Comunità dell’Isolotto -
Firenze, domenica 21 aprile 2013
Il
patrimonio storico artistico come bene comune.
riflessioni di Paola e
Mario
con il contributo di Tomaso
Montanari
- Letture
e riflessioni
dal Vangelo di Matteo (6, 19-21;25-34)
“Non accumulate ricchezze in questo mondo. Qui i
tarli e la ruggine distruggono ogni cosa e i ladri vengono e portano via. Accumulate piuttosto le vostre ricchezze in
cielo. Là, i tarli e la ruggine non le
distruggono e i ladri non vanno a rubare.
Perché dove sono le tue ricchezze, là c’è anche il tuo cuore”.
“ Perciò io vi dico: non preoccupatevi troppo del
mangiare e del bere che vi servono per
vivere, o dei vestiti che vi servono per coprirvi. Non è forse vero che la vita
è un dono ben più grande del cibo e che il corpo è un dono ben più grande del
vestito? Guardate gli uccelli che
vivono in libertà: essi non seminano, non mietono e non mettono il raccolto nei
granai … eppure il Padre vostro che è in cielo li nutre! Ebbene, voi non siete
molto più importanti di loro? E chi di
voi a forza di preoccupazioni, può fare
in modo di vivere anche solo un giorno di più di quel che Dio ha
stabilito? Anche per i vestiti, perché
vi preoccupate tanto? Guardate come
crescono i fiori nei campi: non lavorano, non si fanno vestiti … eppure vi
assicuro che nemmeno Salomone, con tutta la sua ricchezza, ha mai avuto un
vestito così bello! Ma se Dio veste così
l’erba, che oggi è fresca nel campo e domani è buttata nel fuco, a maggior ragione non darà un vestito a voi? Gente di poca fede! “.
Poiché abbiamo pensato di dedicare la nostra odierna assemblea al fenomeno sempre più diffuso oggi
della mercificazione del patrimonio
storico artistico che abbiamo ereditato dal passato e del valore e della funzione di crescita culturale,
intellettuale e spirituale per tutti i cittadini che la nostra Costituzione repubblicana
attribuisce a questo patrimonio, abbiamo
scelto questo brano dal Vangelo di Matteo
che ci sembra contenga un monito molto forte a non porre al centro della
vita umana il raggiungimento della ricchezza e il possesso di beni
materiali. E’ bene ricordarsi che
Matteo era un levita cioè un esattore, e in questa condizione lo ritrae
Caravaggio in uno stupendo quadro ( La vocazione di Matteo, Cappella Contarelli,
San Luigi dei Francesi a Roma) quando
incontra Gesù: in una stanza buia mentre
i suoi aiutanti sono intenti a contare e a prendere i danari delle tasse
buttati sul tavolo, Matteo distoglie gli occhi dal denaro e viene illuminato da
un raggio di luce proveniente dal lato della stanza dove è entrato Gesù. Nella conversione di Matteo quindi c’è questo
radicale cambiamento della sua vita: l’abbandono della ricerca del denaro e
della ricchezza come scopo principale della sua vita, e la scelta di seguire
Gesù e di mettersi al servizio degli altri.
Per questo il messaggio contenuto in questo discorso di Gesù, riportato
nel suo Vangelo, risulta più autorevole
e credibile. Un
altro messaggio importante di questo brano è il concetto , riaffermato qualche
secolo dopo in modo altrettanto forte da Francesco d’Assisi nel suo Cantico
delle Creature, che la bellezza non si compra ma si trova nel mondo ed è un
dono per tutti: lo stesso Salomone con la sua ricchezza e il suo potere non è in grado di avere vestiti
della bellezza di quelli Dio dona gratuitamente ai fiori e che tutti possono
ammirare.
C’è Un terzo messaggio è contenuto
in questo brano: che lo scopo principale dell’uomo dovrebbe essere la sua elevazione
spirituale e non il perseguimento della ricchezza materiale.
Dall’ Antico testamento, Geremia (Capitolo
7, 1-11.)
|
Questa è la parola che fu rivolta dal
Signore a Geremia:
Fermati alla porta del tempio del Signore e là pronunzia questo discorso dicendo: Ascoltate la parola del Signore, voi tutti di Giuda che attraversate queste porte per prostrarvi al Signore. Così dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Migliorate la vostra condotta e le vostre azioni e io vi farò abitare in questo luogo. Pertanto non confidate nelle parole menzognere di coloro che dicono: Tempio del Signore, tempio del Signore, tempio del Signore è questo! Poiché, se veramente emenderete la vostra condotta e le vostre azioni, se realmente pronunzierete giuste sentenze fra un uomo e il suo avversario; se non opprimerete lo straniero, l'orfano e la vedova, se non spargerete il sangue innocente in questo luogo e se non seguirete per vostra disgrazia altri dei, io vi farò abitare in questo luogo, nel paese che diedi ai vostri padri da lungo tempo e per sempre. Ma voi confidate in parole false e ciò non vi gioverà: rubare, uccidere, commettere adulterio, giurare il falso, bruciare incenso a Baal, seguire altri dei che non conoscevate. Poi venite e vi presentate alla mia presenza in questo tempio, che prende il nome da me, e dite: Siamo salvi! per poi compiere tutti questi abomini. Forse è una spelonca di ladri ai vostri occhi questo tempio che prende il nome da me? Anch'io, ecco, vedo tutto questo. |
Dal Vangelo di Giovanni,( II. 13- 17)
Gesù scaccia i mercanti
dal Tempio,
Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e
Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel
tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al
banco. Fatta allora una sferza di
cordicelle, scacciò tutti fuori del Tempio con le pecore e i buoi; gettò a
terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse:
"Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di
mercato".
( cfr. anche Marco, XI, 15-33 e Luca, XIX, 45-48)
( cfr. anche Marco, XI, 15-33 e Luca, XIX, 45-48)
Poiché
oggi parleremo con Tomaso Montanari del significato dell’arte e della storia
dell’arte come conoscenza e come elevazione culturale e spirituale degli uomini,
ci sembrava interessante collegare questo brano di Matteo ad un pittore considerato uno degli iniziatori in pittura del Rinascimento: Masaccio.
Forse
non tutti sanno il motivo per cui questo rivoluzionario pittore si chiamasse
Masaccio: egli nacque il 21 dicembre
1401 a S. Giovanni Valdarno proprio nel giorno nel quale il calendario
liturgico della Chiesa celebrava, allora, la festa di S. Tommaso apostolo.
Per
questo ebbe il nome di Tommaso. Questo suo nome verrà poi storpiato nel
soprannome Tommasaccio e quest’ultimo
ancora abbreviato in Masaccio. Tutto
questo non perché fosse cattivo o prepotente, ma perché non curava il suo
aspetto esteriore e perché dedicandosi interamente alla pittura trascurava i
suoi interessi materiali come ci riferisce
Giorgio Vasari ne Le Vite… ( la prima grande storia
dell’arte e biografia degli artisti,1568):
«Fu persona astrattissima e molto a caso, come quello che,
avendo fisso tutto l'animo e la volontà alle cose dell'arte sola. Si curava
poco di sé e manco d'altrui. E perché e' non volle pensar già mai in maniera
alcuna alle cure o cose del mondo, e non che altro al vestire stesso, non
costumando riscuotere i danari da' suoi debitori, se non quando era in bisogno
estremo, per Tommaso che era il suo nome, fu da tutti detto Masaccio. Non già
perché e' fusse vizioso, essendo egli la bontà naturale, ma per la tanta
straccurataggine; con la quale niente di manco era egli tanto amorevole nel
fare altrui servizio e piacere, che più oltre non può bramarsi.»
Ma nonostante
questa sua “straccurataggine” egli ci ha
lasciato a Firenze lo straordinario e rivoluzionario ciclo di affreschi realizzato nella Cappella
Brancacci alla Chiesa del Carmine.
Questo
tema della vita mortificata o compromessa dalla ricerca della ricchezza è antico,
come dimostra per esempio il mito del Re Mida oggetto spesso di
rappresentazioni pittoriche di illustri artisti. Ci sembra significativo il brano con cui
Tomaso Montanari illustra e racconta ai bambini in una rubrica del lunedì de “Il
fatto Quotidiano” la favola del Re Mida
rappresentata in un quadro del celebre pittore Poussin:
«C’era una
volta un re. Si chiamava Mida, e regnava sulla Frigia. Un giorno, alcuni
contadini gli condussero un prigioniero. Era un vecchio, e si chiamava Sileno:
l’avevano catturato mentre, ubriaco fradicio, dormiva nei campi. Ma re Mida era
un re buono e festaiolo, e amava anche lui il vino. Così liberò Sileno, e anzi
indisse una festa di dieci giorni e dieci notti in cui il vino scorreva a
fiumi. Poi riaccompagnò Sileno a casa: la stessa casa dove abitava Bacco, il
dio del vino. Il dio fu così felice di
rivedere il vecchio amico, che invitò Mida a scegliere un premio. Il re chiese:
«Fai che tutto quello che tocco col mio corpo si trasformi in oro». Fu esaudito,
ma presto si accorse di non poter mangiare né bere più nulla, perché tutto si
trasformava in arido oro. Come si meritava, Mida era ossessionato dall’oro: ed
ebbe paura di morire di sete e di fame.
Allora il re
tornò di corsa da Bacco, disperato e pentito.
Per fortuna,
gli dei sanno talvolta essere miti, e Bacco disse a Mida: «Vai alle sorgenti
del fiume Pactolo, metti il capo sotto il fiotto dell’acqua e lava al tempo
stesso il tuo corpo e la tua colpa».
Mida fece proprio così, e da allora si liberò e visse felice: ancora
oggi egli vive in campagna e tra i boschi, e odia l’oro e la ricchezza.
Anche i
pittori raccontano le favole, e il più grande favoleggiatore di tutti i
pittori, si chiama Nicolas Poussin. Poussin aveva il dono di farci vedere i
pensieri degli uomini che dipingeva, e di farci vedere anche l’anima della
natura in cui gli uomini vivono.
In questo
quadro vediamo il re Mida in ginocchio, nudo, mentre si offre a questa specie
di battesimo, di rinascita alla natura. Poussin amava molto le statue degli
antichi romani, e proprio come loro rappresentava i fiumi in un modo strano e
poetico: come dei signori nudi e sdraiati che versano acqua da un vaso.
Sembra di
sentire il rumore del vento tra gli alberi, il gorgoglìo delle fonti che
sgorgano dalle anfore del vecchio Pactolo sdraiato, e le chiacchiere dei putti
birichini che lo accompagnano. L’unico oro che vediamo sono le pagliuzze che
l’acqua porta via, e soprattutto l’oro leggero che piove dal cielo, nella luce
del tramonto struggente che bagna il tronco dell’albero e scalda il corpo e il
cuore di Mida pentito.
La pittura
dolce e gentile di Poussin ha un messaggio per noi: la comunione con la natura
ci libera dalla schiavitù dell’oro.
C’era una
volta, la comunione con la natura. Dovrà tornare ad esserci, in futuro. Se lo vogliamo, un futuro. »
- Alcuni
riferimenti essenziali in materia di tutela del Patrimonio culturale:
Per
capire meglio il tema affrontato oggi con Tomaso Montanari vorremmo ricordare
che già molti secoli fa si è avuta l’dea dell’importanza del patrimonio
artistico ereditato dal passato in
quanto memoria, ricordo e testimonianza delle generazioni che ci hanno
preceduto e come ’elemento identitario da un punto di vista culturale che ci ha
plasmato e ci plasma. La stessa parola
“monumento” entrata nel linguaggio comune per definire gli oggetti di
particolare valore storico e artistico deriva dal latino “memento”, cioè ciò
che fa ricordare, ricordo e quindi memoria, documento. Le opere d’arte oltre che per il loro
contenuto estetico, cioè di bellezza, proprio perché sono state il modo più
efficace per narrare e parlare anche a chi non conosceva la lingua scritta,
costituiscono anche un importante elemento di documento delle civiltà che ci
hanno preceduto.
Proprio
Tomaso Montanari in uno dei suoi bellissimi articoli con i quali illustra ai
bambini alcuni episodi della storia dell’arte, ha spiegato il concetto di monumento come “ una memoria che si tocca” ( Cfr. Tomaso Montanari, In Chiesa soffia il vento (e il tempo) ,
in « Il Fatto Quotidiano», lunedì 26 novembre 2012).
Per
questi motivi già dal Rinascimento si è
sempre più sviluppata l’idea della salvaguardia e conservazione del patrimonio
artistico, dei monumenti e delle città che li ospitano, non solo per il loro valore
patrimoniale, o per l’attrattiva verso i visitatori stranieri, o perché fonte
di modelli illustri per il progresso dell’arte, ma anche e soprattutto in
quanto elemento di civiltà di un popolo.
Questo
concetto viene chiaramente espresso per
la prima volta in un decreto della Convenzione francese (l’organo legislativo
della fase della rivoluzione Francese più improntati ai principii democratici
dei Giacobini) emanato nel 1793 che rivolgendosi ai funzionari che dovevano
tutelare il patrimonio storico e artistico della nazione così giustificava l’azione di tutela dello
Stato: "Voi siete i depositari di un patrimonio del quale
la grande famiglia ha il diritto di domandarvi il rendiconto. I barbari e gli
schiavi detestano le scienze e distruggono i monumenti dell'arte, gli uomini
liberi li amano e li conservano".
Questo
concetto si è andato sempre più precisando nel corso dell’Ottocento e del
Novecento.
In
Inghilterra, John Ruskin, nella sua battaglia condotta alla metà dell’Ottocento
con altri intellettuali e artisti in difesa dei monumenti antichi, arrivava a
giustificare la necessità della tutela dei monumenti con il concetto importante
che i contemporanei non sono mai proprietari, ma usufruttuari del patrimonio
del loro paese:
« [i monumenti] Non sono
nostri. Essi appartengono in parte a coloro che li costruirono, e in
parte a tutte le generazioni degli uomini che dovranno venire dopo di noi »
(John Ruskin, Le sette lampade
dell'Architettura, 1849, cap. VI, paragrafo XX).
Nei primi anni del
Novecente nell’Impero Asburgico alcuni storici dell’arte come Aloisi Riegl
(Linz
1858-Vienna 1905) e suoi allievi, contribuirono a dare un fondamento
teorico più articolato all’azione di tutela del patrimonio storico artistico da
parte dello Stato attraverso per esempio una rivoluzionaria definizione di
monumento :
« Un monumento ... è ogni opera (sia mobile sia immobile) della mano
dell'uomo dalla cui realizzazione siano trascorsi almeno 60 anni ».
( Questa definizione coniata da Riegl e spiegata
in un testo introduttivo alla legge intitolato Il culto moderno dei monumenti, è inserita all’ art. 1 della legge di tutela dei
monumenti redatta da Riegl ed emanata nel 1908 dall’Impero d’Austria e Ungheria).
Un allievo di Riegl, Max Dvořák , nel 1916 redasse
un Catechismo per la tutela dei monumenti, un
importantissimo testo illustrativo delle modalità con cui l’azione statale di tutela avrebbe dovuto fronteggiare gli
effetti negativi della nuova società industriale sulle città storiche europee, che
metteva in guardia contro i pericoli maggiori che allora, e potremmo dire ancora oggi, mettevano
a rischio i monumenti : 1. Pericoli provenienti da malintese idee di progresso
e da presunte esigenze dell’età moderna.
2. Pericoli provenienti dall’avidità e dall’inganno. 3. Pericoli che provengono dalla mania di
abbellimento e di rinnovamento fuori luogo e dal cattivo gusto.
(Max Dvořák,Catechismo per la tutela dei monumenti, [1916], in «Paragone»,arte,
XXII 1971, n.257, pp.28-63).
Anche nel nostro paese le
leggi di tutela dall’inizio del 900 ai nostri giorni hanno recepito sempre
meglio questi importanti principi: dalla
prima legge di tutela dei monumenti storici e artistici faticosamente varata nel
1902, alle importanti leggi del 1939-42, fino al vigente Codice dei beni culturali
e del paesaggio (decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42),
In particolare la nostra Costituzione repubblicana, unica al mondo, ha inserito l’attività di tutela del
patrimonio storico artistico fra i suoi principi fondamentali. L’art. 9 recita
così:
«La
Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e
tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione ».
La
grande novità di questo articolo, e in particolare il suo significato più
importante anche ai fini del discorso che oggi cerchiamo di sviluppare, è così bene
sintetizzata da Salvatore Settis:
«Cultura,
ricerca, tutela contribuiscono al “progresso spirituale della società”(art.4) e
allo sviluppo della personalità individuale (art.3), legandosi strettamente
alla libertà di pensiero (art.21) e di insegnamento ed esercizio delle
arti(art. 33), all’autonomia delle università, alla centralità della scuola
pubblica statale, al diritto allo studio (art. 34). Dando tanto risalto al
paesaggio e al patrimonio artistico, la Costituzione è in sintonia con grandi
tendenze culturali del nostro tempo, secondo cui la tutela di questi beni e
valori non va intesa solo sotto la specie della “bellezza”, ma anche come
strumento di educazione all’etica pubblica».
(da S.Settis, Azione
popolare. Cittadini per il bene comune, Torino, Einaudi, 2012,
p.130).
- Tomaso
Montanari:
un modo nuovo di intendere il ruolo dello studioso d’arte nella conoscenza e nella tutela del
patrimonio storico artistico e un’intensa attività di cittadino in difesa
di questo bene comune attraverso il
suo ultimo libro
Le pietre e il popolo. Restituire ai cittadini
l’arte e la storia delle città italiane,(Roma, Minimum fax, 2013).
Proprio in questi giorni
le notizie riportate con risalto dalla stampa della nostra città che parlano di una parte importante del
centro storico di Firenze “affittato” ad un ricco principe indiano per la festa
di nozze del figlio, ripropongono con forza i temi della tutela del patrimonio
di storia e di arte delle nostre città come bene comune che sono alla base
dell’attività di studioso dell’arte e di cittadino espletata da tempo e con
raro impegno da Tomaso Montanari e che trova come ultimo atto il suo volume
appena pubblicato.
Lo abbiamo invitato oggi a
illustrarci questo suo feroce pamphlet col quale si tenta di dare una risposta
ad alcuni importanti interrogativi:
Il patrimonio
storico artistico serve a produrre cultura e cittadinanza (secondo quanto
sancito nella Costituzione italiana) o denaro?
È un lusso o
un diritto? È un bene comune o un bene di mercato?
Le città
d’arte devono contribuire alla crescita della ”civitas” o dei “luna park” a
pagamento? Rimanere cittadini attivi o diventare clienti passivi?
Questa problematica è dibattuta da Montanari
in numerosi articoli recenti, tuttavia vorremmo fra questi materiali per
l’assemblea di oggi riportare un altro testo della sua rubrica “lasciate che i
bambini” in cui si parla del dramma del centro storico dell’Aquila distrutto dal
recente terremoto, che aspetta ancora di essere restituito ai cittadini e per
il quale lo stesso Montanari ha organizzato un grande evento chiamando
all’Aquila il 5 maggio gli storici dell’arte
e i rappresentanti delle associazioni che si occupano della tutela del
patrimonio culturale, per chiedere con forza l’inizio del restauro e del
recupero della città.
Mamma, papà. Portatemi all’Aquila.
C’ERA
UNA VOLTA UN RE . Anzi, il re. E ora non c’è
più.
Perché? Perché, cari bambini, il re ora siamo noi: tutti noi, e
anche voi siete dei piccoli re,o delle piccole regine. Quando c’era, il re
abitava in un grandissimo palazzo, che lo separava da tutto. Quel palazzo
faceva capire che lui era diverso da tutti gli altri.
Oggi, i nuovi re (che siamo tutti noi) abitano nelle città: siamo
re, perché siamo cittadini.
Le città ci fanno tutti eguali perché hanno dei luoghi (le piazze,
per esempio) che ci permettono di incontrarci alla pari: non come in un
supermercato (dove siamo clienti), o allo stadio (dove siamo spettatori, o
tifosi). Nelle piazze delle nostre città
siamo cittadini.
E poi le città hanno dei palazzi e delle chiese che sono particolarmente
belli, perché sono di tutti: sono come i palazzi reali dei cittadini. E l’Italia è così bella perché le nostre
città sono state costruite dagli architetti, dagli scultori, dai pittori più
bravi del mondo.
M O LT I di voi lo hanno già imparato: capiamo
l’importanza delle persone e delle cose quando non ci sono più. Allora, per
capire quanto è importante la città, chiedete ai vostri genitori di portarvi
all’Aquila. Anche se non è facile
perché l’Aquila non c’è più.
Almeno altre due volte, nella sua lunga storia, l’Aquila è stata
distrutta dal terremoto. Ma è stata ricostruita. Dopo il terremoto di tre anni fa, invece, non
lo si è fatto. Si è preferito spostare i cittadini, e portarli in case di
cemento tutte uguali: senza piazze, senza chiese, senza quei palazzi di tutti
che rendono città le città. Ci sono
bambini di tre anni che non sanno cos’è una città: e che non diventeranno re,
perché non cresceranno come cittadini.
E L’AQ U I L A? L’Aquila è ancora tutta rotta.
Ma è ancora bellissima, anche se è rotta.
Anche se nevica sugli angeli dorati del Duomo senza tetto. Anche se ogni
tanto si butta giù un palazzo ferito, invece di ricostruirlo. Nessuno spiega
perché, nessuno spiega cosa succederà domani: non ci sono più cittadini a cui
dirlo, non ci sono più cittadini che possano decidere.
Nel Duomo, dentro un cassetto, c’è un quadro di un pittore con un
nome strano, Teofilo Patini. Quel quadro è tutto ridotto
a pezzettini quasi neri. Nessuno sa se
quel quadro tornerà intero, né se ritroverà l’altare su cui si trovava. Ma chi ha raccolto e messo in ordine quei
brandelli di storia crede che in quel cassetto ci sia il nostro futuro,non il
nostro passato.
Se volete diventare dei bravi re, avete bisogno delle nostre
città. A cominciare dall’Aquila.
( Tomaso Montanari, in
“lasciate che i bambini”, «Il fatto quotidiano» lunedì 10 dicembre 2012)
Per una sintetica biografia di Tommaso
Montanari siamo ricorsi a quella riportata da lui stesso nel suo blog:
Sono
nato nel 1971 a Firenze, dove vivo. Studio il Barocco romano e insegno Storia
dell'Arte Moderna all'Università ‘Federico II’ di Napoli.
Sono
convinto che gli storici dell’arte servano a fare entrare le opere d'arte nella
vita intellettuale ed emotiva di chi si occupa di tutt'altro.
Penso
anche che l’amore per la storia dell’arte non debba essere un fatto privato (o
peggio un’evasione, o un modo per non pensare), ma pubblico e ‘politico’.
L’articolo 9 della Costituzione ha, infatti, mutato irreversibilmente il ruolo
del patrimonio storico e artistico italiano, facendone un segno visibile della
sovranità dei cittadini, dell’unità nazionale, e dell’eguaglianza
costituzionale, perché ciascuno di noi (povero o ricco, uomo o donna, cattolico
o musulmano, colto o incolto) ne è egualmente proprietario.
Ma
tutto questo è assai difficile da capire, perché oggi la storia dell’arte non è
più un sapere critico, ma un’industria dell’intrattenimento ‘culturale’ (e
dunque fattore di alienazione, di regressione intellettuale e di programmatico
ottundimento del senso critico). Strumentalizzata dal potere politico e
religioso, banalizzata dai media e sfruttata dall’università, la storia
dell’arte è ormai una escort di lusso della vita culturale.
È
per questo che oggi non basta fare ricerca e insegnare, ed è per questo che ho
scritto “A cosa serve Michelangelo?” (Einaudi 2011) e
collaboro col “Fatto”, con “Saturno” e col “Corriere della Sera” nelle edizioni
di Firenze e di Napoli.
- Patrimonio artistico:
bene collettivo vs privatizzazione. Alcuni riferimenti bibliografici e
strumenti per eventuali approfondimenti.
Oltre alle opere citate di Tomaso
Montanari al suo blog (www.ilfattoquotidiano.it/blog/tmontanari/ ) si segnalano anche questi testi.
A.Cederna, I vandali in casa. Cinquant’anni
dopo, a cura di F. Erbani, Roma bari, Laterza, 2006: S. Settis, Italia S.p.a.: l’assalto al patrimonio culturale, Torino, Einaudi, 2002, Idem, Paesaggio Costituzione cemento. La battaglia per l’ambiente contro il
degrado civile, Totino, Einaudi, 2010; Idem,
Azione popolare . Cittadini per il bene
comune, Torino, Einaudi, 2012; G.A.
Stella-S.Rizzo, Vandali. L’assalto alle bellezze d’Italia,
Milano, Rizzoli, 2011.
Inoltre sono attivi molti
siti che si occupano di queste problematiche segnaliamo per tutti quello
attivato a Pisa: patrimonio sos: in
difesa dei beni culturali e ambientali,
www.patrimoniosos.it .
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