Comunità dell’Isolotto – Firenze,
domenica 25 gennaio 2015 e…
Islam e Occidente: quali occasioni di incontro per evitare la pericolosa
contrapposizione tra i fondamentalismi?
(riflessioni di Paola e Mario)
Letture:
Dal
Vangelo di Matteo (5,38-46):
“Voi sapete che è stato detto: - Occhio per occhio, dente per dente-. Ma io vi dico di non resistere al malvagio;
anzi se uno ti percuote nella guancia destra, porgigli anche l’altra. Se uno
vuol litigare con te, per toglierti la tunica, cedigli anche il mantello. E se
uno ti forza a fare un miglio, va’ con
lui per altri due. Da’ a chi ti chiede, e non voltare le spalle a colui
che desidera da te in prestito.
Voi sapete che fu detto :-Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico-.
Ma io vi dico: - Amate i vostri nemici, pregate per
coloro che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei
cieli; poiché egli fa sorgere il suo sole sopra i cattivi e sopra i buoni e fa
piovere sui giusti e sugli ingiusti. Perché se voi amate soltanto quelli che vi
amano, quale premio meritate?
Dalla prima lettera di Pietro
2,15-17
Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il
bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti. Comportatevi come uomini liberi, non
servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come
servitori di Dio. Onorate tutti, amate
i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re.
Dai
principi fondanti la Comunità di Medina
“Non ci sia costrizione nella religione:” ( Sura 2,257).
“Dì: la verità proviene dal vostro Signore, creda
chi vuole, e chi non vuole neghi” (Sura 18,29).
“ Se il tuo Signore volesse, tutti coloro che sono
sulla terra crederebbero. Sta a te costringerli ad essere credenti? (Sura
10,99).
[Versetti coranici trasmessi dall’Arcangelo
Gabriele al Profeta Mohammad]
“Da parte del vostro Signore vi sono giunti appelli
alla lungimiranza. Chi dunque vede chiaro lo fa a proprio vantaggio, chi resta
cieco, lo fa a proprio danno” (Sura 6, 104).
“Quanto a me- dice
il profeta- non sono il vostro guardiano” .(Sura 6, 104).
“ Se dio volesse, non ci sarebbero più idolatri, ma noi - dice Dio rivolgendosi al profeta Mohammad- non ti abbiamo designato come loro
custode” (Sura, 6, 107).
“Ammonisci dunque, ché tu altro non sei che un ammonitore, non hai su diloro
nessuna autorità”. (Sura 88, 21-22).
“Chiama al sentiero del tuo Signore con saggezza e belle parole, e non
discutere che nel modo più garbato”. (Sura 16, 125).
Introduzione.
La recente strage dei giornalisti della rivista satirica
Charlie Hebdo a Parigi ha giustamente suscitato una campagna di opinione
pubblica e numerose reazioni che hanno chiamato in causa alcuni valori fondanti
la civiltà occidentale contemporanea quali “la libertà di espressione e
pensiero” e hanno riproposto il tema dell’integralismo collegato alle
confessioni religiose.
Gli spunti emersi in questi giorni grazie alla
mobilitazione e alla reazione civile contro i gravi atti di terrorismo sono
tantissimi e tutti molto importanti.
Tuttavia come membri di una comunità di base che si
rifà all’alveo del cristianesimo ci è sembrato utile proporre in questo
incontro comunitario alcune riflessioni e una proposta di percorso comunitario
per le prossime settimane.
1.
Come è
possibile che religioni che hanno a loro fondamento un messaggio d’amore siano
state e siano ancora oggi utilizzate e travisate in chiave aggressiva e
violenta?
2.
Come mai
parliamo e ci ricordiamo delle religioni solo nei momenti in cui esse diventano
fonte di ispirazione di comportamenti aggressivi e violenti mentre nella normalità
non abbiamo il minimo rapporto di conoscenza e informazione verso di esse?
3.
Le drammatiche
forme di violenza giustificata in nome
della fede, che così frequentemente ci si presenta davanti agli occhi quando
apriamo la televisione o la radio, sono
davvero il frutto di fanatismi o integralismi religiosi, o invece e più in generale la
conseguenza della perdita di significato di concetti come Vita/Morte che
sembrano sempre più improntare la forma mentis degli uomini che vivono la
realtà del villaggio globale dei nostri giorni?
4.
E in parallelo
a questo non sarebbe il caso di interrogarsi come il terreno fecondo per ogni
sorta di fanatismo e terrorismo anche di origine religiosa possa ampliarsi
proprio in proporzione alla perdita progressiva di quei valori dell’umanesimo
che da secoli sono stati il fondamento della civiltà occidentale?
I materiali che sono proposti per questa
riflessione vogliono dare un primo contributo essenzialmente in due direzioni:
a.
Cominciamo a
rimediare alla nostra cattiva conoscenza di ciò che viene indicato come il “nemico” o “ la causa “ del male. Nel caso
specifico l’Islam.
b.
per una vera
cultura di coesistenza civile e fondata sul rispetto reciproco - più che sulla tolleranza
- sull’accoglienza, occorre educare alla conoscenza vera delle cose. Allora come non porsi con urgenza in una
società che è ormai sempre più multietnica e multireligiosa due obbiettivi: A. un ambito specifico e curriculare
di storia delle religioni da inserire nella scuola pubblica prevedendo docenti
opportunamente e specificamente formati. B. la ripresa e lo sviluppo di
momenti continui e intensi di confronto interreligioso.
Materiali e spunti per la riflessione
Dall’intervista
di Fabio Colagrande alla teologa musulmana Shahrzad Houshmand, docente alla
Pontificia Università Gregoriana di Islam sciita nella facoltà (Radio Vaticana,
11 gennaio 2015)
R.
– E’ chiaro che non si può in nessun campo giustificare un atto violento e
l’uccisione di persone innocenti, questo è senz’altro condannato da tutti i
capi religiosi, non solo islamici, perché qui non si tratta della violenza
islamica ma è la violenza che ha colpito il cuore dell’uomo, in sé. Come diceva
Ghandi: chi non è in pace con sé stesso è in guerra col mondo intero. Riprendo
le parole anche di questo grande messaggero di pace che è Papa Francesco, che
riprende, illumina, ci sveglia, ci scuote – come ripete sempre – da questa
“globalizzazione dell’indifferenza” che alla fine è, anch’essa, la causa del
malessere che viviamo oggi. Lui, infatti, ripete spesso di non generalizzare.
Questo sarebbe un atto di grande ignoranza e un’altra violenza verso una grande
fetta dell’umanità che comprende un miliardo e mezzo di persone. Quello che si
sta un po’ facendo è questa generalizzazione che non sarà a favore di nessuno,
non solo non a favore dei musulmani, ma nemmeno a favore dell’Occidente stesso,
perché se non si usa con sapienza un atteggiamento accogliente, capace di
un’analisi vera e profonda, questo non farà altro che causare altre forme di violenza.
Io chiedo all’homo sapiens sapiens di oggi, che nonostante la sua sapienza ha
messo in primo piano le fabbriche belliche e l’economia, di rivedere il
messaggio profondo della rivoluzione francese: libertà, uguaglianza e
fratellanza. Se non approfondiamo questo terzo slogan – fratellanza – fin
quando l’homo sapiens sapiens, che pensiamo di essere noi, non punterà su
questo terzo punto, discrimina una fetta dell’umanità e non sceglie politiche
sociali intelligenti per l’integrazione, per la dignità e per il rispetto, ma
sceglie la generalizzazione, andremo a cadere in altre forme di violenze.
L’Islam, ma non solo, ha
bisogno di riforma
D. – C’è chi dice che eventi
tragici come quello di Parigi si ripeteranno fino a che non verranno
purificate le
fonti di questa violenza che sono in alcune forme di cultura islamista…
R. – Ogni essere umano ha
bisogno di riformarsi sempre. L’individuo ha bisogno di riformarsi, come le
comunità, le società, anche le religioni. Tutti questi eventi ci portano a
riflettere e rivedere alcune delle nostre posizioni. Questo vale anche per una
fetta dei musulmani nel mondo che hanno una visione stretta dell’islam,
soprattutto quelle scuole coraniche: lo Stato del Pakistan dice di non avere le
risorse sufficienti per aumentare le scuole pubbliche e i privati – che non si
sa da dove esattamente vengono – costruiscono queste scuole coraniche che danno
una visione particolarissima del Corano. Allora, la riforma dovrebbe avvenire
sicuramente nell’islam ma anche l’Europa ha bisogno di una riforma, di uscire
da questo eurocentrismo profondo che non vede nelle altre culture nessuna
positività, nessuna forma di democrazia, di benessere. Allora, questo
atteggiamento dovrebbe essere reciproco. Abbiamo bisogno di riformarci a
livello umano, di ripensare la fraternità e di medicare le ferite non con le
bombe ma con l’istruzione, il dialogo e l’incontro. Infatti, leggo il paragrafo
253 della bellissima Esortazione “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco: “Per
sostenere il dialogo con l’Islam è indispensabile la formazione adeguata degli
interlocutori, non solo perché siano solidamente e gioiosamente radicati nella
loro identità, ma perché siano capaci di riconoscere i valori degli altri, di
comprendere le preoccupazioni soggiacenti alle loro richieste e di fare
emergere le convinzioni comuni”. Dobbiamo riformarci tutti, veramente.
Ma Islam vuol dire pace
Il
paradosso è che Islam viene dalla radice s-l-m che in arabo forma “salam” e in
ebraico “shalom”, cioè pace. Esso quindi significa pace e rimanda alla pace
del cuore e della mente che si ottiene quando ci si sottomette a quella verità
ultima del mondo tradizionalmente detta Dio. Questo sottomettersi però non è
da intendersi come cessazione della libertà, come la Soumission descritta da
Michel Houellebecq nel suo nuovo romanzo e come a loro volta l’intendono gli
integralismi islamici di ogni sorta, Is, Al Qaeda, Boko Haram, Hezbollah e
affini. Si tratta piuttosto di sottomettersi nel senso di “mettersi sotto”,
ripararsi, come quando piove forte e ci si rifugia dall’acquazzone. È la
medesima disposizione esistenziale che porta i buddhisti a recitare ogni giorno
“prendo rifugio nel Buddha, nel Dharma, nel Sangha”, e che porta i cristiani a
dire “Amen” cioè “è così, ci sto, mi affido” o a recitare Sub tuum
praesidium. La sottomissione equivale alla custodia e al compimento della
libertà del singolo che trova un porto a cui approdare e quindi una direzione
verso cui navigare: è questo il fondamento originario alla base dell’Islam e
di ogni altra religione…
Oggi però nella mente occidentale l’Islam è ben
lontano dal venire associato a ciò a cui la sua radice rimanda. Evoca
piuttosto il contrario, la guerra, la lotta, il terrore. Un duplice grande
compito attende quindi ogni persona responsabile: prima capire, e poi far
capire, che non è per nulla così. Ieri accompagnando mia figlia a scuola
pensavo che in classe avrebbe trovato un compagno di fede musulmana e mi
chiedevo con che occhi l’avrebbe guardato e con che occhi l’avrebbero guardato
gli altri studenti. La disposizione dello sguardo dei figli dipende molto dallo
sguardo e dalle parole degli adulti. Ma ora qualcuno provi a pensare di essere
un musulmano quindicenne che ogni giorno si sente addosso sguardi diffidenti e
rancorosi, e immagini che cosa finirebbe per pensare dell’occidente.
Non sto per nulla dicendo che se c’è il terrorismo
islamico è colpa nostra perché noi occidentali siamo malvagi e imperialisti,
anche perché sono convinto del contrario, cioè che se c’è il terrorismo
islamico è soprattutto per l’incapacità dell’Islam e delle sue guide
spirituali di gestire l’incontro con la modernità, come più avanti
argomenterò. Sto dicendo piuttosto che siccome il terrorismo islamico
purtroppo c’è ed è in crescita nel cuore stesso dell’Europa, spetta a
ognuno di noi decidere se trasformare ogni musulmano in un nemico e in un
potenziale terrorista oppure no. E tutto procede da come parliamo dell’Islam e
da come guardiamo i musulmani.
L’Islam è una grande tradizione spirituale con
quattordici secoli di storia e con oltre un miliardo di fedeli. L’idea che a
questa religione sia essenzialmente connaturata la violenza è profondamente
sbagliata da un punto di vista teorico e soprattutto è tremendamente nociva da
un punto di vista pratico, perché non fa che suscitare a sua volta violenza e
da qui il gorgo che può finire per risucchiare irrimediabilmente la vita delle
giovani generazioni. È vero che nel Corano vi sono pagine violente e che la
storia islamica conosce episodi violenti, ma questo vale per ogni fenomeno
umano. La Bibbia ha pagine di violenza inaudita e sia l’ebraismo sia il
cristianesimo conoscono il fanatismo religioso e la violenza che ne promana. Lo
stesso vale per l’hinduismo con l’ideologia detta hindutva. Persino il più
mite buddhismo conosce oggi episodi di intolleranza in Sri Lanka e Myanmar.
Dando uno sguardo alla politica, che cosa abbiano
prodotto la destra e la sinistra nel ‘900 è cosa nota: repressione dei diritti
umani e milioni di vittime innocenti. Andando poi all’evento madre da cui è
nata l’idea di laicità nella società europea, cioè la Rivoluzione francese,
nei dieci anni della sua durata (1789-1799) si registra un numero di vittime
variamente stimato dagli storici ma comunque enorme, visto che nei diciassette
mesi del Terrore tra il 1793 e il 1794 si ebbero centomila vittime, una media
di quasi 200 morti al giorno. E tutto questo nel nome di “liberté,
égalité fraternité”, compresa, immagino, la libertà di stampa.
Noi non abbiamo nessun titolo per dare lezioni ai
musulmani, se non uno solo: che siamo più vecchi e abbiamo più storia.
Oggi buona parte dell’Islam, come l’Occidente cristiano nel passato, sta
vivendo l’incontro con la secolarizzazione sentendosi aggredito, nel senso che
i processi di laicità e di modernità risultano per esso come dei virus
infettivi a cui reagisce attaccando e facendo così venir meno la
tradizionale tolleranza che ha contraddistinto buona parte della sua storia.
Dalla Rivoluzione francese alla Seconda guerra
mondiale, in un arco di oltre 150 anni, l’Occidente ha vissuto la sua influenza
con febbri altissime, imparando alla fine a usare quel metodo della gestione
della vita pubblica tra persone di diverso orientamento culturale e religioso
che si chiama democrazia (per quanto ancora in modo molto imperfetto).
E noi questo dobbiamo fare:
esportare democrazia. Non ovviamente nel senso criminale di George Bush e della
sua guerra in Iraq (che ha molta responsabilità per la trappola in cui stiamo
finendo), ma nel senso del rispetto delle idee e della vita altrui, da cui si
produce quello sguardo amichevole che è il solo vero metodo per suscitare pace
e lasciare una società migliore a chi verrà dopo di noi. Questo non significa
che non bisogna essere determinati nella lotta contro i terroristi islamici,
significa solo che occorre sempre saper distinguere l’organismo dalla malattia
contratta. E in questa distinzione dovrà consistere la nostra lotta quotidiana
a favore della pace del mondo.
Vito Mancuso, la
Repubblica 10 gennaio 2015
Considerazioni sul piano storico – da un contributo
di Franco Cardini: Europa, “Occidente”,
Islam: profilo storico e prospettive
DUE FONDAMENTALISMI DA
SMASCHERARE
Esiste senza dubbio un
"fondamentalismo" islamico: è ormai così che siamo abituati e
definire - con un termine preso a prestito dal lessico delle sette cristiane
statunitensi - l'atteggiamento di una quantità di gruppi e di scuole (peraltro
differenti e sovente in conflitto tra loro), nati intorno agli Anni Venti e
sviluppatisi soprattutto nei Sessanta-Settanta del XX secolo, alcuni dei quali
postulano un'applicazione della normativa giuridica emergente dal Corano e
dalla Tradizione (sunna) letteralmente accettati e senz'alcuna elaborazione
esegetica, mentre altri sostengono di voler reinterpretare l'Islam nel suo
complesso per ricondurlo alla purezza delle origini.
Atteggiamenti del genere, com'è noto, sono
stati e in qualche misura sono propri anche di alcune sètte o Chiese cristiane
che, dal medioevo alla Riforma fino ai giorni nostri, hanno proposto un
impossibile "ritorno alle origini" della "Chiesa
primitiva", quella "degli Apostoli". Nel mondo islamico, le
pretese accampate da questi gruppi fondamentalisti possono in realtà, in
qualche misura, rifarsi alle tesi di movimenti religioso-politici del passato (…).
Ma nell'insieme si tratta di istanze nuove,
che ben si potrebbero qualificare come "moderniste": anche - e
soprattutto - quando pretendono di rifarsi a un passato remoto. La loro nascita
e il loro sviluppo di situano significativamente tra l'indomani della prima
guerra mondiale e la sconfitta araba nella "Guerra dei Sei Giorni"
del giugno 1967: dinanzi alla frustrazione profonda del mondo arabo-islamico e
islamico ingenerale, che alla fine del Settecento aveva accolto con quasi
unanime entusiasmo le proposte di modernizzazione che gli provenivano
dall'Occidente ma che ormai si sentiva da esso ripetutamente ingannato, tradito
e umiliato (inganni, tradimenti e umiliazioni che non erano affatto solo
immaginari), nasceva quasi spontanea l'idea di tornare alla purezza della
tradizione musulmana come unico rifugio e unica base per una nuova partenza
spirituale, sociale e politica. Ma l'implausibilità delle tesi fondamentaliste
-…- consiste tanto nell'impossibilità obiettiva d'un'applicazione letterale e
normativa di Corano e di Tradizione come fondatrice d'una vera convivenza
civile, quanto nell'arbitrarietà di tale strada mai proposta finora e quanto,
infine, nel carattere non religioso bensì politico della tesi secondo cui il
dovere principale del musulmano sia la lotta contro il "satana
occidentale".
Questa tesi è una sorta di leninismo politico
applicato alla fede, che sostituisce la lotta di classe con la lotta
religioso-culturale: dovere del musulmano è, semplicemente, uniformarsi con
intimo consenso alla volontà di Dio. Tale il significato della parola Islam, la
radice della quale è la stessa della parola Salam ("pace"). Sarebbe bene
non confondere quindi il sostantivo "Islam" e l'aggettivo
"islamico" (o, meglio, "musulmano", che rispetta di più il
termine originario), che indica il fedele dell'Islam, con i brutti neologismi
"islamismo" e "islamista", che tuttavia potrebbero venir usati
per indicare le idee e i sostenitori della sciagurata riduzione dell'Islam a
ideologia politica. Una manovra, questa, che si autodefinisce antioccidentale:
mentre al contrario - accettando proprio uno dei peggiori prodotti della
cultura occidentale, l'ideologismo politico - denunzia proprio una perniciosa
dipendenza dall'Occidente nei suoi aspetti meno positivi.
Esiste d'altronde, com'è noto, anche un
"fondamentalismo" occidentalistico: figlio della caratteristica
intolleranza illuminista, che usa com'è noto travestirsi da tolleranza ma che
al contrario è profondamente convinta che il mondo delle democrazie liberali e
del liberismo economico sia il migliore dei mondi possibili e l'unico, finale e
necessario traguardo possibile di qualunque umana cultura.
Questo disprezzo per l'
"Altro-da-sé", capace di tollerare culture differenti dalla sua solo
nella misura in cui le ritiene fasi transitorie da percorrere per giungere alla
"maturità" occidentale e che in ultima analisi non concepisce niente
che nella breve o nella lunga durata possa sfuggire al suo Pensiero Unico e ai
modi di vita e di produzione da esso proposti, sembra aver di recente
guadagnato anche alcuni ambienti cattolici, magari d'origine
"tradizionalista". .
Siamo dinanzi a un nuovo, inatteso totalitarismo.
E difatti, ne ha i connotati. Annah Arendt sosteneva che il totalitarismo, in
quanto tale, ha bisogna di un "nemico metafisico": ed ecco il
"borghese" per il comunismo, l' "ebreo" per il nazismo.
[….]
Diciamo la verità. Siamo dinanzi al pericolo
di un vero contagio intellettuale e massmediale, che potrebbe dar luogo a un
nuovo fenomeno maccartista. D'altronde, l'immagine dell'Islam come
"millenario avversario" del nostro Occidente ha largo corso in un
mondo disinformato, dotato di scarsa e superficiale conoscenza della storia,
abituato agli schemi scolastico-bignameschi, poco abituato a pensare per
categorie religiose incline quindi a sottovalutarle e a considerare
semplicisticamente i fenomeni che le riguardano, senza far le dovute distinzioni)
e infine profondamente scosso dopo i tragici fatti dell'11 settembre del 2001.
Bisogna dire che questo errore di prospettiva,
irresponsabilmente avallato da alcuni mass media e opinion makers, riceve
purtroppo un'apparente conferma indiretta nel comportamento di alcuni ambienti
musulmani, essi stessi molto poco informati sia della sostanza della loro fede,
sia della -del resto molto complessa - realtà politica e culturale del nostro
mondo, nel quale essi magari si trovano per esigenze di lavoro o di sopravvivenza,
che credono di conoscere sufficientemente perché ne parlano un po' le lingue e
ne guardano i programmi televisivi, ma che nel nucleo profondo sfugge loro
tragicamente.
In questo modo, i fondamentalisti nostrani e
quelli islamici, magari entrambi in buona fede, fanno entrambi il gioco degli
agenti terroristi il fine dei quali è, appunto, tradurre in pratica l'infausta
profezia di Samuel Hungtington e giungere allo scontro fra civiltà.
Esiste un antidoto? Sì: ma va assunto subito,
e in massicce dosi, prima che sia troppo tardi. Non è verso il melting pot
multiculturale che bisogna andare, bensì verso il salad bowl della convivenza
entro uno stesso quadro pubblico e istituzionale, nel rispetto delle medesime
leggi e nel mantenimento di quelle tradizioni proprie a ciascuna cultura che
con tali leggi non siano in contrasto.
Bisogna moltiplicare - a cominciare dalle
istituzioni, dai posti di lavoro, dalle scuole - le occasioni d'incontro,
approfondire le nostre rispettive identità e al tempo stesso studiare e
conoscere meglio e più da vicino quelle altrui. Io non credo nella tolleranza
astratta: valore debole e retorico, che vacilla al primo soffiar del vento
della retorica e del fanatismo, che crolla alla prima ingiusta violenza di cui
si sia vittime o spettatori e che non si riesca a razionalizzare e ad
analizzare nella sua struttura storica.
Io credo nell'incontro, nell'interesse e nella
simpatia reciproci che ne nascono, nel confronto tra le tradizioni e le culture
condotto nel rispetto reciproco e nel desiderio di rafforzare la propria
identità attraverso l'accettazione di quel che è accettabile nelle culture
altrui e l'arricchimento che ne deriva. A chi è più vicino un credente
cattolico occidentale: a un ateo occidentale o a un ebreo o a un musulmano che
condividono la sua fede nel Dio d'Abramo e nella Rivelazione, nel dialogo tra
Dio e l'uomo? A chi è più vicino un euro-meridionale: a un arabo-mediterraneo o
a un baltico?
Occidente e Islam: le
sei fasi di un confronto storico.
Un primo nemico da battere è proprio il
pregiudizio psuedostorico […] il presupposto di Hungtington è che quattordici
secoli di storia dimostrano che fra Occidente e Islam la guerra è stata
continua […]
..la storia, quella vera, insegna (…) che i lunghi secoli del
confronto tra Europa e Islam furono certo caratterizzati da crociate e
controcrociate, e non certo senza episodi violenti e sanguinosi; ma che la
crociata non era affatto, non fu mai guerra "totale"; che in quei
lunghi secoli - nei quali le guerre guerreggiate furono nel complesso
endemiche, ma brevi e quasi sempre poco cruente - quel che di gran lunga
prevalse fu il costante, continuo, profondo rapporto amichevole fra cristiani e
musulmani nel teatro del mare Mediterraneo. Un'amicizia che si riscontra
continua: a livello economico, diplomatico, culturale. A questo rapporto
dobbiamo la rinascita dei commerci e della civiltà urbana dopo la stasi
altomedievale; gli dobbiamo la nascita del sistema monetario e creditizio
moderno; gli dobbiamo - grazie a uno stuolo d'instancabili traduttori arabi,
ebrei e cristiani che lavoravano di comune accordo, soprattutto in Spagna - la
stessa nascita scientifica e culturale della teologia, della filosofia,
dell'astronomia, della fisica, della chimica, della medicina, della matematica,
della tecnologia moderne.
Senza l'apporto
dell'Islam - riciclatore della cultura ellenistica e divulgatore di quelle
persiana, indiana e cinese altrimenti sconosciute all'Europa - non sarebbe mai
nata la splendida Europa delle cattedrali e delle università, l'Europa dalla
quale è scaturita quella stessa modernità di cui tanto andiamo fieri. Gloria e
riconoscenza eterna, diciamolo da europei e da moderni, all'Islam di Avicenna,
di Averroè, di Ibn Khaldun: senza i quali non avremmo avuto né Abelardo, né
Tommaso d'Aquino, né Dante, né Machiavelli, né Galileo. Certo, l'Islam di oggi
non è più quello di allora. Ma anche su ciò, bisogna intenderci. Europa e
Islam hanno potuto trattare da pari a pari finché sono stati più o meno sullo
stesso piano. Cerchiamo di distinguere i loro rapporti in sei specifiche fasi.
….[Si delineano le diverse fasi che hanno caratterizzato
il rapporto tra Europa e Islam, e a proposito del periodo a noi più vicino si osserva:]
Dopo l'ondata della conquista dei secoli VII-X
e quella della intermittente guerra turco-ottomana contro l'Europa,ecco
quella che qualcuno chiama la "terza ondata" dell' immaginario
assalto musulmano all'Europa. Quello degli extracomunitari e dei clandestini.
Quello ancora privo di armi nel senso vero del termine, ma tuttavia
"armato" di aggressività culturale e di vitalità demografica e
sostenuto dalla propaganda fondamentalista che mina con l'immigrazione
dall'interno quel "Satana occidentale" che vuol colpire con il
terrorismo all'esterno.
E' un'interpretazione folle: che tuttavia è
condivisa tanto da alcuni estremisti islamici ("islamisti",
appunto, come si dovrebbero più propriamente chiamare: e nelle ragioni dei
quali la religione ha ben poco posto) quanto da alcuni fanatici
occidentalisti che hanno bisogno d'identificare nell'Islam il nuovo
"nemico metafisico".
Diagnosi e possibili terapie
E' fondamentale gestire la sesta fase dei
rapporti tra Occidente e Islam, nella quale attualmente ci troviamo, con
saggezza e moderazione. Tagliando l'erba sotto i piedi alla velenosa campagna
demagogica dei fondamentalisti islamici: vale a dire distinguendo nettamente
gli ambienti, i filoni e i fini dei differenti ambienti musulmani; stringendo
sempre più i rapporti con la stragrande maggioranza islamica che desidera
articolare un rapporto di convivenza tra modernità e Islam; collaborando a
risolvere alcuni problemi cruciali - come quello israeliano-palestinese […]
|
A commento della lettura della
prima lettera di Pietro riportiamo l’omelia di Enzo Mazzi del maggio 1968, tratta dal libro “L’Isolotto: una comunità fra Vangelo e
diritto canonico” di Sergio Gomiti, Edizioni il pozzo di Giacobbe, 2014:
« “Comportatevi
da uomini liberi, non come chi usa la libertà come una maschera per coprire la
malizia, ma da servi di Dio”.
Queste parole di S. Pietro che abbiamo lette dalla sua
prima lettera sono molto attuali.
La libertà è anche oggi la più grande aspirazione
degli uomini e dei popoli. La libertà è una mèta e una causa per la quale
merita veramente spendere tutto.
Ma il cammino verso la libertà, anche oggi come ai
tempi di Pietro, è ostacolato dalla falsità.
L’Apostolo dice che bisogna stare attenti a non usare
della libertà come di una maschera per
coprire la malizia.
C’è dunque un modo vero e uno falso di cercare, di
difendere e di usare la libertà. E’ importante cercare la libertà in modo vero.
Prendiamo un esempio: l’affamato e il sazio.
L’affamato cerca disperatamente la libertà di
sfamarsi; il sazio invece cerca la libertà di godersi in pace la propria
sazietà, senza essere disturbato da nessuno.
Non è difficile capire che il primo è sincero nella
sua ricerca di libertà, il secondo invece è falso, egli usa della libertà come
di una maschera per coprire il proprio egoismo.
Oggi, nella società nella quale viviamo, si parla
tanto di libertà. Sentiamo dire che la nostra società è una società libera e
che dobbiamo difendere questa libertà.
Ma che libertà è la nostra: è vera libertà o libertà
falsa?
Dobbiamo cercare di vederci chiaro, perché la libertà
è una cosa molto importante. La lettera di S. Pietro ci invita a questo esame.
Prendiamo uno degli aspetti più fondamentali della
libertà e che, in questo caso, ci riguarda in modo particolare: la libertà
religiosa.
Si dice che nella nostra società vi è libertà
religiosa. E’ vero questo?
Badate bene che quando si parla di libertà religiosa
non si intende la possibilità di vivere o no la religione esteriormente, la
facoltà di andare o no in chiesa, la possibilità di insegnare la religione
nelle scuole, la possibilità di costruire chiese, ecc.
La libertà religiosa riguarda il più profondo
dell’uomo e in particolare la possibilità di cercare la verità, la possibilità
di pensare, di fare le proprie scelte religiose, di aderire al Vangelo e alla
Chiesa in maniera personale, attiva, responsabile e creativa.
Questa è la vera libertà religiosa. Ma vi è da noi
questa libertà religiosa?
Domandiamoci prima di tutto quale è la libertà
dell’uomo comune, dell’operaio, della persona del popolo in ordine alla ricerca
della verità… La persona del popolo, l’uomo comune deve solo affidarsi a chi ha
il tempo, la possibilità e il compito di pensare e quindi di decidere.
Di fatto la gran massa della gente è considerata solo
a livello delle sue possibilità di lavoro, di produzione. Si guarda come la
massa può essere influenzata, guidata, magari anche contentata; ma le è tolta
la possibilità di pensare e di decidere.
La stessa condizione del lavoro è tale che non c’è tempo
di pensare e i pochi spazi che rimangono liberi sono riempiti spesso da cose
che stordiscono e fanno dimenticare la realtà dei problemi.
La libertà più profonda dell’uomo scompare, e l’uomo
come tale, cioè come persona che pensa e che decide, è ridotto a nulla…
Non vi sembra dunque che nel nostro sistema sociale la
libertà religiosa si riduca davvero a poco più che un paravento?
La stessa struttura ecclesiastica è talmente inserita
in questo sistema sociale che finisce per sostenerlo e per renderlo più oppressivo.
E’ doloroso vedere come gli uomini, per ognuno dei
quali Cristo è morto e risorto, sono considerati, perfino dalla Chiesa, poco o
nulla in quella che è la loro caratteristica fondamentale: la libertà, la loro
libertà di pensare, di maturare e di decidere. Di fatto ciò che la Chiesa
propone agli uomini, alla massa degli uomini, è un complesso di verità e di
cose bell’e pensate, bell’e fatte… Il guaio è che fuori della Chiesa si trova
subito un altro complesso di verità pronto ad accogliere e ad opprimere. Non vi
sembra che anche nella nostra società la libertà religiosa sia un po’ una
maschera, come dice S. Pietro?
Non vi sembra che sia importante aprire gli occhi su
queste cose? Non vi sembra che valga la pena di impegnarsi a fondo perché la
nostra società divenga più rispettosa della libertà delle persone e
specialmente delle persone più umili?
Non ci nascondiamo che si tratta di un impegno assai
difficile, duro e anche rischioso. Ci sembra però l’impegno più importante dei
nostri tempi, perché l’aspirazione alla libertà è senz’altro la aspirazione più
fortemente sentita dagli uomini e dai popoli».
Note:
- bisogna tener presente che l'Islam è
unico e unito nella sua comunità religiosa, l'umma: diviso però in una
pluralità di culture, si stati, di scuole, di gruppi confraternali
- passato coloniale – scelte
sull’insediamento ebraico in Palestina
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