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mercoledì 24 aprile 2013

Le pietre e il popolo


Comunità dell’Isolotto - Firenze, domenica 21 aprile 2013
Il patrimonio storico artistico come bene comune.
riflessioni di Paola e Mario
con il contributo di Tomaso Montanari

  1. Letture e riflessioni

dal  Vangelo di Matteo (6, 19-21;25-34)
“Non accumulate ricchezze in questo mondo. Qui i tarli e la ruggine distruggono ogni cosa e i ladri vengono e portano via.  Accumulate piuttosto le vostre ricchezze in cielo.   Là, i tarli e la ruggine non le distruggono e i ladri non vanno a rubare.   Perché dove sono le tue ricchezze, là c’è anche il tuo cuore”.
“ Perciò io vi dico: non preoccupatevi troppo del mangiare  e del bere che vi servono per vivere, o dei vestiti che vi servono per coprirvi. Non è forse vero che la vita è un dono ben più grande del cibo e che il corpo è un dono ben più grande del vestito?   Guardate gli uccelli che vivono in libertà: essi non seminano, non mietono e non mettono il raccolto nei granai … eppure il Padre vostro che è in cielo li nutre! Ebbene, voi non siete molto più importanti di loro?    E chi di voi a forza di preoccupazioni, può fare  in modo di vivere anche solo un giorno di più di quel che Dio ha stabilito?   Anche per i vestiti, perché vi preoccupate tanto?  Guardate come crescono i fiori nei campi: non lavorano, non si fanno vestiti … eppure vi assicuro che nemmeno Salomone, con tutta la sua ricchezza, ha mai avuto un vestito così bello!  Ma se Dio veste così l’erba, che oggi è fresca nel campo e domani è buttata nel fuco, a maggior  ragione non darà un vestito a voi?   Gente di poca fede! “.

Poiché  abbiamo pensato di dedicare la nostra odierna  assemblea al fenomeno sempre più diffuso oggi della mercificazione  del patrimonio storico artistico che abbiamo ereditato dal passato e del valore e  della funzione di crescita culturale, intellettuale e spirituale per tutti i cittadini che la nostra Costituzione repubblicana  attribuisce a questo patrimonio, abbiamo scelto questo brano dal Vangelo di Matteo  che ci sembra contenga un monito molto forte a non porre al centro della vita umana il raggiungimento della ricchezza e il possesso di beni materiali.   E’ bene ricordarsi che Matteo era un levita cioè un esattore, e in questa condizione lo ritrae Caravaggio in uno stupendo quadro ( La  vocazione di Matteo, Cappella Contarelli,  San Luigi dei Francesi a Roma) quando incontra Gesù: in una stanza buia mentre  i suoi aiutanti sono intenti a contare e a prendere i danari delle tasse buttati sul tavolo, Matteo distoglie gli occhi dal denaro e viene illuminato da un raggio di luce proveniente dal lato della stanza dove è entrato Gesù.  Nella conversione di Matteo quindi c’è questo radicale cambiamento della sua vita: l’abbandono della ricerca del denaro e della ricchezza come scopo principale della sua vita, e la scelta di seguire Gesù e di mettersi al servizio degli altri.  Per questo il messaggio contenuto in questo discorso di Gesù, riportato nel suo Vangelo,  risulta più autorevole e credibile.                                                                      Un altro messaggio importante di questo brano è il concetto , riaffermato qualche secolo dopo in modo altrettanto forte da Francesco d’Assisi nel suo Cantico delle Creature, che la bellezza non si compra ma si trova nel mondo ed è un dono per tutti: lo stesso Salomone con la sua ricchezza e  il suo potere non è in grado di avere vestiti della bellezza di quelli Dio dona gratuitamente ai fiori e che tutti possono ammirare.                                                              C’è Un terzo messaggio è contenuto in questo brano:  che lo scopo principale   dell’uomo dovrebbe essere la sua elevazione spirituale e non il perseguimento della ricchezza materiale.


Dall’ Antico testamento, Geremia (Capitolo 7, 1-11.)

 Questa è la parola che fu rivolta dal Signore a Geremia:
 Fermati alla porta del tempio del Signore e là pronunzia questo discorso dicendo: Ascoltate la parola del Signore, voi tutti di Giuda che attraversate queste porte per prostrarvi al Signore.
Così dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Migliorate la vostra condotta e le vostre azioni e io vi farò abitare in questo luogo.
Pertanto non confidate nelle parole menzognere di coloro che dicono: Tempio del Signore, tempio del Signore, tempio del Signore è questo!
Poiché, se veramente emenderete la vostra condotta e le vostre azioni, se realmente pronunzierete giuste sentenze fra un uomo e il suo avversario; se non opprimerete lo straniero, l'orfano e la vedova, se non spargerete il sangue innocente in questo luogo e se non seguirete per vostra disgrazia altri dei,  io vi farò abitare in questo luogo, nel paese che diedi ai vostri padri da lungo tempo e per sempre.
Ma voi confidate in parole false e ciò non vi gioverà:
rubare, uccidere, commettere adulterio, giurare il falso, bruciare incenso a Baal, seguire altri dei che non conoscevate.
Poi venite e vi presentate alla mia presenza in questo tempio, che prende il nome da me, e dite: Siamo salvi! per poi compiere tutti questi abomini.
Forse è una spelonca di ladri ai vostri occhi questo tempio che prende il nome da me? Anch'io, ecco, vedo tutto questo.

Dal Vangelo di Giovanni,( II. 13- 17)
Gesù scaccia i mercanti dal Tempio,
   Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.   Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco.  Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del Tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi,  e ai venditori di colombe disse: "Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato".
 ( cfr. anche Marco, XI, 15-33 e Luca, XIX, 45-48)

Poiché oggi parleremo con Tomaso Montanari del significato dell’arte e della storia dell’arte come conoscenza e come elevazione culturale e spirituale degli uomini, ci sembrava interessante collegare questo brano di Matteo ad un pittore  considerato uno degli iniziatori  in pittura del Rinascimento: Masaccio.
Forse non tutti sanno il motivo per cui questo rivoluzionario pittore si chiamasse Masaccio:  egli nacque il 21 dicembre 1401 a S. Giovanni Valdarno proprio nel giorno nel quale il calendario liturgico della Chiesa celebrava, allora, la festa di S. Tommaso apostolo.
Per questo ebbe  il nome di Tommaso.  Questo suo nome verrà poi storpiato nel soprannome Tommasaccio  e quest’ultimo ancora abbreviato in  Masaccio. Tutto questo non perché fosse cattivo o prepotente, ma perché non curava il suo aspetto esteriore e perché dedicandosi interamente alla pittura trascurava i suoi interessi materiali come ci riferisce  Giorgio Vasari  ne Le Vite… ( la prima grande storia dell’arte e biografia degli artisti,1568):
  «Fu persona astrattissima e molto a caso, come quello che, avendo fisso tutto l'animo e la volontà alle cose dell'arte sola. Si curava poco di sé e manco d'altrui. E perché e' non volle pensar già mai in maniera alcuna alle cure o cose del mondo, e non che altro al vestire stesso, non costumando riscuotere i danari da' suoi debitori, se non quando era in bisogno estremo, per Tommaso che era il suo nome, fu da tutti detto Masaccio. Non già perché e' fusse vizioso, essendo egli la bontà naturale, ma per la tanta straccurataggine; con la quale niente di manco era egli tanto amorevole nel fare altrui servizio e piacere, che più oltre non può bramarsi.»
Ma nonostante questa sua “straccurataggine” egli  ci ha lasciato a Firenze lo straordinario e rivoluzionario  ciclo di affreschi realizzato nella Cappella Brancacci alla Chiesa del Carmine.
Questo tema della vita mortificata o compromessa dalla ricerca della ricchezza è antico, come dimostra per esempio il mito del Re Mida oggetto spesso di rappresentazioni pittoriche di illustri artisti.  Ci sembra significativo il brano con cui Tomaso Montanari illustra e racconta ai bambini in una rubrica del lunedì de “Il fatto Quotidiano”  la favola del Re Mida rappresentata in un quadro del celebre pittore  Poussin:

«C’era una volta un re. Si chiamava Mida, e regnava sulla Frigia. Un giorno, alcuni contadini gli condussero un prigioniero. Era un vecchio, e si chiamava Sileno: l’avevano catturato mentre, ubriaco fradicio, dormiva nei campi. Ma re Mida era un re buono e festaiolo, e amava anche lui il vino. Così liberò Sileno, e anzi indisse una festa di dieci giorni e dieci notti in cui il vino scorreva a fiumi. Poi riaccompagnò Sileno a casa: la stessa casa dove abitava Bacco, il dio del vino.  Il dio fu così felice di rivedere il vecchio amico, che invitò Mida a scegliere un premio. Il re chiese: «Fai che tutto quello che tocco col mio corpo si trasformi in oro». Fu esaudito, ma presto si accorse di non poter mangiare né bere più nulla, perché tutto si trasformava in arido oro. Come si meritava, Mida era ossessionato dall’oro: ed ebbe paura di morire di sete e di fame.
Allora il re tornò di corsa da Bacco, disperato e pentito.
Per fortuna, gli dei sanno talvolta essere miti, e Bacco disse a Mida: «Vai alle sorgenti del fiume Pactolo, metti il capo sotto il fiotto dell’acqua e lava al tempo stesso il tuo corpo e la tua colpa».  Mida fece proprio così, e da allora si liberò e visse felice: ancora oggi egli vive in campagna e tra i boschi, e odia l’oro e la ricchezza.
Anche i pittori raccontano le favole, e il più grande favoleggiatore di tutti i pittori, si chiama Nicolas Poussin. Poussin aveva il dono di farci vedere i pensieri degli uomini che dipingeva, e di farci vedere anche l’anima della natura in cui gli uomini vivono.
In questo quadro vediamo il re Mida in ginocchio, nudo, mentre si offre a questa specie di battesimo, di rinascita alla natura. Poussin amava molto le statue degli antichi romani, e proprio come loro rappresentava i fiumi in un modo strano e poetico: come dei signori nudi e sdraiati che versano acqua da un vaso.
Sembra di sentire il rumore del vento tra gli alberi, il gorgoglìo delle fonti che sgorgano dalle anfore del vecchio Pactolo sdraiato, e le chiacchiere dei putti birichini che lo accompagnano. L’unico oro che vediamo sono le pagliuzze che l’acqua porta via, e soprattutto l’oro leggero che piove dal cielo, nella luce del tramonto struggente che bagna il tronco dell’albero e scalda il corpo e il cuore di Mida pentito.
La pittura dolce e gentile di Poussin ha un messaggio per noi: la comunione con la natura ci libera dalla schiavitù dell’oro.
C’era una volta, la comunione con la natura. Dovrà tornare ad esserci, in futuro. Se lo vogliamo, un futuro. »

  1. Alcuni riferimenti essenziali in materia di tutela del Patrimonio culturale:                    
Per capire meglio il tema affrontato oggi con Tomaso Montanari vorremmo ricordare che già molti secoli fa si è avuta l’dea dell’importanza del patrimonio artistico ereditato dal passato  in quanto memoria, ricordo e testimonianza delle generazioni che ci hanno preceduto e come ’elemento identitario da un punto di vista culturale che ci ha plasmato e ci plasma.  La stessa parola “monumento” entrata nel linguaggio comune per definire gli oggetti di particolare valore storico e artistico deriva dal latino “memento”, cioè ciò che fa ricordare, ricordo e quindi memoria, documento.  Le opere d’arte oltre che per il loro contenuto estetico, cioè di bellezza, proprio perché sono state il modo più efficace per narrare e parlare anche a chi non conosceva la lingua scritta, costituiscono anche un importante elemento di documento delle civiltà che ci hanno preceduto.  
Proprio Tomaso Montanari in uno dei suoi bellissimi articoli con i quali illustra ai bambini alcuni episodi della storia dell’arte, ha spiegato il concetto di monumento come “ una memoria che si tocca” ( Cfr. Tomaso Montanari, In Chiesa soffia il vento (e il tempo) , in « Il Fatto Quotidiano», lunedì 26 novembre 2012).

Per questi motivi già dal Rinascimento  si è sempre più sviluppata l’idea della salvaguardia e conservazione del patrimonio artistico, dei monumenti e delle città che li ospitano, non solo per il loro valore patrimoniale, o per l’attrattiva verso i visitatori stranieri, o perché fonte di modelli illustri per il progresso dell’arte, ma anche e soprattutto in quanto elemento di civiltà di un popolo.
Questo concetto viene chiaramente espresso  per la prima volta in un decreto della Convenzione francese (l’organo legislativo della fase della rivoluzione Francese più improntati ai principii democratici dei Giacobini) emanato nel 1793 che rivolgendosi ai funzionari che dovevano tutelare il patrimonio storico e artistico della nazione  così giustificava l’azione di tutela dello Stato: "Voi  siete i depositari di un patrimonio del quale la grande famiglia ha il diritto di domandarvi il rendiconto. I barbari e gli schiavi detestano le scienze e distruggono i monumenti dell'arte, gli uomini liberi li amano e li conservano".
Questo concetto si è andato sempre più precisando nel corso dell’Ottocento e del Novecento.
In Inghilterra, John Ruskin, nella sua battaglia condotta alla metà dell’Ottocento con altri intellettuali e artisti in difesa dei monumenti antichi, arrivava a giustificare la necessità della tutela dei monumenti con il concetto importante che i contemporanei non sono mai proprietari, ma usufruttuari del patrimonio del loro paese:
«  [i monumenti] Non sono nostri. Essi appartengono in parte a coloro  che li costruirono, e in parte a tutte le generazioni degli uomini che dovranno venire dopo di noi »
(John Ruskin, Le sette lampade dell'Architettura, 1849, cap. VI, paragrafo XX).

Nei primi anni del Novecente nell’Impero Asburgico alcuni storici dell’arte come Aloisi Riegl (Linz 1858-Vienna 1905) e suoi allievi, contribuirono a dare un fondamento teorico più articolato all’azione di tutela del patrimonio storico artistico da parte dello Stato attraverso per esempio una rivoluzionaria definizione di monumento :
 « Un monumento ... è ogni opera (sia mobile sia immobile) della mano dell'uomo dalla cui realizzazione siano trascorsi almeno 60 anni ».
( Questa definizione coniata da Riegl e spiegata in un testo introduttivo alla legge intitolato Il culto moderno dei monumenti,  è inserita all’ art. 1 della legge di tutela dei monumenti redatta da Riegl ed emanata nel 1908 dall’Impero d’Austria e Ungheria).
Un allievo di Riegl, Max Dvořák , nel 1916 redasse un  Catechismo per la tutela dei monumenti, un importantissimo testo illustrativo delle modalità con cui l’azione statale  di tutela avrebbe dovuto fronteggiare gli effetti negativi della nuova società industriale sulle città storiche europee, che metteva in guardia contro i pericoli maggiori che  allora, e potremmo dire ancora oggi, mettevano a rischio i monumenti : 1. Pericoli provenienti da malintese idee di progresso e da presunte esigenze dell’età moderna.  2. Pericoli provenienti dall’avidità e dall’inganno.  3. Pericoli che provengono dalla mania di abbellimento e di rinnovamento fuori luogo e dal cattivo gusto.
(Max Dvořák,Catechismo per la tutela dei monumenti, [1916], in «Paragone»,arte, XXII 1971, n.257, pp.28-63).

Anche nel nostro paese le leggi di tutela dall’inizio del 900 ai nostri giorni hanno recepito sempre meglio questi importanti principi:  dalla prima legge di tutela dei monumenti storici e artistici faticosamente varata nel 1902, alle importanti leggi del 1939-42, fino al vigente Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42),
In particolare la nostra Costituzione  repubblicana, unica al mondo,  ha inserito l’attività di tutela del patrimonio storico artistico fra i suoi principi fondamentali. L’art. 9 recita così:
 «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione ».

La grande novità di questo articolo, e in particolare il suo significato più importante anche ai fini del discorso che oggi cerchiamo di sviluppare, è così bene sintetizzata da Salvatore Settis:

«Cultura, ricerca, tutela contribuiscono al “progresso spirituale della società”(art.4) e allo sviluppo della personalità individuale (art.3), legandosi strettamente alla libertà di pensiero (art.21) e di insegnamento ed esercizio delle arti(art. 33), all’autonomia delle università, alla centralità della scuola pubblica statale, al diritto allo studio (art. 34). Dando tanto risalto al paesaggio e al patrimonio artistico, la Costituzione è in sintonia con grandi tendenze culturali del nostro tempo, secondo cui la tutela di questi beni e valori non va intesa solo sotto la specie della “bellezza”, ma anche come strumento di educazione all’etica pubblica».  
(da S.Settis, Azione  popolare. Cittadini per il bene comune, Torino, Einaudi, 2012, p.130).

  1.  Tomaso Montanari: un modo nuovo di intendere il ruolo dello studioso d’arte nella   conoscenza e nella tutela del patrimonio storico artistico e un’intensa attività di cittadino in difesa di questo bene comune  attraverso il suo ultimo libro
Le pietre e il popolo. Restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città italiane,(Roma, Minimum fax, 2013).

Proprio in questi giorni le notizie riportate con risalto dalla stampa della nostra città  che parlano di una parte importante del centro storico di Firenze “affittato” ad un ricco principe indiano per la festa di nozze del figlio, ripropongono con forza i temi della tutela del patrimonio di storia e di arte delle nostre città come bene comune che sono alla base dell’attività di studioso dell’arte e di cittadino espletata da tempo e con raro impegno da Tomaso Montanari e che trova come ultimo atto il suo volume appena pubblicato.
Lo abbiamo invitato oggi a illustrarci questo suo feroce pamphlet col quale si tenta di dare una risposta ad alcuni importanti interrogativi: 
Il patrimonio storico artistico serve a produrre cultura e cittadinanza (secondo quanto sancito nella Costituzione italiana) o denaro?
È un lusso o un diritto? È un bene comune o un bene di mercato?
Le città d’arte devono contribuire alla crescita della ”civitas” o dei “luna park” a pagamento? Rimanere cittadini attivi o diventare clienti passivi?

Questa problematica è dibattuta da Montanari in numerosi articoli recenti, tuttavia vorremmo fra questi materiali per l’assemblea di oggi riportare un altro testo della sua rubrica “lasciate che i bambini” in cui si parla del dramma del centro storico dell’Aquila distrutto dal recente terremoto, che aspetta ancora di essere restituito ai cittadini e per il quale lo stesso Montanari ha organizzato un grande evento chiamando all’Aquila il 5 maggio gli storici dell’arte  e i rappresentanti delle associazioni che si occupano della tutela del patrimonio culturale, per chiedere con forza l’inizio del restauro e del recupero della città.

Mamma, papà. Portatemi all’Aquila. 
C’ERA UNA VOLTA UN RE . Anzi, il re. E ora non c’è più.
Perché? Perché, cari bambini, il re ora siamo noi: tutti noi, e anche voi siete dei piccoli re,o delle piccole regine. Quando c’era, il re abitava in un grandissimo palazzo, che lo separava da tutto. Quel palazzo faceva capire che lui era diverso da tutti gli altri.
Oggi, i nuovi re (che siamo tutti noi) abitano nelle città: siamo re, perché siamo cittadini.
Le città ci fanno tutti eguali perché hanno dei luoghi (le piazze, per esempio) che ci permettono di incontrarci alla pari: non come in un supermercato (dove siamo clienti), o allo stadio (dove siamo spettatori, o tifosi).  Nelle piazze delle nostre città siamo cittadini.
E poi le città hanno dei palazzi e delle chiese che sono particolarmente belli, perché sono di tutti: sono come i palazzi reali dei cittadini.   E l’Italia è così bella perché le nostre città sono state costruite dagli architetti, dagli scultori, dai pittori più bravi del mondo.
M O LT I di voi lo hanno già imparato: capiamo l’importanza delle persone e delle cose quando non ci sono più. Allora, per capire quanto è importante la città, chiedete ai vostri genitori di portarvi all’Aquila.    Anche se non è facile perché l’Aquila non c’è più.
Almeno altre due volte, nella sua lunga storia, l’Aquila è stata distrutta dal terremoto. Ma è stata ricostruita.  Dopo il terremoto di tre anni fa, invece, non lo si è fatto. Si è preferito spostare i cittadini, e portarli in case di cemento tutte uguali: senza piazze, senza chiese, senza quei palazzi di tutti che rendono città le città.   Ci sono bambini di tre anni che non sanno cos’è una città: e che non diventeranno re, perché non cresceranno come cittadini.
E L’AQ U I L A? L’Aquila è ancora tutta rotta. Ma è ancora bellissima, anche se è rotta.  Anche se nevica sugli angeli dorati del Duomo senza tetto. Anche se ogni tanto si butta giù un palazzo ferito, invece di ricostruirlo. Nessuno spiega perché, nessuno spiega cosa succederà domani: non ci sono più cittadini a cui dirlo, non ci sono più cittadini che possano decidere.
Nel Duomo, dentro un cassetto, c’è un quadro di un pittore con un nome strano, Teofilo Patini. Quel quadro è tutto ridotto a pezzettini quasi neri.  Nessuno sa se quel quadro tornerà intero, né se ritroverà l’altare su cui si trovava.  Ma chi ha raccolto e messo in ordine quei brandelli di storia crede che in quel cassetto ci sia il nostro futuro,non il nostro passato.
Se volete diventare dei bravi re, avete bisogno delle nostre città. A cominciare dall’Aquila.
( Tomaso Montanari, in “lasciate che i bambini”, «Il fatto quotidiano» lunedì 10 dicembre 2012)


Per una sintetica biografia di Tommaso Montanari siamo ricorsi a quella riportata da lui stesso nel suo blog:
Sono nato nel 1971 a Firenze, dove vivo. Studio il Barocco romano e insegno Storia dell'Arte Moderna all'Università ‘Federico II’ di Napoli.
Sono convinto che gli storici dell’arte servano a fare entrare le opere d'arte nella vita intellettuale ed emotiva di chi si occupa di tutt'altro.
Penso anche che l’amore per la storia dell’arte non debba essere un fatto privato (o peggio un’evasione, o un modo per non pensare), ma pubblico e ‘politico’. L’articolo 9 della Costituzione ha, infatti, mutato irreversibilmente il ruolo del patrimonio storico e artistico italiano, facendone un segno visibile della sovranità dei cittadini, dell’unità nazionale, e dell’eguaglianza costituzionale, perché ciascuno di noi (povero o ricco, uomo o donna, cattolico o musulmano, colto o incolto) ne è egualmente proprietario.
Ma tutto questo è assai difficile da capire, perché oggi la storia dell’arte non è più un sapere critico, ma un’industria dell’intrattenimento ‘culturale’ (e dunque fattore di alienazione, di regressione intellettuale e di programmatico ottundimento del senso critico). Strumentalizzata dal potere politico e religioso, banalizzata dai media e sfruttata dall’università, la storia dell’arte è ormai una escort di lusso della vita culturale.
È per questo che oggi non basta fare ricerca e insegnare, ed è per questo che ho scritto “A cosa serve Michelangelo?” (Einaudi 2011) e collaboro col “Fatto”, con “Saturno” e col “Corriere della Sera” nelle edizioni di Firenze e di Napoli.



  1. Patrimonio artistico: bene collettivo vs privatizzazione. Alcuni riferimenti bibliografici e strumenti per eventuali approfondimenti.
Oltre alle opere citate di Tomaso Montanari  al suo blog (www.ilfattoquotidiano.it/blog/tmontanari/ ) si segnalano anche questi testi.
A.Cederna, I vandali in casa. Cinquant’anni dopo, a cura di F. Erbani, Roma bari, Laterza, 2006: S. Settis,  Italia S.p.a.: l’assalto al patrimonio culturale, Torino, Einaudi, 2002, Idem, Paesaggio Costituzione cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, Totino, Einaudi, 2010; Idem, Azione popolare . Cittadini per il bene comune, Torino, Einaudi, 2012; G.A. Stella-S.Rizzo, Vandali. L’assalto alle bellezze d’Italia, Milano, Rizzoli, 2011. 
Inoltre sono attivi molti siti che si occupano di queste problematiche segnaliamo per tutti quello attivato a Pisa:  patrimonio sos: in difesa dei beni culturali e ambientali, www.patrimoniosos.it .








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