Dalla teocrazia
alla democrazia. Dal potere esercitato in nome di Dio a quello emancipato da
riferimenti ultraterreni; dalle società pre-moderne fondate sui miti e sul
sacro, alla società moderna occidentale desacralizzata, secolarizzata e
post-religiosa. Questo il tema su cui rifletteremo
domenica 28 aprile alle ore 10,30 all'assemblea della Comunità
dell'Isolotto,in via degli Aceri
1-Firenze
L'interrogativo è:
regge oggi questa rappresentazione, oppure anche nella nostra società è
presente una dimensione religiosa, magari nella forma di una nuova religione?
Secondo Walter Benjamin la religione del nostro tempo è il capitalismo.
Si
è così aperto un dibattito fra chi sostiene essere la nostra una società non
religiosa, secolarizzata e desacralizzata, e chi, al contrario, riconduce la
secolarizzazione ad un insieme di credenze che costituiscono una vera e propria
“mitologia programmata”.
Domenica 28 Aprile 2013 – Elena, Maria, Giulia, Sergio, Gianpaolo, Roberto
Disincanto del
mondo, demitizzazione, secolarizzazione o “mitologia programmata”?
E’ la nostra una società
post-religiosa oppure si basa anch’essa su un
sostrato religioso, magari
nella forma di una nuova religione?
I
La tesi che la
secolarizzazione sia il contrassegno della società occidentale nel nostro
tempo, sia insomma lo specifico della modernità, ha conosciuto indubbiamente un
notevole successo, esercitando una vera e propria egemonia culturale, non senza
però un qualche contrasto. Nota è la contrapposizione fra la tesi di Karl
Löwith (Significato e fine della storia- 1949) - per la quale la
modernità non è altro che l’escatologia cristiana secolarizzata, e quella di
Hans Blumemberg (La legittimità dell’età moderna 1966) che vede la
modernità affermarsi contro il cristianesimo. Su queste tematiche il dibattito è
proseguito anche negli anni successivi. In proposito appare interessante la
discussione sviluppatsi in Francia a cavallo fra gli anni ’80 e ’90 del ‘900.
La concezione
che con lo sviluppo delle tecniche e delle procedure democratiche ci si stia
movendo verso una società estranea alla religione, post-religiosa potremmo
dire, è sostenuta da Marcel Gauchet (Vedere Le désenchantement du monde –
Une Histoire politique de la religion – 1985 – - Il disincanto del mondo – Una
storia politica della religione e l’articolo dello stesso Dalla
teocrazia alla democrazia in Micromega 2/1992).
Scrive,
infatti, Gauchet che “L’avvento di un potere democratico nell’Occidente
moderno non può essere compreso altro che nell’ambito di un processo di uscita
dalla religione”. Perfino una società che “al limite…non
comprendesse che dei credenti”
sarebbe comunque “una società al di là del religioso”. E ciò perché si è
dissolta la concezione di un mondo strettamente fondato sul proprio passato,
sulle proprie origini tramandate dal pensiero mitico elaborato in forme
simboliche.
Nelle
società religiose, infatti, il potere ha un fondamento meta-sociale e quindi
esterno alla collettività e fuori portata per gli esseri umani chiamati solo ad
obbedire alle imposizioni ricevute dall’alto, la cui memoria viene perennemente
rinnovata dal racconto mitico. Si tratta quindi di un’alienazione di potenza al
di fuori della società, nelle divinità di cui parlano le religioni ed i miti, che
viene rappresentata simbolicamente come base dell’ordine sociale allo scopo di
legittimare l’esercizio di potere dei dominanti sui dominati, in modo che
quest’ultimi accettino la loro condizione di inferiorità. “Il religioso è
originariamente un modo di istituzione della società, un tipo di legame fra gli
esseri umani attraverso l’ineguaglianza, ineguaglianza di essenza sacrale,
legame attraverso una gerarchia che ripercuote ovunque nel mondo terreno la
superiorità ultima dell’al di là. Gerarchia la cui chiave di volta è costituita
dal potere sacro.” “Religione, per condensare il concetto in una
parola, è eteronomia, e il sacro è la figura in cui
l’eteronomia si materializza, si incarna in maniera sensibile”.
Nelle
società moderne, al contrario, con la formazione dello Stato, il fondamento del
potere è trasportato dall’al di là all’al di qua, e immesso all’interno della
formazione sociale stessa, senza riferimento ad alcuna dipendenza da una realtà
esterna superiore. Questo non vuol dire che anche nel mondo moderno non sia
presente la frattura fra dominanti e dominati. Solo che ora essa deve essere
giustificata con argomenti logici, razionali, senza alcun richiamo a simboli
mitici, giacché il mondo è stato disincantato, cioè depurato delle incrostazioni
mitico-sacrali che bloccavano qualsiasi apertura al cambiamento. Così “Questa
radicale trasformazione fa passare la legittimazione del legame collettivo
dall’extra-sociale a l’intra-sociale, dal passato fondatore all’avvenire
indeterminato, dalla ragione teologica all’ideologia“. Per questo, uscendo
dalla teocrazia, le società moderne si sono sviluppate gradatamente con
l’attivazione di una forte pratica di critica sociale e politica, orientandosi
così verso la democrazia, cioè verso la legittimazione popolare dell’esercizio
del potere. Certo non è scomparso il pericolo che “risiede nell’insidioso
operare di un ultimo residuo di forme sacrali all’interno delle democrazie”.
Comunque, per concludere, il dato rilevante di connotazione della società
moderna consiste nella fine della religione nel ruolo di strutturare lo spazio
sociale. Si può dire, allora, che “La società moderna non è una società
senza religione, è una società che si è costituita nelle sue articolazioni
principali con la metabolizzazione della funzione religiosa”. Comunque “Mondo
terreno e aldilà cessano di costituire insieme uno stesso essere…. Questo mondo
e l’altro mondo cessano, se si vuole, di formare in ultima istanza un solo
mondo… Questo mondo costituisce in se stesso una realtà. E’ chiuso in se
stesso. Dio è del tutto altrove ”.
Anche
i monoteismi mantengono questa esteriorità del fondamento collettivo della
società, però non la collocano più fuori dal tempo, nel mito delle origini e
della sacralità della natura, ma in un Dio interamente separato dal mondo. Si
instaura così una separazione nuova fra naturale e soprannaturale, fra il mondo
umano e quello di Dio, aprendo quindi la possibilità di un rapporto nuovo fra
l’essere umano e la natura, disincantata, demitizzata, desacralizzata. Con la
ritirata di Dio il mondo da realtà donata, come era, diviene una realtà da
costruire, e quindi si apre all’essere umano sia sul piano della conoscenza che
su quello dell’azione pratica. Comunque anche con i monoteismi il mondo rimane magico,
per cui “la sfera visibile continua ad essere abitata da potenze
invisibili” ed “affollata di sacralità”. In conclusione, di per sé
stesso, il monoteismo non è sufficiente a produrre il disincanto del mondo. E’
il cristianesimo con l’Incarnazione che apre questa prospettiva. “Se Dio si
fa uomo per rivolgersi agli uomini,…invece di parlare loro direttamente per
bocca di un profeta, vuol dire per un verso che egli appartiene radicalmente ad
un luogo distinto dalla sfera degli uomini, e per l’altro, che questa sfera è dotata
di una consistenza che la chiude relativamente su se stessa. Una consistenza
tale che colui che vi penetra, anche se si tratta di Dio, deve adottarne le
regole”.
Certamente
la Chiesa ha
usato l’Incarnazione per riunire gerarchicamente l’al di qua con l’al di là,
proponendosi come mediatrice assoluta. Ma questa mediazione fra il sacro ed il
profano, fra il cielo e la terra, si presenta altamente problematica in
rapporto al fatto che la mediazione storica realizzatasi una volta per tutte è
quella di Cristo. In conseguenza di ciò “Non è l’Incarnazione che genera il
moto del secolo, è il moto del secolo che risveglierà il fondamentale contenuto
dell’Incarnazione consentendole di agire”, nel senso di riconoscere
validità all’autonomia degli esseri umani.
Gauchet
non ignora il ritorno del religioso, ma lo vede come effetto del crollo delle
grandi speranze racchiuse nel sogno di un futuro radioso, di una società
migliore di quella presente. Di conseguenza “Nel fondo del cosiddetto
ritorno del religioso vi è soprattutto la riappropriazione identitaria del
passato in sostituzione di un futuro che sfugge ”
La
tesi contrapposta alla precedente è sostenuta da due politologi – M.D.Pierrot e
G.Rist ed un antropologo – F.Sabelli – nello scritto La Mythologie
programmée- L’économie des croyances dans la société noderne (La mitologia
programmata – L’economia delle credenze nella società moderna.
Gli
autori riprendono la concezione di un sociologo francese Durkheim esposta in
un’opera rimasta famosa – Le forme elementari della vita religiosa –
pubblicata nel 1912. Vi si sostiene che la religione può esistere al di fuori
di ogni istituzione specializzata, al di fuori di ogni riconoscimento formale
di una divinità o di una pluralità di dei. La religione esprime la società, nel
senso di assicurarne la coerenza e la stabilità, in quanto diffonde fra i suoi
membri i medesimi valori di fondo, i medesimi pregiudizi e la medesima
tradizione, portandoli a condividere comportamenti che rendono possibile la
loro convivenza, in modo da permettere la coesione sociale. Si tratta, quindi,
di un insieme di credenze comuni ad una determinata collettività. Di
conseguenza, ogni società è governata da credenze largamente condivise, che
sarebbe pericoloso rimettere in questione, ed è in questo senso che si può
considerare religiosa. Pertanto, non esistono religioni senza società, ma
neppure società senza religioni. Anche una società di atei, che senz’altro non
crede in Dio, ma non per questo sarebbe senza religione e credenze. In
sostanza, il fenomeno religioso non consiste in verità accettate a titolo
individuale, ma in una rappresentazione collettiva che si impone a tutti come
se essa provenisse dall’esterno e che serve a sigillare l’unità del gruppo. Ciò
che determina le pratiche sociali non è allora il contenuto di ciò che si
crede, bensì il fatto stesso di credere.
Anche
la nostra società non sfugge a questa regola. Vi sussistono infatti credenze
sociali, nonostante l’incredulità individuale, tanto che si possono inquadrare
come forme religiose anche la laicità e la secolarizzazione. Pertanto il
disincanto del mondo e la demitizzazione non sono che apparenti, in quanto ciò
che non è riconosciuto come religioso è nondimeno vissuto come tale. Basti
pensare ai fondamenti della modernità: l’individualismo, la razionalità
calcolatrice ed utilitaristica, la produzione e la crescita economica, il
dominio sulla natura e via dicendo.
A
questo punto gli autori presentano una serie di credenze, non riconosciute
ufficialmente come tali, e di pratiche connesse, definite come insieme “mitologia
programmata”. “La mitologia programmata è un sistema di credenze
socialmente condivise, collettivamente costruite dall’immaginario sociale,
utilizzando i materiali forniti dalla storia (navetta spaziale, programma televisivo,
evento politico, diritti dell’uomo ,una pubblicità, una scoperta scientifica,
ecc.) che permette di rendere socialmente accettabili le pratiche moderne e di
presentarle in funzione di un avvenire posto come legittimo e necessario”.
Essa agisce sul piano esistenziale, nel senso di restituire all’individuo una
parte del senso di cui è stato privato dalla demitizzazione e dalla
desacralizzazione compiuta dagli intellettuali a partire dall’Illuminismo. I
suoi principali gestori sono lo Stato ed il capitale.
A
questo punto gli autori prendono ad analizzare una serie di queste credenze e
delle pratiche che vi sono connesse.
Una
consiste nel passaggio dalla ragione alla razionalità basata su una logica
utilitaristica come rapporto fra mezzi e fini in senso economico. Il suo centro
è l’impresa che, oltre a produrre merci, crea una credenza mitologica,
presentando il sistema economico come espressione di una verità sulla natura
umana, e quindi ponendosi come fabbrica della cultura quotidiana e laboratorio di
sperimentazione culturale. Anche la “carta di credito” funziona come forza
identitaria, che apre al mondo della ricchezza senza denaro e senza limitazioni
di spesa. Entrando in questo mondo di opulenza generalizzata “voi non sarete
mai soli” recita una pubblicità dell’American Express. A sua volta la
“bioetica” è giudicata come uno strumento di sacralizzazione crescente delle
biotecnologie, nel senso di avallare il programma di dominio sul vivente, in un
contesto dove dalla scienza si tende a passare alla tecnoscienza. Anche molte
cerimonie moderne, legate a feste laiche, recuperano strutture mitologiche
antiche in modo da rendere credibili nuovi valori e indiscutibile la
riorganizzazione delle pratiche. Le stesse “Esposizioni internazionali”
esaltano la potenza economica del mondo industriale, diventando fucina di
desideri collettivi, laboratori della società di consumo. Le “Dichiarazione dei
diritti”, hanno anch’esse un carattere religioso, compresa quella del 1948.
Essendo sistematicamente violata essa vale come principio morale o semplice
raccomandazione, col carattere di promessa, di utopia, di mito, caso mai come
programma da realizzare.
Anche
“l’amore per l’umanità” ha il carattere del mito religioso. Con la crisi della
socialità a gestione statale ha preso spazio e riconoscimento la carità
individuale. Campione di ciò è la figura di Madre Teresa di Calcutta, scoperta
e costruita programmaticamente come mito allo scopo di rendere accettabile il
ripristino di pratiche sociali risalenti ad un lontano passato, di soffocare
ogni critica sull’efficacia di questa forma di carità e, soprattutto, di non
rimettere in discussione i meccanismi che generano la povertà. Sul piano
strettamente ecclesiastico, essa rappresenta una teologia preconciliare,
strettamente legata al principio gerarchico ed alle posizioni vaticane in
materia di sessualità e dei mezzi anticoncezionali artificiali. Infine l’ultimo
mito preso in considerazione è quello della solidarietà Nord-Sud. Essa è
presentata come una sorte di religione di salvezza per i popoli del terzo mondo
sottomessi a forze malefiche (la povertà, il basso sviluppo economico), la
crescita delle differenze in termini di Pil con i paesi ricchi, la mentalità
irrazionale, l’analfabetismo ecc. In base alla “credenza” nello sviluppo
economico di tipo occidentale, presentato come irreversibile ed ineluttabile,
lo scopo è quello di immetterli in quel processo economico, incentrato sulla
concorrenza che assicurerebbe il loro progresso. In sostanza, il mito
dell’universalismo e dell’umanitarismo dissimulano, magari anche in maniera non
consapevole, il progetto di diffondere le forme economiche tipiche
dell’Occidente capitalista e quindi i suoi interessi. Se ciò fosse dichiarato
apertamente non sarebbe accettabile, ma lo diviene perché la sua legittimità è
basata su una credenza condivisa.
Per
concludere, gli autori ribadiscono che, nonostante le apparenze, la nostra
società “moderna o “post-moderna” è una società che ha tradizione come tutte le
altre, e le figure della “mitologia programmata” sopra illustrate mostrano i
nostri riti, le nostre cerimonie, i nostri feticci, i nostri personaggi sacri
che, oggi come una volta, suscitano adesione, rinforzano il consenso,
esercitano la loro obbligatorietà, sono performativi, benché talvolta incontrino
resistenze. Il paradosso è che una società che pretende distaccarsi da ogni
religione, deve ricorrervi incessantemente per imporre la legittimità del suo
programma.
II
Nel presente panorama filosofico italiano
e non solo, sta occupando un rilievo notevole la discussione sul rapporto fra
la religione cristiana ed il capitalismo. Il tema era già stato al centro della
riflessione di Max Weber , secondo il quale il calvinismo aveva fornito il
contributo decisivo allo sviluppo dello spirito capitalistico dei paesi
anglosassoni e dell’Olanda (Vedere L’etica protestante e lo spirito del
capitalismo- 1904/5). Altri storici e sociologi si sono poi confrontati col
problema, ridimensionando però la radicalità della tesi weberiana.
Il problema ha ritrovato
attualità di fronte alle condizioni sociali e culturali nelle quali si trova
oggi la nostra società, che vedono trionfare un vero e proprio totalitarismo
economicistico, con l’economia (mercati finanziari, investitori ecc.) che
sottrae ai singoli ed alle comunità il controllo del proprio destino. In altre
parole, al posto di un Dio trascendente come regolatore dall’alto della vita
individuale e collettiva, troviamo la pervasività totalizzante del mercato
capitalistico, innalzato a condizione naturale ed a-storica, quindi necessaria
ed immutabile, di fronte al quale si dichiara impossibile qualsiasi prospettiva
di cambiamento e di governo democratico. Di nuovo quindi un potere trascendente,
incontrollato ed incontrollabile
Non desta perciò meraviglia se un
frammento giovanile di Walter Benjamin, scritto nel 1921, torna oggi al centro
di una riflessione che trova nel pensiero di alcuni filosofi italiani un
interessante sviluppo. Fra gli altri, due nomi spiccano per importanza: quello
di Giorgio Agamben (Vedere il libro Il Regno e la Gloria- Per una
genealogia teologica dell’economia e del governo – Boringhieri 2009) e
Elettra Stimilli (Vedere il libro Il debito del vivente – Ascesi e capitalismo
– ed. Quodlibet 2011).
Benjamin assegna a questo suo
scritto il significativo titolo di Capitalismo come religione e scrive:
“Nel capitalismo si deve vedere una religione, vale a
dire che il capitalismo serve essenzialmente all’appagamento di quelle stesse
preoccupazioni, di quelle pene ed inquietudini a cui un tempo davano risposta
le cosiddette religioni…Il capitalismo è una pura religione cultuale, forse la
più estrema che sia mai esistita. In essa tutto ha significato solo in
immediata relazione al culto, non conosce una specifica dogmatica, una
teologia…A questa concrezione del culto è connesso un secondo tratto del
capitalismo: la durata permanente del culto…”
Dopo avere indicato altre
caratteristiche della religione capitalistica e avere annotato che “Il tipo
di pensiero religioso capitalistico si trova magnificamente espresso nella
filosofia di Nietsche”, Benjamin conclude: “Il capitalismo – come va
dimostrato, non solo rispetto al calvinismo, ma anche riguardo alle altre
tendenze cristiane ortodosse – in Occidente si è sviluppato parassitariamente
sul cristianesimo, in modo tale che alla fine nell’essenziale la sua storia è
quella del suo parassita, il capitalismo”.
Questo parallelismo fra
cristianesimo e capitalismo costituisce una rilevante novità anche rispetto a
Marx. Sebbene quest’ultimo abbia stabilito connessioni fra cristianesimo e modo
di produzione capitalistico, tuttavia la religione rimane ancora per lui quella
tradizionale: “La religione è il gemito dell’oppresso, il sentimento di un
mondo senza cuore, e insieme lo spirito di una condizione priva di
spiritualità. Essa è l’oppio del popolo” (Introduzione alla Critica
della filosofia del diritto di Hegel). In sostanza la religione trova la
sua ragion d’essere proprio nell’oppressione, nella mancanza di umanità e di
spiritualità che contrassegna il capitalismo. Non sembra quindi presente in
Marx l’idea che questo capitalismo disumano possa svolgere la stessa funzione
sociale della religione
A commento dello scritto
di Benjamin, Stimilli scrive: “La tesi di Benjamin, secondo cui il
capitalismo è la religione del nostro tempo, appare...in qualche modo
realizzata. Pensare al capitalismo come all’ultima forma di religione può forse
aiutare a comprendere anche il dirompente ritorno del religioso, a cui si è
assistito negli ultimi anni. Nuove istanze religiose sono emerse all’interno
del mondo cosiddetto ‘moderno’, coinvolgendo direttamente gli assetti politici
internazionali e attirando prepotentemente l’attenzione dell’opinione pubblica.
Ma una risposta convincente al problema del rinnovato dominio dell’ambito
religioso sul piano pubblico della politica non è stata ancora veramente data.
Che tale ritorno sia connesso al perpetuarsi di una guerra, che invece di
essere originata da un conflitto di civiltà, sia, in realtà, piuttosto
alimentata da un vero e proprio scontro economico planetario, sembra solo una
conferma della profetica intuizione di Benjamin. Una prospettiva che voglia
confrontarsi in maniera radicale con tale questione, non può lasciare
nell’ombra quanto il paradigma della secolarizzazione, di fatto, si sia
rivelato sempre più inadeguato per una lettura del presente e come sia apparso
del tutto riduttivo nei confronti di un fenomeno prepotentemente emergente come
quello religioso ”.