La
memoria ebraica ha trasformato una delle sue pretese basilari in rivendicazione
di diritto alla Palestina, eppure è incapace di riconoscere il diritto altrui e
di apprezzarne il senso della memoria. Gli israeliani rifiutano di convivere
con la memoria palestinese, rifiutano di riconoscerla, nonostante uno degli
slogan nazionali ebraici sia “non dimenticheremo”.
Mantenere la coscienza collettiva in stato di
perenne ricordo per polarizzare il sentimento nazionale è una delle materie
fondamentali insegnate nella scuola israeliana nella prima nella scala delle
priorità sioniste. Ripetono sempre: “possa io dimenticare la mia mano destra,
se ti dimentico Gerusalemme!”. Dopo l’olocausto a cui gli ebrei europei sono
stati sottoposti dal nazismo, il loro moto fondante è diventato “non
dimenticheremo e non perdoneremo”.
Ogni anno gli israeliani commemorano le
proprie vittime. Israele si ferma. Ci sono un museo specifico, un insegnamento
specifico, un programma specifico per ricordare l’olocausto alle nuove
generazioni. Nel libro di Amos Elon intitolato Israeliani, c’è un capitolo specifico dedicato a questo argomento
che dice: “Agli occhi della giovane generazione post-sionista, l’olocausto ha
perciò confermato uno dei temi fondamentali del sionismo classico del 19º
secolo: senza un paese proprio si è la feccia della terra, preda inevitabile
delle belve”. Nel libro viene riconosciuto il fatto che la politica israeliana
strumentalizza l’olocausto come ricatto emotivo.
La cultura israeliana insiste nel saturare i cittadini
con le memorie dell’Olocausto avvenuto in Europa per acuire la sensazione di
esilio e isolamento dal resto del mondo. Sensazione essenziale nella psicologia
e nel temperamento israeliani. Alimentare la memoria israeliana ha, dunque, un
intento politico preciso: acuire la rivendicazione sionista della Palestina
inculcando negli israeliani la convinzione che la minaccia dello sterminio
rimane costante e che tornare e rifugiarsi in “terra d’Israele” è l’unica
garanzia di sicurezza storica e politica.
L’olocausto e sua utilizzazione a fini
politici
Non dimenticare le stragi naziste è un dovere
di tutti, non soltanto degli ebrei. Qualsiasi livello di antagonismo
arabo-israeliano si sia raggiunto, nessun arabo ha il diritto di simpatizzare
con il nemico del proprio nemico, perché il nazismo è nemico di tutti i popoli.
E questa è una cosa.
Però Israele sfoga i suoi rancori su un altro
popolo chiedendo ai palestinesi e a qualsiasi altro arabo di pagare il prezzo
di crimini che non hanno commesso. E questa è un’altra cosa.
Gli israeliani si vantano di fronte al mondo
di essere i primi profughi ed esiliati nella storia dell’umanità, fino al punto
di trasformare questo attributo in un segno distintivo. Però sono completamente
incapaci di comprendere che anche altri possono possedere lo stesso senso.
Non è crudele affermare che il comportamento
dei sionisti contro il popolo palestinese è paragonabile alle pratiche naziste
applicate contro gli stessi ebrei.
Non è
crudele affermare che il comportamento israeliano e quello del movimento
sionista nei rapporti internazionali strappano proprio di bocca il commento: commerciano con il sangue delle vittime
ebree. Con i soldi e l’equipaggiamento ricevuti in risarcimento delle
vittime del nazismo uccidono un altro popolo.
Dunque non è crudele nemmeno affermare che il
modo in cui Israele commemora le vittime del nazismo è caratterizzato dal
ricatto emotivo; in quanto saturare gli israeliani tramite il senso
dell’olocausto spinto all’eccesso e contemporaneamente tramite il bisogno di
vendicarsi non del proprio carnefice ma di un’altra vittima, ossia il popolo
palestinese, è un obiettivo politico.
il sionista arrogante non si vergogna di
vantare che la perdita di 6 milioni di ebrei, o giù di lì, gli è valsa una patria.
(Darwish, Una trilogia palestinese, Feltrinelli, Milano 2014, pgg.45-46)
(Mahmud Darwish, Una trilogia palestinese,
Feltrinelli ed., 2014, p.
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