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domenica 11 marzo 2007

Comunità dell’Isolotto – Firenze, 11.03.2007

Domande sulle rivoluzioni

riflessioni di Carlo, Claudia, Luisella, Maurizio

 

1.        Lettura dal Vangelo

2.        Rivoluzione : una definizione

3.        La rivoluzione del Vangelo e del Cristianesimo

4.        La rivoluzione fuori o dentro l’uomo ?

5.        Alcune domande

6.       Altri spunti

La rivoluzione del buddismo

La rivoluzione del capitalismo

 

1.      Letture dal Vangelo

“Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono :

Ecco la dimora di Dio con gli uomini !

Egli dimorerà tra di loro

Ed essi saranno il suo popolo

Ed egli sarà Dio-con-loro.

E tergerà ogni lacrima dai loro occhi;

non ci sarà più la morte,

né lutto, né lamento, né affanno

perché le cose di prima sono passate.                       [Apocalisse, 21, 1-7] 

 

“Entrato in Gerico, Gesù attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, che cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse :”Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano :”E’ andato ad alloggiare a casa di un peccatore!”. Ma Zaccheo alzatosi disse al Signore :”Ecco, Signore, io dò la metà dei miei beni ai poveri, e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Gesù gli rispose :”Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.                                                                                                                                             [Luca, 19, 1-10] 

 

2. Rivoluzione : una definizione

1 rivolgimento violento e profondo dell’ordine politico e sociale tendente a mutare radicalmente governo, istituzioni, rapporti economici e sociali

2 rapida e radicale trasformazione dell’assetto sociale ed economico di un paese sostenuta o guidata da determinate forze sociali o politiche

3 rapido e radicale mutamento di un sistema economico–sociale dovuto all’introduzione e all’applicazione sistematica di nuove scoperte scientifiche e tecnologiche

4 scompiglio, confusione, profondo mutamento della mentalità, del modo di comportarsi e di agire di una società o di larghi strati di essa: rivoluzione dei costumi profondo mutamento e rinnovamento in campo culturale o artistico in seguito a nuovi studi, nuove interpretazioni, esperienze, ecc.

rivoluzione borghese: modifica del sistema economico e sociale europeo operata dalle classi mercantile e imprenditoriale fra la fine del Medioevo e la nascita dello stato liberale moderno. 

rivoluzione copernicana: capovolgimento della concezione astronomica tolemaica provocata dall’affermarsi della teoria eliocentrica di Copernico.

rivoluzione culturale : profondo mutamento di concezioni, delle basi di un sistema di pensiero, di una tradizione consolidata provocato da nuove teorie o scoperte             [dizionario De Mauro-Paravia]

3. La rivoluzione del Vangelo e del Cristianesimo

In un commento sul passo precedente Massimo Cacciari ha sottolineato la "rivoluzione" di Gesù, che si mescola con i pubblicani e i peccatori, che non ne teme il contagio, che non è venuto per giudicare. Si è soffermato prima sulla distanza tra l'atteggiamento di Gesù e la tradizione del giudaismo rabbinico che considerava detestabile il pubblicano, l'odiato appaltatore delle tasse, mestiere turpe in quanto tale. Nel Vangelo invece non ci sono mestieri impuri: anche i pubblicani chiedono il battesimo di Giovanni, che non impone loro di cambiare lavoro, né lo impone Gesù. Per tutti c'è dunque la possibilità di conversione, del profondo cambiamento di vita operato dalla parola. Più volte il Vangelo evoca la possibilità che pubblicani e prostitute possano superare, nel Regno dei Cieli, i farisei, osservatori solo formali della legge. E' questa la rivoluzione del Vangelo: Gesù non fa esami, non giudica, gli basta la risposta alla sua chiamata. Non giudicare significa non opporsi al male, sottolinea Cacciari, "non fronteggiarlo militarmente opponendo male al male". Zaccheo sale sul sicomoro (albero connesso alla fecondità nelle civiltà antiche, albero della vita); il pubblicano non riesce a vedere Gesù finché resta confuso nella turba, schiavo dell'opinione dominante; lo vede quando "sale" sull'albero, quando trasgredisce e si eleva sulla turba. …Dunque Zaccheo si alza, ma poi scende dall'albero, si umilia, si espone perché Gesù possa andare a casa sua. Ma per questo egli deve liberarsi dai suoi beni, quei beni che sono impedimento all'uomo ("do la metà dei miei beni ai poveri..."). Gesù non sa nulla del suo interlocutore, non chiede nulla, si è solo accorto di essere stato guardato: il Signore è attratto irresistibilmente da chi lo cerca. E da parte sua non ci sono comandamenti: solo un invito di apertura, di trasgressione, di liberarsi dagli impedimenti. Poi Cacciari con il linguaggio del filosofo, dice: … Gesù non si definisce autonomamente, ma chiamando in sè l'opposto, accogliendo l'altro. E' questa una misura umana? E' qualcosa che si può imitare? Possono gli uomini essere perfetti come lo è il Padre? Le cristianità che si sono storicamente costituite, conclude Cacciari, non sono certo concepibili senza questi paradossi; ma la tensione che da essi nasce resta costantemente inappagata.

Ogni rivoluzione è un evento cristiano: il tempo cronologico è successione di passato, presente e futuro. Questa cadenza subisce ogni tanto una scansione violenta: irrompe il tempo escatologico, in cerca di un altro futuro. La rivoluzione è irruzione del tempo escatologico che spezza l’andamento del tempo cronologico. Vano è il lavoro degli storici che cercano le cause della rivoluzione: non è la povertà che i miseri hanno sempre sopportato, non è la paura che i borghesi hanno sempre avuto sulle sorti del loro denaro, non sono le contraddizioni del sistema a generare le rivoluzioni. Queste cause esistono nella vista corta degli storici che spiegano il presente con il passato …perché il futuro che scatena la rivoluzione non è il domani (che l’avanzare del tempo caccerà nell’oggi e nello ieri), ma è tutt’altro tempo: quei cieli nuovi e terre nuove di cui per primo parlò il cristianesimo. Per cui ci sia consentito dire che ogni rivoluzione è evento cristiano. Anche la rivoluzione francese è cristiana, anche la rivoluzione russa è cristiana, anche la rivoluzione nazista è cristiana, perché tutte si alimentano di quella nuova temporalità: l’eschaton che il cristianesimo e non altri ha inaugurato.

Eschaton, che nella direzione dello spazio significa lontano e nella direzione del tempo significa ultimo, è la forma superlativa di ek, che significa fuori. L’eschaton è dunque ciò che è fuori portata. Non è nelle mani dell’uomo che può abitare solo il tempo progettuale, non è nelle espressioni della natura che non conosce una fine perché la sua ciclicità percorre il ritorno. Questo tempo, in versione religiosa, è il tempo di Dio e in versione atea è il tempo dell’utopia e della rivoluzione. In comune queste due versioni sono percorse dalla convinzione che la storia dell’uomo abbia un senso o già scritto all’origine del tempo o da realizzare con il tempo. Ciò che inaugurano è una temporalità che si ribella alla insignificanza della ciclicità della natura e alla brevità della progettualità dell’individuo.

All’immagine escatologica del tempo appartengono l’utopia e la rivoluzione .... l’utopia guarda al futuro con un’etica terapeutica dove i mali si elimineranno tramite il controllo razionale degli effetti, la rivoluzione prevede invece un rovesciamento dal dominio del male a quello del bene; da questo tempo a un altro tempo. Forse per questo dopo tutte le rivoluzioni si è sentito il bisogno di dare il via a nuovi calendari, a una nuova misurazione del tempo, perché, a differenza dell’utopia che ha bisogno di tanto futuro, la rivoluzione prende fuoco per un altro futuro.

Rispetto al senso della storia custodito nell’eschaton, nel tempo di Dio, le opposizioni fra gli uomini non hanno senso. I messaggi di fratellanza e di uguaglianza che oppongono il Nuovo al Vecchio Testamento, quindi il cristiano all’ebreo, percorrono tutte le rivoluzioni che dunque sono eventi cristiani. Il loro sguardo non è lo sguardo di oggi sul domani, il solito sguardo previsionale degli uomini che non credono a un altro senso, lo sguardo dei borghesi incapaci di utilizzare altro pensiero che non sia quello razionale del calcolo; lo sguardo delle rivoluzioni è lo sguardo di Dio che vuole ricreare il mondo perché, anche a cercarlo, in quello esistente non vi trova più senso. I periodi storici senza rivoluzioni non sono quindi periodi di pace, ma periodi dove l’esigenza di senso è molto bassa e soprattutto non fa storia.           [Idee: il catalogo è questo, di U. Galimberti, prof. di filosofia della storia all’università di Venezia]

4. La rivoluzione fuori o dentro l’uomo ?                      

“TIZIANO [...] Sai, il momento rivoluzionario – io ho sempre cercato di spiegarlo in vari modi – è esaltante perché c’è qualcosa di nuovo per cui puoi impegnarti. L’ho detto con la frase più semplice che sono mai riuscito a dire “La rivoluzione è come un bambino: nasce bellino, ma magari dieci anni dopo diventa uno stronzo, gobbo e cattivo.” Anche la rivoluzione quando nasce è affascinante, perché ti promette una novità.

TIZIANO : [...] A che cosa è servito ? A che cosa è servito ?

E’ inutile aver perso milioni di persone, migliaia di teste tagliate, decapitate per le strade, di gente massacrata, per creare oggi una società che è come quella capitalista di Taiwan. Eh no, se c’erano i nazionalisti al potere la facevano meglio, con gli aiuti americani, la bella moglie di Cahng Kai Shek alla televisione, tutti bravissimi. Tu guarda la storia. Avessero vinto i nazionalisti nel 1949 invece di Mao, oggi ci sarebbe stata la nuova Shanghai. Ed è quello che c’è. Allora, a che servono le rivoluzioni? Tutti questi sacrifici veri, che tanti hanno fatto con grande onestà, a che servono ? Se avessero vinto gli altri, la Cina avrebbe sofferto molto di meno e sarebbe comunque diventata quello che è oggi, e forse prima. [...]

FOLCO: Allora non servono le rivoluzioni ?

TIZIANO: E da qui il mio passo verso l’unica rivoluzione che serve, quella dentro di te. Le altre le vedi. Le altre si ripetono, si ripetono in maniera costante, perché al fondo c’è la natura dell’uomo. E se l’uomo non cambia, se l’uomo non fa questo salto di qualità, se l’uomo non rinuncia alla violenza, al dominio della materia, al profitto, all’interesse, tutto si ripete, si ripete, si ripete.

                                                                        [La fine è il mio inizio, di Tiziano e Folco Terzani]  

5. Alcune domande

Domanda di Terzani: A che servono le rivoluzioni ? Tutti questi sacrifici veri, che tanti hanno fatto con grande onestà, a che servono ? Se avessero vinto gli altri, la Cina avrebbe sofferto molto di meno e sarebbe comunque diventata quello che è oggi, e forse prima. Allora non servono le rivoluzioni ?

 

E noi, pensando a tutte gli sforzi fatti, alle conquiste raggiunte con il ’68, con le lotte sociali, sindacali, femminili, nella chiesa, ma anche alle contraddizioni, gli arretramenti che oggi vediamo, cosa ci sentiamo di rispondere alla domanda “ne valeva la pena?, ha avuto senso tutti il nostro impegno?”

 

La risposta di Terzani “l’unica rivoluzione che serve è quella dentro di te” ci convince? Pienamente? Solo in parte? E se anche ci convince - in tutto o in parte - come “cambiare l’uomo?”

 

Gli aggettivi usati per definire la rivoluzione sono “rapida”, “radicale”, “violenta”: non è che le contraddizioni che vediamo negli esiti delle rivoluzioni dipendono da questi 3 aspetti: forse che per ottenere trasformazioni vere, profonde, ci vogliono tempi lunghi, metodi non-violenti e capaci di mettere insieme il nuovo senza cancellare tutto?? E se così fosse come mantenere una bussola?

 

Viviamo in un mondo che ci vuole tutti omologati, ridotti a docili consumatori senza senso critico? Sviluppare nei ragazzi e mantenere negli adulti “il senso critico” e coniugarlo con la capacità di ascolto, e di solidarietà è oggi un “fronte rivoluzionario”. Ci sono modi, spazi, possibilità? Come fare?

Altri spunti:

 

La rivoluzione del buddhismo

Il buddhismo rappresenta una rivoluzione nei confronti dell’induismo, religione politeista praticata in India ancora oggi. Il buddismo è nato in India nella seconda metà del VI secolo a.C. circa ,in esso viene superato il concetto di anima individuale.

Inoltre il buddhismo afferma che gli uomini sono uguali e liberi, arrivando così a cancellare la divisione in caste, con immaginabili conseguenze anche in ambito sociale. Ai rituali ed ai sacrifici di animali, viene opposto il divieto di causare del male ad ogni essere senziente.

In relazione agli dei, non si nega la loro esistenza, tuttavia si afferma che essi non sono in grado di evitare all’uomo la sofferenza, quindi credere o meno in loro, non è rilevante.

E’ per questa ragione che si parla del buddhismo come di una «religione atea»; d’altronde il suo fondatore è un essere umano che ha avuto la capacità e il merito di raggiungere lo «scopo ultimo», l’Illuminazione, traguardo potenzialmente alla portata di ogni essere vivente.

Il Buddha ha sviluppato una scienza della mente, un vero e proprio «sistema psicologico» che porta gli uomini alla guarigione, all'illuminazione , o alla liberazione.

Fra i molteplici suoi appellativi troviamo anche «il grande medico ». La medicina proposta dal Buddha è costituita essenzialmente dalla pratica assidua di consapevolezza, compassione e meditazione.

Si parla spesso di pragmatismo a proposito del Buddha, in quanto egli accantonò ogni discussione filosofica o teologica sull’essenza dell’universo,a causa della loro intrinseca inutilità,così come non si occupò di cosmogonia. Difatti non si pronunciò sull’artefice del mondo e neppure disse perché, come e quando sia stato creato. Dopo l'Illuminazione il Buddha diede il suo primo insegnamento a Sarnath, noto come "Le Quattro Nobili Verità" che indicano la via per liberarsi dallo stato di sofferenza esistenziale propria dell’uomo, senza il bisogno di intermediari sacerdotali come i brahmani, ma attraverso un lavoro su se stessi. Da quel momento passò la sua vita ad insegnare come raggiungere lo stato di Illuminato ad innumerevoli persone. Fondò una comunità monastica a cui poterono accedere gli uomini e successivamente anche le donne, dato estremamente rivoluzionario nella società indiana dell’epoca, che tradizionalmente non consentiva a queste ultime di uscire dalla tutela e dal controllo diretto della famiglia patriarcale.

Le quattro nobili verità :

Duhkha: la sofferenza. - Nella vita c'è il dolore, esso è associato alla malattia, alla vecchiaia, alla morte ed alla nascita; alle condizioni di nascita .all’educazione, dal non ottenere quello che vogliamo. In breve si soffre perché non ci si rende conto che tutto è destinato a finire.

Samudaya: le cause della sofferenza - la sofferenza non è colpa del mondo, né del fato o di una divinità; né avviene per caso. Ha origine dentro di noi, dalla ricerca della felicità in ciò che è transitorio, spinti dal desiderio per ciò che non è soddisfacente.

La sofferenza si manifesta nelle tre forme di "kamatrsna" o desiderio di oggetti sensuali; "bhavatrsna" o desiderio di essere; "vibhavatrsna" o desiderio di non essere.

Nirodha: cessazione della sofferenza : per conoscere la fine della sofferenza occorre lasciare andare l'attaccamento alle cose e alle persone, alla scala di valori ingannevole per cui ciò che è provvisorio è maggiormente desiderabile.

Impermanenza ( niente è permanente) :vi sono molti modi per una vita umana di concludersi prima di morire di vecchiaia. Una lampada a olio consiste in un contenitore con dell’olio e uno stoppino. Quando la lampada è piena fino all’orlo e lo stoppino non è ancora acceso, ciò corrisponde alla situazione di una persona non ancora nata. Una lampada che ha esaurito completamente il carburante corrisponde ad una persona morta di vecchiaia.

 La nostra vita può essere paragonata ad una goccia di rugiada sull’erba: è molto fragile e appena spunta il sole evapora.

Al momento della morte ciascuno è comunque solo per quanto possa essere legato alla propria famiglia, per quanti fratelli e sorelle possa avere, per quanti cari e veri amici possieda. Essi non possono accompagnarci a volte neppure sostenerci nel momento della morte. Anche le cose materiali che sembrano così importanti, per quanto denaro avremo accantonato, per quanto grande e bella possa essere la nostra casa o la nostra auto, non potremo portare nulla di tutto ciò con noi alla morte. Ciò avviene anche per ciò che abbiamo di più intimo e caro, il nostro corpo. La nostra ombra ci ha accompagnato attraverso l’intera vita. Non dovevamo portarla con noi, né preoccuparci che ci fosse o non ci fosse: c’era. Ma persino la nostra ombra non ci accompagnerà in punto di morte.

La sola cosa che realmente conterà al momento della morte sono le impressioni che abbiamo raccolto nella nostra mente e coltivate nella nostra vita .

Entrambe le impressioni positive e negative ci accompagneranno, che lo vogliamo o no. Non è possibile trattenere solo le sensazioni positive e lasciare quelle fastidiose dietro di noi.

Queste impressioni determineranno lo stato della mente. dunque determineranno la nostra esperienza della morte e il tempo seguente.

Se avremo accumulato molte esperienze positive nella mente, sperimenteremo l’effetto appropriato.

Sperimenteremo una grande gioia e non incontreremo la sofferenza collegata alle attitudini negative. Tuttavia, se le impressioni negative sono maggiori nella nostra mente, esse segneranno la nostra esperienza che sarà di dolore e sofferenza.Dobbiamo esserne consapevoli: nulla può aiutarci per la nostra morte e ciò che segue, se non ciò che abbiamo vissuto.



6. La rivoluzione del capitalismo

[Il capitalismo globale nemico di se stesso, di Timothy Garton Ash, professore di studi europei all’Università di Oxford]

 

Qual è il pachiderma presente in qualsiasi ambiente? È il trionfo globale del capitalismo. La democrazia è messa aspramente in discussione. La libertà è a rischio, perfino nelle democrazie di antica creazione come la Gran Bretagna. La supremazia dell’Occidente è in declino. Ma tutti praticano il capitalismo. Lo praticano gli americani e gli europei. Lo praticano gli indiani. Lo praticano gli oligarchi russi e i principi sauditi. Perfino i comunisti cinesi lo praticano. E adesso i membri del più antico kibbutz di Israele, l’ultima utopia di socialismo egalitario, hanno votato per introdurre le retribuzioni mensili variabili, sulla base delle performance individuali. Karl Marx si rigirerebbe nella tomba.

O forse no, perché alcuni dei suoi scritti inspiegabilmente pronosticavano già la nostra epoca del capitalismo globale. La sua formula ha fallito, nondimeno la sua descrizione era presciente.

Questo è il fatto sensazionale dell’inizio del ventunesimo secolo, un fatto di così grande portata e talmente dato per scontato che di rado ci soffermiamo a riflettere quanto sia straordinario.

Non era mai accaduto, prima. "Potrà sopravvivere il capitalismo?" si chiedeva il pensatore socialista britannico G.D.H. Cole in un libro pubblicato nel 1938 con il titolo "Socialism in Evolution" (nella versione italiana "L’evoluzione del socialismo").

La sua risposta all’interrogativo era stata negativa. Al capitalismo sarebbe seguito il socialismo. La maggior parte dei lettori di questo giornale probabilmente sarebbe stata d’accordo nel 1938.                  

Quali sono le grandi alternative ideologiche che si prospettano di questi tempi? Il "socialismo del ventunesimo secolo" di Hugo Chavez appare tuttora un fenomeno locale, tutt’al più regionale, praticato nella sua forma migliore negli Stati ricchi di petrolio. L’islamismo, in certe circostanze etichettato come il preminente antagonista del capitalismo democratico in una nuova guerra ideologica, non offre un sistema economico alternativo (se si escludono le peculiarità della finanza islamica), e ad ogni buon conto non è molto allettante al di là della umma musulmana. La maggior parte dei no-global, degli altermondialistes e, in verità, degli attivisti verdi è molto più brava a mettere in luce i fallimenti del capitalismo globale che a suggerire alternative strutturali. "Il capitalismo dovrebbe essere sostituito da qualcosa di più bello" si leggeva su uno striscione sbandierato a una dimostrazione londinese in occasione del Primo Maggio di qualche anno fa. Chiaramente, siamo in presenza di un problema di definizioni. Quello che fanno le aziende russe o cinesi statali è autentico capitalismo? Fondamento stesso del capitalismo non è forse la proprietà privata? Uno dei massimi esperti americani di capitalismo, Edmund Phelps, docente della Columbia University, ha una definizione ancor più restrittiva di capitalismo. Secondo lui quello che pratichiamo in buona parte dell’Europa continentale, questo modello di stakeholder economy, non è capitalismo propriamente detto, bensì corporativismo. Il capitalismo, dice Phelps, è "un sistema economico nel quale il capitale privato è relativamente libero di innovare e investire senza il placet dallo Stato, né il permesso delle comunità e delle regioni, dei lavoratori e di altri cosiddetti partner sociali". Nel qual caso, si può dunque affermare che la maggior parte del mondo non è capitalista. Reputo troppo restrittiva questa definizione. Di sicuro, in Europa sono presenti varie forme di capitalismo, dalle economie di mercato più liberali, come Gran Bretagna e Irlanda, alle più coordinate forme di stakeholder economy, come Germania e Austria. In Russia e in Cina vi è tutta una gamma di proprietà, da quelle statali a quelle private. Nei processi decisionali delle società a controllo statale hanno maggior peso considerazioni diverse da quella della massimizzazione degli utili, ma anch’esse operano come protagoniste nei mercati nazionali e internazionali e sempre più spesso parlano la lingua del capitalismo globale. Al World Economic Forum di quest’anno a Davos ho ascoltato Alexander Medvedev, ai vertici di Gazprom, difendere l’operato di quella società dicendo che Gazprom è una delle cinque compagnie più importanti al mondo per le capitalizzazioni di Borsa, e che si sforza costantemente di assicurare buoni rendimenti ai suoi azionisti, che guarda caso includono lo Stato russo. Quanto meno, ciò suggerisce un’egemonia della tesi del capitalismo globale. Il "capitalismo leninista" cinese è un caso bordeline di grande rilevanza, ma il modo di procedere a passo di granchio delle aziende cinesi in direzione di quello che noi saremmo portati a definire un comportamento capitalista, più che un comportamento non capitalista, è di gran lunga più evidente di qualsiasi altra evoluzione lo Stato cinese stia compiendo in direzione della democrazia.

La mancanza di una qualsiasi chiara alternativa ideologica significa che il capitalismo è al sicuro per gli anni a venire? Tutt’altro. Al trionfo senza precedenti del capitalismo globalizzato, negli ultimi venti anni si sono accompagnate nuove minacce che si proiettano sul suo stesso futuro. Non sono esattamente le famose "contraddizioni" individuate da Marx, ma potrebbero essere addirittura più gravi. Tanto per cominciare, la storia del capitalismo negli ultimi cento anni difficilmente regge all’opinione secondo cui sarebbe un sistema in grado di auto-correggersi automaticamente. Come fa notare George Soros (che dovrebbe saperne qualcosa), oggi i mercati globali sono più che mai costantemente instabili, sempre più spesso sull’orlo di un’instabilità maggiore. Ripetutamente sono stati necessari ben visibili interventi e correttivi politici, fiscali e legali per integrare la mano invisibile del mercato. Quanto più grande esso diventa, tanto più pesantemente può crollare.

Una petroliera è più stabile di una barchetta a vela, ma se le paratie interne della petroliera si squarciano e il greggio inizia a riversarsi da una parte all’altra durante una tempesta, ci sono i presupposti per un disastro di proporzioni immani. Sempre più spesso, il capitale mondiale è come il petrolio racchiuso all’interno di un’unica gigantesca petroliera, che ha sempre meno paratie interne in grado di evitare che si verifichino fuoriuscite.

C’è poi l’aspetto delle ineguaglianze. Una caratteristica del capitalismo globalizzato pare essere il fatto che esso premia in maniera sproporzionata i suoi protagonisti, non soltanto nella City londinese, ma anche a Shanghai, a Mosca e a Mumbai. Quali saranno le ripercussioni a livello politico del fatto che nei Paesi nei quali la maggioranza della popolazione è ancora infinitamente povera vi sarà un numero ristretto di persone infinitamente ricche? Nelle economie più avanzate, come Gran Bretagna e America, una middle-class ragionevolmente benestante, con un tenore di vita individuale che migliora piano piano, può essere meno infastidita da un gruppetto di super-ricconi, le cui pagliacciate per lo più forniscono loro una consueta razione di diversivi in formato tabloid. Tuttavia, se un buon numero di persone della middle-class inizia a percepire che ci sta rimettendo davvero qualcosa in quel medesimo processo di globalizzazione che rende schifosamente ricca quella manciata di gestori di capitali, che pratica al contempo l’outsourcing in India dei posti di lavoro della middle-class, allora potrebbe scatenarsi una reazione violenta. ..

Più di ogni altra cosa, però, c’è l’inevitabile e insolubile problema che questo pianeta non può sostentare sei miliardi e mezzo di persone e far sì che vivano come vivono oggi i consumatori della middle-class del suo ricco Nord. Nel volgere di soli pochi decenni potremmo aver esaurito i combustibili fossili che hanno impiegato 400 milioni di anni per accumularsi, e in conseguenza di ciò per di più avremo alterato il clima terrestre. Sostenibilità sarà anche una parola grigia e noiosa, ma è pur sempre l’unica vera e grande sfida odierna al capitalismo globale. Per quanto ingegnosi possano essere i moderni capitalisti nell’individuazione di tecnologie alternative – e saranno molto ingegnosi - da qualche parte, su tutta la linea, questo significherà che i più ricchi consumatori si dovranno adattare a sempre di meno, invece che a sempre di più.

Marx pensava che il capitalismo si sarebbe imbattuto nel problema di reperire i consumatori per i beni e gli articoli e le tecniche di produzione in costante miglioramento avrebbero consentito di sfornare in grandi quantità. Invece, è diventato esperto in un inedito ramo della produzione industriale: la creazione di desideri. La genialità del capitalismo moderno è che non solo mette a disposizione dei consumatori quello che vogliono, ma in più arriva addirittura a far sì che essi vogliano quello che esso ha da dar loro. Ed è proprio questa logica di fondo di desideri che si espandono a dismisura ad essere insostenibile su scala globale. E nondimeno: siamo davvero pronti a farne a meno? Siamo lieti di coibentare i nostri loft, di riciclare i giornali e di andare al lavoro in bicicletta, ma siamo effettivamente disposti ad accontentarci di meno affinché altri abbiano di più? Posso dire di esserlo? E voi, lo siete?

 

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