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sabato 23 dicembre 2006

 


Un onore per noi Baraccheverdi essere il Presepe del Natale 2006, qui all'Isolotto.

Terremo al caldo mamme e bambini.



Un augurio pieno di speranza

                                      

Natività: essere madri oggi.


E’ questo il tema su cui si svolgerà la Veglia di Natale della Comunità dell’Isolotto a Firenze, che inizierà alle ore 22,30 del 24 dicembre 2006.


Quest’anno, per la prima volta dopo quasi quarant’anni, anziché in piazza la faremo alle "Baracche", in via degli Aceri 1.


La Veglia si svolgerà in collaborazione con l’Associazione "F.a.t.e" impegnata da tempo nell’accoglienza e ascolto di madri sole, immigrate, che arrivano a Firenze per gravi motivi familiari o per motivi legati alla cure sanitarie dei bambini molto spesso malati. Un modo di celebrare la natività dalla parte delle madri, delle tante Marie, che vengono da lontano in cerca di speranza, di un futuro migliore per i loro figli. Le loro storie di madri si intrecceranno con le esperienze, le emozioni, i problemi, la fatica di tutti noi: madri, figli, padri del quartiere, della città-mondo.


La memoria della maternità di Maria e della nascita di Gesù verrà fatta da un gruppo di bambini in forma di racconto. Tale racconto è stato elaborato in un laboratorio educativo, sulla base dei dati contenuti dei Vangeli anche apocrifi. Soprattutto il racconto della nascita di Gesù è stato inserito con pari dignità in una serie di altri racconti di nascite e di relazioni madri/figli, secondo una linea educativa che vuole dare consapevolezza dell’umanità del "figlio dell’uomo", liberando Gesù e sua madre dalle mitizzazioni, le quali hanno avuto un loro significato nella storia ma che oggi vanno rielaborate.


"Maternità" è un argomento forte e intrigante. Essere madri non è solo dare la vita in senso biologico. E già questo è il grande miracolo che si rinnova ad ogni concepimento, gestazione e parto. Ma essere madri coinvolge e rigenera e ricrea tutti gli aspetti dell’esistenza della specie umana: la trasmissione del Dna in primo luogo, ma di uguale importanza è anche la trasmissione del senso della vita, del perché si vive, un perché da tutti noi succhiato col latte materno, la trasmissione della memoria della specie, la sapienza secolare, la capacità di adattamento e di relazione, gli strumenti di comunicazione (la parola, la lingua materna …), la prima messa in moto delle capacità di riconoscere e gestire i sentimenti e di procurarsi i mezzi di sussitenza (pensiamo anche solo alla ricerca del seno materno per succhiare il latte, il pianto della fame, primo nostro grande impegno, dopo il respiro, appena usciti dal ventre materno!)…


Essere madri è dare luce, calore, sicurezza, protezione, tenerezza. Quante cose ci sarebbero da dire, che fanno parte della esperienza di tutti noi: delle madri, dei figli e anche dei padri!


Ma tutto questo ha un risvolto di rischio: il pericolo della maternità di essere di ostacolo alla libera crescita dei figli imprigionandoli in una "abbraccio" soffocante; la fatica di dover tagliare ogni giorno, anzi ogni momento, in senso figurato, il cordone ombelicale; la sofferenza e i sensi di colpa del dover dire dei "no"; il rischio di trasmettere oltre ai valori anche i disvalori della società; il peso di educare alla diversità e non all’omologazione; la difficoltà nel trovare luoghi e relazioni per socializzare i problemi educativi e per vivere la maternità in forma aperta e non come possesso esclusivo, maternità verso tutti i bambini e non solo verso il "mio" figlio/a.


Al fondo di tutto c’è un problema di "accoglienza" della maternità, del "dare vita". Forse lo stesso racconto della natività che leggiamo nel Vangelo più che un racconto storico è l’eco del senso del rifiuto ancestrale che la società "bene" di ogni tempo oppone alla maternità nei suoi valori più alti, al "dare vita" non solo in senso biologico ma in senso culturale ed esistenziale. La cultura patriarcale sfrutta, come si sa bene, la donna, la sua capacità biologica di dare vita, ma rifiuta la cultura femminile della maternità. E così Maria si trovò a partorire in una stalla perché "per lei non c’era posto nell’albergo". Ma nel Vangelo c’è anche il senso dell’accoglienza verso la vita che nasce espresso da realtà emarginate dalla stessa società "bene", ad esempio i pastori.


E questo dell’accoglienza verso la maternità è oggi un problema particolarmente grave poiché oggi il senso della vita si fonda sul possesso, sul danaro, sul successo individuale, sulla competizione di tutti contro tutti, sull’avere anziché sull’essere, fino a poter dire estremizzando un po’ che la società in cui si realizza oggi la maternità è dominata dalla tendenza a dare la morte piuttosto che la vita. Per cui le madri, costrette ad andare contro corrente per dare vita in senso pieno, si sentono un po’ straniere tutte e non solo quelle che vengono qui da paesi lontani. Le madri sono coccolate, gli si danno sussidi e sostegni, ma sono poco più che contentini perché la loro vita si fa sempre più difficile.


Le madri, ci siamo detti negli incontri per preparare la Veglia, si sentono e sono tutte "straniere/migranti". Dare la vita è un'esperienza che pone in condizione obiettiva di estraneità rispetto alla cultura dell’alienazione, dell'esclusione, della guerra, e al tempo stesso dare la vita è dare impulso alla transizione (la migrazione) sognata e voluta da tante e da tanti verso una cultura della vita, della nonviolenza, della pace universale. L’emersione della cultura femminile, il "dare vita", il sognare un mondo in cui "il bambino lattante possa stendere la sua mano nella tana della vipera" (la profezia di Isaia), l’affermarsi della soggettività femminile in ogni ambito della società, sono la nostra principale risorsa. La pace è donna.


                                                                La Comunità dell’Isolotto Natale 2006


 Nativity: being a mother today.


The theme for this year’s Christmas Eve vigil of the Comunità dell’Isolotto in Florence, beginning at 10.30 pm on 24 December 2006.


For the first time in almost 40 years, instead of in the open air it will be held at the "Baracche", in via degli Aceri 1.


The celebration will be held jointly with the “F.a.t.e” association which is involved in welcoming and listening to single and immigrant mothers who come to Florence for serious family reasons or because their children are often ill and in need of medical care. This is a way of celebrating how the Nativity is perceived by mothers, the many Marys, who come from far away in search of hope and a better future for their children. Their stories of motherhood blend in with the experiences, emotions, problems and trials of us all, mothers, sons, and fathers of the neighbourhood and of the city-world.


The memory of the motherhood of Mary and the birth of Jesus will be recited by a group of children in the form of a story. This story was written in an educational laboratory and is based on information contained in the Gospels, including the Apocrypha. In particular, the story of the birth of Jesus was given the same status within the stories of other births and son-mother relationships in accordance with an educational approach that seeks to heighten awareness of the humanity of “the son of man” and which frees Jesus and his mother from the realms of myth which have had importance throughout history but which should be reviewed today.


 “Maternity” is a heady, intriguing issue. Being a mother does not only involve giving life in the biological sense – itself a great miracle repeated with every conception, gestation and birth. It also implies the regeneration and recreation of every single factor of the existence of humankind; first and foremost the passing on of DNA but, equally, the passing on of the sense of life, of why we live, the why that we all drink with our mother’s milk, the passing on of the memory of the species, the knowledge gained over the millennia, the ability to adapt and relate to others, the tools of communication (speech, mother tongue…) the first moves towards recognising and handling feelings and the spirit of survival (like the search for the mother’s breast to suck, the cry of hunger, our first big job as soon as we come into the world after starting to breathe!)…


Being a mother means giving light, warmth, security, protection and tenderness and much, much more which are part of us all – mothers, sons but fathers too!


But there is an element of risk in all this. The danger of motherhood being a hindrance to the free growth of children by imprisoning them in a suffocating “embrace”. The fatigue of having to metaphorically cut the umbilical cord every day, or even every minute. The suffering and feelings of guilt that come from having to say “no”. The danger of passing on the negative values of society as well as the positive ones. The burden of educating towards a culture of diversity instead of rubber stamped homologation. The difficulty of finding places and relationships for socializing the problems of education and for experiencing maternity openly and not as an exclusive possession, a maternity towards all children and not just towards “my” son or daughter.


Underneath it all there lies the issue of “welcoming” maternity, the “giving of life”. Perhaps more than just a chronicle of history, the story of the Nativity that we read in the Gospel echoes the ancestral sense of rejection that the established society of every era has erected to oppose the noblest values of maternity, not only the giving of life in the biological sense, but also the cultural and existential aspects too. We know how patriarchal cultures exploit women and their biological capacity to give life while spurning the female culture of maternity. And this is why Mary had to give birth in a stable “because for her there was no room at the inn”. But the Gospel also has the spirit of welcoming life being born, expressed by those who are marginalised by established society, for example the shepherds.


And this issue of welcoming maternity is a particularly thorny problem today because the sense of life is based on possession, money, individual success, on a free-for-all competition and on having rather than being, even to the point, perhaps rather extreme, that the society in which maternity takes place today is dominated by the tendency to give death rather than life. This is why all mothers, not just those who come from far away, have to struggle against the current to give life in its fullest sense. Mothers are cosseted, given grants and support but these are little more than sweeteners because their real life gets increasingly hard.


In preparing for this Christmas Eve vigil, we agreed that all mothers are and feel “foreigners and migrants”. Giving life is something that objectively sets the mother apart from the culture of alienation, exclusion and war, while giving life means giving strength to a transition (migration) dreamed of and sought after by many women and men towards a culture of life, non-violence and universal peace. The emergence of female culture, the “giving of life”, dreaming a world in which “The infant will play near the hole of the cobra, and the young child put his hand into the viper's nest.” (the prophesy of Isaiah 11:1-10), the affirmation of female subjectivity in every part of society, are our greatest resource. Peace is a woman.


The Comunità dell’Isolotto


Christmas 2006


(Thanks to Donald Bathgate for the translation)

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