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lunedì 26 ottobre 2009

Alla ricerca della memoria

 

Piano di un saggio di Enzo Mazzi pubblicato a puntate sull'Unità da mercoledì 13 agosto a martedì 16 settembre 1997 col titolo generale: "Alla ricerca della memoria".

Il tema è stato sviluppato compiendo una serie di connessioni, accostando fatti e valutazioni.

            La ricerca segue cinque filoni che danno luogo ad altrettante puntate.

            Fra parentesi i titoli con i quali ogni puntata è apparsa sull'Unità.

            I sottotitoli sono stati inseriti nel testo dopo la pubblicazione.

 

 

 

0. La frontiera della memoria sembra essere rimasta l'unica capace di contrastare la marcia trionfale del liberismo.

Per questo salvaguardare la memoria, spogliarla dalla ritualità, attualizzarla, è uno dei compiti più urgenti di chi vede un futuro per l'umanesimo sociale, per la solidarietà planetaria, per la società dei diritti di tutti, oltre i confini.

 

1. ("L'egoismo privato è diventato virtù") Il liberismo e la memoria. Disarticolare e annullare la memoria è una delle condizioni fondamentali dell'affermazione planetaria del liberismo mercantile globale. La Resistenza della memoria non è un optional e non può essere ghettizzata delegandola solo ai "piccoli resti".

 

2. ("La memoria unico antidoto al liberismo selvaggio") La memoria unitaria che tiene insieme la nostra identità sociale. E' proprio la memoria unitaria generatrice d'identità sociale che il liberismo ha bisogno di annullare. Perché il liberismo non è soltanto un sistema economico ma è una concezione apocalittica della realtà: o il libero mercato o il caos. Per una società sociale, alternativa al liberismo, ogni frammento della memoria sociale, ogni briciola, deve essere mantenuta viva. La testimonianza dell'attualità della memoria sociale e di ogni suo frammento è un compito irrinunciabile che compete non solo ai protagonisti storici di singole esperienze, ma a tutti coloro che hanno a cuore una società solidale e interculturale.

 

3. (Dallo stragismo ai golpe. Guerre a bassa intensità in nome del mercato") Le "guerre di bassa intensità". In questa seconda metà del secolo non ci sono state guerre totali. In realtà si sono combattute tante "guerre di bassa intensità" che dietro la maschera dell'anticomunismo hanno represso l'anima sociale della modernità in tutto il mondo, Italia compresa, seminando terrore, sangue, sofferenze. Il liberismo ha bisogno che tutto questo sia dimenticato. E persegue l'obbiettivo della disarticolazione della memoria con ogni mezzo.

 

4. ("Le Comunità di base un frammento della memoria unitaria") La memoria unitaria e i frammenti di cui si compone. E' importante che ogni briciola della memoria sia salvaguardata e intrecciata con le altre. Lo si è visto anche con le memorie dei partigiani in relazione a via Rasella. Le "briciole della memoria" dall'interno della esperienza ecclesiale di apertura alla socialità, oggetto di repressione in tutto il mondo, con particolare riferimento alla esperienza di repressione subita dalle Comunità di base e dalla Comunità dell'Isolotto di Firenze. Chi ha a cuore una società solidale, chi lotta contro la nuova religione del liberismo globale, può dispensarsi dal contribuire a tener viva la memoria del frammento che sono le comunità di base e le loro singole esperienze di creatività, di repressione subita, di speranza attuale?

 

5. ("Che l'amnistia non cancelli il baluardo della memoria") L'amnistia. Un aspetto non secondario dell'annullamento della memoria riguarda l'amnistia verso le brutalità commesse in questa strategia mondiale delle "guerre di bassa intensità". In Italia, l'amnistia ha il volto del mistero di Stato. E' stata la mobilitazione popolare e la forte presa di coscienza cresciuta nel Paese attraverso migliaia di assemblee organizzate dai Sindacati nei luoghi di lavoro, dall'associazionismo volontario e da comunità di varia estrazione a restituire alle istituzioni la forza di reagire e di ritrovare il gusto del vivere civile. Trasformare la respressione, la sofferenza, l'emarginazione in resurrezione, e speranza: questa è stata la strategia di questa mobilitazione popolare e in particolare delle comunità di base. Ma i centri di potere che hanno utilizzato il terrorismo sono rimasti pressoché integri e addirittura risultano rafforzati gli interessi che hanno manovrato le deviazioni istituzionali (lo dice ad esempio Claudio Annunziata, pubblico ministero in alcuni processi per stragi). Nessuna società può sopravvivere senza luce. Per questo è importante oggi riaggregare, salvaguardare e attualizzare la memoria sociale.

 

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(alcuni brani dal saggio pubblicato a puntate su l'Unità)

 

"Meglio morti che rossi" non è solo lo slogan dell'anticomunismo maccartista, ma è l'espressione dell'integralismo liberista che ha tentato di dominare la cultura politica dell'occidente dopo la guerra. In questo mezzo secolo non ci sono state guerre totali; ma tante "guerre di bassa intensità", così sono state chiamate da chi ha inventato questa strategia, combattute in varie forme nelle diverse parti del mondo, adattate alle situazioni e alle esigenze locali. Nel Terzo Mondo si è trattato per lo più di colpi di stato militari che hanno instaurato o consolidato dittature sanguinarie. Da noi si è usata la strategia della repressione istituzionale, del golpismo e della strage. In tutti i casi si è sparso sangue, tanto sangue, si è seminata paura, si è generata sofferenza e tutto a fin di bene: per la stessa sopravvivenza della specie.

"La Commissione stragi deve avere il coraggio di dire agli italiani in forma ufficiale che le cose sono andate così: eravamo un paese dove si è combattuta per molti anni una guerra, a bassa intensità. Ma una guerra c'era" - lo ha detto Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione stragi, in margine a un Convegno sulla giustizia a Bologna, in una dichiarazione riportata da il Manifesto del 18 maggio 1997, all'indomani delle rivelazioni sulla "Gladio civile" e sul coinvolgimeto della stessa nelle stragi. Ed ha aggiunto "Se nel dopoguerra e ancora negli anni '50 erano cose che potevano ritenersi giustificate, è stato grave che queste strutture che ormai avevano acquistato una loro autonomia, si siano impegnate perché l'Italia non diventasse una democrazia esigente, come disse Moro. Moro muore anche per questo (...). E invece queste forze sotterranee non volevano che la distensione ci fosse: né quella interna, né quella internazionale".

Il golpismo stragista italiano e il golpismo militare sanguinario latinoamericano sono parte di un'unica strategia: creare in tutto il mondo le migliori condizioni per l'affermazione del liberismo mercantile. E' addirittura il Segretario di Stato USA, Henry Kissinger, che nel 1974 afferma l'unicità fondamentale della strategia che sta dietro a interventi e operazioni diverse. Difendendo l'operato eversivo della CIA in Cile afferma davanti a una Commissione parlamentare del suo paese: "Voi ci rimproverate l'operato della CIA in Cile. Ma non ci rimproverereste più duramente se non facessimo nulla per impedire l'arrivo dei comunisti al potere in Italia o in altri paesi dell'occidente europeo?" (l'Unità, 28.9.1974). Cile e Italia: diverse condizioni, tattiche differenziate ma unica la strategia.

Vita, libertà e mercato s'identificato per la cultura liberista. La cultura della solidarietà e dei diritti sociali come diritti umani universali inalienabili in quanto ostacola il libero svilupparsi del mercato è un gravissimo attentato alla vita e alla libertà. La centralità del lavoro è una bestemmia e lo stato sociale è la cura pietosa che può incancrenire la piaga. Non che tutte queste cose sociali siano da scartare in assoluto. L'importante è che vengano considerate per quello che sono realmente: variabili dipendenti. Solo l'interesse privato, mediato dal mercato, ha in sé la capacità di condurre l'umanità verso un progressivo allargamento dell'onda della ricchezza, fino a raggiungere tutti gli uomini e debellare infine la povertà. Tutto il resto è aleatorio e affidato al giudizio di opportunità del luogo e del momento. E' talmente decisiva l'affermazione del libero mercato a livello planetario che tutti i mezzi sono leciti per il nobile scopo.

E' con tali premesse culturali e quasi religiose che in questa seconda metà del secolo si combatte con ogni mezzo la crociata contro il comunismo avendo però come obbiettivo finale la eliminazione della centralità del lavoro, della solidarietà, dei diritti sociali e l'emarginazione se non la repressione dei movimenti di società che a questi valori si alimentano e per questi principi si battono. Compresi si noti bene i movimenti di base presenti nella Chiesa cattolica e nelle altre confessioni o religioni. Troppo spesso questo aspetto è dimenticato. La "Chiesa dei poveri", la Chiesa delle comunità di base e della teologia della liberazione, la Chiesa di ispirazione conciliare, la Chiesa del dialogo deve essere repressa, in America Latina, come nelle Filippine, come nel Nord del mondo. Va fermata "con ogni mezzo": finché è possibile con gli strumenti del Diritto Canonico, ma se non basta ci vuole il braccio secolare. Viene perciò finanziata, sostenuta e potenziata la parte di Chiesa conservatrice, assistenzialista, autoritaria, spiritualista, anticomunista, per aiutarla a emarginare e reprimere al suo interno le esperienze conciliari. Ma ove, come nel Terzo Mondo, non sia sufficiente la repressione intraecclesiale, la strategia repressiva dovrà usare mezzi violenti come i massacri di preti, vescovi, leaders laici di comunità di base.

 

Anche all'inteno della Chiesa il conflitto fu inevitabile. E risultò tremendo e tragico. Perché la gestazione della speranza si configurava come vera e propria rivoluzione del sistema ecclesiastico del sacro travasato dal medioevo nell’età moderna. Era stato il Concilio che aveva dato voce e forza a tale rivoluzione. I documenti conciliari infatti avevano sancito un germe di trasformazione radicale definito da un grande teologo conciliare, Marie-Dominique Chenu, "Rivoluzione copernicana della Chiesa", in quanto poneva al centro non più la gerarchia ma il "Popolo di Dio". Lì, in quel germe appena enunciato, si può individuare il succo stesso del Concilio. Non che i ministeri scomparissero. Solo che riacquistavano la loro funzione di servizio in una Chiesa vissuta come "comunità di comunità in cammino", fondata sul protagonismo, la dignità e i diritti delle persone e della loro fede, a cominciare dagli ultimi. Quando tale "rivoluzione copernicana" dall’enunciazione di principio nei documenti ufficiali fu trasferita nella pratica di vita ecclesiale dal proliferare di una quantità di esperienze di base, fece paura e fu osteggiata da un intreccio perverso, composto da massoneria piduista, servizi segreti, Gladio, neofascismo, mafia: quel medesimo intreccio che in Italia tentò di bloccare il processo democratico complessivo, ricorrendo a tutti i mezzi compreso il terrore. Non sembri un’esagerazione. Quello che ho chiamato “intreccio perverso” esisteva realmente. E’ illuminante la valutazione dei giudici istruttori della strage di Bologna, Vito Zincani e Sergio Castaldo, contenuta nella sentenza-ordinanza del 1.6.1986: "Si può legittimamente trarre la conclusione che si era costituito in Italia un potere invisibile il quale, essendo collegato al tempo stesso alla criminalità organizzata e al terrorismo, ad ambienti politico-militari, a settori dei servizi segreti, alla massoneria, e muovendosi contemporaneamente su questi piani, ha potuto conseguire una capacità di controllo incredibile sui meccanismi istituzionali fino a divenire un vero e proprio Stato nello Stato. L’esistenza di questo potere invisibile, che sopra ho chiamato “intreccio perverso”, l’abbiamo toccata con mano. Le prove sono molte. Ne riporto succintamente solo una che nella terza parte descriverò in modo più esteso. A un certo punto, nel gennaio 1969, qualche mese prima della strage di piazza Fontana, la chiesa dell'Isolotto fu invasa da una delle prime squadre neo-fasciste che armate di spranghe, catene e bastoni, cacciarono le migliaia di persone che costituivano la comunità parrocchiale decisa a resistere pacificamente alla repressione. E una magistratura compiacente ignorò la violenza fascista e perseguì le vittime della provocazione incriminando e processando quasi mille persone della Comunità dell'Isolotto, totalmente innocenti, che dopo qualche anno saranno infatti pienamente assolte.

La genesi delle altre centinaia di comunità cristiane di base italiane trova costantemente sul suo cammino positivo e creativo la repressione intraecclesiale e insieme il macigno dell'intreccio perverso di cui abbiamo parlato sopra. Il quale usò come manovalanza le squadre neofasciste al Nord e la mafia al Sud per attuare azioni e provocazioni violente analoghe a quelle avvenute nella chiesa dell'Isolotto.

Successe anche nella Chiesa ciò che avveniva nell’insieme della società. Ovunque in occidente e specialmente in America Latina si usò la violenza stragista fino a rasentare in qualche paese il genocidio, per bloccare il movimento di crescita complessiva della società, culturale, religiosa e politica. A dir queste cose sembra di rimasticare romanzi dell’orrido. In realtà una tale valutazione storica che a noi sembra inequivocabile è completamente ignorata dalla storiografia dominante. Non bisogna quindi stancarsi di riproporla.

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