DENTRO L’URNE CONFORTATE DI PIANTO… DI MICHELE SANGINETO
Di Michele Sangineto da Cosenza pubblicato sul ”Quotidiano della Calabria” in data 18 ottobre con il titolo “Anche da noi sale del commiato per gli atei”. A seguito di tale articolo, Michele è stato contattato dal Sindaco di Cosenza il quale lo ha informato che provvederà ad adibire a sala del commiato uno dei locali della nuova porzione del cimitero della città. Il Sindaco si è dichiarato, altresì, disponibile ad una iniziativa pubblica in occasione dell'inaugurazione della predetta sala.
Quando, ormai diciotto anni or sono, morì mio padre Isolo, ci trovammo, mi trovai a dover risolvere il problema, fra gli altri, di come rendergli l’estremo saluto. Mio padre - era stato segretario provinciale del PCI negli ultimi, convulsi mesi del 1943 e, dopo una carriera in banca, uno dei fondatori e il presidente dell’Istituto calabrese per la storia dell'antifascismo e dell'Italia contemporanea (ICSAIC) - era ateo e, quindi, occorreva organizzare, secondo le sue volontà, un funerale non religioso. Non avendo, mio padre, mai ricoperto cariche nelle Istituzioni ed essendo il PCI già trasformatosi in PDS, non restò che inventarmi una cerimonia che ebbe luogo davanti alla cappella di famiglia, nel corso della quale fecero le orazioni gli scomparsi, e rimpianti, Mimmo Garofalo, senatore del PCI e del PDS, e Tobia Cornacchioli, direttore dell’ ICSAIC.
Faceva caldo, era il primo settembre, e i convenuti, amici, parenti e compagni, sia per le temperature che per la novità faticavano a capire, un po’ impacciati, come comportarsi, per la verità non lo sapevo nemmeno io. Sotto un sole cocente feci sistemare la bara accanto alla cappella e chiesi a Mimmo e a Tobia di parlare di papà, al suo fianco, alla piccola folla che si stringeva nell’angusto spazio che si trova, fra una cappella e l’altra, nella parte più antica del cimitero di San Lucido. Si svolse tutto in maniera semplice e, dopo le orazioni, tutti vennero a salutarci e a me non restò che far sistemare la salma nella cappella. Ero riuscito a celebrare, con la dignità e l’amore che meritava, il funerale di un ateo, ma non ero, non sono, soddisfatto.
Avrei preferito avere a disposizione, come in alcune città italiane e in molte città europee e statunitensi, un luogo dove portare la bara prima di seppellirla. Un luogo acconcio nel quale fare la veglia funebre, nel quale ricordare con parole, con la lettura di brani, con musica, con immagini la vita di mio padre e manifestargli affetto dando l’avvio a quel dialogo che può e deve stabilirsi fra i vivi e i morti. Un dialogo che si fonda sulla memoria di chi ci ha lasciato per sempre e che si alimenta del ricordo della sua vita, dei suoi affetti, delle sue preferenze, delle sue idee, del segno da lui impresso su questa terra.
L’ateismo non implica la rinuncia al culto dei morti e della loro memoria, anzi è per me, mi si creda, una cura costante ricordare quelli che non ci sono più, anche a coloro che non li hanno conosciuti, perché sono certo che essi - mio padre, mio nonno Battista - continueranno a vivere finché ci sarà qualcuno che avrà memoria di loro, di una loro azione, di un loro pensiero, di un loro tratto caratteriale, di un loro sorriso.
Per un archeologo, quale io sono, è persino ovvio sostenere che in tutte le società il rito funebre rappresenta una delle espressioni più importanti di identità sociale, un rito che contiene e veicola una grande quantità di significati e di significanti. L’appartenenza culturale, sociale, religiosa è, come negli altri momenti fondamentali della vita di un individuo, fortemente rappresentata nella liturgia funeraria. Gli uomini hanno sempre sentito l’esigenza di trascendere la morte, hanno sempre avuto bisogno di celebrare con la massima partecipazione possibile i riti funebri insieme alla famiglia ed al gruppo sociale d’appartenenza, soprattutto per poter elaborare il lutto, per alleviare, condividendolo con altri, il dolore personale della perdita dei propri cari.
Fino al XVII secolo - fino a quando, cioè, alcuni esponenti dell’illuminismo francese pretesero che le loro esequie fossero celebrate in maniera non religiosa - non vi era altra possibilità che farsi seppellire, in ogni cultura e sotto ogni latitudine, con il conforto di un rito religioso, fosse esso pagano, cattolico, islamico, indù, animista “et cetera”. Solo la rivoluzione francese condusse alle prime normative che prevedevano la possibilità e il luogo per funerali civili. Nell’Ottocento, infatti, molti personaggi famosi cominciarono a “difendersi” dagli interessi clericali sul proprio trapasso, come Victor Hugo che fece sorvegliare la propria stanza da persone fidate e Giuseppe Garibaldi che lasciò in proposito un testamento, più volte citatomi da mio padre che si disse, però, sicuro di non doverne scrivere uno simile perché confidava che avrei eseguito le sue volontà. Così come io confido in mia moglie.
Il funerale civile è, ormai, una cerimonia accettata e, in Europa e negli Stati Uniti, sostenuta con la costruzione di sale e luoghi per la veglia e la commemorazione dei defunti areligiosi. In Italia non c’è quasi nulla di tutto ciò, solo alcune città – Treviso,Venezia, Pesaro, Bologna - si sono distinte per la loro sensibilità nei confronti di questo tema allestendo, o mettendo in cantiere, un luogo idoneo per lo svolgimento di un rito funebre laico.
Propongo che anche in Calabria vengano individuati alcuni luoghi da adibire a “Sala del commiato” spaziose, ben arredate e decorate, attrezzate per render più civile e umanamente più sopportabile la perdita di un caro non religioso. A Cosenza, per esempio, si potrebbe destinare e adeguare, già da subito, uno dei tanti immobili che il Comune possiede, mentre, nel contempo, si potrebbe indire un concorso di idee per il progetto di un edificio da costruire in quell’area, quasi sempre deplorevolmente abbandonata, del Vallone di Rovito nella quale furono fucilati i fratelli Bandiera e Niccolò Ricciotti. In tal modo questa area sarebbe riconquistata per sempre alla città divenendo un luogo della memoria di eroiche virtù e un luogo della memoria laica e civile di esseri umani che, in vita, non erano religiosi.
Sono certo che i sindaci calabresi sapranno trovare un modo per soddisfare questo civile desiderio che ho sentito vivo parlando con tanta gente che, anche di questo sono sicuro, vorrà farsi sentire per manifestare consenso a questa proposta.
Michele Sangineto
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giovedì 21 ottobre 2010
Il funerale civile
Etichette:
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vita e morte
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Non avendo trovato il modo di contattarvi altrimenti, vi prego di modificare il mio nome che è Battista, e non Michele, Sangineto. Grazie
RispondiEliminaBattista Sangineto