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Etsi Ruini non daretur,
come se Ruini non ci fosse: questa parafrasi di uno slogan da far risalire al giurita olandese del XVII secolo Ugo Grozio, rilanciato dal grande teologo evangelico tedesco Dietrich Bonoeffer, è lo slogan che caratterizza nella sostanza la vita della maggioranza degli italiani. Non solo dei cosiddetti atei, ma anche dei cristiani e delle cristiane credenti, e perfino di preti, religiosi, suore, teologi. Non vale invece per i centri di potere e in primo luogo per quelli del potere mediatico. I quali ti obbligano alla fine a parlare di Ruini anche se non ne avresti nessuna voglia e quindi ad entrare in contraddizione col tuo sistema di vita.
Quel vivere una spiritualità e religiosità personalizzata, come se non ci fossero dogmi e imposizioni morali dall’alto, lo chiamano “religione fai da te”, in parte a ragione e in parte a torto.
A ragione perché si tratta di un’estensione dell’individualismo moderno alla dimensione religiosa ed etica. E’ la religione del danaro che è essenzialmente individualista. Il dominio della mediazione del danaro, astrazione quasi assoluta, frantuma tutti i rapporti umani, tutte le relazioni, da quelle più intime a quelle sociali e politiche a quelle ecclesiali. Il “fai da te”, non come autonomia responsabile dell’essere individuo in relazione, ma come autismo imposto dalla competizione generalizzata, “ognun per sé Dio per tutti”, ben rappresentato oggi da berlusconismo, si estende a tutte le dimensioni della vita compresa la dimensione della religiosità e della fede. Il grande errore di Ruini e di Ratinger è di non vedere come il dorato mantello dell’identità cristiana-cattolica con cui tentano in ogni modo di ravvolgere l’Occidente e il mondo copre e cova e favorisce e sacralizza in realtà la “guerra di tutti contro tutti”. L’identità cristiana non è un mantello protettivo è una coltre funeraria, non è una cupola che nobilita è un sarcofago dell’amore cristiano e del Vangelo. Perché tanti mugugni, tanto dissenso sotterraneo, e pochissime prese di posizione aperte di fronte a questa aggressività ruiniana? Perché nessun teologo esce allo scoperto per dire quello che pensa di una teologia come quella di Ratzinger che non pochi considerano anticonciliare? La paura, certo. Ma la paura è una giustificazione che regge solo fino a un certo punto. Al fondo c’è io credo una impostazione individualista della pastorale e della stessa ricerca teologica, c’è una frantumazione dei rapporti intraecclesiali, c’è una specie di ritorno feudale. E questo è il secondo grave limite che io vedo nel pontificato di Giovanni Paolo II ereditato dal papa attuale e da Ruini. L’esasperazione del centralismo vaticano ha favorito l’individualismo moderno in alleanza con il dominio del danaro perché ha distrutto la circolarità dei rapporti intraecclesiali, ha impedito il realizzarsi della rete delle relazioni, imponendo invece la dimensione radiale, un po’ come nelle ruote di una bicicletta, in cui ogni punto periferico è in rapporto con gli altri solo passando attraverso il centro, che tutto tiene insieme e tutto controlla.
E veniamo all’altra faccia della questione. E’ anche a torto che si definisce “religione fai da te” questo impostare sostanzialmente la propria vita “come se Ruini non ci fosse”. Perché il sottrarsi agli insopportabili imperativi ruiniani, nella misura in cui è fatto consapevolmente e positivamente, costituisce la premessa per una sana ricerca di laicità. E’ un modo per radicare la laicità nell’humus fecondo degli elementi essenziali della sopravvivenza, sottraendola ad ogni lotta ideologica e ad ogni scontro di poteri. E’ vedere la laicità secondo il senso etimologico della parola, la quale proviene come si sa dal termine greco laos che significa popolo.
Certo la premessa, il sottrarsi alle imposizioni etiche dall’alto, chiede che poi si sviluppi la ricerca di una liberazione della religiosità dal dominio del sacro.
E’ la ricerca ad esempio che stanno conducendo le comunità di base in Italia e nel mondo. Esse lavorano per far emergere e sanare traumi spirituali e morali che la mente e tutto il corpo hanno patito perfino a loro insaputa e che si manifestano poi come blocco della speranza, spavento senza parola, vuoto dell’anima. Lavorano per passare dalla perdita inconsapevole e dall’angoscia talvolta senza nome alla ricerca di senso e di speranza: questo vuol dire per loro comunità, primato delle relazioni senza confini, cristianesimo dei segni dei tempi, religione dell’amore critico e creativo. Anche da qui, da questa rivoluzione delle e nelle religioni passa l’anima sociale e solidale del processo di globalizzazione. Perché una tale liberazione della religiosità dal dominio del sacro è un aspetto, non secondario ma certo parziale, di una liberazione più generale dalla cultura della competizione globale. Verranno i tempi della liberazione. Ma forse sono già questi, qui e ora, e non ce ne avvediamo perché i nostri occhi sono offuscati da una nebbia fitta.
Che s’ingrossa col moltiplicarsi dei fondamentalismi di fronte ai problemi etici inediti che c’inquietano: manipolazioni genetiche, senso di illimitatezza delle conquiste della scienza, dissolvimento delle frontiere tradizionali fra vita e morte, nuove forme di convivenza, nuove dimensioni del diritto internazionale. Tutte sfide immani che richiedono da un lato vigile senso critico ma dall’altro anche il diradamento della nebbia che c’impedisce di trovare la strada giusta. Non si trova tutti insieme la rotta più giusta se ognuno o qualcuno, specialmente se dotato di potere, è convinto di essere la stella polare e di possedere la chiave della verità e ti acceca con la sua luce. C’è poi l’accentuarsi della globalizzazione che rimescola tutte le carte. Il processo di globalizzazione può sfociare nello “scontro di civiltà” con l’arroccamento nelle identità codificate e l’enfatizzazione e il potenziamento anche strutturale ed economico degli universi simbolici e delle istituzioni religiose considerate fondamento e baluardo di ciascuna delle civiltà in conflitto. O può invece sboccare nella “positiva contaminazione” reciproca, su un piano di parità, fra culture e religioni e quindi nella realizzazione delle profezie di pace mondiale e globale.
In questo tsunami sociale che caratterizza il nuovo millennio, tenere ferma la barra della navigazione politica, e non solo politica ma anche sociale, penso ai movimenti e al volontariato, sull’asse della laicità è un compito complesso che richiede saggezza, duttilità, capacità di mediare e però anche coraggio e fermezza.
E’ quasi d’obbligo concludere questa apertura alla speranza, di fronte ai pessimismi medievali di Ruini, col discorso di papa Giovanni, Gaudet Mater Ecclesia, nella solenne apertura del concilio ecumenico Vaticano II.
“Nell’esercizio quotidiano del Nostro ministero pastorale ci feriscono talora l’orecchio suggestioni di persone, pur ardenti di zelo, ma non fornite di senso sovrabbondante di discrezione e di misura. Nei tempi moderni esse non vedono che prevaricazione e rovina; vanno dicendo che la nostra età, in confronto con quelle passate, è andata peggiorando; e si comportano come se nulla abbiano imparato dalla storia, che pur è maestra di vita, e come se al tempo dei concili ecumenici precedenti tutto procedesse in pienezza di trionfo dell’idea e della vita cristiana, e della giusta libertà della chiesa. A noi sembra di dover dissentire da cotesti profeti di sventura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo”.
Che questo dissenso di papa Giovanni dilaghi e trovi la forza di manifestarsi. Enzo Mazzi
Su Liberazione dell'8 marzo 2007
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