forzatamente dalla mancanza di lavoro, dalla fame, dalla guerra o dalla violenza.
8.    Non siamo liberi di smettere di aver paura, timore e finanche panico, uno dei due meccanismi che la saggia legge dell’evoluzione lasciò scritto dentro di noi e radicò nella nostra psiche per garantirci la sopravvivenza. Però sì siamo liberi di divenire padroni della paura, di confessare, senza vergognarci, che la proviamo e di accompagnare le paure dei nostri fratelli e le nostre sorelle finché non riescano a superarle.
9.    Non siamo liberi di scegliere l’epoca nella quale ci tocca vivere né determinare il modo con il quale ci ricorderanno. Però sì siamo liberi di lottare per la giustizia durante gli anni che ci sono dati da vivere, con le loro incertezze, le loro sfide e le loro speranze. Sì, siamo liberi per mettere in gioco tutto il cuore che abbiamo. Nel futuro, saremo ricordati per il fuoco che avremo saputo porre in questa lotta.


 
RIFLESSIONE BIBLICA

Dal libro del Deuteronomio (24,17-22)
          Se tu farai qualche prestito al tuo prossimo, non entrare in casa sua per sceglierti il pegno, qualunque sia, ma rimani alla porta e colui a cui tu hai fatto il prestito, ti porterà il pegno fuori.
Se poi è un povero, non andare a dormire, avendo ancora il suo pegno presso di te, ma al tramonto del sole restituiscigli il pegno, affinché egli possa dormire sul suo mantello e ti benedica. Quest'atto sarà per te una buona azione agli occhi del Signore Dio tuo.
Non defraudare il salariato povero e bisognoso, sia egli o uno dei tuoi fratelli o uno dei forestieri, che abitano nel tuo paese, dentro la tua città. Pagagli il suo salario giorno per giorno, e non tramonti il sole senza che tu gliel'abbia dato, perché egli è povero, e ad esso aspira con l'animo suo, affinché egli non gridi contro di te al Signore e non vi sia in te colpa. (...)
Non violerete il diritto dello straniero, né dell'orfano, e non prenderete in pegno la veste della vedova. Ricordati che tu sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha liberato il Signore Dio tuo: perciò ti comando di mettere in pratica questo precetto. Quando nel tuo podere starai a mietere la tua messe e avrai dimenticato un manipolo nel campo, non tornare indietro a prenderlo, ma lascialo per il forestiero, per l'orfano e per la vedova, affinché il Signore Dio tuo ti benedica in ogni opera delle tue mani. Quando bacchierai gli olivi, non ricercare le olive rimaste sui rami, ma lasciale per il forestiero, per l'orfano e la vedova. Quando vendemmierai la tua vigna, non racimolare i grappoli rimasti dietro a te, ma lasciali per il forestiero, per l'orfano e la vedova. Ricordati che tu sei stato schiavo in Egitto, e perciò io ti comando di mettere in pratica questo precetto.
Dal Vangelo di Luca (2,22-32)
          Quando si compirono i giorni della loro purificazione dopo il parto secondo la Legge di Mosè, i genitori portarono Gesù a Gerusalemme per presentarlo al Signore, come sta scritto nella Torah: "Ogni maschio primogenito sarà consacrato al Signore", e per offrire in sacrificio un paio di tortore e due piccioni. Ed ecco a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone e quest'uomo era giusto e pio; aspettava la consolazione d'Israele e lo Spirito di Dio era su di lui. E lo Spirito gli aveva rivelato che non avrebbe visto la morte prima d'aver incontrato il Messia del Signore. E mosso dallo Spirito venne al tempio, e quando i genitori vi portarono il bambino Gesù per adempiere a suo riguardo ciò che di consueto ordinava la Legge, egli lo prese fra le braccia e benedisse Dio dicendo:"Adesso congeda il tuo servo in pace, Signore, secondo la tua parola, poiché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparato a vantaggio di tutti i popoli: luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele".
Il libro del Deuteronomio rivela, anche solo dal punto di vista linguistico-letterario, un'origine piuttosto recente nella storia d'Israele (VII sec. a.C.), ma raccoglie al suo interno una legislazione che rimanda ad una tradizione orale più antica e che ha molti paralleli nei libri dell'Esodo e del Levitico. A questa tradizione appartiene anche il brano letto: da una parte esso esprime implicitamente una critica alla società di allora che non teneva conto dei soggetti sociali più deboli, come l'orfano, la vedova e lo straniero, che erano vessati dal punto di vista economico e vivevano nella precarietà e indigenza anche estrema, senza possibilità di soddisfare i propri bisogni primari. Dall'altra c'è una presa di coscienza che il popolo israelitico ha avuto un'origine particolare, determinata da un gruppo di schiavi in Egitto che con l'aiuto di Jahwè si sono liberati dal dominio del Faraone e si sono costituiti come popolo, con proprie leggi religiose e civili.
Israele è un popolo di immigrati nella terra di Canaan, come il loro antenato Abramo, e questi immigrati dal punto di vista storico hanno coabitato più o meno pacificamente e in parte si sono integrati con le popolazioni precedenti, a partire dalla lingua e dai riti religiosi, contrariamente ad una certa ideologia bellicista ed esclusivista affermatasi a partire dall'esilio babilonese. Questa origine è il connotato fondante della società israelitica, che non deve essere mai dimenticato nell'agire sociale: proprio perché Israele si forma come popolo a partire da una situazione di schiavitù e immigrazione, deve impostare le relazioni sociali su un livello di parità nei confronti di chi è economicamente dipendente o è immigrato; deve basarsi sul riconoscimento dei loro diritti e della loro dignità. Trascurare questo dato significa rinnegare le proprie origini e la propria identità, e conseguentemente determinare il proprio declino sociale.
Come l'immigrazione degli ebrei in terra di Canaan è stata una risorsa che ha rivitalizzato l'economia e la cultura di quella regione, così l'accoglienza e il rispetto dell'immigrato e dell'emarginato è un segno di speranza per una nuova società impostata sui valori umani e che voglia progredire verso una spiritualità più appagante per tutti.
          L'idea che la salvezza di un popolo passa attraverso l'accoglienza degli individui socialmente deboli ed emarginati, caratterizza anche il messaggio cristiano, in continuità con la tradizione biblica, e viene posta da Luca all'inizio del suo Vangelo (Lc 2,22-32) quasi a sottolineare il suo carattere imprescindibile. Il vecchio Simeone riconosce nel bambino che viene presentato al tempio, cioè nel soggetto sociale più debole e più esposto a soprusi e manipolazioni, un punto di riferimento che possa illuminare l'agire dei popoli ed essere vanto per il popolo d'Israele.
Il protagonismo del bambino ha però come corrispettivo il congedo del vecchio Simeone, che così può morire in pace, sicuro che la sua eredità spirituale verrà proseguita dalla nuova generazione. Proprio perché egli è uomo onesto e timorato di Dio, cioè fedele all'identità originaria di Israele che è orientata all'inclusione e alla protezione dei soggetti emarginati, può riconoscere in quel bambino il Cristo del Signore, l'individuo prediletto da Dio, incaricato di promuovere un cambiamento sociale.
Simeone è mosso dallo Spirito di Dio e riconosce quindi il vero senso della vita che è fatto di relatività, precarietà e alternanza di protagonisti, tutti tesi comunque a portare avanti, in maniera anche diversa, la stessa eredità spirituale. Essere uomo giusto significa anche avere fiducia nel futuro e questo è possibile se non ci si arrocca a difesa del proprio io, delle proprie idee, ma se si crea un ponte di solidarietà e condivisione con i soggetti emarginati.
La stessa cena del Signore, che ci prepariamo a ricordare, è stata concepita e deve essere anche ora il segno di questa volontà di condivisione materiale e spirituale, il segno della nostra volontà di lasciarci guidare dalla mano invisibile di Dio che ha voluto identificarsi negli ultimi e nei diseredati per portarci verso una nuova Terra Promessa di pace e serenità.

I MURI DEL MONDO

Verso Betlemme (Banksy)



Caduto quello di Berlino, dalla Palestina agli USA c'è un pianeta sempre più diviso


Il muro dell’Apartheid in Palestina
Gli israeliani lo chiamano “barriera di sicurezza”. I palestinesi lo chiamano “muro della vergogna”.
Iniziano i lavori della barriera al confine con l'Egitto, sigillerà 110 chilometri di frontiera.
L'Egitto sigilla i tunnel, unico collegamento di Gaza con l'esterno.
La storia di un muro dimenticato che divide i popoli e uccide la natura: è un’infinita rete metallica che luccica al  sole come un fiume d’argento.
A Belfast decine di "linee della pace" dividono ancora ghetti protestanti e cattolici.
Il popolo Saharawi aspetta di poter tornare a casa dal 1975.
La frontiera di cristallo tra Messico e USA.                            
Tra Grecia e Turchia, Cipro è tagliata in due da una cosiddetta “buffer zone”lunga 183 chilometri
Un ennesimo muro di separazione tra due popoli è stato fermato dalla ragionevolezza.
Anche l'ultimo muro d'Europa viene abbattuto dalle decisioni popolari: è caduto il muro che separa Gorizia da Nova Gorica, quindi la nuova Europa da quella vecchia.
Il muro di Padova (o di via Anelli) è una barriera eretta in una zona di Padova verso la fine del 2006 per ragioni di ordine pubblico.

Vogliamo cercare insieme nuove strategie per fare comunità,
per vincere la paura, perché le sicurezze non siano nel costruire muri e chiudere le porte ma nel costruire ponti e tenere le porte aperte.


TESTIMONIANZA - Perché lascio la «mia» comunità ebraica
di  Moni Ovadia

Lunedì scorso tramite un'intervista chiestami dal Fatto Quotidiano, ho dato notizia della mia decisione definitiva di uscire dalla comunità ebraica di Milano, di cui facevo parte, oramai solo virtualmente, ed esclusivamente per il rispetto dovuto alla memoria dei miei genitori. A seguito di questa intervista il manifesto mi ha invitato a riflettere e ad approfondire le ragioni e il senso del mio gesto, invito che ho accolto con estremo piacere. Premetto che io tengo molto alla mia identità di ebreo pur essendo agnostico.
Ci tengo, sia chiaro, per come la vedo e la sento io. La mia visione ovviamente non impegna nessun altro essere umano, ebreo o non ebreo che sia, se non in base a consonanze e risonanze per sua libera scelta. Sono molteplici le ragioni che mi legano a questa «appartenenza».
Una delle più importanti è lo splendore paradossale che caratterizza l'ebraismo: la fondazione dell'universalismo e dell'umanesimo monoteista - prima radice dirompente dell'umanesimo tout court - attraverso un particolarismo geniale che si esprime in una "elezione" dal basso. Il concetto di popolo eletto è uno dei più equivocati e fraintesi di tutta la storia.
Chi sono dunque gli ebrei e perché vengono eletti? Il grande rabbino Chaim Potok, direttore del Jewish Seminar di New York, nel suo «Storia degli ebrei» li descrive grosso modo così : «Erano una massa terrorizzata e piagnucolosa di asiatici sbandati. Ed erano: Israeliti discendenti di Giacobbe, Accadi, Ittiti, transfughi Egizi e molti habiru, parola di derivazione accadica che indica i briganti vagabondi a vario titolo: ribelli, sovversivi, ladri, ruffiani, contrabbandieri. Ma soprattutto gli ebrei erano schiavi e stranieri, la schiuma della terra». Il divino che incontrano si dichiara Dio dello schiavo e dello Straniero. E, inevitabilmente, legittimandosi dal basso non può che essere il Dio della fratellanza universale e dell'uguaglianza.
Non si dimentichi mai che il «comandamento più ripetuto nella Torah sarà: Amerai lo straniero! Ricordati che fosti straniero in terra d'Egitto! Io sono il Signore!» L'amore per lo straniero è fondativo dell'Ethos ebraico. Questo «mucchio selvaggio» segue un profeta balbuziente, un vecchio di ottant'anni che ha fatto per sessant'anni il pastore, mestiere da donne e da bambini. Lo segue verso la libertà e verso un'elezione dal basso che fa dell'ultimo, dell'infimo, l'eletto - avanguardia di un processo di liberazione/redenzione. Ritroveremo la stessa prospettiva nell'ebreo Gesù: «Beati gli ultimi che saranno i primi» e nell'ebreo Marx: «La classe operaia, gli ultimi della scala sociale, con la sua lotta riscatterà l'umanità tutta dallo sfruttamento e dall'alienazione».
Il popolo di Mosé fu inoltre una minoranza. Solo il venti per cento degli ebrei intrapresero il progetto, la stragrande maggioranza preferì la dura ma rassicurante certezza della schiavitù all'aspra e difficile vertigine della libertà.
Dalla rivoluzionaria impresa di questi meticci «dalla dura cervice», scaturì un orizzonte inaudito che fu certamente anche un'istanza di fede e di religione, ma fu soprattutto una sconvolgente idea di società e di umanità fondata sulla giustizia sociale. Lo possiamo ascoltare nelle parole infiammate del profeta Isaia. Il profeta mette la sua voce e la sua indignazione al servizio del Santo Benedetto che è il vero latore del messaggio: «Che mi importa dei vostri sacrifici senza numero, sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso dei giovenchi. Il sangue di tori, di capri e di agnelli Io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i Miei Atri? Smettete di presentare offerte inutili, l'incenso è un abominio, noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io li detesto, sono per me un peso sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, Io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, Io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova». (Isaia I, cap 1 vv 11-17).
Il messaggio è inequivocabile. Il divino rifiuta la religione dei baciapile e chiede la giustizia sociale, la lotta a fianco dell'oppresso, la difesa dei diritti dei deboli. Un corto circuito della sensibilità fa sì che molti ebrei leggano e non ascoltino, guardino e non vedano. Per questo malfunzionamento delle sinapsi della giustizia, i palestinesi non vengono percepiti come oppressi, i loro diritti come sacrosanti, la loro oppressione innegabile.
Qual è il guasto che ha creato il corto circuito. Uno smottamento del senso che ha provocato la sostituzione del fine con il mezzo. La creazione di uno Stato ebraico non è stato più pensato come un modo per dare vita ad un modello di società giusta per tutti, per se stessi e per i vicini, ma un mezzo per l'affermazione con la forza di un nazionalismo idolatrico nutrito dalla mistica della terra, sì che molti ebrei, in Israele stesso e nella diaspora, progressivamente hanno messo lo Stato d' Israele al posto della Torah e lo Stato d'Israele, per essi, ha cessato di essere l'entità legittimata dal diritto il internazionale, nelle giuste condizioni di sicurezza, che ha il suo confine nella Green Line, ed è diventato sempre più la Grande Israele, legittimata dal fanatismo religioso e dai governi della destra più aggressiva. Essi si pretendono depositari di una ragione a priori.
Per questi ebrei, diversi dei quali alla testa delle istituzioni comunitarie, il buon ebreo deve attenersi allo slogan: un popolo, una terra, un governo, in tedesco suona: ein Folk, ein Reich, ein Land. Sinistro non è vero? Questi ebrei proclamano ad ogni piè sospinto che Israele è l'unico Stato democratico in Medio Oriente. Ma se qualcuno si azzarda a criticare con fermezza democratica la scellerata politica di estensione delle colonizzazioni, lo linciano con accuse infamanti e criminogene e lo ostracizzano come si fa nelle peggiori dittature.
Ecco perché posso con disinvoltura lasciare una comunità ebraica che si è ridotta a questo livello di indegnità, ma non posso rinunciare a battermi con tutte le mie forze per i valori più sacrali dell'ebraismo che sono poi i valori universali dell'uomo.

C.A.T. Cooperativa Sociale di Firenze cura da molti anni laboratori di musica Hip Hop e Reggae in strada, nei quartieri, nei campi Rom e dal 2007 anche nell'Istituto Penale per Minori G. Meucci di Firenze.
Nel carcere minorile abbiamo applicato quella che il rapper Krs 1 chiama "Edutainment" ovvero l'incontro tra education e entertainment (educazione e intrattenimento).
Dopo anni di lavoro e diversi demo, ecco finalmente un album completo, scritto e registrato dai detenuti minorenni, con musiche originali, intitolato "Senza Ali". L'album contiene una selezione dei 17 migliori brani incisi con i ragazzi tra il 2011 e il 2012. E' un cd che porta alla luce, fuori dal carcere, le storie di questi ragazzi. Perché il carcere è un buco nero, un luogo rimosso dalla coscienza.
"Senza Ali" è un disco con le loro storie, storie d'amore e di rabbia, di infanzia negata, fotografie di due mondi, quello della strada e quello del carcere, che pochi conoscono davvero. Sono storie vere, immediate, raccontate con il crudo linguaggio della strada, nella lingua e nel dialetto di provenienza. Questo è un disco "vero" e senza censure.
Vogliamo che questo laboratorio continui ad essere attivo all'interno del carcere, offrendo ai ragazzi un opportunità di crescita, riflessione, confronto, e perché questo possa fare crescere non solo bravi "rappers", ma anche persone che grazie ad una nuova consapevolezza possano dirigere la propria vita verso modelli di comportamento più positivi, creativi e non violenti. 
Ora dobbiamo andare avanti. Vogliamo realizzare un nuovo cd, collaborando con artisti affermati del panorama Hip Hop nazionale. Abbiamo bisogno di attrezzatura professionale, di investire di più sulla produzione delle basi e sulla post-produzione, e di rimborsare un minimo gli artisti che vengono da fuori per lavorare con noi. Per questo abbiamo dato via al progetto "16 Sbarre", una raccolta fondi, un "crowdfunding", grazie alla piattaforma Musicraiser. Non sappiamo quando riusciremo a produrre un nuovo cd (per fare questo ci abbiamo messo due bellissimi e faticosissimi anni), ma abbiamo bisogno del vostro aiuto per cominciare. Per ora vi ricompensiamo con quello che abbiamo già fatto, che è un lavoro bello e importante.

DOCUMENTO

Nessun bambino varchi la soglia del carcere

AssociazioneA Roma, InsiemeLeda Colombini Roma 5 dicembre 2013

Il Senato della Repubblica ha approvato, in occasione della Giornata Internazionale dei Diritti dell'Infanzia, nella seduta di giovedì 28 novembre scorso un'importante mozione. Con essa il Senato sollecita il Governo, le parti pubbliche ed i vari soggetti ad un supplemento di impegno e un cambio di passo sulle politiche dedicate all'infanzia ed alla adolescenza. Tra gli impegni che sono richiesti al Governo, al punto 14 è espressamente detto:
"... a riconoscere i diritti dei bambini e delle bambine figli di madri private della libertà, favorendo il soggiorno con le mamme fuori dalle strutture carcerarie, in case famiglia protette, come previste dalla legge n. 62 del 2011"
Prima della votazione della mozione, la sen. Monica Cirinnà nel suo intervento incentrato sulla condizione delle detenute madri con i loro figli in carcere, ha richiesto che la Ministra Cancellieri riferisca prontamente in Commissione Giustizia. Mancano poco più di venti giorni all'effettiva entrata in vigore della nuova legge, che indica le case famiglia protette come luoghi alternativi al carcere.
Purtroppo l'emendamento che stanziava un fondo, nel quadro della legge di stabilità, per l'avvio della realizzazione di queste nuove strutture, non è stato approvato. Negli incontri che l'Associazione "A Roma, Insieme - Leda Colombini" ha avuto in questi giorni con diversi gruppi parlamentari della Camera dei Deputati, da parte di questi ultimi è stato assunto l'impegno di presentare un emendamento identico a quello presentato al Senato, in occasione dell'approvazione prossima della legge di stabilità.
Il fatto che questi problemi abbiano investito ed investano oggi la politica e le istituzioni rende ancora più consapevole la nostra Associazione, i tanti volontari e realtà del mondo associativo che quotidianamente si misurano con la dura realtà dei bambini dietro le sbarre, del fatto che questa battaglia di civiltà va proseguita e portata a sbocchi positivi.
Il nuovo anno può significare, in coincidenza con l'entrata in vigore della nuova legge sulle detenute madri, un avanzamento effettivo dei diritti dei bambini, oggi ristretti in carcere.
L'applicazione della legge, con il concorso dei diversi soggetti istituzionali, sociali e del volontariato, può aprire una stagione che, nella certezza del diritto e della pena, costruisca processi di umanizzazione della pena stessa e dia una speranza a tante donne e bambini. Ne guadagna la civiltà del paese.

LA TESTIMONIANZA DI ABEL, ERITREO

Ad Asmara le partite di calcio finiscono ”due-tre”, “uno-zero”, due-zero”. I punteggi, così come gli appuntamenti (alle cinque, alle sette) si danno in italiano. Da questo si riconosce un eritreo che vive nella capitale. Non per niente abbiamo passato la nostra infanzia tra il cinema Capitol e il Cinema Roma, abbiamo fatto merenda al caffè Moderno. Molti dei nostri parenti parlano ancora la lingua italiana. Nell’esercito italiano hanno combattuto tanti eritrei, anche mio nonno paterno. Hanno combattuto per il vostro paese, non per il nostro. Molti sono morti, altri son tornati, chi senza un braccio, chi senza una gamba: me li ricordo bene questi vecchietti invalidi, che stavano seduti per strada e ci guardavano giocare a pallone. A volte dicevano anche parolacce, in italiano; le ho risentite qui in Italia. Da quando sto in Italia guardo alla gente con occhi diversi. Credo che gli  eritrei siano simili agli italiani: per il carattere, per il fatto che non smetterebbero mai di parlare, perché hanno la battuta pronta. Forse a prima vista non sembra, ma è così. Da vent’ anni una dittatura piega il mio paese. Lui non ci permette di parlare, di pensare con la nostra testa. Così un popolo che per indole era aperto, generoso, chiacchierone, è diventato una massa di individui che non si fidano più l’uno dell’altro. Anche ora che siamo lontani, che siamo al sicuro, continuiamo a diffidare dei nostri connazionali, quelli che sono venuti prima di noi e che si sono inseriti bene. Gli italiani? Di fondo, sono persone aperte, di cuore. Ma li vedo così stanchi, non hanno voglia di parlare. Lo capisco da come evitano di parlare, come se si aspettassero che io mi metta a raccontare tragedie. Io non lo faccio, chi sono lo tengo per me. Sono vivo, mentre tanti miei amici sono morti o lo saranno tra poco. Del mio paese resterà un guscio vuoto. O si scappa o si muore. Si muore in guerra, in una lunga assurda guerra con l’Etiopia, oppure si muore perché qualcuno ti fa sparire, ti chiude in una baracca, in un palazzo, in un ufficio. Ogni posto può diventare un carcere, di cui nessuno conosce l’esistenza e dove tutto è lecito. Questo è successo a me.
Abel (Imprigionato perché, durante il servizio militare, leggeva la Bibbia).

Mandela, Un lungo cammino verso la libertà (dall’Autobiografia di Nelson Mandela)
Non sono nato con la sete della libertà. Sono nato libero, libero in ogni senso che potessi conoscere. Libero di correre nei campi vicino alla capanna di mia madre, di nuotare nel limpido torrente che scorreva attraverso il mio villaggio, di arrostire pannocchie sotto le stelle, di montare sulla groppa capace dei lenti buoi. Finché ubbidivo a mio padre e rispettavo le tradizioni della mia tribù, non ero ostacolato da leggi né divine né umane.

Solo quando ho scoperto che la libertà mi era già stata rubata, ho cominciato a sentirne la sete. Dapprima, quand’ero studente, desideravo la libertà per me solo, l’effimera libertà di stare fuori la notte, di leggere ciò che mi piaceva, di andare dove volevo.
Più tardi, a Johannesburg, quando ero un giovane che cominciava a camminare sulle sue gambe, desideravo le fondamentali e onorevoli libertà di realizzare il mio potenziale, di guadagnarmi da vivere, di sposarmi e di avere una famiglia, la libertà di non essere ostacolato nelle mie legittime attività.
Ma poi, lentamente, ho capito che non solo non ero libero, ma non lo erano nemmeno i miei fratelli e sorelle; ho capito che non solo la mia libertà era frustrata, ma anche quella di tutti coloro che condividevano la mia origine. E’ stato allora che sono entrato nell’African National Congress, e la mia sete di libertà personale si è trasformata nella sete più grande di libertà per la mia gente. E il desiderio di riscatto della mia gente – perché potesse vivere la propria vita con dignità e rispetto di sé – ha sempre animato la mia vita, ha trasformato un ragazzo impaurito in un uomo coraggioso, un avvocato rispettosi delle leggi in un ricercato, un marito devoto alla famiglia in un uomo senza casa, una persona amante della vita in un eremita.

Non sono più virtuoso o altruista di molti, ma ho scoperto che non  riuscivo a godere nemmeno delle piccole e limitate libertà che mi erano concesse sapendo che la mia gente non era libera. La libertà è una sola: le catene imposte a uno di noi pesano sulle spalle di tutti, e le catene del mio popolo erano anche le mie.        

E’ stato in quei lunghi anni di solitudine che la sete di libertà per la mia gente è diventata sete di libertà per tutto il popolo, bianco o nero che sia. Sapevo che l’oppressore era schiavo quanto l’oppresso, perché chi priva gli altri della libertà è prigioniero dell’odio, è chiuso dietro le sbarre del pregiudizio e della ristrettezza mentale. L’oppressore e l’oppresso sono entrambi derubati della loro umanità.      
Da quando sono uscito dal carcere, è stata questa la mia missione: affrancare gli oppressi e gli oppressori.

Alcuni dicono che il mio obiettivo è stato raggiunto, ma so che non è vero. La verità è che non siamo ancora liberi: abbiamo conquistato la facoltà di essere liberi, il diritto di non essere oppressi. Non abbiamo compiuto l’ultimo passo del nostro cammino, ma solo il primo su una strada che sarà ancora più lunga e difficile; perché la libertà non è solo spezzare le proprie catene, ma anche vivere in modo da rispettare e accrescere la libertà degli altri. La nostra fede nella libertà deve essere ancora provata. Ho percorso questo lungo cammino verso la libertà sforzandomi di non esitare, e ho fatto alcuni passi falsi lungo la via. Ma ho scoperto che dopo aver scalato una montagna ce ne sono sempre altre da scalare. Adesso mi sono fermato un istante per riposare, per volgere lo sguardo allo splendido panorama che mi circonda, per guardare la strada che ho percorso. Ma posso riposare solo qualche attimo, perché assieme alla libertà vengono le responsabilità, e io non oso trattenermi ancora: il mio lungo cammino non è ancora alla fine.

Diecimila studenti nel nome di Mandela da "La Repubblica" dell'11.12.2013
Invictus la poesia che nei momenti più difficili diede coraggio a Mandela
"Dal dolore nasce un sogno, dal sogno una visione, dalla visione un popolo, dal popolo un potere, dal potere un cambiamento" (Peter Gabriel), così ha scritto uno studente sul muro del Mandela Forum, dove il 10 dicembre si è tenuto il 17° meeting sui diritti umani.

Il presidente della Regione Toscana, ha detto:
"La grande scommessa di questa regione è mettere mano nella mano i ragazzi cinesi con gli italiani della città di Prato, perché non si può celebrare Mandela e commuoverci e non vedere quello che abbiamo a casa. Anche da noi ci sono tanti ragazzi che non hanno i vostri stessi diritti. Io penso che tutti i bambini e giovani stranieri che vivono qui devono diventare cittadini italiani”.
Dal profondo della notte che mi avvolge,
buia come un pozzo che va da un polo all'altro
ringrazio qualunque dio esista
per l'indomabile anima mia.

Nella feroce stretta delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato.
sotto i colpi d’ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo d'ira e di lacrime
si profila il solo Orrore delle ombre,
e ancora la minaccia degli anni
mi trova e mi troverà senza paura.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,
quanto piena di castighi la vita,
io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.

APPELLO - ABC : Accoglienza Benvenuto Comune umanità

Partiamo dall'ABC: tutte le persone del mondo che giungono in questo paese in cerca di salvezza, fuggendo  da  guerre  e povertà, vanno accolte al meglio possibile come nostri fratelli e sorelle quali sono: facciamo tutti parte dell'umanità e abbiamo tutti diritto a vivere e circolare liberamente sul pianeta. Frontiere e  leggi razziste sono una minaccia di morte per tanti nostri simili: le vicende tragiche delle stragi in mare e in generale la condizione umana di profughi e immigrati purtroppo lo confermano e ci sollecitano un impegno straordinario per l'accoglienza. Un impegno concreto, elementare, irrinunciabile. Un impegno che al tempo stesso risponde alle esigenze di tante persone bisognose che già vivono in questo Paese. Nella condizione di ogni profugo e immigrato si rispecchia l'umanità dolente eppure tenace e speranzosa: la riconosciamo come comune umanità. Qualunque minaccia alla vita di nostri simili è una minaccia alla vita di  tutti noi. Vogliamo che ogni essere umano sia libero di scegliere della propria vita e di migliorarla. Ci battiamo dunque per:

- diritto all'accoglienza per tutti senza condizioni
- diritto ad una vita dignitosa, una casa decente, salute, studio, lavoro
- regolarizzazione permanente, contro le frontiere e le leggi che impongono il numero chiuso degli ingressi
- diritto di cittadinanza per chi nasce e cresce in questo paese


per adesioni all’appello: abcaccoglienzaxtutti@libero.it

ESERCITAZIONE DI FELICITA’
a cura del gruppo genitori della Comunità

Di fronte ad un sistema economico che ha messo al centro come valore unico e dominante il denaro e il possesso di oggetti status symbol, così da escludere i poveri di ogni latitudine e da impoverirci tutti anche sotto il profilo umano, esistenziale vogliamo da un lato riaffermare l’importanza della lotta contro la disuguaglianze e dall’altro affermare un orizzonte culturale che mostri che ognuno di noi ha possibilità di trarre soddisfazione, piacere, gratificazione non dalle cose e dal denaro ma da esperienze che sono accessibili a tutti.
Esercitazione: diciamone e scriviamo alcune e mettiamole in evidenza
·      Andare a camminare
·      Giocare a carte con gli amici
·      Curare le piante del terrazzo
·      Giocare a pallone ai giardini
·      Leggere…
·      Ritrovarsi con gli amici
·      Fare all’amore
·      Godere del bello, dell’arte
·      Andare in bicicletta…
·      Fare del volontariato..
·      Cantare insieme a d altri
·      Disegnare, dipingere…
·      Scrivere un diario
·      Aiutare qualcuno
·      Lavorare a maglia..
·      Fare le capriole sul lettone
·      Andare a trovare la nonna/o
·      Fare una passeggiata e guardare gli alberi
·      Stare da soli con sé stessi a meditare
·      Accarezzare e giocare con il gatto
·      Raccontare una fiaba e storie di vita ai nipoti
·      Condividere idee, pensieri, riflessioni
·      Nuotare, fare una passeggiata in riva al mare..
·      Cucinare qualcosa di buono da condividere
·      Osservare gli uccelli quando volano in cielo o quando mangiano
·      Impegnarsi per un buona politica…
·      Abbracciarsi, coccolarsi
·      e tanto altro ancora J

Esser pieni di speranza in tempi cattivi non è follia
di Howard Zinn

Esser pieno di speranza in tempi cattivi non è poi così follemente romantico. Si basa sul fatto che la storia umana è una storia non solo di crudeltà, ma anche di passione comune, sacrificio, coraggio, gentilezza.

Quello che noi scegliamo di esaltare in questa storia così complicata determinerà le nostre vite.  

Se noi vediamo solo il peggio, questo distrugge la nostra capacità di fare qualcosa.

Se noi ricordiamo quei tempi e luoghi - e ce ne sono tanti – dove la gente si è comportata magnificamente, questo ci da l'energia per agire, e almeno la possibilità dì mandare questa trottola del mondo in una direzione differente.
E se noi agiamo, per quanto in piccolo, noi non abbiamo da attendere qualche grande utopia futura.
Il futuro è una infinita successione di presenti, e vivere ora come noi.

Pensiamo  che gli esseri umani dovrebbero vivere, a dispetto di tutto quello che c'è di male intorno a noi, è in se stesso una meravigliosa vittoria.

Se la storia ha da essere creativa in modo da anticipare un possibile futuro senza negare il passato, essa dovrebbe, credo, mettere in evidenza nuove possibilità mettendo in luce quegli episodi del passato che sono stati tenuti nascosti, quando, anche se in brevi sprazzi, la gente dimostrò la sua capacità di resistere, di mettersi insieme, e qualche volta di saper vincere.
Io suppongo, o forse solo spero, che il nostro futuro può essere trovato nei fuggevoli momenti di sofferenza solidale del nostro passato piuttosto che nei suoi ininterrotti secoli di guerre.


Lettura comunitaria

Ci piace vivere il Natale come tensione comune
verso l’uguaglianza e la fraternità, condividendo con gioia
i frutti del lavoro umano, il pane, il vino, nella memoria di Gesù
e nella memoria dell’immenso sforzo di liberazione
compiuto nei secoli da donne e uomini
che hanno lottato per dare significato positivo
alla loro vita e alla loro speranza.
Viviamo questa memoria del Natale come segno che ci unisce
alle tante vite che si sono spese in ogni popolo, cultura e religione,
per realizzare solidarietà e giustizia e per nutrire
il cammino incessante della liberazione umana
La vita comunitaria, il nostro unire le esperienze quotidiane
i passi, i pensieri,le emozioni, le angosce,
è un cammino per noi coerente con il messaggio
che volle lasciare Gesù quando, la sera prima di essere ucciso,
mentre sedeva a tavola con i suoi amici e amiche,
prese del pane, lo spezzò,lo distribuì loro dicendo:
prendete e mangiatene tutti- questo è il segno del mio e di  ogni corpo
che percorre le strade del mondo -
Poi, preso un bicchiere, rese grazie,lo diede loro e tutti ne bevvero,
e disse loro: -questo è il  segno del mio e di ogni sangue
che viene sparso per tutti i popoli-.
Lo spirito trasformi e renda efficaci questi segni,
il pane e il vino spezzati e condivisi,
ma anche le parole e gli scritti,i gesti di accoglienza reciproca,
le mani simbolicamente intrecciate,
gli sguardi di simpatia che s'incrociano,
lo stupore di un cerchio che si rinnova
in una comunità senza protezioni né sicurezze.

NON SI SCEGLIE

(GIOCONDA BELLI - Nicaragua, 1948)
“Non si sceglie il paese dove si nasce;
ma si ama il paese dove si è nati.
Non si sceglie il tempo per venire al mondo
ma bisogna lasciare un segno nel proprio tempo.
Nessuno può sfuggire alle proprie responsabilità.
Nessuno può tapparsi gli occhi, le orecchie,
tacere e tagliarsi le mani.
Tutti abbiamo un dovere d’amore da compiere,
una storia da realizzare
una meta da raggiungere.
Non scegliamo il momento per venire al mondo:
adesso possiamo fare il mondo
in cui nascerà e crescerà il seme che abbiamo portato con noi”.


Dagli scritti di Bertrand Russel

“ L'uomo felice, come io lo concepisco nella società del futuro,
sarà libero e generoso ed espansivo
e considererà le altre persone come individui
con cui collaborare piuttosto che come concorrenti.
Il suo atteggiamento verso il prossimo
dimostrerà più fiducia di quanto non avvenga oggi.
Avendo appreso da giovane a considerare l’umanità,
come una grande famiglia, egli non penserà istintivamente
alle nazioni straniere come a nazioni nemiche
ed ai suoi occhi la guerra sarà una vera follia.”

Enzo racconta: Pinocchio e il luogo del nulla[2]

Nella torrida estate del tempo senza tempo, quando succedono cose che mai erano accadute nel passato e mai accadranno nel futuro, perché non esiste passato e futuro, il Merlo bianco che se stava appollaiato sulla siepe della strada, sempre ai margini stanno i saggi, disse a Pinocchio alle prese con gli allettamenti della Volpe e del Gatto:

-       Pinocchio, non dar retta ai consigli dei cattivi compagni: se no te ne pentirai!
-       E secondo te, cosa dovrei fare?  rispose Pinocchio
-       Vai a sederti nello spazio del nulla.
-       Lo spazio del nulla? Ma è roba da burattini? Io voglio diventare qualcuno. E tu mi vuoi mandare dove non si è nulla, nemmeno un burattino di legno.
-       Tu non capisci che la Volpe e il Gatto sono avidi di tutto quello che hai. Nello spazio del nulla non avranno più potere su di te.
-       Non capisco bene, forse perché ho la testa di legno duro. Ma se può servire a tornare da mio padre con queste cinque monete d’oro zecchino che mi ha donate Mangiafuoco…E dove sarebbe questo spazio del nulla?
-       La scalinata del palazzo, meglio se della chiesa, meglio se del duomo. Lì, non sei né pesce né carne, né dentro né fuori, sei e non sei, hai e non hai. E i furbissimi non      sapranno come prenderti.
-       L’idea a prima vista non sembra malvagia. Si addice a un burattino di legno come me. Perché vedi, io sono e non sono un burattino. Non ho i fili. E’ per questo che Arlecchino e gli altri fratelli di legno mi hanno abbracciato con tanto entusiasmo. Vorrebbero essere liberi dai fili come me. Proverò a sedermi nello spazio del nulla.
-       Ma stai attento. Siediti nello scalino di mezzo. In quello in basso si è troppo vicino ai traffici, e poi si sta scomodi, in quello in alto troppo vicini al palazzo e poi non si sa dove appoggiare la schiena. In mezzo poi c’è anche la bella Bambina, coi capelli turchini, che ti aspetta.

Povero Merlo, non l’avesse mai detto! Il Gatto, spiccando un gran salto, gli si avventò addosso, e senza dargli nemmeno il tempo di dire ohi se lo mangiò in un boccone, con le penne e tutto.

Vedi cosa succede – disse il Gatto pulendosi i baffi – a chi mette bocca nei discorsi degli altri.
E poi – disse la Volpe – è proprio sulla scalinata del nulla che ci sono le cattive compagnie: barboni, drogati, prostitute, zingari, sporcaccioni di tutti i tipi…

E turisti squattrinati – aggiunse il Gatto.

Non aveva ancora finita la lista che il felino cieco per finta gettò un urlo e vomitò il Merlo bianco, penne e tutto.
-       E quelle sarebbero le cattive compagnie! – disse il Merlo vivo e vegeto - Non dico che siano proprio buone, per carità. La scalinata è un po’ troppo tollerante, lo riconosco. Ma se fosse per voi, vi mangereste in un boccone tutta questa gente del nulla come avete fatto con me. Voi volete la città del tutto. Volete l’anima e il corpo della gente. E il tutto che avete non vi basta mai. Al tutto manca sempre qualcosa. Ed ora siete qui a bramare le cinque monete d’oro di un burattino. Per poi attaccargli i fili e farlo ballare a vostro piacimento.
-       Ma noi vogliamo solo il suo bene – dissero il Gatto e la Volpe, ridendo sotto i baffi. Gli proponiamo di moltiplicare il suo tesoro.

Il Merlo volò sul punto più alto della siepe per non finire di nuovo divorato, penne e tutto. Poi disse:
-       Voi siete furbissimi e riuscite a far credere che il marcio della città sia nel luogo del nulla. Il marcio è nella vostra brama. Divorate per vomitare e tornare a divorare. E’ il vostro vomito che sporca la città. Vedete ma siete ciechi che guidano altri ciechi. Camminate, anzi correte sempre e divorate anche l’aria, ma non sapete dove andate.
-       Allora successe una cosa strepitosa. Il Merlo bianco divenne un’aquila, prese Pinocchio col becco e lo posò sullo scalino di mezzo della scalinata del duomo di Firenze dove la Bambina dagli occhi turchini li accolse con un grande abbraccio.

Il Merlo, Pinocchio e la bella Bambina con i loro compagni di avventura riusciranno a buggerare la Volpe e il Gatto o saranno loro buggerati?


PROGETTO DI AIUTO alla POPOLAZIONE delle FILIPPINE

·       Il tifone Hayan del 7.11.2013 nelle Filippine: con venti a quasi 300 km/h, onde del mare alte fino a 5/7 metri e violente piogge sono morte migliaia di persone, sono andate distrutte milioni di case e ci sono stati danni enormi. Inoltre il cibo scarseggerà per mesi. Una delle aree più colpite è l’isola di Sicogon (6.000 ab e 1.200 famiglie): quasi la totalità della case e delle barche sono andate distrutte. Tornare alla normalità sarà difficile.
·       Il progetto: il progetto per il quale ci stiamo impegnando, attraverso persone che conosciamo personalmente,  è finalizzato alla costruzione di un’imbarcazione da pesca e insieme da trasporto passeggeri/merci a beneficio dei residenti dell’isola di Sicogon, le cui abitazioni e barche da pesca sono andate quasi tutte distrutte. La barca potrà essere costruita sul posto oppure acquistata e dovrà avere tutti i requisiti di sicurezza.
·       Beneficiari: sono i membri della FESIFFA Federazione degli agricoltori e pescatori dell’isola di Sicogon. L’imbarcazione sarà di loro proprietà.
·       Costi e tempi del progetto: pesos fil. 300.000 (cambio: 1 euro = 58 pesos fil.).  Per realizzare il progetto sono previsti circa tre mesi: 4 settimane per  l’approvazione del progetto; 5 per l’allestimento del battello; 2 per il varo; 1 per il monitoraggio e la valutazione.
·       Responsabile legale:  RIGHTS (Rural Poor Institute for Land and Human Rights Services, inc.) Danilo T. Carranza, coordinatore nazionale (danni.carranza@gmail.com). Proponente: PROGRESO (Panay Rural Organizing for Reform amd Social Order, inc.). Ms. Lirio Cordova, direttore esecutivo (liraicordova@yahoo.com). Tel +63949 4901740.
·       Per contributi : C/C Chianti Banca intestato a Centro Educativo Popolare
                                    IBAN IT49Q0867302800026000262589
                                           causale : progetto barca pro Filippine

PROGETTO OLBIA – SARDEGNA

L’alluvione in Sardegna: l’alluvione di metà  novembre 2013 ha colpito duramente la Sardegna.

L’impegno della cdb di Olbia in favore delle scuole: la comunità di base di Olbia ci ha fatto sapere di essersi attivata per fronteggiare la situazione delle scuole, in stretta collaborazione con gli Istituti scolastici, e in particolare in favore della scuola di Santa Maria e dell’Istituto Professionale che, nonostante l’impegno di insegnanti e ragazzi hanno ancora grossi problemi di funzionalità. Ci hanno scritto: “..Le scuole sono per noi molto importanti e desideriamo che quanto prima possano essere nuovamente sede di incontro dei nostri ragazzi e ragazze, spazio dove raccontare ed elaborare l’esperienza vissuta e dove speriamo possano continuare a sviluppare la capacità critica necessaria a far di loro cittadini consapevoli in una città più sicura.”

La raccolta fondi: avviene utilizzando il Labint con un numero di conto corrente bancario da usare esclusivamente per questa iniziativa. Ecco le coordinate bancarie:
Laboratorio Interculturale per l’integrazione, Via Brigata Sassari 18/C – 07026 OLBIA (OT) IBAN  : IT67 A033 5901 6001 0000 0078 015 –
CAUSALE: per arredi asili e scuole alluvione Olbia

Per altre info: 329.0942860;  320.0163622;  338.8277767.

Organizzatori: Laboratorio Interculturale per l’integrazione - Olbia       
Associazione “Libere Energie” (per i senza tetto) – Olbia
Comunità cristiana “Per le strade del mondo” – Olbia

Gli organizzatori si impegnano a rendicontare con precisione l’esito dell’iniziativa a mezzo stampa e sul blog della comunità “Per le strade del Mondo” e a far in modo che con il ricavato di questa iniziativa gli spazi siano non solo agibili e fruibili ma belli e piacevoli da frequentare.



[1] Maria Lopez Vigil è giornalista e scrittrice di origine cubana, appartenente insieme al fratello P. José Ignacio Vigil al movimento della teologia della liberazione.
[2] Adattamento di un pezzo scritto per la Repubblica nell’aprile del 2007 in occasione della proibizione, poi ritirata, di sedersi sugli scalini del duomo di Firenze.

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