Translate

martedì 13 maggio 2014

ESSERE ADULTI CREDIBILI

Comunità dell’Isolotto - Firenze, domenica 11 maggio 2014
essere adulti credibili
non ci sarà chiesto se siamo stati credenti ma se siamo stati credibili
riflessioni del gruppo genitori
Letture
dal Vangelo di Luca
I suoi genitori erano soliti andare a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Ora quando [Gesù] ebbe dodici anni salirono a Gerusalemme, ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, Gesù rimase a Gerusalemme all’insaputa dei genitori. Essi credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; e non avendolo trovato tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e faceva loro delle domande. E tutti quelli che lo ascoltavano erano stupiti per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo [i genitori] restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo».
Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole.
Poi tornò con loro a Nazareth ….. Sua madre conservava tutte queste cose in cuor suo.

Abbiamo scelto questo brano perché vi abbiamo trovato delle curiose analogie tra le relazioni che intercorrono tra Maria e Giuseppe e il loro figlio e quanto vediamo oggi nelle relazioni tra il mondo degli adulti e quello dei ragazzi.
In questo episodio nessuno fa una bella figura: né Maria e Giuseppe che smarriscono il figlio e se ne accorgono solo dopo una giornata di cammino, né Gesù che non mostra il minimo rispetto verso i suoi genitori e che alla domanda preoccupata della madre risponde piuttosto sgarbatamente. Più che una “sacra famiglia”, una famiglia con le sue difficoltà, come tante, come tutte.
E possiamo dunque interpretare il brano come la fisiologica difficoltà di relazione tra genitori e figli adolescenti che riguarda tutte le generazioni, più o meno da sempre.
Sappiamo che come in molti altri episodi anche in questo non si racconta un fatto storico della biografia di Gesù; poiché i racconti del Vangelo erano scritti con altri intenti comunicativi: in questo brano sembra si volesse mostrare che il popolo di Israele, anche nelle persone più vicine, i suoi familiari, sia rimasto sconcertato di fronte ai modi, ai gesti, ai messaggi di Gesù: non era il Messia che si aspettavano.
Ma noi, al di là di questa interpretazione, possiamo anche leggere in questo brano la difficoltà dei genitori e in genere del mondo degli adulti di accorgersi, di comprendere, di accompagnare gli orizzonti nuovi, gli interessi sconcertanti dei bambini, dei ragazzi, dei giovani. Maria e Giuseppe pensano, anzi danno per scontato, che Gesù segua le loro orme (vita a Nazareth, lavoro sicuro da falegname, rispetto rigoroso della Legge, ecc) e quindi non capiscono cosa sia successo, non capiscono cosa lo interessi, non sanno nemmeno dove cercarlo tanto che quando tornano a Gerusalemme ci mettono tre giorni per ritrovarlo (evidentemente lo hanno cercato ovunque meno che nel posto in cui era, perché non sapevano cosa lo interessasse). E rimangono stupiti dalle sue parole, dai suoi comportamenti. Semplicemente non lo capiscono.
C’è una curiosa analogia con il tempo di oggi: forse anche oggi il mondo degli adulti – spaventato da troppe cose – si ritrova preoccupato e spesso incapace di accompagnare nel mondo i propri ragazzi, con la necessaria credibilità e con la altrettanto necessaria capacità di aprirsi a nuovi orizzonti, di avere fiducia nel futuro.


dal libro del Deuteronomio e dal libro “I dieci comandamenti nel XXI secolo’
Onora tuo padre e tua madre, perché come il Signore tuo Dio ti ha comandato,
perché la tua vita sia lunga e tu sia felice nel paese che il Signore tuo Dio ti dà

Nel suo libro “I dieci comandamenti nel XXI secolo” il filosofo spagnolo Antonio Savater commenta che “credo che qualunque persona perbene tenda ad amare spontaneamente i propri genitori, nello stesso modo in cui i genitori amano i figli.
Onorare i genitori è una buona idea, ma può dare luogo a fraintendimenti: spesso i genitori credono che essere rispettati significhi che la loro autorità debba essere indiscutibile, che bisogni obbedire loro in modo cieco e soddisfare qualunque capriccio. A volte arrivano ad esigere che dai figli che realizzino nella vita quello che avrebbero desiderato e non hanno potuto ottenere, fino a trasformarli in una sorta di prolungamento dei propri desideri e dei propri sogni.
La presunta subordinazione dei figli costituisce la contropartita alla responsabilità dei genitori, al loro rappresentare in qualche modo l’autorità; non bisogna però confondere questa parola con autoritarismo o tirannia: autorità deriva dal latino auctor [1] che significa “colui che fa crescere, che aiuta a crescere”, quindi esattamente il contrario della tirannia, dato che l’interesse del tiranno è di mantenere in uno stato di infanzia perpetua coloro i quali vuole sottomettere. La vera libertà è quella che mette a disposizione del figlio gli strumenti per conquistarla.




Lettura da “Gli sdraiati” di Michele Serra
Il recente libro di Michele Serra Gli sdraiati racconta la riflessione di un padre, ma potremmo dire un genitore, alle prese con il figlio adolescente, che dorme quando è giorno, che esce di notte, che sta perennemente connesso all’iPhone, che vive stravaccato sul divano, ‘senza l’ombra di una concertazione con gli altri abitanti della casa’.
Questo padre esprime lo smarrimento che gli adulti provano nei confronti dei modelli politici, culturali e quindi anche educativi e relazionali, ed oscilla tra senso di impotenza e speranza.

[…] Dicono che avresti avuto bisogno di un Genitore[2]. Un vero Genitore. Che avresti avuto bisogno del suo ordine ben strutturato, ben codificato, così da poterlo fare tuo oppure confutarlo e combatterlo, e combattendolo diventare uomo. Non c’è argomento che mi metta più in difficoltà. Del Genitore non ho che alcune attitudini. Per esempio quella, non trascurabile di mantenerti con il mio lavoro e la mia fatica. […] Ma riconosco che di tutte le altre tradizionali attitudini del Genitore – stabilire regole, rimproverare, punire, disciplinare – non sono un convincente interprete. Le volte che tento di riportare un ordine, sottolineare regole, sento di avere il tono incerto dell’improvvisatore, non il tono autorevole di chi è sicuro del proprio ruolo. Sento di sembrare uno che si è scordato all’improvviso, costretto dall’emergenza, che avrebbe avuto il compito di governare. E non lo ha fatto. E simula, come il più ipocrita o il più inetto dei politici, di avere un programma di governo affastellando alla rinfusa mozziconi di regole, minacce improbabili, ricatti sentimentali, con la voce che oscilla dal borbottio lugubre all’acuto nevrastenico. Nel corso di questi concitati, e per fortuna rari, comizi domestici, dubito di almeno della metà delle cose che dico. Già mentre le pronuncio sento che appartengono a un armamentario retorico vetusto, rimediato appiccicando i cocci di vecchi codici infranti, spazzati via da rivoluzioni sociali o resi ridicoli dalla loro stessa prosopopea.
[….]
In certe cupe riflessioni serali, mentre tu eri sparito nel tuo altrove e io rinchiuso nella mia impotenza, ho temuto di avere abdicato, come padre, e di averlo fatto per comodità, per pigrizia. Ma al tempo stesso valutavo l’insincerità che mi sarebbe stata necessaria per fingermi depositario di un ordine vero, articolato in regole ferree e punizioni esemplari. Tra simulare un’autorità ben strutturata ma finta, ed esercitarne una gracile e fluttuante, però autentica, che cosa è peggio? Dimmi chi preferisci ritrovarti di fronte: uno che parla una lingua chiara ma non è la sua? oppure uno che parla proprio la sua ma non si capisce che accidenti sta dicendo? Nella furibonda disputa – l’ennesima- del mio parlamento interiore, dai banchi della destra si levano accuse cocenti contro l’imbelle rinuncia della sinistra a esercitare l’autorità. Ma anche quando sospetto che la destra abbia ragione, me ne rimango ostinatamente seduto sui banchi della sinistra. E lo sai perché? Perché non posso fare altro. Se non esercito il potere non è solamente per pigrizia (conta anche quella ma non è determinante). E’ soprattutto perché al potere, così come si è strutturato prima di te e di me, io non riesco più a credere. E dunque non posso, imbrogliando me stesso, imbrogliare anche te.





Lettura da ‘L’autorità perduta’ di Paolo Crepet
L’idea di dover infrangere il sogno delle giovani generazioni ha instillato in molti genitori un profondo senso di inadeguatezza: come se garantire maggiore prosperità fosse soltanto compito loro, come se i figli non dovessero contribuire al miglioramento delle condizioni future.
Quando si afferma enfaticamente che “per la prima volta nella storia dell’umanità i figli hanno davanti a sé una prospettiva peggiore di quella che avevano avuto i loro padri” si afferma una grande sciocchezza.
E’ la tipica affermazione di chi valuta tutto attraverso il denaro, di chi misura le prospettive di una generazione esclusivamente sul piano economico. Questa frase presuppone che la storia dell’umanità abbia sempre seguito una linea retta e progressiva, senza contraddizioni, sobbalzi, improvvise retromarce; chi potrebbe sostenere una simile ingenuità?
Credo che l’attuale crisi economica possa essere molto utile a chi deve educare. I periodi di vacche grasse sono terribili da questo punto di vista: portare a pensare che non vi sia più nulla da migliorare, che tutto sia ormai garantito, che l’impegno e l’invettiva fossero necessari solo un tempo, quando servivano a spezzare le catene che tenevano l’umanità legata ai ceppi del suo passato miserabile. In questo modo ci si addormenta e si diventa vulnerabili a ogni cambiamento di vento.
[…] Molti ragazzi e ragazze sono stati cresciuti pensando che non debba esistere una necessità – che viene spesso giudicata come sinonimo di sventura – ma solo diritti acquisiti per nascita : si è andata formando una sorta di “casta giovanile” che tutto pretende, quasi che l’esistenza sia un gigantesco distributore di merendine e che ogni desiderio corrisponda a un tasto sul display, una volta spinto il quale si debba solo attendere che l’oggetto bramato scivoli fra le mani delicate.

… Ho dedicato molti anni allo studio delle famiglie, osservandole dall’interno, ascoltandone le preoccupazioni, cercando strategie di uscita da errori educativi tanto involontari quanto evidenti.
Durante questo lungo percorso ho potuto scoprire quanti ruoli i genitori cerchino di interpretare pur di non affrontare il loro compito primario : educare.
In questi decenni di cascame educativo ho incontrato genitori che si dedicano a fare i camerieri, i tassisti, i cuochi, i tutor, i bancomat, gli insegnanti. Da anni cerco di spiegare una cosa semplice ma non comprensibile a chiunque: per agire correttamente sul piano educativo è necessario che i padri e le madri facciano molto meno di ciò che fanno. Il segreto dell’educare oggi risiede infatti nella capacità di sottrarre, non in quella di aggiungere. I genitori non devono essere camerieri, autisti, tutor e finanziatori : solo e semplicemente genitori, ovvero sovrintendenti alla educazione. Devono stare sopra, non alla pari, occuparsi delle grandi questioni (serenità, felicità, sensibilità, complicità), non dei dettagli. In altre parole devono togliere al loro mestiere, rendendolo più semplice, meno barocco e carico di obblighi non richiesti e spesso dannosi. Se si smettesse di dare la sveglia i figli, di accompagnarli, di fare i compiti al loro posto, di gestire le loro attività, si risparmierebbero tempo ed energie che potrebbero essere utilizzate nella sovrintendenza autorevole a cui mi richiamo.

Cinque consigli per i genitori :
- Credete nei vostri figli, soprattutto quando meno se lo meritano.
- Se avete una buona opinione dei vostri figli, non aiutateli. Se la caveranno da soli.
- Pretendere di educare oberati dai sensi di colpa è come voler spegnere un incendio con una tanica di benzina.
- Inorgoglite il loro talento, insuperbite la loro volontà : vi ringrazieranno quando sarete vecchi.
- Investire sui figli non significa dare loro denaro, ma metterli nelle condizioni di seguire le loro passioni.




‘La congiura contro i giovani’ di Stefano Laffi

La Credibilità: (Il bambino/giovane ndr) Noterà di frequente che gli adulti non dicono quello che pensano e non fanno quello che dicono, perciò farà fatica a reggere i loro discorsi. E fra questi, i più disonesti saranno quelli su di lui e sulla sua età, perché tenderanno a generalizzare episodi di cronaca, far finta che i ragazzi siano tutti uguali, saranno pieni di definizioni ed etichette, soprattutto parranno inutili rispetto a quello che gli serve, e un po' sospetti nel fare il gioco di chi li pronuncia, cioè il loro reddito. Noterà soprattutto che nel mondo non c'è corrispondenza fra la gravità dei problemi che lo circondano e la distribuzione delle energie per risolverli, altrimenti non sarebbe lui il problema: essere informati sarà penoso e lo porterà al disincanto sull'umanità, perché avrà notizia di nuove meraviglie della tecnologia e insieme della distruzione del pianeta, infiniti dibattiti politici e insieme inutilità della diplomazia e cronicità delle guerre, progressi della medicina che non toccano le epidemie in corso per malattie curabili.
Intervista a Stefano Laffi, ricercatore sociale ed esperto in culture giovanili, consumi e dipendenze, autore de La congiura contro i giovani (Feltrinelli) a cura di Silvana Mazzocchi su la Repubblica.it

Giovani in crisi, di chi sono le responsabilità?
"Quando si parla di "giovani in crisi" credo sia importante intendere non un presunto collasso di motivazione e di fiducia dei ragazzi rispetto alle sfide che li attendono, ma la mancanza di opportunità e di possibilità, che si manifesta nel non trovare esperienze, lavoro, soldi, casa, ma più in generale nel non aver voce, non poter incidere in nulla della realtà che li circonda. La crisi è di cittadinanza, è il non aver diritti davvero esigibili, è crescere sapendo di non poter incidere sul proprio mondo. Tutto lo spazio che li circonda è saturo, è impermeabile ad esigenze di gioco ed espressività, è popolato e normato da adulti, non ha vuoti nei quali agire: le città non li prevedono, parlano a bambini e ragazzi solo in termini di divieti e regole, il paradosso è che solo le affissioni pubblicitarie li evocano per sedurli, tocca entrare in un bar per esistere, ma come consumatori, o in consultorio adolescenti, come utenti. L'esilio di bambini, ragazzi e giovani dall'arena delle discussioni, delle decisioni e delle azioni pubbliche parla in ultima analisi della "crisi degli adulti", ecco di chi sono le responsabilità: non si vuole più cambiare e non si vogliono cedere le rendite di posizione, ci si illude di poter fare come ieri perché è l'unico modo che si conosce, se non è la paura a guidare gli adulti quando sentono la loro inadeguatezza agli strumenti di oggi. Il fatto è che questa sarà comunque un'epoca di cambiamenti - tutto sta mutando, come leggiamo e scriviamo, come nasce un'amicizia e un amore, come studiamo e come viaggiamo - di cui gli interpreti migliori sono proprio quelli che si vorrebbe escludere".

Quali sono le cause che hanno portato i giovani alla situazione di oggi?
"Non credo ci sia un muro alla fine di una corsa sfrenata, non penso che non trovar lavoro o credito in banca sia per un ragazzo una bruciante sorpresa, perché c'è nato e cresciuto nella mancanza di riconoscimento. Ci sono generazioni adulte che non vogliono cedere potere e privilegi e si nutrono di questo immobilismo, per questo nel libro parto dalla nascita, mostrando un meticoloso processo di annichilimento del potenziale di cambiamento che i più giovani avrebbero. Pensiamo alla "normalizzazione" dell'infanzia, a come sin dalla nascita si sia circondati da attese e norme di riferimento, fatte prima di parametri medico-clinici, e poi di progressi evolutivi per inorgoglire i genitori, e poi di performance scolastiche o di desideri indotti dal mercato fin dai due anni di vita. Così addestrati a rispondere alla norma e ad altro da sé, si potrà mai credere nel proprio contributo? È un esempio banale, ma se la scuola usa solo "domande illegittime" (ovvero quelle in cui chi domanda conosce la risposta e chi risponde sa di dover indovinare quella giusta) potranno mai i ragazzi pensarsi ed esercitarsi come portatori di pensiero originale? Più tardi comincia invece la "patologizzazione" dell'adolescenza, che è sempre pensata come problematica, a rischio, trasgressiva, e la sua fame di esperienze e prove viene vista con sospetto, se non inibita letteralmente, al contrario dei loro corpi, rubati dal mercato, per farne oggetto di consumo. Si arriva così all'ultimo atto, "l'umiliazione" dei giovani, nei colloqui di lavoro, nella considerazione di quello che hanno studiato, nella gratuità di tutto quello che dovrebbero fare, nelle mansioni loro affidate, negli abusi di potere che devono subire. Cinismo, disincanto, ritiro sociale, spaesamento, tristezza: possiamo davvero sorprenderci se compaiono a 15 o 20 anni, cioè alla fine di questa carriera?"

C'è una via d'uscita? "Non solo c'è ma è obbligatoria, è urgente, e la buona notizia è che libera tutti. Certo, dobbiamo accettare una condizione, quella di esser disposti al cambiamento. Ma partiamo dalla constatazione che la maggior parte delle nostre istituzioni non funzionano, sono in affanno, disorientate: vale per le famiglie, dove i genitori si separano e non sanno come star dietro ai figli, vale per le aziende che sono in crisi, vale per l'istruzione e la formazione che non sanno quali competenze formare e sono superate dagli allievi rispetto al digitale, vale per la politica al minimo storico di fiducia... A furia di escludere i più giovani da tutte le istituzioni ci troviamo oggi intrappolati in routine quotidiane che non funzionano, sono lente, burocratiche, irreali nei tempi e nelle richieste. Bene, in ogni epoca di cambiamento si sa che avviene un ribaltamento dei saperi, la tradizione perde la forza di guida, sono i più giovani i nostri pionieri, saranno loro a guidarci. Certo, senza un'esperienza di riconoscimento sociale sin dall'infanzia non sarà facile ribaltare i ruoli, ma loro nell'incertezza ci sono nati e usano le strategie cognitive più adatte, che dobbiamo imparare da loro: muoversi per tentativi senza certezza sulle mete, valorizzare gli errori perché ricchi di informazioni, moltiplicare i campi di esperienza perché utili a misurare le nostre capacità, scambiarsi saperi e scoperte in modo orizzontale perché non serve chiuderli a chiave, prendere e partire, muoversi insieme per sostenersi e favorire l'apprendimento, superare i confini disciplinari perché la realtà è una e non segmentata... La via di uscita è questa, cambiare insieme questa società e affidarci a loro per scoprire e sperimentare. In alcune aziende c'è già il reverse mentoring e in fondo nel volontariato è normale che un ragazzo insegni a un cinquantenne appena arrivato. Forse ci siamo dimenticati che le più grandi invenzioni del '900 sono state fatte da scienziati che avevano fra i 20 e i 30 anni".                 (20 gennaio 2014)

Si veda anche la presentazione di Stefano Laffi su youtube all’indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=Ctvuh3e70Kw




Riflessione su giovani e web. Le incomprensioni fra adulti e ragazzi

La vita dei giovani nel mondo dei social network è per noi adulti come un viaggio da esploratori in una terra sconosciuta. Genitori di adolescenti, insegnanti, psicologi mancano di quella conoscenza di prima mano, diretta, quasi spontanea dei giovani nei confronti dei nuovi mezzi di comunicazione e questo spesso genera negli adulti pregiudizi, paure e diffidenza. Capita a noi genitori di confrontarci e raccontarci le nostre esperienze  ed emerge ad esempio il timore che i social network utilizzati dai nostri figli (Facebook, twitter) o chat come  whatsApp,  amplifichino in maniera esagerata gli scambi di relazioni e troppo velocemente diffondano malumori o opinioni che possono danneggiare qualche ragazzo preso di mira proprio perché il mezzo raggiunge immediatamente molte persone insieme.
Danah Boyd è una ricercatrice americana, docente alla New York University e responsabile di un progetto Microsoft. Ha scritto un libro, frutto di un lavoro durato otto anni, durante i quali ha intervistato migliaia di ragazzi, li ha frequentati individualmente o in gruppi, ed ha seguito le “tracce” che lasciano su Facebook. Una prima scoperta della ricercatrice è che i ragazzi di oggi “devono” socializzare usando i social network per mancanza di altri spazi di ritrovo coi loro coetanei. Scrive la Boyd “Molti adolescenti hanno meno libertà di muoversi, meno tempo libero e più regole dei loro genitori o nonni. La pressione scolastica è aumentata. Non si usa più passare ore di tempo libero a spasso con gli amici dopo la scuola. Ogni generazione di adolescenti ha uno spazio differente che decide come lo spazio “cool” per frequentare gli amici e oggi quello spazio si chiama Facebook o Twitter o altro. Gli adulti non lo capiscono perché interpretano questi fenomeni deformandoli alla luce delle proprie ossessioni, fobie, nostalgie e ricostruzione distorte del passato.” E ancora “Molti genitori si sono reinventati la propria infanzia, ricordandola come un luogo molto migliore, più ricco, più facile e più sicuro di quanto fosse in realtà”. Il bullismo o la pedofilia esistevano senza Internet, probabilmente più feroci perché meno smascherati e sanzionati dai valori dominanti.
La storia si ripete: altre vie di comunicazione del passato furono accolte con diffidenza, pregiudizi e sospetti. Quando era considerato pericoloso per le donne leggere romanzi o quando negli anni Cinquanta il rock&roll fu bollato come un’istigazione alla violenza e alla delinquenza minorile..
Un aspetto fondamentale da tenere presente per capire la differenza tra noi adulti e loro ragazzi è che noi siamo degli “immigrati digitali”, e come degli immigrati in terra straniera ne scopriamo faticosamente le regole e ci muoviamo con timore e sospetto. Loro sono dei “nativi digitali”, per loro questo è un universo noto, sono cresciuti dentro le sue regole.


Ma cosa vuol dire ‘essere autorevoli’?

I ragazzi per crescere hanno bisogno di persone autorevoli. A volte abbiamo l’impressione che non ce ne siano molte in circolazione, a volte incontrandole ci si allarga il cuore e il volto si distende in un sorriso. Noi stessi a volte lo siamo, a volte meno. Allora ci/vi chiediamo: ma cosa vuol dire essere autorevoli?

Premessa: Mentre l'autorità deriva da un ruolo o da un grado che qualcuno detiene e che gli altri riconoscono per obbligo, l'autorevolezza è basata sull’apprezzamento di capacità e comportamenti che la persona autorevole sa mettere in atto: non deriva dunque da imposizioni ma dal riconoscimento che del valore della persona.  Ecco alcuni elementi dell’autorevolezza:

1.     La persona autorevole fa corrispondere le proprie parole ai fatti: le persone autorevoli, tendenzialmente, non sprecano le parole, non parlano a vuoto e quando dicono qualcosa cercano di far corrispondere le parole ai fatti. Per esempio un insegnante che per farsi ascoltare fa appello continuamente a conseguenze che poi non arrivano mai perde rapidamente credibilità e l’autorevolezza; un padre che promette ogni volta che la domenica accompagnerà il figlio a giocare ai giardini e poi per una ragione o per un’altra (anche ottime ragioni) non lo fa, perde autorevolezza: il ragazzo crescerà con minore capacità di ascoltare e di farsi ascoltare.

2.     La persona autorevole ‘sa di cosa parla’, ‘sa come fare’: le persone autorevoli hanno conoscenze ed esperienze; sanno di cosa parlano e, se necessario, sanno cosa fare. Sanno dire e mostrare, con semplicità, sicurezza e senza presunzione, le loro conoscenze. Esprimono passione per le cose che sanno e voglia di continuare ad imparare. Ad esempio: un nonno che nella vigna racconta ai nipoti come e quando si decide che è tempo di cominciare la vendemmia, come lo si decideva un tempo e come lo si fa oggi con strumenti moderni, come la si coglie ecc.. è persona autorevole che esprime competenze e passione.
3.     La persona autorevole, quando necessario, sa prendere posizioni scomode per ottenere rispetto per sé e per altri: quando si trovano di fronte a situazioni nelle quali non sono d’accordo, specie in quelle nelle quali si verificano mancanze di rispetto verso loro stessi o verso persone più deboli le persone autorevoli sanno prendere posizione ferme, differenziandosi se necessario dalla massa, per pretendere, rispetto di sé stessi e/o delle persone più deboli.

4.     Le persone autorevoli sanno quando dire ‘bravo”: sanno dare il giusto riconoscimento alle persone quando queste hanno fatto delle buone cose, hanno avuto delle buone idee o dei comportamenti intelligenti, sensibili o coraggiosi. Dire dei “bravo” a ragion veduta aumenta l’autostima di chi riceve questo riconoscimento e accresce l’autorevolezza di chi esprime questo riconoscimento; al contrario dire dei "bravo" a caso, per distrazione, calcolo o opportunismo, toglie valore alle parole e mina l’autorevolezza. Non dire dei “bravo” quando è necessario è una mancanza di rispetto, che rende distanti di una distanza che toglie autorevolezza. Ad esempio: un allenatore che per distrazione non si accorge che un suo allievo ha superato un ostacolo e non gliene dà il giusto riconoscimento commette un errore che presto o tardi lo allontana da quell’allievo ma anche dagli allievi.
5.     Le persone autorevoli non scappano di fronte alle difficoltà: le persone autorevoli di fronte alle difficoltà non si tirano indietro ma le affrontano al meglio delle loro capacità; se non ne hanno la forza sono capaci di chiedere aiuto. L'autorevolezza è quindi correlata al coraggio, alla capacità di saper mantenere la calma, di saper contare sulle proprie risorse, di saper attivare e contare su risorse di altri. Il capitano di una nave quando in una situazione d’emergenza, mantiene la calma, attinge alle sue competenze tecniche, impartisce le istruzioni necessarie per la sicurezza di tutti, chiede aiuto a chi è preposto, sostiene tutti a partire da chi è in maggiore difficoltà, si dimostra autorevole.
6.     La persona autorevole vede, si accorge, delle difficoltà degli altri (anche di quelle non esplicite) e interviene fornendo con tatto e misura, il sostegno o l’aiuto più adeguato, senza dire nulla per non mettere in imbarazzo la persona in difficoltà, senza vantarsi del proprio gesto.
7.     Essere equilibrati nei giudizi e nelle reazioni: le persone autorevoli sono persone che riescono a valutare le situazioni e a farvi fronte in modo equilibrato, senza reazioni sproporzionate, focalizzando l’attenzione alle questioni e non alle persone; al contrario ‘essere deboli con i forti e forti con i deboli’, ‘gestire le situazione con due pesi e due misure a seconda delle persone che coinvolgono’ non è una modalità che caratterizza le persone autorevoli.


Preghiera eucaristica

Vogliamo coltivare le relazioni positive
e tutti gli aspetti che producono
serenità e benessere,
senso di responsabilità e libertà.

Vogliamo coltivare l’intreccio tra le generazioni
perché è fonte di sapienza, di equilibrio, di felicità.

Vogliamo coltivare la consapevolezza
che i figli e le figlie non ci appartengono,
non sono fatti per rispondere alle nostre aspettative,
ma sono frecce che vanno verso la vita che è loro davanti.

Vogliamo affermare che siamo responsabili di tutti i piccoli,
di tutti i figli, e non solo dei “nostri”,
perché pensiamo di essere legati
da una umanità e fratellanza universale.

Vogliamo credere nelle capacità positive
dei bambini, dei ragazzi e di tutti i giovani,
ed aiutarli a crescere imparando
ad essere per loro esempi credibili.

Vogliamo sviluppare e far crescere in noi stessi credibilità,
perché i nostri figli crescano in libertà e senso di responsabilità.

Vogliamo non farci sopraffare dallo smarrimento di questo tempo
e mostrare a noi stessi e ai nostri figli che è possibile coltivare speranza,
che la vita ha senso e che vale la pena di essere vissuta.

Ci sembra che questo sia anche il messaggio contenuto
nel Vangelo e nella testimonianza del cammino di Gesù
il quale la sera prima di essere ucciso
dai sacerdoti e dai potenti del tempo,
mentre sedeva a tavola con i suoi amici e le sue amiche,
prese del pane, lo spezzò, lo distribuì loro dicendo:
“prendete e mangiatene tutti questo è il mio corpo”.

Poi preso un bicchiere, rese grazie,
lo diede loro e tutti ne bevvero, e disse loro:
”questo è il mio sangue che viene sparso per tutti i popoli”.

Questo pane e questo vino,
queste riflessioni e queste emozioni,
questa comunità che li offre e li fa propri
divengano segni di liberazione dalle paure e dalle ottusità
e si trasformino in segni di vita, di speranza
di una cultura nuova nel segno del rispetto,
della fiducia reciproca e delle relazioni positive
tra tutti le generazioni, tra tutte le persone
tra tutti i popoli.



Parlaci dei figli

I vostri figli non sono i vostri figli.
Sono i figli e le figlie della brama che la Vita ha di sé.
Essi non provengono da voi, ma per tramite vostro,
e benché stiano con voi non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore ma non i vostri pensieri,
perché essi hanno i propri pensieri.
Potete alloggiare i loro corpi ma non le loro anime,
perché le loro anime abitano nella casa del domani,
che voi non potete visitare, neppure in sogno.
Potete sforzarvi d’essere simili a loro, ma non cercate di renderli simili a voi.
Perché la vita non procede a ritroso e non perde tempo con ieri.
Voi siete gli archi dai quali i vostri figli sono lanciati come frecce viventi.
L’arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito,
e con la sua forza vi tende affinché le sue frecce vadano rapide e lontane.
Fatevi tendere con gioia dalla mano dell’arciere;
perché se egli ama la freccia che vola, ama ugualmente l’arco che sta saldo.

dal libro “Il profeta” di Gibran Kahlil

 


Father And Son

di Cat Stevens

 

Padre e figlio

 

 

Father:
It's not time to make a change

Just relax, take it easy

You're still young, that's your fault

There's so much you have to know

Find a girl, settle down

If you want, you can marry

Look at me, I am old

But I'm happy

I was once like you are now

And I know that it's not easy

To be calm when you've found

Something going on

But take your time, think a lot

I think of everything you've got

For you will still be here tomorrow

But your dreams may not


Son:
How can I try to explain

When I do he turns away again

And it's always been the same

Same old story

From the moment I could talk

I was ordered to listen

Now there's a way and I know

That I have to go away

I know I have to go


Father:
It's not time to make a change

Just sit down and take it slowly

You're still young that's your fault

There's so much you have to go through

Find a girl, settle down

If you want, you can marry

Look at me, I am old

But I'm happy


Son:
All the times that I've cried

Keeping all the things I knew inside

And it's hard, but it's harder

To ignore it

If they were right I'd agree

But it's them they know, not me

Now there's a way and I know

That i have to go away

 

 

Padre:
Non è tempo di cambiare

rilassati, prendila con calma

sei ancora giovane, questa è la tua colpa

hai ancora molte cose da conoscere

trovare una ragazza, sistemarti,

se vuoi puoi sposarti

guarda me, sono vecchio,

ma sono felice

una volta ero come sei tu ora,

e so che non è facile

rimanere calmi quando hai trovato

qualcosa che va

ma prendi il tuo tempo, pensa a lungo

perché, pensa a tutto quello che hai avuto.

per te sarà ancora qui il domani,

ma forse non i tuoi sogni.


Figlio:
Come posso provare a spiegare,

quando lo faccio, si volge altrove di nuovo

è sempre la stessa vecchia storia

dal momento in cui potevo parlare,

mi fu ordinato di ascoltare

ora c'è una strada e so

che devo andarmene

so che devo andare



Padre:
non è tempo di cambiare

siediti, prendila con calma

sei ancora giovane, questa è la tua colpa

ci sono ancora molte cose da affrontare

trovare una ragazza, sistemarti,

se vuoi puoi sposarti

guarda me sono vecchio,

ma sono felice

 

 

Figlio:
tutte le volte che piansi,

tenendo tutto dentro di me

è dura, ma è anche dura

ignorare tutto

se avevano ragione, ero d'accordo,

ma sono loro che tu conosci, non me

ora c'è una strada, e io so

che devo andarmene,

so che devo andare


 

 

 

 





[1] Conformemente ai valori di augeo ("produrre", "accrescere", "integrare", "ampliare", "rafforzare", "completare"), l'auctor, nella tradizione latina, è chi possiede capacità d'iniziativa, promuove un atto, perfeziona e garantisce, integrandola e rafforzandola, la insufficiente volontà o personalità di un altro.
[2] Il testo di Serra parla di ‘padre’, ma per la nostra riflessione possiamo utilizzare la parola ‘genitore’.  

Nessun commento:

Posta un commento