Elogio del camminare
Comunità dell’Isolotto - Firenze, domenica 30
marzo 2014, ore 10,30
Baracche verdi di via degli Aceri 1
A cura di Antonietta, Fiorella,
Lucia, Paola.
A colloquio con Carlo, Giovanna, Guido, Vera (Nella foto seduti al tavolo)
Elogio del camminare
Ogni tanto è bene prendersi una pausa per liberarsi dai
problemi che quotidianamente fanno parte della nostra riflessione di cittadini:
la politica, l’economia, la giustizia; quali scelte, per quale futuro, ecc.
Così abbiamo pensato che può essere interessante parlare con
chi cammina nella natura per ore e giorni entrando in un mondo che spesso viene
lasciato ai margini tanto da rimanere in sostanza sconosciuto.
Elogio del camminare
" Da bambini impariamo a conoscere un luogo ed a visualizzare le
relazioni spaziali, camminando e immaginando. Il luogo e la dimensione dello
spazio si devono misurare con il nostro corpo e le nostre
capacità.
Un miglio era in origine una misura dei Romani corrispondente a mille passi. Viaggiare in automobile e in aereo non insegna qualcosa che si possa tradurre in percezione dello spazio. Sapere che ci vogliono sei mesi di cammino veloce ma tranquillo, per tutto il giorno e ogni giorno per attraversare Turtle Island/Nord America ci dà qualche idea della distanza.
I cinesi parlavano delle quattro dignità: Stare in piedi, Stare sdraiati, Stare seduti e Camminare. Sono dignità nel senso che sono un modo di essere completamente se stessi, di sentirsi a casa nel proprio corpo, nei suoi aspetti fondamentali."
Un miglio era in origine una misura dei Romani corrispondente a mille passi. Viaggiare in automobile e in aereo non insegna qualcosa che si possa tradurre in percezione dello spazio. Sapere che ci vogliono sei mesi di cammino veloce ma tranquillo, per tutto il giorno e ogni giorno per attraversare Turtle Island/Nord America ci dà qualche idea della distanza.
I cinesi parlavano delle quattro dignità: Stare in piedi, Stare sdraiati, Stare seduti e Camminare. Sono dignità nel senso che sono un modo di essere completamente se stessi, di sentirsi a casa nel proprio corpo, nei suoi aspetti fondamentali."
passo del libro "La pratica del Selvatico" di Gary Snyder"
De Luca: elogio del camminare
Ho avuto fino ai sedici anni il dono di estati sconfinate. Sbarcavo
sull’isola il primo di luglio, ripartivo il 30 di settembre. Venivo dalla città
spalancata sul golfo, ma costretta in una pressa di palazzoni e vicoli. Napoli
conteneva la più fitta densità umana d’Europa, ci vivevamo da accatastati. Lo
spazio era assegnato a turni, gremito anche di notte. Ci stavo e ci crescevo
rattrappito per nove mesi all’anno.
L’arrivo di luglio mi estraeva dalle viscere della città e mi depositava sopra la magnifica superficie del sud, con tutto il largo intorno che potevo desiderare.
L’arrivo di luglio mi estraeva dalle viscere della città e mi depositava sopra la magnifica superficie del sud, con tutto il largo intorno che potevo desiderare.
…
Lo sbarco coincideva con l’addio alle scarpe. I piedi uscivano dai lacci come due prigionieri che ottenevano di colpo il rilascio. All’inizio incerti, abbagliati, esitavano. Risentivano le asprezze del suolo, il rovente delle pietre, poi ispessivano la suola e potevano pure correre sugli scogli. Sull’isola iniziava il loro viaggio.
Nel mio vocabolario personale affido alla parola viaggio uno statuto speciale. Per me è quello che si fa a piedi. È viaggio la scalata, il pellegrinaggio, l’incolonnamento di migratori sulle piste di Africa e di Oriente, lo scavalcamento di frontiere dei contrabbandieri. Viaggio è quello che procede alla velocità del piede umano. Il resto non incluso in questo campo, si riduce per me a spostamento con mezzi di trasporto.
…
Sull’isola dell’infanzia e dell’adolescenza cominciava e finiva il viaggio, che è un diritto all’inselvatichimento dentro ogni educazione. Coincideva con il cambio di pelle, con il callo sotto i piedi scalzi. La libertà era un ispessimento della superficie.
Lo sbarco coincideva con l’addio alle scarpe. I piedi uscivano dai lacci come due prigionieri che ottenevano di colpo il rilascio. All’inizio incerti, abbagliati, esitavano. Risentivano le asprezze del suolo, il rovente delle pietre, poi ispessivano la suola e potevano pure correre sugli scogli. Sull’isola iniziava il loro viaggio.
Nel mio vocabolario personale affido alla parola viaggio uno statuto speciale. Per me è quello che si fa a piedi. È viaggio la scalata, il pellegrinaggio, l’incolonnamento di migratori sulle piste di Africa e di Oriente, lo scavalcamento di frontiere dei contrabbandieri. Viaggio è quello che procede alla velocità del piede umano. Il resto non incluso in questo campo, si riduce per me a spostamento con mezzi di trasporto.
…
Sull’isola dell’infanzia e dell’adolescenza cominciava e finiva il viaggio, che è un diritto all’inselvatichimento dentro ogni educazione. Coincideva con il cambio di pelle, con il callo sotto i piedi scalzi. La libertà era un ispessimento della superficie.
Le antiche vie. Un elogio del camminare
Descrizione
del libro
8 ottobre 2013 Frontiere Einaudi
"Gli uomini sono animali, e come tutti gli animali anche noi
quando ci spostiamo lasciamo impronte: segni di passaggio impressi nella neve,
nella sabbia, nel fango, nell'erba, nella rugiada, nella terra, nel muschio. È
facile tuttavia dimenticare questa nostra predisposizione naturale, dal momento
che oggi i nostri viaggi si svolgono per lo più sull'asfalto e sul cemento,
sostanze su cui è difficile imprimere una traccia. Molte regioni hanno ancora
le loro antiche vie, che collegano luogo a luogo, che salgono ai valichi o
aggirano i monti, che portano alla chiesa o alla cappella, al fiume o al mare".
Robert Macfarlane è l'ultimo, celebrato poeta della natura, erede di una
tradizione che da Chaucer fino a Chatwin e Sebald è capace di trasformare una
strada in una storia, un sentiero su un altopiano in un viaggio nella memoria.
Riallacciando l'ancestrale legame tra narratore e camminatore, Macfarlane
compie il gesto più semplice, eppure oggi anche il più radicale: quello di
uscire dalla sua casa di Cambridge e iniziare a camminare, a camminare e
osservare, a osservare e raccontare. Battendo i sentieri dimenticati di
Inghilterra e Scozia, l'antico "Camino" di Santiago, le strade della
Palestina costellate di checkpoint e muri di contenimento, gli esoterici
tracciati tibetani, Macfarlane riesce, come un autentico sciamano, a far
parlare paesaggi resi muti dall'abitudine, a dare voce ai fantasmi che li
abitano, a leggere i racconti con cui gli uomini hanno abitato il mondo.
Viandante, le tue orme sono
il cammino e niente più;
viandante, non esiste il cammino,
Il cammino si crea camminando.
io amo i mondi delicati,
lievi e gentili,
come bolle di sapone.
Mi piace vederle dipingersi
di sole e scarlatto, volare
sotto il cielo azzurro, tremare
improvvisamente e disintegrarsi...
In cammino verso la luce
Pellegrino chi ti chiama?
Che forza misteriosa ti attrae?
Così recita una poesia sul cammino di Santiago.
Nel mio caso la scintilla è stata
un ritiro di meditazione cristiana del 2004, nel quale padre Lawrence
sottolineò la differenza fra desideri
e bisogni. Tornando capii che avevo
bisogno:di spiritualità e così chiesi a Guido, che già lo aveva fatto nel 2001,
di tornare con me sul cammino.
Una volta presa la decisione si è
già partiti interiormente.
Idealmente nel nostro zaino nostro figlio Gianluca e nostra nipote Cristina, clarissa di
Cortona, con il suo “cestino da viaggio”, un insieme di letture che facevamo
ogni mattina in comunione spirituale a distanza.
Partire vuol dire lasciare tutte
le sicurezze per entrare nella precarietà senza sapere quello che troverai
lungo il percorso.
Lasciare tutto il superfluo che
ingombra la nostra vita per ritrovare l’essenzialità: tutto quello che ti serve
sta nel tuo zaino e lo zaino deve essere leggero.
Partire senza misurare il tempo e
dopo appena tre o quattro giorni di camino, subentra un senso di calma e di pace.
Tutto quello che occupava le mie giornate sembra già lontanissimo. La sola cosa
da fare è andare, camminare.
La magia del cammino sta nell’entusiasmo
con cui ogni mattina si riparte qualunque sia il tempo, la fatica, le vesciche
e qualunque sia la lingua ci si saluta sempre con “buen camino”.
La magia sta nel sentire che siamo
parte di un flusso secolare. Si mettono i propri passi nei passi dei milioni
che sono passati prima di noi su una
strada millenaria come dice il Priore di Conques, in Francia, sul cammino da Le
Puy.
Non ci si volta indietro. Chi è
costretto a rinunciare non ha pace fin ché non torna a completare il cammino.
E’ un movimento esteriore e
interiore che esige il rispetto dei propri ritmi e del proprio
corpo.
In un mondo che si muove
velocemente c’è una sorta di profezia in questo muoversi al ritmo del nostro
corpo senza fretta alla ricerca di un’armonia perduta. Ci si lascia fare dal cammino, lasciandosi
insegnare dal nostro corpo, lasciandosi condurre dallo spirito.
Si trova la pace nella natura,
nel ritmo naturale, nel ridurre a poche cose le necessità giornaliere.
Il corpo impegnato per ore nella
ripetizione dei passi lascia lo spirito libero di vagabondare, e nella mente
scorrono immagini, parole, senza un
ordine preciso come se il cervello ritrovasse una libertà di funzionamento.
Risuonano nella mente tanti passi
del Vangelo che parlano di strada “Seguitemi”, “Io sono la via la verità la
vita” e infine la domanda“chi dite che
io sia?”
Incappare ogni giorno sulle
proprie debolezze, i propri limiti ti fa diventare più umile e ti ridimensiona
ti rende consapevole della tua nullità di fronte all’universo, ma ripartire e avanzare comunque ti dà la consapevolezza
che dentro di te c’è una forza a cui puoi attingere nei momenti di sconforto e
di solitudine.
Sul cammino avvengono incontri
sorprendenti nel momento in cui meno te li aspetti ed è incredibile la facilità
con cui dopo appena poche ore di cammino si possa instaurare un rapporto di
amicizia con persone mai viste prima, persone provenienti da tutte le parti del
mondo.
Quanta gente, quanta diversità.
Ognuno porta con sé il segreto del suo cammino e del suo rapporto col sacro e
col divino, tutti diversamente credenti, tutti alla ricerca di qualcosa. Ma alla
fine io credo che tutti si incontrino con Dio o perlomeno scoprano il sacro.
Dagli incontri si impara la
gratuità perché bisogna imparare ad apprezzarli senza attaccarsi
apprezzare il dono dell’incontro
in quanto tale. Ancora una volta ci si alleggerisce dalla nostra volontà di
possedere.
L’essere sul cammino da soli
facilita gli incontri. Sono stata sempre colpita dalle tante donne sole che ho
incontrato. Le considero molto coraggiose
perché affrontano la solitudine, le paure e tutto
il positivo e il negativo che può succedere
Sul cammino si incontrano quelli
che io chiamo gli angeli custodi e noi stessi possiamo diventare gli angeli
custodi di qualcun altro con una parola di incoraggiamento, un’indicazione, un
sorriso, un momento di ascolto, condividendo emozioni con chi è solo.
Questo tipo di vita e di rapporti
ha qualcosa della semplicità monastica, crea comunità.
Non si è pellegrini da soli, lo
si è con gli altri, in mezzo agli altri. Non interessa che cosa fa uno nella
vita di tutti i giorni, tutti i pellegrini sono uguali non c’è ricco, né
povero, né debole, né forte. Non è che le differenze sociali siano annullate,
solo che chi ha una giacca in gorotex non si sente superiore a chi ha abiti
semplici.
Alla sera è bello ritrovarsi nei
rifugi. Se qualche volta dormiamo altrove si ha la spiacevole sensazione di essere
usciti dal coro, di essere falsi pellegrini.
Si impara a vivere insieme. Si
condividono cose materiali in modo spontaneo e naturale, acqua, cibo, medicine, cure, anche fastidi,
come il russare, lo stropiccio dei sacchetti
di plastica alle 5 di mattina…
Si impara l’umiltà, aver bisogno
degli altri, una parola, un consiglio, un’indicazione, un sorriso.
Si fa tutto in leggerezza nel
modo più semplice del mondo.
Si crea una comunicazione a
livello profondo, spesso non si parla di banalità.
Parlando si accoglie e si è
accolti.
Si torna diversi perché,
parafrasando Etty Hillesum, abbiamo fatto esperienza che si può essere capaci di vivere anche
senza niente perché c’è sempre un pezzetto di cielo da poter guardare.
Giovanna
Qualche
notizia sul nostro camminare
Io e Carlo
amiamo molto camminare. Ogni volta che ci è stato possibile ci muoviamo con il
mezzo di trasporto più antico che l’uomo ha a sua disposizione: le proprie
gambe.
Il camminare ci
aiuta a sentirci meglio fisicamente. E non solo fisicamente. Lo stare a
contatto con la natura ci libera la mente dallo stress, ci aiuta a vedere i
nostri problemi sotto una luce diversa, li ridimensiona e ci aiuta anche a
trovare nuove soluzioni. Il camminare in raccoglimento con noi stessi, senza
costrizioni esterne, ci fa sentire liberi, sereni e anche felici. E ci
arricchisce. In un lungo viaggio a piedi, o anche solo in una bella giornata
per boschi, si fissano nella nostra mente scenari di paesaggi bellissimi, che
possiamo rivedere in qualunque momento lo desideriamo. Ogni sera di ritorno da
una giornata di marcia abbiamo la riprova dell’influenza benefica che ha su di
noi il camminare perché, se pur stanchi, siamo sempre sereni e contenti.
Carlo ed io
abbiamo camminato molto. Abbiamo camminato la domenica mattina nelle strade
deserte di Firenze scoprendone gli angoli più segreti e caratteristici; abbiamo
camminato nei parchi della città; sulle colline dei dintorni; abbiamo camminato
in Appennino Toscano, in Aspromonte, sulla Sila, sul Pollino; abbiamo camminato
per molti anni sulle Dolomiti e su quelle cime provato una felicità immensa.
E poi siamo
andati a Santiago. Un’esperienza nuova, molto speciale. Non a caso sempre più
spesso viene definita come “La magia del Camino”. Siamo tornati altre tre volte
a Santiago de Compostela, e il nostro desiderio di peregrinare non è affatto
esaurito.
Poi abbiamo
camminato in Italia, sulla Via Francigena dal Monginevro a Santa Maria di Leuca
e cammini più brevi in alcune regioni italiane.
Il nostro primo pellegrinaggio a Santiago
de Compostela del 2003 pensavamo che sarebbe stato anche l’ultimo. L’anno
successivo invece ripetemmo il viaggio, sicuri che quella sarebbe stata davvero
l’ultima volta. Non fu così. Da allora non abbiamo mai smesso di metterci in
cammino sulle vie dei pellegrini, e non sappiamo nemmeno spiegarne esattamente
il perché. Ci limiteremo soltanto a fare qualche semplice considerazione.
Forse, uno fra i tanti aspetti
importanti di questi lunghi viaggi, sta nel fatto che per quel breve periodo si
cambia totalmente stile di vita. Si lascia il nostro benessere, le nostre
comodità per accorgersi, quasi con stupore, di quanto è facile fare a meno di
tante cose belle e confortevoli. Si abbandona la società dei consumi con tutti
i suoi modelli e i suoi condizionamenti, per vivere una vita semplice, in
solitudine, a contatto con la natura, con le bellezze dell’arte.
Il camminare per ore e ore, ogni
giorno, in solitudine e in silenzio, in quei lunghi spazi, favorisce la
riflessione e la meditazione e si può ben dire che il nostro incedere diventa
soprattutto un cammino interiore. E la sera ci ritroviamo insieme ad altri
pellegrini che hanno vissuto le nostre stesse esperienze, si socializza, si
condividono le poche cose che abbiamo come fossimo amici che si conoscono da
sempre. E sembra non essere importante il perché uno ha affrontato questo
viaggio, se per ragioni di fede, per generiche ragioni spirituali, perché è
alla ricerca di qualcosa, o per altri motivi ancora. Siamo pellegrini, tutti
uguali, e basta. E sentiamo che c’è qualcosa di importante, anche se
indefinito, che ci unisce.
La preparazione di questi viaggi
ci ha molto impegnati dal punto di vista organizzativo, e tutti i cammini sono
stati duri sia per lo forzo fisico e sia per i tanti disagi che si devono
affrontare. Eppure possiamo senz’altro annoverare questi anni tra i più belli e
sereni della nostra vita.Voglio riportare due belle frasi che ho letto da
qualche parte: “Pellegrino una volta, pellegrino per sempre”, e “I pellegrini
anticamente andavano a Santiago per salvare l’anima, oggi ci vanno per
ritrovarla”. VERA E
CARLO
UNA
TAPPA TIPO SULLA VIA FRANCIGENA
Giovedì
17 aprile 2008
11ª tappa – da
Gropello Cairoli a Santa Cristina e Bissone- Km. 41,5
Si parte alle 7 sotto una leggera
pioggerellina ed un cielo tutto nero. Usciti dal paese prendiamo una stradina
secondaria, senza traffico e poi troviamo tratti di piacevole sterrato. Da
Roggia Castellana si va a Morgarolo e si arriva a Villanova Ardenghi.[…].Si
fanno diversi chilometri nel Parco del Ticino, camminando sugli argini rialzati
di alcuni metri rispetto al letto del fiume. Qua e là vi sono delle cascine.
Sempre tra il verde ci sono laghetti, canali ricchi di acqua, e distese di
pioppi grandi e verdi. Questo della Valle Padana per noi è un paesaggio nuovo,
sconosciuto, che ci piace moltissimo, e siamo contenti di percorrerlo a piedi,
lentamente, e poterlo ben osservare e apprezzare. Si dice che i pellegrini sono
i camminanti dello spirito: ecco, in questi momenti ci sentiamo proprio tali.
Verso le 12 siamo a Pavia e
attraversiamo il fiume sul bellissimo Ponte Coperto. Dopo aver mangiato un
pezzetto di pizza in un bar cominciamo a preoccuparci per l’alloggio, ma in
tutta Pavia non ci sono accoglienze per i pellegrini. Telefonicamente troviamo disponibilità
di accoglienza presso la Parrocchia di Santa Cristina.che dista da Pavia 20 Km.
Facciamo presente a Don Antonio che arriveremo tardi ma questi ci risponde che
non c’è problema: problema: a qualunque ora arriviamo suonare il campanello e
ci verrà aperto. Per arrivare dovremo percorre in tutto oltre 40 Km . Seguiamo il percorso
indicato dalla guida e vediamo le belle chiese di S. Pietro e di San Lazzaro.
Poi però, considerata la strada che ci resta da fare, preferiamo prendere la
più corta e ci incamminiamo sulla statale 234 Pavia-Cremona.
Troviamo i paesi di Valle
Salimbeni, S. Leonardo Linarolo, S.Giacomo della Cerreta, Santa Margherita. E
si arriva a Belgioioso. Ci fermiamo a a fare un riposino.
Grande e bellissimo il Castello
tutto smerlato che si trova all’altro lato della piazza, proprio di fronte al
bar dove siamo seduti. La nascita del Borgo di Belgioioso risale al tardo
Medioevo ed è strettamente legata a quella del suo castello. Non si conosce la
data esatta in cui il castello fu edificato, ma si è trovato scritto che
Galeazzo Visconti nel 1377 si trovava al Castello “Gioioso”.
Non ci dà invece tanta gioia il
sapere che ci mancano ancora 8
Km ad arrivare a S.Cristina, e tutti su asfalto. Ma si
deve andare e quindi si parte. Arriviamo a S. Cristina alle 18, dopo circa 11
ore di cammino. Siamo un po’ stanchi.
Don Antonio Pedrazzini ci
accoglie molto cordialmente, ci accompagna nella stanzetta dormitorio e ci
indica la cucina dove possiamo prepararci la cena e consumare tutto ciò di cui
abbiamo bisogno. Ringraziamo. Carlo va a comprare pane e affettato e mangiamo
qualcosa senza cucinare. Don Antonio ci ha accesso la stufetta e l’abbiamo
molto gradita perché ci fa tanto freddo.
Grazie Don Antonio.
Frammenti di un cammino Sulla Via della
Plata
DUE PELLEGRINI IN GITA
TURISTICA
Dopo tanto camminare verso
Santiago, due pellegrini decisero di andare a fare un giro nella Spagna del
sud, ma questa volta non a piedi e senza zaino sulle spalle. Salirono su un
aereo e scesero alla Costa del Sol dove si sistemarono in un comodo albergo
insieme al gruppo di cui facevano parte. […] Arrivati a Siviglia fecero un giro
per la città soffermandosi nella splendida Piazza di Spagna, e poi videro la
grande, meravigliosa cattedrale gotica, terza per grandezza dopo San Pietro a
Roma e St: Paul a Londra. Ascoltarono le spiegazioni sulla Torre Giralda, 100 metri di altezza.
[…]. I due pellegrini salirono in cima alla Torre e da lì osservarono la città
di Siviglia che già un po’ conoscevano poiché da lì erano partiti tre anni
prima per fare la Via
de la Plata che
dopo mille Km. giunge a Santiago. Indicando il Nord-Ovest verso Camas e la
collina che porta a Italica, cioè l’inizio della Via de la Plata , il pellegrino disse “
E se invece di proseguire la visita alla città andassimo a ripercorrere qualche
Km sulla Plata?” La sua compagna di viaggio accolse la proposta con grandissimo
entusiasmo e senza perdere un minuto avvertirono la guida che si sarebbero
ritrovati la sera a cena. Quasi in corsa scesero dalla Giralda, a passo svelto
imboccarono la Calle
de la Vinuesa ,
attraversarono il Guadalquivir sul Ponte di Triana e dopo poche centinaia di
metri si trovarono sulla Via de la Plata. Un
po’ emozionati iniziarono un cammino che sarebbe durato solo qualche ora, ma
erano contenti lo stesso. Il pellegrino andò avanti e lei dietro, in silenzio,
come erano soliti fare nelle migliaia di Km. percorsi insieme. E lei idealmente
iniziò a ripercorrere il lungo cammino che anni prima le aveva procurato tanti
disagi e tante gioie, tante emozioni, e il suo compagno di viaggio, ne ebbe
conferma più tardi, per tutto il breve cammino pensò le stesse cose. La
pellegrina si immerse nei pensieri di quel primo giorno di tre anni addietro: il
timore di non farcela, l’incertezza di ciò che avrebbe trovato più avanti,
rivisse la paura dei cani, delle vacche e tori trovati fuori dai recinti, ebbe
la sensazione di soffrire di nuovo il gran caldo, il freddo, la pioggia, rivide
i torrenti in piena che li costrinsero a lunghe deviazioni, i guadi con scarpe
in mano e l’acqua fin sopra le ginocchia, la stanchezza di tappe troppo lunghe.
Ma poi rivisse la grande gioia dell’arrivo al rifugio, il piacere di una
doccia, di una minestra calda e infine l’agognato momento di infilarsi nel
sacco a pelo per il riposo e un lungo sonno. La pellegrina idealmente
attraversò tutta l’Andalusia con i suoi campi di girasoli, di bellissimi fiori,
e poi entrò in Estremadura dove rivide boschi di querce, di sugheri con sotto
prati pieni di fiorellini colorati, e vide mandrie di vacche e tori, maiali e
pecore dentro i recinti ai lati delle cañade (strade). E rivide i pellegrini
incontrati lungo la via e nei rifugi con i quali con grande semplicità erano entrati
in amicizia e con altrettanta spontaneità si erano scambiati una mela, un
pomodoro. Dal cammino aveva imparato l’umiltà, il vivere con l’essenziale. E
nei lunghi sentieri dove il silenzio era interrotto solo dai propri passi e dal
canto degli uccelli, la pellegrina era pervasa da una grande calma, da una
grande serenità e pace. Con la mente la pellegrina avrebbe voluto ripercorrere
anche la regione Castiglia e Leòn e poi la Galizia , ma guardò l’orologio e vide che si era
fatto tardi. Si rivolse al suo compagno di viaggio, che poi era, ed è, anche il
compagno di vita, e con un po’ di tristezza gli disse “ E’ ora di tornare
indietro” Ed egli rispose “Sì, andiamo” E sottovoce, quasi parlasse fra sé e
sé, aggiunse “Peccato, ero quasi arrivato a Santiago”.
Lentamente, in silenzio, si
incamminarono verso Siviglia.
Vera Biagioni e Carlo Barducci
Firenze, 18 ottobre 2011
Oggi, 30 marzo 2014
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