Comunità dell’Isolotto -
Firenze, domenica 25 novembre 2012
Percorsi di
memoria: conquiste da difendere e nuovi referendum sul lavoro
riflessioni di Carlo, Claudia,
Gisella, Luisella, Maurizio
con i contributi di Moreno
Biagioni e Andrea Bagni
1. Letture dal Vangelo
Ed ecco un
tale che si avvicino a Gesù e gli disse: “Maestro che cosa devo fare per
ottenere la vita eterna?”. Egli rispose: “Perché mi interroghi su ciò che è
buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti”.
Ed egli allora chiese:
“Quali?”. Gesù rispose: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare,
non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo come te
stesso”.
Il giovane allora gli dice:
“Ma io ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca?”.
Gli disse Gesù: “Se vuoi
essere perfetto, và, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un
tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi”.
Udito questo il giovane se
ne andò triste, poiché aveva molte ricchezze.
In questo racconto incontriamo prima un giovane ricco inquieto che chiede a Gesù
come ottenere la vita eterna, poi un Gesù che prima dà una risposta prudente
(risponde quanto è previsto dalla Legge) poi un Gesù più diretto che dà una
risposta nuova: “…và vendi quello che hai, dallo ai poveri e seguimi”; una
risposta che, usando un linguaggio di oggi, potrebbe essere “Se vuoi essere più
profondamente appagato, in pace con te stesso e con gli uomini, cambia
mentalità!!”.
Forse il giovane ricco capisce la risposta e se ne
và triste; sceglie di non cambiare mentalità.
Chi non la capisce la risposta sono Pietro e gli
altri discepoli, che dicono quasi seccati: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito: che cosa dunque
ne otterremo?”.
Al tempo di Gesù la mentalità dominante era
fortemente incentrata sul concetto di MERITO:
·
si
riteneva che Dio premiasse i giusti e i meritevoli e punisse gli ingiusti e gli
immeritevoli;
·
che
ci si dovesse meritare l’amore e la benevolenza di Dio.
Pietro e gli altri ragionano così, ritengono di
aver fatto uno sforzo e un sacrificio particolare nel seguire Gesù e dunque
ritengono di meritare, di avere diritto (e più diritto degli altri!!) ad una
ricompensa. Rivendicano un trattamento di riguardo.
A questo ragionamento Gesù risponde con la
parabola dei lavoratori (o parabola della vigna)
La parabola dei laboratori
(Matteo, 20, 1-16). Sul merito e sul bisogno
Il Regno di Dio è simile
ad un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata dei lavoratori
per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno lo mandò al
lavoro.
Uscito poi verso le nove del mattino tornò in piazza ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro “Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò”. E quelli andarono.
Uscì di nuovo verso mezzogiorno e poi verso le tre del pomeriggio e fece la stessa cosa.
Uscito poi verso le nove del mattino tornò in piazza ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro “Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò”. E quelli andarono.
Uscì di nuovo verso mezzogiorno e poi verso le tre del pomeriggio e fece la stessa cosa.
Uscito ancora verso le cinque
di sera, né vide altri che stavano là e disse loro: “Perché state qui tutto il
giorno senza far niente?”. E quelli risposero: “Perché nessuno ci ha preso a
giornata”.
Allora disse: “Andate anche voi nella mia vigna”.
Allora disse: “Andate anche voi nella mia vigna”.
Quando fu
sera, il Signore della vigna disse al suo fattore: “Chiama gli uomini e dà loro
la paga, cominciando da quelli che son venuti per ultimi”.
Venuti quelli
che delle cinque di sera ricevettero ciascuno un denaro ciascuno.
Quando
arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi
ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo mormoravano contro il padrone,
dicendo “Questi sono venuti per ultimi, hanno lavorato soltanto un'ora e tu li
hai pagati come noi che abbiamo faticato tutto il giorno sotto il sole”.
Rispondendo
a uno di loro, il padrone disse: “Amico, io non ti faccio torto: non hai forse
convenuto con me per una paga di un denaro? Prendi la tua paga e vai. Io voglio
dare a questo, che è venuto per ultimo, quel che ho dato a te. Non posso fare
quel che voglio con i miei soldi? O forse sei invidioso perché io sono
generoso?”.
E Gesù
concluse: “Così, quelli che sono gli ultimi saranno i primi, e quelli che sono
i primi saranno gli ultimi”.
E’ indubbio che i lavoratori arrivati all’ultimo abbiano
lavorato poco o nulla rispetto ai primi.
E’ vero che non meritano la stessa paga dei primi.
Ma è anche vero che questi lavoratori erano
braccianti che non erano riusciti a trovare alcun lavoro, non avevano nemmeno
un misero denaro per sbarcare la giornata. Avevano bisogno di lavorare.
Il Signore della vigna dà loro la paga, non per i
loro meriti ma per i loro bisogni.
Nel Regno di Dio, in questo altro “mondo
possibile”, si agisce non in base alle virtù e ai meriti ma prima di tutto in
base ai bisogni degli uomini. Meriti e virtù non tutti li hanno ma i bisogni
sì.
Questo concetto sarà ribadito altre volte da Gesù;
ai sommi sacerdoti e agli anziani Gesù dirà “i pubblicani e le prostitute vi
passeranno avanti nel Regno di Dio”.
Questa è una lezione per Pietro e i suoi che
credono di poter accampare grandi meriti. Ma anche per tutti coloro che oggi si
riempiono troppo la bocca con il concetto di “merito”.
2. Percorsi di memoria
Dal
libro “Mondo operaio e cristianesimo di base “ di Christian G. De Vito
Dalla
prefazione di Enzo Mazzi
“L’incontro fra la cultura operaia e quella
cristiana di base, che si è sviluppato nel secolo scorso, non è affatto
ideologico né spurio né casuale. Ha infatti una matrice che viene dall’
abbraccio dei secoli ed è radicato nella coscienza delle persone in carne ed
ossa, nella loro vita reale nel profondo dei loro rapporti, nella loro fatica,
nel lavoro nelle mani, nelle lotte e nei sogni. La stagione storica, anni
‘60-70, nella quale si svilupparono le Comunità di base, che insieme ai preti
operai sono il fulcro di quell’incontro, è stata caratterizzata, com’è noto, da
una straordinaria accelerazione dei processi di trasformazione sociale.”
La salvaguardia della memoria storica sociale è un
compito irrinunciabile (pag 27 )
“…..ritengo che fare
memoria storica, spogliarla dalla ritualità,
attualizzarla, sia uno dei compiti di chi vede un futuro per l’umanesimo
sociale, per la solidarietà planetaria, per la società dei diritti di tutti/e a
partire dai diritti sociali per l’etica comunitaria oltre i confini. Una
memoria unitaria tiene insieme la nostra identità sociale. Disarticolare la
memoria che cementa il processo di socialità dal basso significa annullare tale
identità. (…… ) Il liberismo si nutre di tale
disarticolazione della memoria. Perché è creatore di società necropoli. Ha
bisogno di produttori/consumatori senza identità sociale.
Dal capitolo primo (pag
59)
(…..)
Soprattutto, tra il novembre del 1958 e
l’inizio dell’anno successivo, fu la mobilitazione in solidarietà con i 980 operai delle
Officine Galileo a segnare un punto di non ritorno in quel percorso di
progressiva condivisione del destino del mondo popolare e particolarmente di
quello operaio. L’evento decisivo si ebbe 11 gennaio 1959, all’indomani
dell’arrivo delle prime 527 lettere di licenziamento, della rottura delle
trattative sindacali e dell’occupazione
della fabbrica da parte degli operai. L’assemblea generale degli operai della
Galileo si tenne infatti nella chiesa dell’Isolotto, con i rappresentanti
sindacali seduti ad un tavolo coperto da un drappo rosso, davanti all’altare, un
operaio licenziato a presiedere l’assemblea, e una folla di operai, molti dei
quali comunisti, ad ascoltare ed intervenire. Fu un avvenimento dirompente.
Della parrocchia avrebbe segnato l’identità, divenendo un topos della memoria collettiva.
Dal capitolo terzo
L’Isolotto e l’Autunno
caldo (pag. 102 e seguenti)
“Io sono un operaio e mi conoscete”. L’analisi dell’ Autunno caldo all’ Isolotto
la fece nella Veglia di Natale del 1969 Amedeo Bellosi, operaio della Galileo
residente nel quartiere (nella foto col cappello) “Sappiamo bene che il padrone non si arrende”
disse Bellosi. (….) Le vertenze operaie
erano molte, ciascuna con la propria specificità e complessità umana e
politica. Il popolo dell’ Isolotto provò ad essere presente il più possibile a
fianco dei lavoratori, non solo attraverso quella parte di esso che lavorava in
fabbrica, ma anche come gruppo, come Comunità. Diede il proprio appoggio agli
operai della Piaggio di Pontedera in sciopero, espresse solidarietà ai 10
lavoratori licenziati alla Maleci, e continuò ad interessarsi a quella vertenza
fino al rientro di tutti i licenziamenti; denunciò anche le intollerabili
ingiustizie che stavano accadendo alla Carapelli di Firenze con Enzo Mazzi che
partecipò la mattina dell11 gennaio 1970 al picchetto operaio contro il
licenziamento di un candidato della Commissione interna. La Comunità seguì a
lungo e con particolare attenzione la vicenda della Fiaba, l’unica fabbrica del
quartiere ospitata nei locali della parrocchia stessa, concessi a suo tempo da
don Mazzi in cambio dell'assunzione di alcuni invalidi. (……) Gli operai avevano messo una tenda davanti al
sagrato della chiesa e, soprattutto,
avevano occupato la fabbrica. Un’ altra vicenda particolarmente sentita fu
quella dei minatori dell’Amiata…….una delegazione di minatori arrivò in piazza
dell’Isolotto…… una settimana dopo la visita fu ricambiata. Gli isolottiani
andarono a Piancastagnaio nel giorno dello sciopero generale (marzo 1969)
3. Informazioni sui
Referendum sul Lavoro
QUESITO ABROGATIVO
DELL’ART.8 DELLA LEGGE n.138/2011
«Volete voi che sia abrogato l'articolo 8 - Sostegno
alla contrattazione collettiva di prossimità, del decreto-legge 13
agosto 2011, n. 138, titolato "Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo", convertito, con
modificazioni, in legge 14 settembre 2011, n. 148, nel testo risultante per
effetto di modificazioni ed integrazioni successive?».
Testo dell’Articolo 8 della Legge finanziaria del Governo Berlusconi
(Legge 138 bis/2011)
Art. 8 - Sostegno
alla contrattazione collettiva di prossimità
1. I
contratti collettivi di lavoro sottoscritti a
livello aziendale o territoriale da
associazioni dei lavoratori comparativamente
più rappresentative sul piano nazionale ovvero
dalle rappresentanze
sindacali operanti in azienda possono realizzare specifiche intese
finalizzate alla maggiore occupazione, alla
qualità dei contratti di lavoro, alla
emersione del lavoro
irregolare, agli incrementi
di competitività e di salario, alla gestione
delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e
all’avvio di nuove attività.
2. Le specifiche intese di
cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle
materie inerenti l’organizzazione del lavoro e
della produzione incluse quelle relative:
·
a) agli impianti audiovisivi e
alla introduzione di nuove tecnologie;
·
b) alle mansioni del lavoratore, alla
classificazione e inquadramento del personale;
·
c) ai contratti a termine, ai contratti a orario
ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti
e ai casi di ricorso alla somministrazione
di lavoro;
·
d) alla disciplina dell’orario di
lavoro;
·
e) alle modalità di assunzione e
disciplina del rapporto di lavoro, comprese le
collaborazioni coordinate e continuative a progetto e
le partite IVA, alla trasformazione e conversione
dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso
dal rapporto di lavoro, fatta eccezione
per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della
lavoratrice in concomitanza del matrimonio.
3. Le disposizioni
contenute in contratti collettivi aziendali vigenti,
approvati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011
tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti
di tutto il personale
delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che
sia stato approvato con votazione a maggioranza dei
lavoratori.
In sintesi cosa ha fatto
il governo Berlusconi?
Nell'agosto 2011, con un colpo di
mano all'interno della manovra economica, il governo ha operato per limitare
drasticamente la centralità del contratto nazionale di lavoro, rimandando
agli accordi aziendali materie importantissime quali la classificazione e
l'inquadramento del personale, le mansioni, la disciplina dell'orario di
lavoro, i contratti a termine, i contratti a orario ridotto, il regime della
solidarietà negli appalti, il ricorso alla somministrazione di lavoro e la
modalità di assunzione e la disciplina del rapporto di lavoro. L'articolo 8 di
quella manovra finanziaria è carico di livore antisindacale e contrasta
duramente le spinte alla solidarietà tra i lavoratori contro i drammatici
effetti della crisi economica. Con questo articolo si vuole annullare l'accordo
del 28 giugno 2011, che ha riconfermato il contratto nazionale al centro delle
relazioni sindacali del Paese.
Che cosa vogliamo ottenere attraverso i referendum?
Intendiamo abolire le
manomissioni e ristabilire la certezza dei diritti previsti e conquistati dal
contratto nazionale. A parità di condizioni, vanno pretese regole generali che
valgano per tutti i lavoratori di un settore e ovunque sul territorio
nazionale. Alla contrattazione aziendale va restituito il giusto valore: ossia
deve 'accompagnare' l'andamento dell'impresa - garantendo eventualmente tutele
aggiuntive ai suoi dipendenti -, contrattare l'organizzazione del lavoro,
l'articolazione degli orari e dei turni nell'ambito e nei limiti previsti dal
contratto nazionale.
QUESITO
ABROGATIVO DELLE MODIFICHE ALL’ART.18 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI INTRODOTTE
CON LA RIFORMA FORNERO (Legge n. 92 del 28 giugno 2012)
«Volete voi l'abrogazione
dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, titolata "Norme sulla
tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e
dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento",
nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive,
limitatamente alle seguenti parti:
·
quarto comma, primo periodo, limitatamente alla
parola: "soggettivo";
·
quarto comma, primo periodo, limitatamente alle
parole: ", per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto
rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle
previsioni dei contratti collettivi
ovvero dei codici disciplinari applicabili,";
·
quarto comma, primo periodo, limitatamente alle
parole: ", dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di
estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto
avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova
occupazione.";
·
quarto comma, l'intero secondo periodo che
recita: "In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non può essere
superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto.";
·
quarto comma, terzo periodo, limitatamente alle
parole: ", per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra
la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto
dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in
conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative";
·
V comma che recita: "Il giudice, nelle
altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato
motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara
risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e
condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria
onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di
ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione
all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati,
delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni
delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.";
·
VI comma che recita: "Nell'ipotesi in cui
il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di
motivazione di cui all'articolo 2,
comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive
modificazioni, della procedura di cui all'articolo 7 della presente legge, o
della procedura di cui all'articolo 7
della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive
modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con attribuzione
al lavoratore di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in
relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal
datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità
dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a
tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore,
accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel
qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di
cui ai commi quarto, quinto o settimo.";
·
VII comma che recita: "Il giudice applica
la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo
nell'ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento
intimato, anche ai sensi degli articoli 4,
comma 4, e 10, comma 3,
della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente
nell'inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è
stato intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice
civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell'ipotesi in cui
accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per
giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non
ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la
disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini
della determinazione dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene
conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal
lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle
parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7
della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni.
Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal
lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o
disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente
articolo.";
·
ottavo comma, limitatamente alle parole:
"dei commi dal quarto al settimo";
·
nono comma, primo periodo, limitatamente alle
parole: "di cui all'ottavo comma";
·
nono comma, terzo periodo, limitatamente alle
parole: "di cui all'ottavo comma";
nonché della legge 15
luglio 1966, n. 604, titolata "Norme sui licenziamenti individuali",
nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive,
limitatamente alle seguenti parti:
·
articolo 7, comma 1, limitatamente alla parola
"soggettivo";
·
articolo 7, comma 1, limitatamente alla parola
"oggettivo";
·
articolo 7, comma 2, limitatamente alle parole
"per motivo oggettivo";
·
articolo 7, comma 8, che recita: "8. Il
comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in
sede di commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa
avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione
dell'indennità risarcitoria di cui all'articolo 18, settimo
comma, della legge 20
maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, e per
l'applicazione degli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile.";
nonché della legge 23
luglio 1991, n. 223, titolata "Norme in materia di cassa integrazione,
mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità
europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del
lavoro", nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni
successive, limitatamente alle seguenti parti:
·
articolo 5, comma 3, secondo periodo,
limitatamente alle parole: "terzo periodo del settimo comma del";
nonché della legge 24 dicembre
2007, n. 244, titolata "Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)", nel testo
risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive,
limitatamente alle seguenti parti:
·
articolo 2, comma 479, lettera a), limitatamente
alla parola "soggettivo";
nonché della legge 29
dicembre 1990, n. 407, titolata "Disposizioni diverse per l'attuazione
della manovra di finanza pubblica 1991-1993", nel testo risultante per
effetto di modificazioni ed integrazioni successive, limitatamente alle
seguenti parti:
·
articolo 8, comma 9, primo periodo,
limitatamente alla parola "oggettivo"?».
Testo dell’articolo 18 – Legge n.300/1970 (Statuto dei Lavoratori)
Titolo II Della libertà sindacale: Reintegrazione nel posto di lavoro
Ferme restando
l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15 luglio
1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il
licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della predetta legge o annulla il
licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne
dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro,
imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale,
ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa
alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se
trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di
lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro,
imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito dello stesso comune occupano
più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito
territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva,
singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore
di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più
di sessanta prestatori di lavoro.
Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.
Il computo dei limiti
occupazionali di cui al secondo comma non incide su norme o istituti che
prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.
Il giudice con la sentenza
di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno
subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata
l'inefficacia o l'invalidità stabilendo un'indennità commisurata alla
retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello
dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e
previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva
reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere
inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti.
La sentenza pronunciata
nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile.
L'ordinanza può essere
revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore.
Che cos'ha fatto la Riforma Fornero (governo Monti)?
Ha cancellato la norma che
imponeva il reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa o
giustificato motivo a fronte di una sentenza del giudice del lavoro favorevole
al lavoratore stesso. L'articolo 18 è stato manomesso nella sua essenza e nella
sua funzione. Il governo ha agito con forte iniquità sul tema cruciale del
mercato del lavoro, scegliendo - per combattere gli effetti della crisi - di
aggredire i diritti, le conquiste storiche del movimento operaio e il sistema
di protezione sociale pubblica. Le modifiche all'articolo 18 riscrivono con
motivazioni inaccettabili un tratto saliente della giurisprudenza del lavoro,
prefigurando rapporti sociali e sindacali autoritari che avranno ripercussioni
nella vita di tutti i cittadini onesti, cui è stato scippato un diritto
fondamentale.
Che cosa si vuole ottenere
attraverso i referendum? Restituire allo Statuto dei Lavoratori l'articolo
18 nella versione originaria, per rispettare i principi della Costituzione e
rendere esigibili le decisioni della magistratura. La nozione giuridica secondo
la quale nessuno può essere licenziato senza giusta causa e giustificato motivo
deve essere ripristinata. Perché un'ingiustizia praticata ad uno è un'ingiustizia
verso tutti. Non si tratta dunque di un problema di quantità numeriche, bensì
di giustizia sociale.
Saggezza
di ieri, nodo di oggi - 4 novembre 2012
Lavoro, pietra angolare – di Luigino Bruni
I dati della crisi, che
continuano ad alimentare i nostri dibattiti e le nostre preoccupazioni, sono
come spie che dicono, tutti assieme e concordemente, che la 'macchina del
capitalismo' ha dei problemi, alcuni molto seri. Una spia di colore rosso fuoco
si è accesa ormai da tempo, e sarebbe ora di fermarsi per fare qualche intervento
serio al motore: è la spia del lavoro. Eppure in un momento alto della nostra
storia politica e civile, lo abbiamo posto come pietra angolare della legge
fondamentale degli italiani.
Sono molti i significati del
primo articolo della nostra Costituzione: «L’Italia è una Repubblica
democratica fondata sul lavoro». In ogni patto, le prime parole che si
pronunciano sono quelle più dense di contenuti simbolici e ideali. Si sarebbero
potute scrivere in quel posto speciale altre parole alte, come libertà,
giustizia, uguaglianza o persino fraternità; invece in quell’incipit del
patto fondativo della nuova società italiana fu inserita la parola lavoro. Una
parola umile ma forte, associata da sempre alla fatica e al sudore, e persino
considerata nell’antichità come attività confacente allo schiavo, perché troppo
infima: «Ignobili e abietti, poi, sono i guadagni di tutti quei mercenari che
vendono, non l’opera della mente, ma il lavoro del braccio... Tutti gli
artigiani, inoltre, esercitano un mestiere volgare: non c’è ombra di nobiltà
in una bottega » (Cicerone, De
Officiis).
Parole pesanti, che certamente erano parte della formazione classica di molti di quei padri costituenti, che però furono capaci di guardare soprattutto alla loro gente e così, pace per Cicerone o Aristotele, videro la tanta nobiltà che c’era «nelle botteghe». E così scrissero la parola lavoro come il primo sostantivo dell’Italia post-fascista – una scelta doppiamente coraggiosa, se si pensa alla retorica del lavoro che aveva caratterizzato il Ventennio. Nella semantica di quel lavoro c’era la vicenda storica dell’Italia contemporanea, dove la democrazia stava avanzando proprio grazie al grande movimento di lavoratori, uomini e (poche) donne, che divennero veramente cittadini quando, abbandonando lo status di servi in una campagna ancora per tanti versi sostanzialmente feudale, divennero lavoratori nelle fabbriche, nelle officine, nelle scuole, negli uffici e nelle cooperative.
Non tutto il lavoro fonda la Repubblica, ma solo quello degli uomini e delle donne libere, non quello degli schiavi e dei servi. Ma nelle parole dell’articolo 1, c’era e c’è anche l’esperienza di tanti che per amore della democrazia e dei suoi valori, il lavoro l’avevano perso, perché combattuti ed emarginati dal fascismo. Il primo strumento che ogni potere anti-democratico ha per togliere la dignità e la libertà è cancellare il lavoro. Furono tanti, troppi, gli italiani e gli europei che dovettero chiudere fabbriche, tipografie, uffici, cattedre, per non piegarsi alle richieste anti-democratiche e illiberali del regime. Molti di quegli uomini furono poi tra i padri costituenti, e in quella originale e felice formulazione del primo articolo, cercarono di raccontare anche queste storie di amore civile. E nel far questo hanno creato la più bella equazione della nostra storia repubblicana, quella che pone l’eguaglianza tra democrazia e lavoro: la Repubblica è democratica perché fondata sul lavoro, altrimenti la Repubblica si fonda su rendite e privilegi, e quindi non è democratica. Non è facile, oggi, leggere seriamente quell’articolo, e al contempo restare passivi in una Italia e in una Europa che, da una parte, lasciano troppi milioni di persone fuori dalla "città del lavoro", e dall’altra fanno troppo poco di fronte a nuove forme di schiavitù e servitù. Quell’articolo quindi, ci può offrire una chiave di lettura potente per comprendere meglio che cosa sta effettivamente accadendo.
Parole pesanti, che certamente erano parte della formazione classica di molti di quei padri costituenti, che però furono capaci di guardare soprattutto alla loro gente e così, pace per Cicerone o Aristotele, videro la tanta nobiltà che c’era «nelle botteghe». E così scrissero la parola lavoro come il primo sostantivo dell’Italia post-fascista – una scelta doppiamente coraggiosa, se si pensa alla retorica del lavoro che aveva caratterizzato il Ventennio. Nella semantica di quel lavoro c’era la vicenda storica dell’Italia contemporanea, dove la democrazia stava avanzando proprio grazie al grande movimento di lavoratori, uomini e (poche) donne, che divennero veramente cittadini quando, abbandonando lo status di servi in una campagna ancora per tanti versi sostanzialmente feudale, divennero lavoratori nelle fabbriche, nelle officine, nelle scuole, negli uffici e nelle cooperative.
Non tutto il lavoro fonda la Repubblica, ma solo quello degli uomini e delle donne libere, non quello degli schiavi e dei servi. Ma nelle parole dell’articolo 1, c’era e c’è anche l’esperienza di tanti che per amore della democrazia e dei suoi valori, il lavoro l’avevano perso, perché combattuti ed emarginati dal fascismo. Il primo strumento che ogni potere anti-democratico ha per togliere la dignità e la libertà è cancellare il lavoro. Furono tanti, troppi, gli italiani e gli europei che dovettero chiudere fabbriche, tipografie, uffici, cattedre, per non piegarsi alle richieste anti-democratiche e illiberali del regime. Molti di quegli uomini furono poi tra i padri costituenti, e in quella originale e felice formulazione del primo articolo, cercarono di raccontare anche queste storie di amore civile. E nel far questo hanno creato la più bella equazione della nostra storia repubblicana, quella che pone l’eguaglianza tra democrazia e lavoro: la Repubblica è democratica perché fondata sul lavoro, altrimenti la Repubblica si fonda su rendite e privilegi, e quindi non è democratica. Non è facile, oggi, leggere seriamente quell’articolo, e al contempo restare passivi in una Italia e in una Europa che, da una parte, lasciano troppi milioni di persone fuori dalla "città del lavoro", e dall’altra fanno troppo poco di fronte a nuove forme di schiavitù e servitù. Quell’articolo quindi, ci può offrire una chiave di lettura potente per comprendere meglio che cosa sta effettivamente accadendo.
Ci dovrebbe far capire che la lotta alla disoccupazione deve avere lo stesso posto che occupa il lavoro nella nostra Costituzione: il primo. Non si può barattare il lavoro con i profitti né, tantomeno, con le rendite, perché quando il lavoro della persona umana è negato è in profonda crisi prima di tutto la democrazia. C’è poi un secondo messaggio molto attuale che ci arriva dall’articolo 1 e dalle sue semantiche (oggi, forse, troppo lontane): lavorare non è l’esperienza del servo e dello schiavo. Una tesi che ci chiama a una profonda riflessione quando constatiamo che il capitalismo senza regole e senza misura sta creando nuove forme di schiavitù e di servitù nei livelli più alti e più bassi del mondo del lavoro.
Delle dilaganti e anche inedite forme di schiavitù-servitù di operai e precari nel mondo si parla abbastanza; si parla invece troppo poco delle nuove forme di schiavitù di coloro che vengono considerati privilegiati: dirigenti e impiegati di medio e alto livello nelle grandi imprese multinazionali, che vengono pagati assai bene nei "nuovi mercati", ma che di fatto rinunciano più o meno consapevolmente, a crescenti fette di libertà, di tempo, di festa, di famiglia... La rossa spia del lavoro continua allora a lampeggiare: prendiamola tutti più sul serio, fermiamoci, per poi ripartire nella giusta direzione.
[1968]
Scritta
dal grande cabarettista milanese Walter Valdi, per intenderci, quello de «Il
palo della banda dell'Ortica», per Jannacci.
“Lavoravo
in quel di Baggio, e mi han licenziato a maggio...”
Lavoravo
in quel di Baggio Per potere stare a galla
in
catena di montaggio
mi toccò muover la spalla.
E
giravo una ramella Ed
in più, come si vede,
sempre
una, sempre quella. m’è venuto un
tic al piede.
Ed
un giorno fu così Per
frenare quel pedale
che
mi venne fuori un tic ero
proprio messo male!
Lavoravo
in quel di Baggio Lavoravo
in quel di Baggio
ad
un nastro di montaggio e mi
han licenziato a maggio-
La
mia testa si girava M’ha
chiamato il Direttore
e
il motore accompagnava e mi
fa :”Caro Signore
Per
seguirlo fu così con
quel tic non rende niente!
che
mi venne un altro tic Eh, non vede?
Sembra quasi un deficiente!”
Non
si sta poi tanto male
con
un tic orizzontale
Ma
per colpa di un rialzo
lo
seguivo in un sobbalzo
Per
quel nastro fu perciò
che
il mio tic si complicò
Mi
han cambiato di reparto
m’è
venuto un mezzo infarto
C’era
un nastro sempre in piano
ma
arrivava contromano
Mi
trovai un po’ peggiorato
col
mio tic modificato
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