Veglia di Natale 2014
Terra bene comune
Comunità dell’Isolotto
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Insieme per un nuovo
patto tra gli esseri umani, la Terra, la Vita.
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Firenze, 24 dicembre 2014 -ore 22,30 Baracche verdi, via degli
Aceri 1
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La terra è di Dio
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dal libro del Levitico
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La terra non si potrà vendere per sempre, poiché
la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini. Perciò
in tutto il paese che avrete in possesso concederete il diritto di riscatto
per ciò che riguarda il suolo. Se il tuo fratello che è presso di te cade in
miseria ed è privo di mezzi, tu lo sosterrai: egli vivrà con te
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come un forestiero e inquilino, Non prendere da
lui interesse o tributo, ma abbi il timore del tuo Dio e tuo fratello viva
con te. Non gli presterai denaro a interesse né gli darai il tuo cibo per
profittarne: Io sono Jahwè vostro Dio che vi ha fatto uscire dalla terra
d'Egitto per darvi la terra di Canaan, per essere vostro Dio.
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Fao: il suolo è una risorsa chiave ma è trascurato e a rischio
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giornata mondiale del suolo, iniziative
a Roma, New York e Santiago del Cile
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05 dicembre 2014
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”Suoli sani sono fondamentali per la produzione
mondiale di cibo, combustibili, fibre e prodotti medici, e sono essenziali
per i nostri ecosistemi, visto che ricoprono un ruolo fondamentale nel ciclo
del carbonio, immagazzinano e filtrano l'acqua e aiutano a fronteggiare
inondazioni e siccità. Ma non prestiamo abbastanza attenzione a questo
silenzioso alleato". Sono le parole del direttore generale della Fao
José Graziano da Silva in occasione della Giornata Mondiale del Suolo, che si
celebra oggi, in vista del 2015 dichiarato dall'Onu l'Anno Internazionale dei
Suoli "Sfortunatamente -aggiunge -un terzo dei nostri terreni è in
condizioni di degrado e le pressioni dell'uomo stanno raggiungendo livelli
critici, riducendo e a volte eliminando alcune delle loro funzioni
essenziali. "Invito tutti noi a promuovere attivamente la causa dei
suoli nel corso del 2015, poiché è un anno importante per spianare la strada
verso un sviluppo veramente sostenibile per tutti e da parte di tutti."
Il suolo è necessario per la sicurezza alimentare e la nutrizione, ma anche
per l'adattamento e la mitigazione del cambiamento climatico, e uno sviluppo
sostenibile in generale.
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Dominazione o reciprocità?
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Marco Benvenuti “Siate fecondi e
moltiplicatevi; riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare
e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla
terra" (Genesi 1, 26-30). Questo passo della Genesi sembra essere stato
preso alla lettera ed in larga parte attuato da un’Umanità che, dalle caverne
preistoriche alle megalopoli moderne, ha dominato la Terra modellandola a suo
piacimento e sfruttandone le ricchezze nel raggiungimento di un progresso senza
limiti. Come ci spiega una Teologia esegetica, che tuttavia non ha impedito
nel tempo l’interpretazione letterale delle parole di Dio da parte di un Uomo
dominatore, il passo della Genesi contiene un senso più profondo. Esso indica
una chiara responsabilità che l’Uomo ha nei confronti della Natura che
contiene l’Umanità e che al pari di questa, è creata ed amata da Dio. L’Uomo
e la Natura, quindi, sono vincolati da un patto di reciprocità sancito dal
Creatore che, se rispettato, garantirà benessere e sviluppo per l’Uomo ma
anche cura e rispetto per la casa che lo ospita. In questa prospettiva i
geologi, come scienziati della Terra, giocano da alcuni secoli un duplice
ruolo. Essi con le loro competenze hanno consentito lo sfruttamento di
risorse minerali e di fonti energetiche che hanno alimentato un progresso
benefico ma anche la dominazione della Terra e l’alterazione di delicati
equilibri naturali. Al
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contempo,
leggendo nelle rocce la lunga storia del pianeta i geologi hanno ricostruito
il succedersi di innumerevoli mondi, agli occhi di un possibile creatore
evidentemente non meno degni della Terra che solo da due milioni di anni come
genere Homo abitiamo. Le rocce, che sembrano statiche, sono invece
testimonianza di un continuo divenire, di trasformazioni che possono avvenire
in milioni di anni o in istanti, attraverso processi graduali o improvvisi e
violenti. L’Uomo dominatore disconosce le verità rivelate nel libro della
Terra e subisce imprecando ad essa, la vitale energia del pianeta quando questa
si manifesta come frana, alluvione o terremoto. L’Uomo che invece ha
stipulato un’alleanza con la Terra, nello spirito biblico di appartenenza e
reciprocità, intuisce con il buon senso il significato di ciò che la Terra
svela della sua mutevole natura e sa adattarsi ad essa. Solo in questa
prospettiva “geologicamente” sostenibile la Terra sarà davvero bene comune.
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C come.. crisi
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di Albert Einstein
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Non possiamo pretendere che le cose cambino, se
continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per
le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce
dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che
sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi
supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi
fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai
problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell'incompetenza.
L'inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare
soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita
è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c'è merito. È nella crisi
che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo
lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla e tacere nella crisi è
esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per
tutte con l' unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare
per superarla.
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Presentazione della rete “Genuino Clandestino” Giovanni Pandolfini La relazione dell'uomo
con il proprio cibo, che come l'aria e l'acqua è indispensabile alla nostra vita è oggetto di considerazioni che si impongono sempre con più urgenza. Siamo ormai più di 7 miliardi di persone su questo pianeta. Più della metà di queste vive ammassata nelle grandi città dove chi può permetterselo si alimenta, anche molto di più del necessario, chi invece non può permetterselo si vede negare l'accesso al cibo con conseguenze disastrose anche per migliaia di bambini e per le loro madri. Per quanto riguarda la nostra realtà invece ci ricordiamo ancora cosa significa "agricoltura contadina"? Quanta consapevolezza abbiamo ancora di quello che comporta, come conseguenze per il pianeta e per le nostre vite, correre ogni settimana nei supermercati e cercare di riempire il nostro carrello della spesa (con sempre più fatica rispetto alle possibilità economiche)? Quanto ci rendiamo conto di come sono cambiate le nostre abitudini negli ultimi decenni? Esiste una rete di "contadini in resistenza" che si chiama "Genuino clandestino" . Questa rete si compone di gruppi che vanno dalla Sicilia alla Val di Susa e che affiancata sempre di più da consumatori critici, gruppi e comitati cittadini che hanno a cuore la difesa del loro territorio si interroga e si organizza sulle seguenti tematiche -la convinzione che la terra non possa essere proprietà privata di uno o più uomini, ma |
che sono gli uomini ad appartenere alla terra. -il diritto di
tutti gli individui e le comunità di avere accesso alla terra come mezzo di
autodeterminazione alimentare, economica e culturale. -la trasmissione e la
conservazione dei saperi e delle buone pratiche contadine volte alla
produzione di cibo e non di profitto. -la difesa di un'agricoltura sobria,
naturale, rispettosa dell'ambiente e della dignità
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umana. Uno dei motti della rete è "il cibo non è una merce. La terra non è un
supermercato". In questo "humus" a
Firenze è nata una esperienza che sta vivendo i suoi primi passi. Si chiama
"Mondeggi bene comune fattoria senza padroni". Si tratta di
un'esperienza nuova e con i presupposti sopra descritti si propone di
sperimentare pratiche che spesso confliggono con la così detta
"legalità" e per questo necessitano di comprensione e di sostegno
da parte di più persone possibile. Mondeggi si trova alle porte di Firenze,
nel comune di Bagno a Ripoli ed è un'azienda di circa 180 ettari di proprietà
della Provincia di Firenze. Da circa 7 anni si trova, dopo una gestione volta
all'agro-business, in condizioni di forte indebitamento e in totale paralisi
produttiva con conseguente degrado e abbandono. Ormai da più di un anno si è
costituito informalmente un comitato di cittadini e contadini delle zone
limitrofe che ha deciso di prendersi cura di questo pezzo del nostro
territorio al posto dei latitanti amministratori pubblici. Questo nutrito
gruppo di persone, attivisti e semplici sostenitori, attivati dagli stimoli ricevuti
dalla rete di Genuino Clandestino, ha dato vita nel giugno scorso ad un
presidio contadino permanente nei terreni e in alcuni fabbricati
dell'azienda. Si è iniziato un percorso di custodia popolare di Mondeggi con
la finalità di riattivare, con le modalità dell'agricoltura contadina
naturale, la vita produttiva e sociale del luogo attraverso la
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trasformazione
di un bene pubblico con gestione privatistica in un vero e proprio "bene
comune".
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L'esperienza di Mondeggi, fattoria
senza padroni
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Nelle campagne fiorentine in questi ultimi mesi
una comunità variegata di soggetti sta cercando di trasformare una “proprietà
pubblica” in “bene comune”. L’esperienza del movimento “Mondeggi fattoria
senza padrone” sta cercando di fermare la vendita di un bene pubblico, la
fattoria medicea di Mondeggi, chiedendo alla pubblica amministrazione di
sperimentare un accordo con un gruppo di soggetti che intendono prendere in
carico la fattoria e gestirla in forma comunitaria in base a un documento di
principi e di intenti che è stato discusso collettivamente in assemblee
pubbliche e in rete e approvato definitivamente il 12.01.2014 nell’Assemblea
plenaria territoriale di Pozzolatico.
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Carta degli Intenti.Verso Mondeggi Bene Comune
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L’intento principale è quello di riabitare
Mondeggi, insediando nuclei familiari e singole persone nelle abitazioni
rurali già esistenti della Fattoria, in modo da ricostituire il “popolo di
Mondeggi” che dovrà essere composto in primo luogo da coloro che si
dedicheranno al lavoro della terra. All’interno del nuovo villaggio contadino
verrà praticata un’agricoltura familiare dedicata all’autosufficienza
alimentare dei poderi, attraverso orti condivisi e piccoli allevamenti da
cortile, inoltre gli abitanti – assieme anche a persone non residenti a
Mondeggi, ma che vorranno lavorarci tutti insieme nell’intento di ridurre
progressivamente l’impronta ecologica costituiranno la “Fattoria senza
padroni” che si articola mediante due forme assembleari:l ’Assemblea di
Fattoria e l’Assemblea plenaria territoriale. L’Assemblea di Fattoria
stabilirà la forma associativa, lo statuto e il regolamento e definirà i
metodi di funzionamento interno inclusa la turnazione dei responsabili della
gestione, inoltre sarà lo strumento primario di organizzazione del lavoro,
delle risorse, e dei piani colturali, basandosi su i seguenti principi
cardine:la solidarietà al posto della concorrenza;la giustizia sociale;
l’uguaglianza e la reciprocità dei diritti;l’utilizzo sostenibile delle
risorse naturali; la salute dei produttori e dei consumatori;la salvaguardia
e l’incremento della biodiversità e della fertilità dei suoli,l’utilizzo di
forme di finanza mutualistica e solidale e di pratiche di scambio e di
baratto. Sulla base di questi principi l’Assemblea di Fattoria si occuperà
delle colture più impegnative per estensione e da reddito, organizzandosi in
gruppi di interesse, ritenendo vitale lo scambio di manodopera e il mutuo
soccorso. I mezzi di produzione potranno essere di proprietà collettiva o
individuale, mentre i locali di spaccio, trasformazione e stoccaggio saranno
comunitari. I prodotti contadini verranno distribuiti al pubblico
direttamente nello spaccio della Fattoria e attraverso il circuito dei
Mercati Contadini e dei Gruppi d’Acquisto Solidale. Dato che la Fattoria di
Mondeggi è per tutti noi un bene comune, riteniamo che appartenga alla
comunità territoriale che con essa ha rapporti storici e culturali. Nostro
intento quindi, sarà quello di includere per quanto possibile, la comunità
nella gestione partecipata.
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Diritti sacri da Il discorso di papa Francesco ai movimenti
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[…] Questo incontro dei movimenti
popolari è un segno, un grande segno: siete venuti a porre alla presenza di
Dio, della Chiesa, dei popoli, una realtà molte volte passata sotto silenzio.
I poveri non solo subiscono l’ingiustizia ma lottano anche contro di essa!
Non si accontentano di promesse illusorie, scuse o alibi. Non stanno neppure
aspettando a braccia conserte l’aiuto di Ong, piani assistenziali o soluzioni
che non arrivano mai o che, se arrivano, lo fanno in modo tale da andare
nella direzione o di anestetizzare o di addomesticare […]. Voi sentite che i
poveri non aspettano più e vogliono essere protagonisti; si organizzano,
studiano, lavorano, esigono e soprattutto praticano quella solidarietà tanto
speciale che esiste fra quanti soffrono […], e che la nostra civiltà sembra
aver dimenticato, o quantomeno ha molta voglia di dimenticare. Solidarietà è
[…] molto più di alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in
termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei
beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della
povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, la terra e la casa, la
negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti
distruttori dell’Impero del denaro: i dislocamenti forzati, le emigrazioni
dolorose, la tratta di persone, la droga, la guerra, la violenza e tutte quelle
realtà che molti di voi subiscono e che tutti siamo chiamati a trasformare.
La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la
storia ed è questo che fanno i movimenti popolari. Questo nostro incontro non
risponde a un’ideologia. Voi non lavorate con idee, lavorate con realtà come
quelle che ho menzionato e molte altre che mi avete raccontato. Avete i piedi
nel fango e le mani nella carne. Odorate di quartiere, di popolo, di lotta!
Vogliamo che si ascolti la vostra voce che, in generale, si ascolta poco.
Forse perché disturba, forse perché il vostro grido infastidisce, forse
perché si ha paura del cambiamento che voi esigete, ma senza la vostra
presenza, senza andare realmente nelle periferie, le buone proposte e i
progetti che spesso ascoltiamo nelle conferenze internazionali restano nel
regno dell’idea […]. Non si può affrontare lo scandalo della povertà
promuovendo strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e
trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi (…). Che bello
invece quando vediamo in movimento i popoli e soprattutto i loro membri più
poveri e i giovani. Allora sì, si sente il vento di promessa che ravviva la
speranza di un mondo migliore. Che questo vento si trasformi in uragano di
speranza. Questo è il mio desiderio. Questo nostro incontro risponde a un
anelito molto concreto, qualcosa che qualsiasi padre, qualsiasi madre, vuole
per i propri figli; un anelito che dovrebbe essere alla portata di tutti, ma
che oggi vediamo con tristezza sempre più lontano dalla maggioranza della
gente: terra, casa e lavoro. È strano, ma se parlo di questo per alcuni il
Papa è comunista. Non si comprende che l’amore per i poveri è al centro del
Vangelo. Terra, casa e lavoro, quello per cui voi lottate, sono diritti sacri.
Esigere ciò non è affatto
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strano, è la
dottrina sociale della Chiesa. Mi soffermo un po’ su ognuno di essi perché li
avete scelti come parole d’ordine per questo incontro. Terra. All’inizio
della creazione, Dio creò l’uomo custode della sua opera, affidandogli
l’incarico di coltivarla e di proteggerla. Vedo che qui ci sono decine di
contadini e di contadine e voglio felicitarmi con loro perché custodiscono la
terra, la coltivano e lo fanno in comunità. Mi preoccupa lo sradicamento di
tanti fratelli contadini (…). L’accaparramento di terre, la deforestazione,
l’appropriazione dell’acqua, i pesticidi inadeguati, sono alcuni dei mali che
strappano l’uomo dalla sua terra natale. Questa dolorosa separazione non è
solo fisica ma anche esistenziale e spirituale, perché esiste una relazione
con la terra che sta mettendo la comunità rurale e il suo peculiare stile di
vita in palese decadenza e addirittura a rischio di estinzione. L’altra
dimensione del processo già globale è la fame. Quando la speculazione finanziaria
condiziona il prezzo degli alimenti trattandoli come una merce qualsiasi,
milioni di persone soffrono e muoiono di fame. Dall’altra parte si scartano
tonnellate di alimenti. Ciò costituisce un vero scandalo. La fame è
criminale, l’alimentazione è un diritto inalienabile. So che alcuni di voi
chiedono una riforma agraria per risolvere alcuni di questi problemi e
lasciatemi dire che in certi Paesi, e qui cito il compendio della Dottrina
sociale della Chiesa, «la riforma agraria diventa pertanto, oltre che una
necessità politica, un obbligo morale» (CDSC, 300).(…). Per favore,
continuate a lottare per la dignità della famiglia rurale, per l’acqua, per
la vita e affinché tutti possano beneficiare dei frutti della terra.
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Il valore dei beni comuni Se
riuscissimo ad avere consapevolezza del valore dei beni comuni, dei loro
limiti e delle loro potenzialità, della loro forza e della loro fragilità,
potremmo allora farci un'idea del percorso da intraprendere per creare un
habitat armonico, per raggiungere una nuova civilizzazione, per immaginare
un'umanità diversa e persino una eco-antropologia. La gestione comune dei
beni presuppone infatti una relazione interpersonale e un rapporto di
cooperazione, solidarietà e condivisione che è negato dalla logica del mercato
delle merci. Il nesso tra bene (qualcosa che ha un valore di per sé) e comune
(che è utile a soddisfare i bisogni di più individui) è rivelatore del
costituirsi di relazioni interpersonali tra soggetti che accettano di
prendersi in carico un munus, un dono particolare che obbliga chi lo accoglie
a dei vincoli etici nei confronti del donatore (natura, generazioni
precedenti, l'altro da sé) e morali nei confronti degli altri beneficiari
effettivi e potenziali. Si creano così dei legami di reciprocità, dei vincoli
di solidarietà collettiva, delle norme che creano comunità, coesione e
finanche identità. E' questo nesso che si instaura tra gli uomini e le donne
a definire il bene comune. Nella gestione collettiva del bene gli individui
si uniscono e creano una communitas, realizzano un progetto e mettono in
essere pratiche ed esperienze condivise.
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(da "La società
dei beni comuni" di Paolo Cacciari)
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Natale e il dono Donare è ribellione -la gratuità al tempo
della tecno-finanza
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di
Claudio Sardo
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E se donare non fosse una fuga dalla realtà? E se
non fosse neppure una privazione? Né l’espressione di una carità pelosa che
vuole coprire le ingiustizie lavando le coscienze? Il dono e la gratuità
hanno e hanno avuto significati diversi nelle diverse culture. Ma la radice
profonda è nell’umanità degli uomini, e questo tiene acceso il fuoco anche
sotto la cenere di un tempo come il nostro, che sembra omologare
comportamenti e desideri al bisogno di profitto e all’individualismo
vincente. Oggi il donare appare escluso dal circuito primario degli interessi
sociali. Ovviamente è ancora vivo, coinvolge milioni di donne e di uomini, ma
è come affidato a un mercato secondario, protetto. Eppure esprime una forza
antagonista rispetto al nichilismo verso il quale rischia di scivolare una
cultura centrata solo sull’individuo e la sua volontà di potenza. Se n’è
parlato nei giorni scorsi a Forte di Bard (bellissimo polo museale, da poco
ristrutturato, all’interno della fortezza che presidia l’ingresso in Valle
d’Aosta) in un convegno a cui hanno preso parte, tra gli altri, il priore di
Bose Enzo Bianchi, gli imprenditori Oscar Farinetti (Eataly) e Guido
Martinetti (Grom), la direttrice del Festival della filosofia Michelina
Borsari, l’ex ministro Domenico Siniscalco. Il donare ha molte facce. Il
pensiero corre subito al volontariato. Ma con il dono ha a che fare anche il
Terzo settore, che del mercato occupa un segmento. Con il dono può avere a
che fare pure l’impresa, quando è consapevole del suo valore sociale e guarda
alla comunità in cui è inserita con occhi diversi da quelli del mero guadagno
a breve. L’atto gratuito è marginale, tuttavia non completamente escluso
dall’economia pratica: può insinuarsi ancor più, così come può essere
catturato. Ambigua, inevitabile convivenza. Il no profit può forse entrare in
un processo di trasformazione del welfare state in welfare community. Tutto
bene, purché non riduca l’area dei diritti universali, ma aiuti davvero a
umanizzare la loro fruizione. Comunque, benché il donare sia già mescolato
con la realtà socio-economica, non si sfugge alle domande di fondo,
antropologiche, che esso pone nella crisi di oggi. Il donare è anzitutto
un’espressione della soggettività – è la persona in relazione – ancor prima
di essere un atto, magari irregolare, dell’homo economicus. Il dono
autentico, la gratuità, è una modalità insopprimibile con cui la donna e
l’uomo marcano la loro presenza nel mondo dei loro affetti, nella comunità,
nella storia. Senza il dono personale l’omologazione sarebbe già compiuta,
riconducendo le relazioni al solo interesse economico. Le implicazioni
culturali e sociali di questo paradigma sono enormi. Perché, a ben guardare,
ogni giorno siamo costretti a fare i conti con lo spettro del potere
finanziario che domina l’economia reale, che domina la stessa politica
democratica, che illude infine la nostra libertà facendoci sentire spesso
quasi onnipotenti ma al tempo stesso impotenti.
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Il dono invece ha un dna umanistico che contesta
in radice la sovranità dell’economia (e della tecno-finanza). Il dono prima
di essere un oggetto è il donare se stesso. L’autenticità del dono è un bene
immateriale che dà senso a quello materiale. Si dona per essere, non per
avere un po’ meno. Ed è sul dono di sé che si fonda la comunità, la città
delle persone che non sono soltanto individui. Il dono presuppone la
differenza, la diversità, perciò nega l’omologazione. Il dono è legato
all’idea della festa, che è diversa dal giorno feriale. Il dono guarda al
futuro, al domani, perché non chiede un risarcimento
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o un prezzo. Lo schiacciamento sul presente, gli
orizzonti sempre più corti, sono i parenti stretti di quel nichilismo che
segue come un ombra il mito espansivo del denaro che produce sempre più
denaro. Il donare ha certamente anche un significato religioso. Diverso nelle
diverse culture. C’è un senso di trascendenza nella gratuità perché il dono
va a beneficio di altri, di un altro tempo, di un’altra generazione. Tuttavia
della trascendenza disegna un contorno laico, umano, valido per ogni credo e
anche per chi dona senza credere nell’Assoluto. Si dona la vita per i propri
figli, per un ideale di giustizia, per un bisogno di umanità. Per non essere
individui soli. Sì, può essere un’illusione di fronte al cinismo imperante.
Del resto, anche il cambiamento può essere un’illusione. Ma in fondo la
domanda più affascinante (quella che non trova mai la risposta definitiva)
riguarda proprio quel sentimento universale che spinge l’uomo a tentare di
superare la sua condizione, il suo presente, la sua stessa vita.
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Meditazioni per madre terra
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La nostra società così evoluta ha col tempo
smarrito il senso del rispetto per la Madre Terra, ciò a cui ogni essere
umano deve la sua esistenza. Veniamo al mondo come piccoli semi e in ciò non
siamo diversi dagli alberi, dai fiori, dalle piante, dagli animali o dagli
esseri alati. Ogni particella del nostro corpo contiene in sé tutte le cose
messe a disposizione da Madre Terra: i minerali, l’acqua, il soffio del respiro.
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Si parla tanto di ecologia, di azioni da compiere
quotidianamente per evitare lo spreco e l’inquinamento, ma non basta. Bisogna
riappropriarci del rapporto di cura e di rispetto nei confronti di colei che
da sempre nutre amorevolmente le nostre vite.
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Madre Terra è meravigliosa perché disegno perfetto
di Colui che l’ha creata, sconfinata bellezza per coloro che sono in grado di
vedere, luogo di prosperità per coloro che sanno rispettare.
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Qui, in questo luogo, da alcuni anni abbiamo
aperto uno spazio d’amore, rispetto e profonda gratitudine per Madre Terra,
il pianeta vivente di cui sempre più sentiamo la Sacralità, nella natura, nei
paesaggi, nell’aria che respiriamo e nel suolo su cui camminiamo ogni giorno.
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Desideriamo promuovere un messaggio d’armonia con
la natura, che parta dal rispetto di tutte le forme viventi, rispetto per gli
animali, per le piante, le pietre e i corsi d’acqua poichè crediamo che
nessuna forma di evoluzione sia possibile se non si basa su un senso di
connessione profonda con tutti gli esseri viventi, animati e inanimati, e con
il pianeta che ci ospita.
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Vi è una profonda saggezza nella Terra, ed una
forza di rigenerazione senza pari, continuerà la sua evoluzione di cui noi
potremo fare parte solo se sapremo con amorevolezza prenderci cura di lei e
di noi stessi con azioni di responsabilità. Gruppo di meditazione
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animazione dei bambini
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LA TERRA VISTA DALLA LUNA E DALLO SPAZIO NELLE PAROLE DEGLI
ASTRONAUTI1
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James Irvin:
“La Terra ci ricorda un albero di Natale, appesa al fondo buio dell’universo;
quanto più ce ne allontaniamo tanto più si rimpicciolisce, finché non si
riduce ad una piccola palla, la più bella che si possa immaginare. Un oggetto
vivo, caldo, che appare fragile e delicato…”.
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Eugene Cernan: “Io sono stato l’ultimo uomo a mettere piede sulla Luna, nel
dicembre del 1972. Dalla superficie lunare guardavo con meraviglia e timore
reverenziale la Terra che emergeva da uno sfondo molto scuro. Quello che
vedevo era troppo bello per essere capito…”
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Joseph Allen:
“Erano state fatte tante discussioni sui pro e i contro dei viaggi sulla
Luna. Non ho mai sentito nessuno dire che bisognava andarci per veder la
Terra da lassù. Ma alla fine dei conti, è questa la vera ragione che ci ha
portati sulla Luna”.
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Salam al-Saud: “Il primo e secondo giorno indicavamo con il dito il nostro
paese; al terzo e quarto il nostro continente, al quinto giorno avevamo
coscienza solo della Terra come un tutto”.
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1 Leonrdo Boff, “Liberare la terra”, ed. EMI, 2014 e F.WHITE, The
Overview Effect. Space Exploration and Human Evolution, Houghton Mifflin,
Boston , 1987
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Terra di Palestina
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Terra di
Palestina La Terra rappresenta per il popolo palestinese la
propria identità primaria, il fondamento della sua
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Resteremo qui
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stessa esistenza. Ogni azione di confisca della
terra è
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Sentinelle a guardia della
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un attacco alla sua possibilità di sopravvivere.
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nostra terra.
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L'impatto della confisca delle terre, della costruzione Se avremo sete, degli
insediamenti, delle strade di collegamento spremeremo le pietre. riservate
ai coloni, dei posti di blocco e del muro di Se avremo fame, separazione
sulla vita dei palestinesi della Cisgiordania mangeremo la terra è devastante: migliaia di persone sottoposte a ma non ce ne andremo. sgomberi forzati e illegali, limitato o negato accesso Abbiamo un passato, all'acqua, alle cure mediche, all'istruzione e al lavoro, un presente impossibilità
di coltivare i propri terreni, restrizioni un futuro alla libertà di movimento, difficoltà di
mantenere le
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Qui, siamo nella nostra terra relazioni familiari.
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ed è qui che cresceranno le Contro la confisca di migliaia di ettari di terra nostre radici palestinese,
nel marzo del 1976 vi furono scioperi, in
profondità. dimostrazioni di massa e proteste che si
ripeterono
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per giorni e che furono represse con violenza dalle
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Tawfiq Zayyad
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forze di occupazione. Il 30 marzo sulla folla si apriva il
fuoco: sei manifestanti palestinesi venivano uccisi, centinaia feriti,
picchiati e arrestati. Da allora lo scenario è ulteriormente peggiorato, le
manifestazioni non violente contro la confisca delle terre continuano nei
villaggi dei territori occupati, dove gli alberi di olivo vengono sradicati
per far posto al muro, le case demolite per costruire nuove colonie illegali.
La repressione armata e violenta dell'esercito è una costante che non fa
notizia sui nostri media. Così la data del 30 marzo, dal 1976, si è fatta
ricorrenza e in Palestina in quella data ogni anno si celebra la Giornata
della Terra con una marcia verso Gerusalemme che vede la partecipazione di
oltre un milione di persone, con la quale si tenta di far arrivare la
Palestina nel mondo e il mondo in Palestina. Tantissimi i paesi, oltre 60, e
le organizzazioni, oltre 700, che sostengono la marcia, ma una sola voce:
“fine dell'occupazione, fine dell'apartheid, fine della confisca delle terre,
no alla pulizia etnica e alla giudeizzazione della Palestina”. I Palestinesi
continuano malgrado tutto a lottare e resistere in modo non violento, con
speranza e tenacia, per affermare il loro diritto a vivere e lavorare sulla
propria terra,
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perché essa
appartiene al popolo, ovunque essa si trovi. Vi sono molti modi di occuparla
e calpestarla, piegandola ad interessi individuali e facendo proprio con la
forza o con il denaro un bene collettivo, sia che questo avvenga con una
linea ferroviaria, o attraverso il controllo mafioso o con un esercito di occupazione.
La Palestina, diceva Vittorio Arrigoni, può essere anche sotto casa nostra.
Ascolteremo ora la testimonianza di Maya, attivista per i diritti umani. Essa
si reca spesso in Palestina con altri internazionali, non solo per
solidarietà con la gente palestinese, ma per aiutare i contadini nei loro
lavori e a superare le innumerevoli difficoltà che ogni giorno essi
incontrano.
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Le comunità di Terra Madre sostenute da Slow Food stanno realizzando in Africa orti
familiari, scolastici, comunitari nei villaggi
e nelle periferie delle città. Sono esperienze di agricoltura attente alle
diverse realtà, che sostengono la sovranità alimentare delle comunità,
valorizzano i prodotti locali, aiutano a gestire in modo sostenibile suolo e
acqua; riuniscono generazioni
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diverse, che custodiscono i saperi tradizionali ma
promuovono anche nuove conoscenze.
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Una testimonianza: "Il
progetto perché pensa al futuro: noi stiamo invecchiando e i giovani non
vogliono più coltivare la terra. Chi nutrirà loro e i loro figli? Grazie per
insegnare a questi ragazzi come coltivare il proprio cibo. Ora so che avranno
da mangiare" Eliazari Magala, nonno (Uganda).
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DALLA MIA
TERRA ALLA TERRA -la storia di Sebastiao e Leila
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Perché questa
storia:
Sebastiao Salgado è un fotografo di origine brasiliana. Le sue foto sono
conosciute in tutto il mondo ma la sua storia, le sue scelte umane e
professionali e il suo sguardo sul mondo sono poco note e, a nostro avviso,
ci riguardano. Inoltre dopo aver attraversato un periodo difficile dovuto al
dolore per le violenze e le distruzioni che aveva documentato per molti anni
(un dolore che gli aveva fatto perdere la fiducia nell’umanità e la speranza
e che lo aveva portato ad ammalarsi) ha trovato un percorso che gli ha ridato
speranza e fiducia. Un percorso che ci sollecita. Per questo abbiamo voluto
raccontare questa storia di nascita e rinascita, rifacendoci al libro “Dalla
mia terra alla terra”, al film “Il sale della terra” e
alla sua ultima mostra fotografica “Genesi”.
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L’infanzia, la
terra e la luce: Sebastiao
è nato nel 1944 nello Stato di Minas Gerais in Brasile, nella grande e
verdissima valle del Rio Doce. La sua famiglia possedeva una fattoria che
dava lavoro e sostentamento a 30 famiglie; vi si producevano riso, mais,
pomodori, patate, frutta; vi si allevavano maiali e bovini. Nessuno era ricco
e nessuno era povero. Sebastiao ha vissuto l’infanzia a contatto con la
natura della foresta atlantica ricchissima di biodiversità, di ogni tipo di
piante e di animali; un territorio immenso dove ha imparato a percorrere a
piedi anche grandi distanze.
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Di questa
terra ho ricordi meravigliosi. Giocavo nei grandi spazi, c’era acqua ovunque.
Nuotavo nei corsi d’acqua che erano pieni di caimani, che non attaccano
l’uomo contrariamente a quanto si crede. Avevo un cavallo … e io galoppavo
fino al confine della tenuta […] Sono abituato ai grandi spazi e agli
spostamenti: a dormire una notte in un posto, quella dopo in un altro. Quando
ero molto giovane i miei genitori mi lasciavano andare a visitare le mie
sorelle… già sposate, che abitavano lontano. Percorrevo da solo distanze
equivalenti a quelle tra Parigi e Mosca. Le vie di comunicazione non erano
facili. Una parte del tragitto si faceva a piedi. Così ho imparato molto
presto a viaggiare”. […] Qui ho imparato a vedere e ad amare le luci che mi
hanno seguito per tutta la vita. […] Sono cresciuto con le immagini di cieli
carichi trafitti dalla luce. E queste luci sono entrate nella mie fotografie.
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La formazione,
la militanza politica, l’esilio: a 15 anni lascia la fattoria per
andare nella capitale dello Stato di Espiritu Santo per iscriversi
all’università. Qui vive con altri giovani, comincia a interessarsi di
politica, trova un lavoro per mantenersi, si appassiona agli studi di
economia, anche perché sono anni in cui cresce nei giovani il desiderio di
dare il proprio contributo per far uscire il Brasile dall’arretratezza. Così
scrive di Juscelino Kubitschek, presidente dal 1956 al 1961: “Con lui il
Brasile ha iniziato a risvegliarsi da un lungo sonno di quattrocento anni e noi
avevamo la sensazione di vivere in un paese nuovo. Come molti giovani,
anch’io avevo voglia di partecipare a questo rinnovamento”. Presto si
accorge dell’impoverimento delle popolazioni inurbate, delle disuguaglianze
sociali, dei meccanismi economici che causano la povertà e partecipa
attivamente a movimenti di lotta di matrice cristiano-marxista, ma dopo il
golpe militare la situazione diventa così pericolosa che insieme a Leila che
ha sposato nel 1967 è costretto all’esilio verso Parigi. Leila sarà la sua
compagna nella vita e nella realizzazione concreta di gran parte delle sue
mostre e reportage.
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Dall’economia
alla fotografia: A Parigi nonostante le prime difficoltà trova lavoro
proprio grazie ai suoi studi di economia che gli aprono delle prospettive
anche a livello internazionale, e infatti comincia a lavorare in Africa per
conto dell’Organizzazione Internazionale del Caffè. Ma è proprio in
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Africa che scopre di trarre
maggiore soddisfazione nel documentare la realtà scattando fotografie,
piuttosto che scrivendo relazioni. E così dopo un tempo d’incertezza nel 1973
decide di lasciare le buone prospettive di lavoro da economista per un
incerto futuro da fotografo.
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L’attenzione per i grandi temi del
nostro tempo:
Salgado dedica la sua attenzione ai grandi temi del nostro tempo: la povertà,
lo sfruttamento del lavoro, le migrazioni dei popoli, i diritti degli
indigeni, le guerre, gli effetti distruttivi dell’economia di mercato, le
carestie. Non fotografa mai carpendo ai soggetti la loro immagine ma vive per
molti mesi, e cammina per migliaia di chilometri, con le persone che intende
fotografare, così che intuiscano il senso del suo lavoro e lo consentano. Le
sue foto e le sue parole esprimono il senso del suo impegno ma mai retorica.
Nel 1973 documenta la siccità e la carestia del Sahel; nel 1974 la guerra
in Angola e Mozambico; nel 1977 vive per molti mesi con i popoli
indigeni del Sudamerica (conoscendo anche le realtà di alcune comunità di
base) realizzando il reportage Altre Americhe. Dal 1984 al 1986
documenta la carestia in Africa in collaborazione Medici senza
Frontiere. Dal 1986 al 1992 mostra il lavoro di produzione industriale in 23
paesi e realizza la straordinaria raccolta La mano dell’uomo. Negli
anni ’90 si dedica al tema delle migrazioni e camminando a fianco dei
migranti per mesi e migliaia di Km realizza In cammino e Ritratti
di bambini in cammino. Nel 1994 fotografa il genocidio nel Ruanda
rimanendone sconvolto. L’ultimo lavoro “Genesi” mostra la grande
bellezza del pianeta e costituisce un appello rivolto a tutti sull’urgenza di
prendersi cura della Terra. Dal deserto della deforestazione alla
rinascita: alla fine degli anni ’90 tutta la violenza che Sebastiao aveva
assorbito in tanti anni lo portano ad ammalarsi nel fisico e nell’anima. Così
decide di tornare in Brasile con la moglie Leila alla fattoria paterna ma lì
trova un territorio devastato dalla deforestazione: dove tutto un tempo era
verde ora c’è una sorta di suolo spoglio e sterile. Leila gli propone:
“riportiamo questa valle al paradiso che era…”. Decidono di affrontare la
situazione e di provare a riportare quel territorio al suo stato naturale di
foresta pluviale subtropicale. Hanno cercato dei partner e fondi a livello
nazionale e internazionale e hanno chiesto aiuto agli indios che conoscono le
piante della zona, e hanno fondato un’organizzazione che si chiama Instituto
Terra. Sono stati piantati più di 2 milioni di alberi di tante specie
diverse native della foresta atlantica e più di 4 milioni di piantine sono
quasi pronte per essere piantate. Quella terra sta tornando verde, il clima
sta tornando normale ed è stato avvistato il giaguaro, l’ultimo anello della
catena alimentare.
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Con Leila e i
nostri amici abbiamo piantato 2 milioni di alberi. Ma ciascuno può fare
qualcosa, secondo le proprie possibilità. Basta sentirsi coinvolti. Leila e
io non siamo ricchi. Ci siamo rifugiati in Francia, abbiamo lavorato. La
fortuna a volte ci ha aiutato e oggi siamo fieri di poter ripiantare la
foresta grazie al frutto del nostro lavoro e a coloro che ci hanno sostenuto.
Ma soprattutto grazie alla nostra energia che ci proviene dalla certezza:
tornare al pianeta è l’unico modo per vivere meglio.
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Riflessione
biblica
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dal vangelo di Matteo 1,18-25
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“Ecco come Gesù Cristo fu generato. Maria, sua
madre, era fidanzata a Giuseppe: ora, prima che essi abitassero insieme, lei
si trovò incinta per opera dello Spirito. Giuseppe, suo sposo, essendo un
uomo giusto e non volendola esporre al pubblico discredito, pensò di
ripudiarla in segreto. Mentre egli meditava queste cose, ecco che un angelo
del Signore gli apparve in sogno dicendogli: "Giuseppe, figlio di
Davide, non temere di prendere con te Maria tua sposa, perché quel che in lei
è generato, è opera dello Spirito; essa partorirà un figlio al quale tu
porrai nome Gesù. Egli infatti salverà il proprio popolo dai suoi
peccati". Ora tutto questo avvenne affinché si adempisse ciò che il
Signore aveva detto per mezzo del profeta: "Ecco, la vergine concepirà e
partorirà un figlio, e lo chiameranno Emmanuel, che significa 'Dio con
noi'". Giuseppe, destatosi dal sonno, fece come l'angelo del Signore gli
aveva comandato e condusse presso di sé la sua sposa, la quale, senza che
egli la conoscesse (sessualmente), partorì un figlio, cui egli pose nome
Gesù.
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Il racconto della nascita di Gesù nel Vangelo secondo Matteo
esce dagli schemi natalizi che col tempo ci siamo costruiti, sostanzialmente
sulla base del racconto dell'evangelista Luca. Qui non c'è la coreografia
della stalla e dei pastori con l'accompagnamento del coro degli angeli, che servono
a Luca per sottolineare, oltre all'eccezionalità dell'evento, anche la sua
dimensione divina. In Matteo è messo invece in evidenza un dramma personale,
molto umano e frequente nel nostro mondo, di Giuseppe che si accorse che la
propria fidanzata Maria era incinta, prima che entrambi andassero a vivere
insieme. Bisogna ricordare che presso gli Ebrei il fidanzamento costituiva un
vero e proprio contratto matrimoniale, ancorché i contraenti non potessero
ancora coabitare, e da questo contratto matrimoniale si poteva recedere solo
con un atto ufficiale di ripudio. In questo caso però si esponeva la
ripudiata alla pubblica riprovazione, come donna adultera, che secondo la
legge doveva subire come pena la lapidazione (cfr. Deut. 22,20s). Giuseppe
viene definito "uomo giusto", cioè un individuo scrupoloso e
osservante della Torah, la legge ebraica che era alla base della vita
sociale. Egli quindi si trova in conflitto tra la propria coscienza, che non
voleva screditare Maria davanti all'opinione pubblica e condannarla a morte
(d'altra parte era legato affettivamente a lei) e l'osservanza della legge
che lo obbligava a ripudiare la fidanzata. Cerca una via di fuga nel voler
tenere il ripudio tutto segreto, ma questo non era certamente facile da
realizzare, sia perché ci voleva per questo un atto pubblico, sia anche
perché non era certamente facile che tutto ciò passasse inosservato in una
piccola comunità come quella di Nazareth.Si può facilmente immaginare il
dramma che scuote Giuseppe e che molto
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probabilmente
lo lascia insonne per diverso tempo. E quando finalmente riesce a prendere
sonno, è tormentato da un incubo che lo agita ancora di più: c'è qualcuno
('angelo' in greco significa messaggero, annunciatore) che nel sogno gli
suggerisce di non aver paura a prendere Maria come sposa, perché quello che è
stato generato in lei è opera dello Spirito. In pratica gli viene suggerito
di non osservare i dettami della legge, di trasgredire ciò che di più sacro
ci poteva essere per un 'uomo giusto', e di accettare una situazione
irregolare, in cui doveva riconoscere l'opera dello Spirito. Anzi si annuncia
che il bambino che nascerà sarà un segno di salvezza per tutto il popolo; si
chiamerà quindi Gesù (che significa 'Dio salva') e in lui si riconoscerà
l'avveramento delle promesse profetiche che annunciavano che Dio sarebbe
stato presente tra gli uomini. Non credo sia stato facile per un uomo molto
religioso come Giuseppe accettare l'idea che una situazione irregolare,
contro la legge mosaica, potesse essere un segno di salvezza per tutta la
società, che un figlio per lui illegittimo potesse operare un cambiamento
radicale nei rapporti umani. Era per lui una contraddizione in termini, al di
fuori di quanto finora aveva creduto. Alla fine accetta di adottare Gesù non
tanto perché effettivamente convinto che questa fosse la reale volontà di
Dio, che lui concepiva come giudice del comportamento dell'individuo in base
alla Torah, ma perché non aveva altra scelta, se escludeva la denuncia e la
lapidazione della sua amata Maria in quanto adultera. E' molto difficile che
l'essere umano capisca l'importanza di certe scelte nel presente; in genere
se ne scopre il valore quando ricordiamo il passato e ricolleghiamo i vari
fatti tra loro. Solo allora possiamo riconoscere l'opera dello Spirito, che
non è legato ai nostri schemi culturali e sociali, ma è libero di soffiare
dove e come vuole. La salvezza della società sta nel superamento di certi
schemi attuali che non permettono all'individuo lo sviluppo della propria
creatività e nemmeno un salto di qualità verso una migliore convivenza.
L'irregolarità o anche l'illegittimità di certe situazioni possono essere
elementi altamente positivi per tutti, nella misura in cui aprono ad un
progetto di giustizia e di verità per tutto il popolo, per l'intera umanità.
Così è stato per Gesù e il suo progetto di vita, che venne riconosciuto come
un salto qualitativo nello sviluppo spirituale dell'umanità, tanto da
considerare la sua persona come un sole che rinasce e che rivitalizza
l'essere umano: per questo è stato scelto come data per la nascita di Gesù il
25 dicembre, che già era nell'impero romano la festa della luce, perché tale
giorno rappresenta un punto di svolta del percorso del sole che riprende ad
amplificare sempre più la durata della sua luce e dona all'essere umano la
speranza in un futuro diverso. Gesù, nell'irregolarità della sua nascita e
nel superamento degli schemi sociali esistenti al suo tempo, rappresenta un
nuovo sole che dona a tutti la sua luce di verità, la speranza del superamento
di tutti gli egoismi e di tutte le grettezze umane.
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Lettura comunitaria
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“Pane, quanto sei semplice e sublime, congiunzione
di germe e di fuoco, tu sei azione dell'uomo, miracolo ripetuto, volontà di
vita. Noi semineremo di grano la terra e i pianeti, pane per ogni bocca e per
ogni uomo. Pane per tutti i popoli. Tutto ciò che ha forma e gusto di pane:
la terra, la bellezza, l'amore... tutto è nato per essere condiviso, per
essere dato, per moltiplicarsi..., Anche la vita avrà forma di pane, sarà semplice
e sublime, innumerevole e pura. Tutti gli esseri avranno diritto alla terra e
alla vita. Così sarà il pane di domani,il pane per ogni bocca, sacro,
consacrato, perché sarà il prodotto della più lunga e della più dura lotta
umana”.
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