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mercoledì 5 giugno 2013

L’Aquila 5 maggio 2013




Comunità dell’Isolotto - Firenze, domenica 2 giugno 2013
L’Aquila 5 maggio: i cittadini hanno ripreso per un giorno il centro storico colpito dal terremoto.
a cura di  Mario e Paola
Letture.
Dal libro dei Salmi (122): Saluto alla città

Fui ben lieto di sentirmi dire:
ce ne andremo alla casa del Signore.
E posano ormai i nostri piedi
Tra le mura tue, Gerusalemme!
Gerusalemme, la città ricostruita
Tutta in se stessa compatta.
Ché  ivi ascendono le tribù,
       le tribù del Signore
 -- legge d’Israele – per le laudi
         Al nome del Signore.
Ivi stanno i seggi di giustizia
         Della casa di Davide.

   Augurate a Gerusalemme pace!
Sian prosperi (tutti) i tuoi devoti.
Sia la pace sopra le tue mura,
prosperità entro le tue dimore!
Per i miei fratelli e i miei sodali,
per te fo auguri di pace!
Per la casa del Signore Dio nostro
Invoco per te ogni bene.

La civiltà descritta nell’antico e nel nuovo testamento relativa al popolo d’Israele è una civiltà ancora prevalentemente nomade e contadina. Le città che vengono evocate sono quelle dei grandi imperi confinanti con la Palestina, prima quelli di Mesopotamia e dell’Egitto, e poi quello Romano. Quando le dodici tribù vengono unificate sotto i primi re e in particolare sotto Davide, Sion (Gerusalemme) diventa la città per eccellenza del popolo d’ Israele. Come premessa al tema di oggi che è nuovamente quello di una città storica colpita da un tremendo evento naturale quale il terremoto, e dei suoi abitanti, ci sembrava bello questo salmo che nel suo saluto alla Gerusalemme la canta come città di pace, di accoglienza e di prosperità.  E’ un augurio questo che dovrebbe accompagnare l’impegno di tutti a far sì che anche L’Aquila sia prontamente ricostruita e torni ad ospitare i suoi cittadini di ieri e quelli di domani.


L’Aquila, 5 maggio 2013.
Aderendo all’invito fatto durante la nostra assemblea del 21 aprile dedicata ai contenuti del  libro di Tomaso Montanari  “Le pietre e il popolo”, abbiamo partecipato assieme a Elio, Mariella e Giovanni alla manifestazione  indetta a L’Aquila il 5 maggio scorso per riproporre con forza l’inizio dei lavori di recupero e restauro del centro storico danneggiato dal terremoto di quattro anni fa. Abbiamo pensato di condividere le numerose foto scattate e i documenti prodotti con chi non è potuto venire a questa bellissima esperienza di partecipazione popolare di riappropriazione della città da parte dei cittadini.
Gli antefatti
6 aprile 2009.   Le varie scosse sismiche succedutesi nell’arco di  giorni determinano ferite gravissime al centro storico dell’Aquila e  a numerosi centri minori dell’Abruzzo. Il centro storico, uno dei più grandi e antichi d’Italia, già in gran parte rifatto a seguito del tremendo terremoto del 1705, è stato quasi completamente evacuato e ridotto ad una zona dove gli edifici provvisoriamente puntellati e imbracati con armature in ferro e in legno, sono ormai da quattro anni interdetti ai cittadini che li abitavano.
Questi ultimi sono stati trasferiti per lo più in numerosi nuovi aggregati costruiti ex novo e in tempi rapidissimi a qualche chilometro di distanza dalla città, denominati eufemisticamente  “new towns” . Si tratta di agglomerati di cemento tutti uguali e senza minimamente la fisionomia della città, che sono costati 833 milioni di euro.
La manifestazione: breve sintesi dello svolgimento  e l’appello finale.
     Su iniziativa di Tomaso Montanari, di altri storici dell’arte e intellettuali come Salvatore Settis, di associazioni quali Italia Nostra e Anisa ( Associazione Nazionale insegnanti di storia dell’arte ), CUNSTA (Consulta universitaria di storia dell’Arte ), AAA/Italia (Associazione nazionale e Archivi di architettura contemporanea),  Comitato per la Bellezza, Eddyburg, Patrimonio SOS, TQ, era stato indetto un grande raduno all’Aquila per il 7 ottobre 2012.  Poiché in quello stesso giorno è stato poi fissata l’inaugurazione ufficiale con intervento del Capo dello Stato del nuovo auditorium realizzato su progetto di Renzo Piano proprio nel parco posto in prossimità di Fonte Lucente, punto di ritrovo della manifestazione, l’iniziativa è sta spostata al 5 maggio 2013..
     La manifestazione si è articolata in due momenti.
La mattina dopo il ritrovo a Fonte Luminosa il corteo di mille persone intervenute nonostante la pioggia è sfilato in silenzio nel centro storico attraverso la zona rossa della città per l’occasione aperta ai manifestanti.
     Nel pomeriggio dopo un pranzo a sacco nella piazza del Duomo e in zone limitrofe, si è tenuto un affollatissimo convegno nella Chiesa di San Giuseppe Artigiano (ex San Biagio d’Amiterno).
Un bel resoconto della giornata è contenuto in un articolo scritto da Salvatore Settis per la Repubblica, che qui riportiamo.
     L’Aquila è ancora in Italia? Il sindaco Cialente ha ammainato la bandiera italiana dalla sua città in rovina e riconsegnato la fascia tricolore al capo dello Stato per esprimere «preoccupazione, rammarico e mortificazione» per l’abbandono in cui giace la città deserta, dove da ottobre, nonostante il (buon) provvedimento Barca, non arriva un centesimo per la ricostruzione, paralizzando i cantieri e consegnando i cittadini a una condizione di «scoramento, sfiducia, rabbia, disperazione, povertà». «Lo Stato ci ha abbandonati», scrive il sindaco; «nella nostra Costituzione si respira la responsabilità istituzionale e democratica che si esprime nei diritti e nei doveri delle istituzioni e dei cittadini. Questo spirito non lo vedo nel comportamento dello Stato».
     Domenica 5 maggio, più di mille storici dell’arte di ogni età (università, soprintendenze, licei...), auto-convocati per un’idea di Tomaso Montanari, si sono raccolti all’Aquila da tutta Italia per vedere con i propri occhi, e denunciare al Paese, il colpevole abbandono del centro storico a oltre quattro anni dal sisma. Echeggia, in questa presenza civile e nelle parole del sindaco, un aspro contrasto fra i principi della Costituzione e il comportamento dei governi.
     In nessun luogo come all’Aquila è evidente il nesso fra le rovine materiali di un centro storico e la rovina morale e sociale che minaccia la nostra società.
     Qui il degrado civile si rispecchia in un doppio disastro, il terremoto e la pessima gestione del dopo-terremoto, che ha privilegiato la costruzione delle cosiddette new towns abbandonando il centro storico, deportando gli abitanti non nelle ridenti città-giardino promesse da Berlusconi, ma in quartieri-ghetto privi di spazi per la vita sociale.    Pensava già a questo il costruttore Piscicelli, quando la stessa notte del sisma se la rideva con un suo compare progettando cemento e affari?
E perché il deputato Pdl Stracquadanio dichiarò alla Camera che «L'Aquila era una città che stava morendo indipendentemente dal terremoto, e il terremoto ne ha certificato la morte civile», se non per giustificare la deliberata distruzione del tessuto sociale?
     Dobbiamo dimenticare queste infamie in nome di una umiliante “pacificazione” che ci costringa all’amnesia?
     È di fronte agli eventi straordinari (come il sisma) che si mettono alla prova le regole del vivere civile: perciò abbandonare L’Aquila sarebbe il sinistro prologo della morte della tutela in Italia. Almeno due volte, in un’Italia assai meno prospera di questa, L’Aquila fu abbattuta da un terremoto, e prontamente ricostruita. Il suo centro storico, tra i più preziosi d’Italia, è il frutto di un atto di fondazione, l’aggregazione di comunità di cittadini che dai “99 castelli” del territorio confluirono nel Duecento in una sola città: un gesto di sinecismo, diremo con parola greca (synoikismos, “darsi una casa comune”).
     La stessa parola che per i Greci descriveva l’origine di città come Rodi o Atene. Il sinecismo dell’Aquila è il massimo esempio medievale di un processo aggregativo di natura economica, etica e civile: le singole comunità mantennero il nucleo identitario d’origine nelle chiese e nei nomi dei quartieri, così contribuendo a definire l’idea italiana di città-comunità. Perciò svuotare il centro per disseminare gli aquilani nelle campagne è un gesto violento quanto il terremoto, capovolge il sinecismo nel suo rovescio, la deportazione.
     Inutilmente la formula inglese new towns tenta di dare una patina colta a questa operazione brutale. Le New Towns furono un esperimento urbanistico iniziato nel 1947 a Londra, per controllarne la crescita. Furono accuratamente pianificate a partire dagli spazi sociali, dai trasporti, da un calibrato rapporto città-campagna: l’esatto opposto di quel che offrono le bugiarde new towns di Berlusconi, che hanno devastato i suoli agricoli senza creare spazi per la vita sociale. E questo all’Aquila, dove gli Statuti medievali prescrissero agli abitanti di realizzare collettivamente, uti socii, gli spazi pubblici (la piazza, la fontana, la chiesa), prima di insediarsi uti singuli nelle loro case!
     Ma la scelta perversa di quel governo resiste alla prova degli anni, e le rovine della città si sommano a quelle della società, alla crescita dei disagi, della disoccupazione, delle malattie mentali. L’Aquila si allontana dall’Italia e dal mondo. Con gli aquilani, vien messa al bando dalla città la maestà della legge, la verità della Costituzione. I nostri centri storici «sono vita, non si possono perdere senza sentirsi mutilati, menomati nello spirito; le rovine sono come cicatrici dello spirito, dove rimane la cecità e l’amnesia, irrimediabile» (Calamandrei).
     Perché non è stata fatta una legge speciale per L’Aquila? Perché non si possono dirottare su questa città-martire i soldi che bastano per acquistare un aereo militare, per costruire un chilometro di Tav? Le promesse di aiuto dei paesi del G8 hanno prodotto finora ben poco: ma perché non si può lanciare la ricostruzione dell’Aquila (necessaria comunque) all’insegna di un grande centro di ricerca e formazione specializzato in interventi in aree sismiche, dalla prevenzione al restauro? Un centro come questo avrebbe da subito un ruolo internazionale, contribuendo alla ricostruzione di quella che rischia di restare una Pompei del XXI secolo, ma senza trasformarla in un theme park, in una Disneyland che ne offenda la storia.
     Il ministro dei Beni culturali, Massimo Bray, ha dato un gran bel segnale con la sua visita all’Aquila domenica; il nuovo governo vorrà, salvando questa città in ginocchio, riaffermare la priorità costituzionale della tutela? «Non c’è più tempo per aspettare domani», dicevano (anzi gridavano) decine di cartelli nelle mani degli studenti, domenica 5 maggio.
( UN FUTURO PER L’AQUILA PREDA DELL’INDIFFERENZA, di SALVATORE SETTIS,VENERDÌ, 10 MAGGIO 2013 LA REPUBBLICA – COMMENTI)

 Appello finale presentato a conclusione del suo intervento introduttivo al Convegno da Tomaso Montanari:
«Ed è per questo che affermiamo con forza che la ricostruzione della città di pietre non basta. Per questo la nostra giornata è intitolata alla «ricostruzione civile».
Gli storici dell'arte sanno che la città di pietre ha senso solo se è vissuta, giorno dopo giorno, dalla comunità dei cittadini. E questo legame vitale all'Aquila è stato volontariamente spezzato. Così, anche ammesso che, tra vent'anni, riusciamo ad avere l'Aquila com'era e dov'era, avremo una generazione di aquilani che non è cresciuta in una città, ma nelle cosiddette new town: cementificazioni del territorio senza alcun progetto urbanistico, e anzi immaginate come somme di luoghi privati. Senza spazio pubblico, senza arte, con un paesaggio violato.

Dunque, gli storici dell'arte riuniti all'Aquila chiedono con forza:
1) Che il restauro del centro monumentale dell'Aquila, inteso come un unico e indivisibile bene culturale da proteggere, sia la prima urgenza della politica nazionale del patrimonio culturale. Che il flusso del finanziamento sia costante, e che l'andamento dei lavori sia pubblico, e totalmente trasparente. Che questo processo riguardi anche tutti gli altri centri storici del cratere, parti di un unico sistema ambientale, paesaggistico, urbanistico, storico-artistico.

2) Che l'Aquila risorga com'era e dov'era. Che non si ricorra a demolizioni, e non si ceda all'assurda tentazione di improprie 'modernizzazioni' del tessuto urbano che violino la Carta di Gubbio. Che il significato civile e sociale di ogni monumento, del suo aspetto storico e della sua connessione con tutto l'organismo urbano che lo accoglie sia considerato il primo, più importante, inderogabile valore.

3) Che si rinunci ad ogni progetto di trasformare l'Aquila in una sorta di Aquilaland, cioè in un parco a tema che estremizzi quella perdita di nesso tra monumenti e cittadini che consuma giorno per giorno città come Venezia e Firenze. Per questo diciamo no ai progetti di realizzare parcheggi sotterranei, centri commerciali, richiami turistici a spese del tessuto storico monumentale e abitativo.

4) Che il restauro del centro sia progressivamente accompagnato dal ritorno degli abitanti. Non possiamo aspettare venti anni per far trasferire gli aquilani dalle  'new town'  nelle loro vere case: bisogna immaginare una politica di incentivi che acceleri questo processo, e che faccia progressivamente rivivere il centro. Per far questo, la ricostruzione deve inserirsi in una pianificazione urbanistica governata dalla mano pubblica, e non deviata da interessi privati. A questa pianificazione spetterà anche decidere del futuro delle 'new town': alcune dovranno essere abbattute, per ripristinare il paesaggio, altre potranno forse trovare un uso proficuo, ma solo all'interno di un piano preciso.

Non c'è più tempo: il momento di restituire l'Aquila e i suoi monumenti ai cittadini aquilani e alla nazione italiana è ora».

Lettera di ringraziamento di Tomaso Montanari a chi ha partecipato alla manifestazione
Cari amici,
vi ringrazio di aver partecipato così numerosi alla riunione degli storici dell’arte all’Aquila.
È stata una giornata per molti di noi indimenticabile. Sono sicuro che dopo aver visto quella meravigliosa città senza i suoi cittadini, ferita a morte e quasi senza soccorso da quattro anni, molti di noi guarderanno alla ‘nostra’ storia dell’arte con occhi diversi. Con gli occhi della Costituzione, dei diritti della persona, dell’impegno civile, dell’educazione alla cittadinanza.
Il giorno dopo, il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente ha restituito la fascia tricolore al presidente Napolitano, e ha ammainato il tricolore nel centro dell’Aquila. Lo ha fatto perché «sono quattro anni che la ricostruzione non parte; quattro anni che la Citta’, uno dei centri storici piu’ importanti d’Italia, è deserta, distrutta». Nella lettera al Capo dello Stato, il sindaco ha scritto: «Ieri, 5 maggio, mille storici dell’arte Italiani, si sono incontrati a L’Aquila per denunciare lo stato di abbandono del centro storico ed il fallimento della ricostruzione. Mi sono sentito mortificato come Sindaco, mortificato di dover mostrare ancora le nostre piaghe». A leggere i giornali del giorno dopo viene da dire, amaramente, che non è solo la classe politica a disinteressarsi del futuro dell’Aquila: una città e una comunità che non sembrano aver diritto ad un centesimo dello spazio dedicato al discutibile passato di Giulio Andreotti.
Di fronte a tutto questo, ripetiamo con forza:
        l’Aquila è una tragedia italiana, non un problema locale. Il centro monumentale dell’Aquila appartiene alla Nazione: ora la Nazione deve essere al servizio dell’Aquila.
        Non ci stancheremo di ripeterlo: il 5 maggio è stato solo l’inizio. Come hanno detto, con i loro cartelli, gli studenti di storia dell’arte venuti da Napoli «non c’è più tempo per aspettare domani»: il momento di restituire l’Aquila e i suoi monumenti ai cittadini aquilani e alla nazione italiana è ora.
      Col saluto più grato,
      Tomaso Montanari


Riferimenti e documentazione.
Per chi volesse approfondire, può trovare altri resoconti sulla manifestazione e soprattutto i video con gli interventi integrali di Tomaso Montanari e Salvatore Settis  al Convegno del pomeriggio collegandosi in rete ai seguenti links:







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