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venerdì 13 settembre 2013
Una lettera
Eleonora Cantamessa è la ginecologa di Trescore uccisa domenica mentre soccorreva un migrante indiano ferito.
Pubblichiamo una lettera della madre (Corriere della sera)
"Caro direttore,
in tanti momenti della vita di mia figlia, mi sono chiesta dove trovasse la
forza... Anche la sera, quando rientrava dopo un'intensa giornata di
lavoro, e la vedevo sfinita, spesso interrompeva la cena per rispondere
al cellulare o era lei stessa a telefonare in clinica per avere notizie
di qualche travaglio in corso o di qualche donna ricoverata. Le sue
pazienti, infatti, non la chiamavano «dottoressa», ma la chiamavano
Eleonora.
Si affezionava a tutte e non le importava se fossero
italiane, straniere, facoltose o no. Il suo lavoro era la sua vita.
Anzi non era un lavoro, era una missione. Me lo fa pensare quello che è
accaduto. E più ci penso e più mi convinco che su di lei Dio aveva
fatto un progetto preciso, che lei ha accettato e ha portato avanti
compiendolo fino al sacrificio della vita. Era dolce, espansiva,
sensibile, con il carattere molto simile a quello del suo «papi», con
cui aveva un legame speciale. Io che sono per natura molto pratica le
stavo vicina aiutandola nelle cose più concrete. Ma era legata a
entrambi e diceva sempre: «Cosa farò io quando non ci sarete più?».
Adesso mi domando io che cosa faremo noi senza di lei. La sua enorme
sensibilità la spingeva con tanta naturalezza verso i più umili. Viveva
la CARITÀ intensamente. La carità stessa per cui è scesa dalla macchina
in quella strada buia in mezzo a un campo di «guerra», tra persone che
non conosceva, gridando: «I am a doctor, be quiet». «Sono un medico,
state calmi».
È morta mentre parlava con il centralino del 112 per
chiedere i soccorsi e mentre io a casa, come tutte le sere, recitavo il
rosario. Forse qualcuno si chiede come ho accettato di espormi a
telecamere e obiettivi in questi giorni. Così provata e stravolta, mi è
stato difficile, ma l'ho fatto per portare avanti - non a termine,
perché spero che non finisca - la missione e il sacrificio di Eleonora,
per fare arrivare a tutti il suo «messaggio», l'eredità che ci lascia.
Mi è stato chiesto che cosa provo. Non provo rabbia, non do appellativi
alla persona che ha investito Eleonora, penso a un povero disgraziato,
come tanti altri. Lo chiamo «disgraziato» ma senza senso dispregiativo.
È in disgrazia come me! E penso anche a quei quattro bambini orfani. La
giustizia deve fare il suo corso. Credo invece che quella Divina abbia
già provveduto con la sua misericordia. In questo momento mi piacerebbe
che Eleonora ricevesse, attraverso la mia persona, una carezza da Papa
Francesco, che lei ammirava proprio perché le assomiglia. C'è
un'immagine che mi resterà nella mente. L'immagine di ieri sera di quei
tre indiani che, come i re magi, sono saliti per le scale di casa
nostra prima della veglia funebre. Portavano in mano un cero acceso.
Erano bagnati di pioggia, col capo chino, imbarazzati, sono entrati. Si
erano preparati un discorso per dirmi che anche tra gli indiani ci sono
tante brave persone e ho capito che cercavano il nostro perdono. Li ho
abbracciati interrompendoli prima che finissero di parlare. Ho detto
loro che non c'era bisogno, che non provavo nessun sentimento negativo,
perché mia figlia era scesa da quell'auto senza pregiudizi, non solo
con slancio di dovere ma soprattutto con slancio di amore. Questo deve
restare nella mente di tutti, perché tutti impariamo qualcosa. Chissà
se qualcuno in India, leggendo la storia di mia figlia, che è un
intreccio di tragedia e umanità, non pensi anche ai familiari dei
nostri cari marò, che a casa piangono nell'attesa del loro ritorno. Io
ho perso mia figlia e mi fa paura il pensiero della sera, di quando
arriverà l'ora di cena e lei non tornerà, di quello studio vuoto, di
quell'ecografo spento. Mi consola un po' la speranza che l'insegnamento
del suo sacrificio non vada perduto, che il suo coraggio e il suo
amore, la sua sensibilità possano contribuire a migliorare questo mondo
inaridito dalle logiche dell'egoismo, del profitto e della
discriminazione. Grazie Eleonora. Casualmente, avevo scelto per te quel
nome. Poi, il ginecologo che ti ha aiutato a venire al mondo e aveva
lavorato in Medio Oriente mi ha spiegato il suo significato. Deriva
dall'ebraico «el» «nur». Luce di Dio."
(email di Luigi Boneschi)
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