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lunedì 17 novembre 2014

La relazione tra nonni e nipoti

Comunità dell’isolotto
domenica 16 novembre 2014
La relazione tra nonni e nipoti
con riflessioni e parole del gruppo genitori e dei nostri ragazzi


Lettura dal Vangelo di Luca
.. vi era un sacerdote di nome Zaccaria, della classe di Abia, che aveva in moglie una discendente di Aronne, di nome Elisabetta. Ambedue erano giusti davanti a Dio e osservavano irreprensibili tutte le leggi ... non avevano figli, perché Elisabetta era sterile ed entrambi erano avanti negli anni.
Avvenne che, mentre Zaccaria svolgeva le sue funzioni sacerdotali davanti al Signore durante il turno della sua classe, gli toccò in sorte, secondo l'usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel tempio del Signore per fare l'offerta dell'incenso. … Apparve a lui un angelo del Signore, ritto alla destra dell'altare dell'incenso.
Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timore. Ma l'angelo gli disse: «Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua nascita, perché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio. Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto».
Zaccaria disse all'angelo: «Come potrò mai conoscere questo? Sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni».
L'angelo gli rispose: «Io sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio e sono stato mandato a parlarti e a portarti questo lieto annuncio.  Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo».

I personaggi del racconto: Zaccaria ed Elisabetta sono una coppia in là con gli anni senza figli. Fanno parte dell’elite religiosa d’Israele e sono considerati “giusti”, sono osservanti in modo irreprensibile di tutte le leggi.
La scena: l’annuncio di Dio dell’arrivo di un figlio si svolge proprio nel momento in cui Zaccaria è entrato nel tempio per svolgere una funzione prestigiosa che capitava a sorte e molto raramente[1]: entrare nel tempio per offrire l’incenso. Zaccaria resta turbato, quasi infastidito, sostanzialmente sordo e incredulo. E Zaccaria che non ha ascoltato, non ha capito, che non si è fatto coinvolgere dal  messaggio di novità, finisce per restare muto, incapace di nuove parole.
Ma perché Zaccaria non accoglie una bella novità come la nascita di un figlio? Possono esserci molte riflessioni, molte possibili risposte su questo. Tra queste:
  • Il teologo Alberto Maggi osserva che chi è ligio alle preghiere formali e rigidamente legato ai privilegi delle tradizioni è incapace di cogliere le novità, anche quelle liete, di realizzare i cambiamenti, di cogliere i segni dei tempi, di avere fiducia nel futuro.
  • Le obiezioni intimorite di Zaccaria “…come è possibile, se sono vecchio?” sembrano o sono razionali, di buon senso; ma si può allora dire che “lo spirito di dio”, il nuovo, richiedono di non restare ancorati rigidamente al buon senso, ma di avere la capacità di andare oltre, e di avere fiducia.
Noi più semplicemente osserviamo che spesso i nonni quando nasce un nipote, quando accolgono la ventata di novità che essi portano, trovano una nuova energia positiva, una capacità di fare cose che non avevano mai fatto prima, o cose che facevano prima ma con una prospettiva nuova.

1. I nonni nelle parole dei nostri ragazzi
I nonni mi rendono felice quando …

Tiziano (8 anni): le mie nonne Carla e Bianca mi fanno felice quando ci fanno andare, a me e a Flavio, dal giornalaio e quando ci fanno mangiare tutto quello che vogliamo. E quando usciamo insieme per andare ai giochini.

Simone (10 anni): la mia nonna Lina mi fa felice quando fa un discorso, e poi lo cambia e a me fa tanto ridere.
Mio nonno Ferruccio mi fa felice quando prima di andare a letto mi dà un bacio, e io glielo ridò.

Gaia (18 anni): mi piacciono tanto i miei nonni quando …
quando fanno le loro battute antiche con la loro sapienza contadina
quando il nonno Piero recita le poesie e piange perché si commuove
quando la nonna Edi mi dà i consigli sui vestiti
quando il nonno Tesio fa la pomarola e me la porta per pranzo
quando il nonno Tesio ed io abbiamo aggiustato insieme la bici
quanto il nonno Piero mi corregge le versioni di latino
quando con la nonna Edi decidiamo cosa mangiare per pranzo
quando il nonno Tesio dice “vado via” e poi si addormenta sul divano..

Gregorio (18 anni): mio nonno mi rende felice quando mi racconta di cosa faceva alla mia età; quando mi insegna lavori vari di falegnameria o quando mi porta a comprare le camicie.
Sono felice quanto torno da scuola e capisco che ci sono i nonni dal profumo di ragù per le scale.

Virginia (12 anni):
La nonna Lilli:
Mi piace quando “litiga” con il mio nonno perché sembra una scenetta.
Mi piace quando ci dà le paghette, ce le vuole dare sempre, a volte esagera.
Mi piace quando mi incontra per strada e non mi riconosce e dice al nonno: “Guarda un po’ Fosco, sembra la Virginia! ”
Mi piaceva quando mi faceva tutti i pranzi e cene pieni di roba buonissima. Ora non sta tanto bene.
Il nonno Fosco:
Mi piace quando si perde nel suo mondo e non ascolta più nessuno.
Mi piace quando mi racconta tutte le volte la storia di Dante e Marradi.
Mi piace quando mi racconta questa specie di barzelletta:
-La conosci la barzelletta del cavolo?
-No
-Nemmeno io!
Mi piace quando mi guarda e per nessun motivo ride.
La nonna Luisa, mi piace quando mi fa le cose buone da mangiare; quando mi regala delle cose che i miei genitori non mi comprerebbero mai! e quando mi dà retta in una discussione.

Matilde (14 anni): Mi piace stare con i nonni quando mi raccontano il loro passato, perché è un modo per vivere da un’altra prospettiva il presente come lo conosco oggi.
Mi piace quando ripetono sempre la stessa cosa o quando la nonna si immagina cose belle, credendo che siano vere, ma non lo sono.
Mi piace quando li accompagno da qualche parte o li aiuto a salire le scale, perché mi sento utile e se penso che posso aiutarli in queste piccolissime cose, affrontare quelle grandi non è più un problema.
Mi piace spiegare ai nonni i meccanismi tecnologici anche se so che non ci capiscono nulla.
Mi piace ricordare le sensazioni di dolcezza che provavo da bambina quando stavo con loro.

Margherita (14 anni): Mi piace tanto quando i nonni mi raccontano di quando erano piccoli, e quando mi insegnano a fare qualcosa.

Dario (17 anni):  Mi ricordo quando mio nonno raccontava a me e a mio fratello delle battute che aveva sentito da giovane e ci facevano ridere molto. Mi ricordo quando da più piccolo gli chiedevo di farmi una spada di legno e poi combattevamo. Il sentimento che provo pensando a lui è semplicemente felicità, ma allo stesso tempo una grande nostalgia. Invece pensando alle mie nonne mi sento protetto e coccolato da loro due, che mi fanno sempre dei buonissimi pranzi, mi tirano su il morale quando sono triste o mi aiutano come possono; infine provo un grande dispiacere per non avere incontrato il mio nonno paterno e la mia bisnonna di cui le uniche cose che so le so grazie ai miei genitori o alle foto dove sono presenti. In generale, pensando ai miei nonni mi sento come a casa e protetto da persone che mi vogliono bene.


2.I nostri nonni (nelle parole di noi genitori)

Lucia: Ho chiuso gli occhi ed ho pensato a quando c’erano i nonni; sono tornata bambina. Che bella sensazione! La casa dei fantasmi. La casa dei nonni è sempre stata un po’ così.
Foto sbiadite, ritoccate, nelle quali ho cercato le somiglianze. Storie passate, avvolte nella nebbia dei racconti di cose mai viste: i panni lavati al fiume, gli incontri coi partigiani nell’Appennino, l’esercito inglese liberatore e però brutale.
Cassetti chiusi, misteriosi, pieni di cose preziose e mutande di lana e forcine e pizzi.
Armadi colmi di vestiti imbustati, che di anno in anno prendono aria, si deve cambiare la naftalina anche se nessuno li mette più.
Poltroncine antiche e divanetti fragili, non ti puoi sedere, non ci puoi buttare la cartella quando torni da scuola.
Lenzuola bianche a coprire i mobili quando si va via.
Le sedie di formica arancione in cucina. E il corridoio lungo con tante porte scure e sopra la soffitta, lassù sì che c’è il passato: il prete per scaldare il letto prima di andare a dormire, la ciotola e la brocca di metallo della toilette, e i bauli di cuoio con dentro  servizi di tazzine e carte ingiallite.
Lì nella casa dei nonni c’è stabilità, sicurezza, accoglienza gratuita, non devi niente in cambio, basta esserci, portare un po’ di vita. C’è pace, calduccio e libertà.
Torno da scuola e il pranzo è sempre pronto e poi c’è anche il gelato.
Il lettone della nonna è bellissimo. Prima di dormire io e mia sorella, la nonna nel mezzo a leggere una storia o a fare la settimana enigmistica e noi a commentare o cercare le parole.. che risate con Don Abbondio!!
La nonna Silvia è dolce, delicata, morbida ed ha il grembiule pieno di caramelle. Prepara sempre cose buone da mangiare e si preoccupa che siamo vestite abbastanza. Ci regala pigiami felpati e pantofole calde.
Ho capito con lei il diritto di lasciarsi andare. Lei lo ha fatto, si è lasciata morire, perché la vita è trascorsa e non può sostenere la perdita dell’unico figlio. Ma è delicata anche in questo “Tesorini non venite a trovarmi in questo posto, non è bello per delle bambine”.

Claudia:
La nonna Rita era la mia nonna di casa, la nonna toscana. Aveva un negozio con laboratorio, faceva i cappelli di paglia, di feltro e di pelliccia e mi ha insegnato che nella vita si deve andare a testa alta, con coraggio e fierezza, e non solo per portar al meglio il cappello. Era una donna minuta, ma con un carattere forte, coraggioso e battagliero. E’ sempre stata capace di risollevarsi: dopo la morte del marito ancora giovanissimo, dopo la casa rasa al suolo dalle bombe, dopo ogni difficoltà. Ma era anche un tipo difficile e non aveva la pazienza di insegnare le cose, perché per lei le cose bisognava impararle al volo, con gli occhi. Da lei ho imparato che si dev’essere capaci di farsi le proprie ragioni e non si deve avere né paura né soggezione di nessuno, né di dottori, né di preti, né di avvocati, né tanto meno delle banche: avevo 16 anni e lei 80 quando andammo insieme alla banca principale della città che secondo lei le aveva fatto un torto, le bastò un attimo per spazientirsi di fronte all’impiegato che le riservava parole gentili ma inconcludenti, e disse a voce spiegata:
- La mi chiami il direttore che lei qui la un’ conta nulla;
- e io: nonna ma parla più piano…
- No, no, ché piano, e devon sentir tutti ….
E quando il direttore dopo averci fatto accomodare in una stanza riservata, continuò discorsi gentili ma inconcludenti, lei sentenziò: “Sa quante banche c’è in città? ..Io prendo tutti i mi quattrini e  me li porto via..”. Non ricordo come finì la questione ma per me è stata una lezione di vita.

La nonna Elena era la nonna di montagna. Un giorno di ritorno da una visita scrissi queste righe, che poi lessi anche il giorno del suo funerale.
Da tempo ogni volta che la incontro accade così. Le prendo la mano. Mi prende la mano. E presto le mani si sovrappongono, a mani giunte, la mia e la sua. La mia destra, la sua sinistra. La mia ha 47 anni, la sua quasi 102. La mia è appena un po’ più rosa, la sua appena un po’ più blu, per effetto delle vene in superficie. Entrambe sono morbide, belle, della stessa piccola grandezza.
Lei, in questo gioco di mani, sorride e dopo un poco dice: “te me someji”, “mi somigli”.
E allora anch’io sorrido, e mi si allarga il cuore. E’ un dono inaspettato, immeritato.
Vorrei che aggiungesse altre parole, che spiegasse il suo pensiero, ma lei, montanara, è di poche parole. E allora posso solo provare ad intuire, immaginare, dal sorriso, dai gesti, dagli occhi.
E così mi perdo a pensare in cosa mai posso somigliarle, oltre - forse - ai colori e alla forma ovale del viso.
In cosa posso somigliarle, lei vissuta all’inizio del secolo scorso in alta montagna, terra di povertà ed emigrazione, terra di dignità e fierezza, ed io, nipote, nata in pianura, con il boom delle nascite e dell’economia degli anni Sessanta?
Lei che ha vissuto due guerre mondiali, due dopoguerra, che ha coltivato la terra, cucito babbucce di feltro, allevato mucche, cresciuto quattro figli e aspettato il marito, muratore, sempre via all’estero emigrante, muratore in Svizzera e Germania; ed io cresciuta nel tempo del benessere per tutti?
La nonna mi guarda persa in questi miei pensieri, sorride di nuovo e conclude: “così po’….”, “ è così che vi vuoi fare...”.
E da quelle due piccole parole, intuisco infine che delle sue molte qualità, una in particolare vorrei avere; in una speciale vorrei davvero somigliarle: la pazienza.
Una pazienza che in lei non è né triste rassegnazione, né stanca sopportazione.
In lei la pazienza è accoglienza e serena accettazione dei cambiamenti; è vitale capacità di vedere, apprezzare e godere di ogni piccola buona cosa che la vita riserva.
In questa che mi sembra una preziosa e davvero rara sapienza spero di somigliarle e di poter pensare, un giorno, che abbia avuto ragione quando mi diceva, o mi augurava, “te me someji”.

Lorenzo: Non ho conosciuto i miei nonni, o meglio, solo la mamma di mio padre che quando ero bambino era già molto vecchia, allettata e viveva immersa in un mondo tutto suo.
Me la ricordo magrolina che parlava fra sé e sé dando vita a lunghi dialoghi con familiari del passato.
In famiglia sono cresciuto con mio padre e mia madre già un po’ anziani per l’epoca e mia sorella e mio fratello più grandi di me di 13 e 12 anni. Posso dire che da bambino non ho avvertito la mancanza dei nonni, credo per il fatto di avere avuto una famiglia molto presente.
Crescendo, verso i venti anni, ho avuto la curiosità di sapere qualcosa di più sui miei nonni e mi sono molto piaciuti i racconti e gli aneddoti sulla loro vita. Ricordo con piacere i miei fratelli che mi raccontavano la loro infanzia in campagna durante le vacanze estive da mia nonna. Ci andavano volentierissimo, la nonna Giulia era simpatica e buffa e non nascondo che sarebbe piaciuto anche a me vivere quella esperienza.

3. Un racconto di Rodari, 1 riflessione, 1 articolo, 4 numeri, 1 spettacolo


  • Un racconto di Gianni Rodari
Un giorno sul diretto Capranica-Viterbo vidi salire un uomo con un orecchio acerbo.
Non era tanto giovane, anzi era maturato tutto, tranne l’orecchio, che acerbo era restato.
Cambiai subito posto per essergli vicino e potermi studiare il fenomeno per benino.
Signore, gli dissi dunque, lei ha una certa età di quell’orecchio verde che cosa se ne fa?
Rispose gentilmente: – Dica pure che sono vecchio di giovane mi è rimasto soltanto quest’orecchio.
È un orecchio bambino, mi serve per capire le voci che i grandi non stanno mai a sentire.
Ascolto quel che dicono gli alberi, gli uccelli, le nuvole che passano, i sassi, i ruscelli.
Capisco anche i bambini quando dicono cose che a un orecchio maturo sembrano misteriose.
Così disse il signore con un orecchio acerbo quel giorno, sul diretto Capranica-Viterbo.



·       Una riflessione: Il valore del legame con i nonni
Pensiamo che il legame tra ragazzi e nonni - quando è adeguato ai ruoli, non-autoritario, non-invasivo e quindi positivo – sia molto significativo ed importante per tutti:
  • è un legame che ci parla di gratuità e del valore del tempo lento: i nonni dedicano tempo, pazienza, insegnamenti, esperienze senza fretta, con calma, senza chiedere riscontri, per la semplice grande gioia di essere lì in quel momento con i nipoti o con i ragazzi in generale;
  • è un legame che sottolinea il valore della memoria, una memoria individuale, familiare e collettiva che è molto importante per le giovani generazioni:  quando i nonni raccontano di quando erano giovani, di quando hanno conosciuto la/il nonna/o, di quando c’era la guerra, di quando si metteva lo scaldino dentro al letto, di quando è passato il fronte, di quando si facevano chilometri a piedi o in bicicletta, si impara la storia familiare e collettiva in un modo intenso, efficace perché trasmesso attraverso un supporto affettivo prezioso. E gli psicologi dicono che i ragazzi hanno un “bisogno profondo” di sapere da dove vengono, di conoscere le “proprie origini”, per capire chi sono, dove vorrebbero andare.
  • è un legame che insegna il valore della manualità: ascoltando i nostri ragazzi parlare dei nonni ci si accorge che a loro piace tanto quando fanno insieme ai nonni la passata di pomodoro, i lavori di giardinaggio, quando riparano la bici, o fanno piccoli lavori di falegnameria. I nonni, che hanno esperienza, conoscenze, insegnano una manualità che è tanto più preziosa quanto più i ragazzi di oggi vivono e giocano con i computer nei “mondi virtuali”. E la manualità, la capacità di fare con le mani, porta con sé piacere, autostima, soddisfazione.
  • è un legame che insegna il valore del cibo buono, fatto con calma e cura: ascoltando i ragazzi parlare dei nonni ci si accorge che a loro piace tanto quando i nonni cucinano per loro … ci sono cose che come fanno i nonni non le fa nessuno … in un mondo dove gli adulti vanno di fretta, e il cibo è spesso “fast food”, il legame con i nonni afferma un modo lento, piacevole, buono di cucinare e di mangiare.
  • è un legame che ci ricorda il legame con la natura e con la terra: i nonni spesso possono insegnare ai bambini i nomi degli alberi, le abitudini di alcuni animali, come si potano le piante, cosa si osserva di una vigna, come di travasano le piante … e questo legame con la terra è molto bello e significativo.

·       Un articolo: I nonni attraverso gli occhi dei nipoti  dott.ssa Sabrina Di Blasio
La nascita di un bambino rappresenta un evento che rivoluziona i dinamismi relazionali dei vari componenti della struttura familiare, dai genitori fino ai neo nonni, costringendo questi ultimi a ricercare e ad adattarsi al nuovo ruolo che di lì in avanti dovranno affrontare.
All’interno del sistema familiare si instaurano rapporti trigenerazionali, con forti implicazioni, affettive ed emotive, poiché i nonni danno vita con i nipoti ad un rapporto diretto, istintivo, talora molto solido, a volte in armonia coi genitori, a volte in contrasto con loro.
Le figure dei nonni nella nostra società hanno sempre avuto funzioni fondamentali nella cura e nell’accudimento dei nipoti durante la crescita. La relazione tra i nonni e i loro nipoti è, in un certo senso, un incontro tra il passato e il futuro, e questa relazione è vantaggiosa per entrambe le parti in causa. I nonni possono avere influenza sul nipote sotto diversi punti di vista, essendo coloro che tramandano i ricordi e le tradizioni familiari, contribuiscono a rafforzare le radici del nipote, forniscono al bambino una preziosa fonte d’affetto e di conoscenze.
Ma come appaiono i nonni agli occhi dei nipoti? Grazie ad una ricerca condotta da Battistelli, Cavallero e Farneti è emerso che la dimensione che più caratterizza l’immagine del nonno agli occhi del nipote è la funzione filiativa: fare qualcosa insieme per il solo gusto di stare insieme. Questa dimensione è tanto più accentuata quanto più la figura del nonno non riveste un ruolo particolarmente autoritario ed è presente soprattutto nei bambini di 4-5 anni che tendono a sottolineare soprattutto la dimensione ludica del rapporto. A partire dai 7-8 anni, invece, i nipoti riconoscono anche la natura affettiva del rapporto, ma è solo  a 10-11 che si raggiunge la piena consapevolezza della parentela che li lega ai nonni e la conoscenza del loro ruolo in tutti gli aspetti.
Uno studio condotto con bambini di età scolare, infatti, ha rilevato che l’immagine che il nipote ha del proprio nonno è fortemente legata all’età del bambino stesso:  tra i più piccoli la figura del nonno è particolarmente ricca di significati simili a quelli dei genitori, nell’età successive invece la figura del nonno sembra impoverirsi sia da un punto di vista affettivo che strumentale, pur non arrivando mai all’abbandono o all’emarginazione.

Nella descrizione dei propri nonni i bambini di 4-5 anni si concentrano più sulle caratteristiche fisiche e concrete, mentre a 7-8 anni iniziano a comparire le caratteristiche personali. Infine, solo a 10-11 anni le descrizioni acquistano un aspetto più evoluto perché contengono anche inferenze psicologiche  e descrizioni legate al carattere dei propri nonni.
Ma l’immagine dei nonni dipende inevitabilmente anche dalla frequenza dei contatti: per esempio la ricerca di Cadessus ha rilevato, attraverso l’espressione grafica, che un bambino che ha contatti regolari e armoniosi con i nonni disegna una famiglia piena di vita riunita attorno ad un tavolo imbandito; il bambino che ci trascorre poco tempo si disegna con loro attorno ad un tavolo vuoto e infine il bambino che non conosce i propri nonni disegna solo un tavolo vuoto.
Questo ci induce a riflettere sull’importanza e la significatività del rapporto nonni-nipoti: tanto maggiore è la frequenza dei loro contatti tanto più si arricchisce il loro processo di crescita. In modo particolare questo legame assume una grande rilevanza per tutti quei nipoti cresciuti dai nonni in una condizione di assenza di uno o entrambi i genitori (lutti, separazioni, abbandoni). Il beneficio maggiore di questo rapporto risiede nella 'solidità affettiva' che i nonni hanno offerto loro nel tempo: l’affetto e la vicinanza ricevuti possono compensare e riscattare sofferenze e lutti subiti.

·           Uno spettacolo di danza: Altissima povertà: duetti sulla trasmissione tra partigiani e giovanissimi   coreografia di Virgilio Sieni

Preghiera eucaristica

Vogliamo coltivare le relazioni positive
e tutti gli aspetti che producono
serenità e benessere,
senso di responsabilità e libertà.

Vogliamo essere felici
per l’intreccio tra le generazioni
perché è fonte di sapienza,
di equilibrio e di felicità.

Vogliamo coltivare la consapevolezza
che i figli e le figlie non ci appartengono,
non sono fatti per rispondere alle nostre aspettative,
ma sono frecce che vanno verso la vita che è loro davanti.

Vogliamo affermare che siamo responsabili di tutti i piccoli,
di tutti i figli, e non solo dei “nostri”,
perché pensiamo di essere legati
da una umanità e fratellanza universale.

Vogliamo credere nelle capacità positive
dei bambini, dei ragazzi e di tutti i giovani,
ed aiutarli a crescere imparando
ad essere per loro esempi credibili.

Ci sembra che questo sia anche il messaggio contenuto
nel Vangelo e nella testimonianza del cammino di Gesù
il quale la sera prima di essere ucciso
dai sacerdoti e dai potenti del tempo,
mentre sedeva a tavola con i suoi amici e le sue amiche,
prese del pane, lo spezzò, lo distribuì loro dicendo:
“prendete e mangiatene tutti questo è il mio corpo”.
Poi preso un bicchiere, rese grazie,
lo diede loro e tutti ne bevvero, e disse loro:
”questo è il mio sangue che viene sparso per tutti i popoli”.

Questo pane e questo vino,
queste riflessioni e queste emozioni,
questa comunità che li offre e li fa propri
divengano segni di liberazione dalle paure e dalle ottusità
e si trasformino in una cultura nuova
nel segno del rispetto, della fiducia reciproca
tra tutte le persone
tra tutti i popoli.




[1] Il sacerdote che veniva sorteggiato per l’offerta dell’incenso non poteva più essere estratto finché tutti gli altri sacerdoti non avessero avuto la stessa possibilità.

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