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martedì 23 ottobre 2007

22/10/2007 08:45:00 - 160 letture

Maurizio Chierici: ll diavolo confessore


Non so quale tormento ha sconvolto i cattolici argentini nell’ascoltare le voci dei sopravissuti alle squadre della morte dei generali P2. Imputato il cappellano militare Christian Von Wernich. Le Tv e i fotografi che cercavano di cogliere nel volto un’ombra di imbarazzo ( se non di pentimento ) trovavano occhi di ghiaccio, labbra piegate nel sarcasmo quando, chi uscito vivo dalle prigioni clandestine, spiegava di quale inferno il sacerdote era stato protagonista.. L’ho visto e rivisto in Tv per evitare il luogo comune del colpevole indifferente, ma Von Wernich insisteva nel rappresentarsi come luogo comune senza speranza. Ha confessato i prigionieri che non si erano arresi alla tortura non avendo segreti da raccontare. Li invitava a collaborare perché l’Altissimo lo pretendeva. Chi confidava la verità nascosta - abbandono di ogni credente che si inginocchia - era lontano dal sospetto di un confessore spia dei torturatori. L’accusa ha inchiodato all’ergastolo Von Wernich: 7 omicidi, 32 casi di tortura ripetuta dopo le notizie raccolte nel confessionale e 42 amici spariti nel nulla. Nove anni fa il capitano Scilingo è stato il primo repressore a spiegare con quali parole di consolazione Von Wermich ed altri cappellani militari accompagnavano i condannati a morire sull’aereo che li avrebbe dispersi in mare: la volontà del Signore lo pretendeva, segno dell’ amore col quale proteggeva la patria. < Rassegnati, Dio lo sa >. Nell’interpretazione di questi sacerdoti, la rassegnazione disinfettava dagli insetti maligni la nuova società. Ma non erano insetti e non erano maligni: solo ragazzi che non sopportavano l’oppressione armata.

Ecco perché 30 anni dopo memoria e perdono restano i problemi irrisolti della Chiesa nel continente più cattolico del mondo. Von Wermich non è diventato improvvisamente colpevole otto giorni fa. Subito dopo la sentenza del tribunale, la Chiesa annuncia procedure che gli statuti vaticani contemplano per decidere il destino di un prete del quale si conoscono i delitti da tempo immemorabile. Negli ultimi mesi ogni vescovo ha incontrato ogni giorno su ogni giornale e ogni Tv i racconti dei testimoni e i documenti che provano l’orrore. Non a caso il comunicato della Commissione Episcopale appare cinque minuti dopo l’annuncio dell’ergastolo. Perché cinque minuti dopo e non cinque anni o cinque mesi fa come i credenti pretendevano ? Parole preparate da tempo; poche righe che deludono: < Il vangelo di Cristo impone a noi discepoli una condotta rispettosa verso i fratelli. Un sacerdote cattolico, per azioni e omissioni, si è allontanato dall’esigenze della missione che gli era stata affidata. Chiediamo perdono con pentimento sincero mentre pregiamo Dio nostro Signore di illuminarci per poter compiere la missione di unità e di servizio >. Non una parola di pena per le vittime. La deviazione di Von Wermich rimpicciolisce nella deviazione personale, pecora nera lontana dall’impegno della comunità ecclesiale. Ed è vero, ma il silenzio della comunità ecclesiale resta il peccato inspiegabile che ha riunito tanti vescovi e tanti sacerdoti alcuni di loro prossimi al processo. E dopo la sentenza se ne aggiungono altri. Il vescovo vicario della diocesi di san Miguel, Federico Gogala, visitava giovani donne che stavano per partorire. Nude e incappucciate per non riconoscerlo. Se ne andava col bambino appena nato mentre la madre veniva assassinata. Una suora e un’infermiera stanno testimoniando. E testimoniano le nonne di piazza di Maggio con la prova di una nipote ritrovata, data in adozione dal Movimento Familiare Cristiano vicino al vescovo ausiliare Gocala. Comprensibile l’imbarazzo e il dolore eppure nessuna spiegazione su < omissioni ed azioni > che tormentano il clero argentino, ma anche sacerdoti e cattolici di tutte le americhe latine, e non solo delle americhe. Non hanno saputo affrontare il passato prossimo con la lealtà che obbliga la loro missione. Per il diritto canonico la decisione sul futuro sacerdotale dell’ex cappellano militare è competenza del vescovo della diocesi, monsignor Martin Elizaide, 67 anni, profilo incolore nella gerarchia argentina. Facile pensare che il verdetto risentirà degli umori della conferenza episcopale. La procedura sarà lunga, Martin Elizaide non ha indicato quanto finirà. A Von Wermich è consentito ricorrere al tribunale vaticano se gli sarà proibito di esercitare la funzione ministeriale. Si apre un tempo paradossale. Von Wermich può continuare a confessare, celebrare messa come ogni parroco in pace con Dio; potrà distribuire la comunione agli altri torturatori chiusi nella stessa prigione fino a quando la decisione del vescovo non lo impedirà. Ma glielo proibirà per sempre o < la contrizione palese per il male commesso > potrà risorgerlo a nuova vita restituendogli messa, comunione e confessione? Su Ernesto Cardenal e Manuel D’Escoto, ministri nel governo sandinista, papa Woytila aveva alzato l’indice del rimprovero. Hanno perso la messa per sempre. Ferdinando Cardenal, fratello di Ernesto e gesuita, a 70 anni ha riaffrontato il noviziato con l’umiltà di un seminarista adolescente. Ed è tornato a celebrare dopo la lunga punizione. Loro colpa aver accettato un ruolo politico come è successo in altre regioni, anche in Italia. Baget Bozzo ( don Gianni per i ragazzi ormai bianchi del ’68 ) era diventato parlamentare europeo nel nome di Craxi: gli hanno benevolmente imposto la proibizione del predicare in pubblico. Nel privato restava il prete di sempre. Nessuna sanzione radicale.

I delitti di Von Vernich oscurati da silenzio e complicità aprono un capitolo finora esplorato con imbarazzo: il rapporto tra cappellani militari e dittature, dall’America Centrale a Brasile, Cile, Argentina. Con quale spiritualità si sono rivolti a Dio gomito a gomito con le squadre della morte ? Fedeli ai doveri pastorali o ligi all’obbedienza dovuta che incatena ogni militare ? Fino al processo Von Wernich, ai cappellani militari di Argentina e Cile la Chiesa non ha detto niente. Si sapeva e si sa delle ambiguità a volte degenerate in collaborazione al delitto. Sembra impossibile che i vescovi cappellani militari e i vescovi amici dei vescovi militari siano stati all’oscuro. Possibile che i nunzi apostolici, ambasciatori del Papa, si siano limitati ai sussurri ? Forse i doveri diplomatici e l’amicizia personale con gli strateghi della repressione hanno annacquato nell’ipocrisia l’impegno che impone la fede. Vent’anni dopo, 1996, i vescovi argentini si fanno vivi con un’autocritica superficiale. Nel 2000 chiedono per la prima volta perdono. In Cile il silenzio continua. Alla messa della domenica nella cattedrale castrense di Santiago, vecchi e nuovi militari si accostano all’altare con la devozione di Pinochet.

La storia dei rapporti chiesa-stato ha conosciuto in Argentina momenti che oggi ( solo oggi ) imbarazzano le coscienze. Subito dopo il colpo di stato 1976, il cardinale di Buenos Aires Carlo Aramburu invita i fedeli a collaborare col governo dei generali < i cui membri appaiono assai bene ispirati >. Gran parte dei vescovi e il nunzio apostolico Pio Laghi ( cardinale romano ) assistono alla cerimonia di insediamento del generale Videla. Laghi è il solo diplomatico straniero presente. Perché ? Tre mesi dopo benedice a Tucuman le truppe scatenate nella repressione: < l’autodifesa contro chi vorrebbe far prevalere idee estranee alla nazione… impone misure determinate. In queste circostanze si potrà rispettare il diritto fin dove si potrà >. Anche Benelli, sostituto segretario di stato vaticano, si dichiara < soddisfatto per l’orientamento assunto dal nuovo governo argentino nella sua vocazione cristiana e occidentale >. Paolo VI era stanco, malato. Lo si informa in qualche modo nascondendo quasi tutto. Anche Giovanni Paolo II viene a sapere della tragedia argentina dalle Madri di piazza di Maggio. La Chiesa di Buenos Aires tranquillizzava il Vaticano ma le madri alle quali avevano rubato i ragazzi vengono a Roma sperando di informare il papa. Per sopravvivere lavorano come perpetue o inservienti in collegi religiosi e parrocchie. Ed è così che Giovanni Paolo II, e non un vescovo argentino, pronuncia per primo la parola < desaparecido >. Tardi, purtroppo: 30 mila morti.

Ieri, come oggi, in Argentina e nel continente latino ( Venezuela compreso ) si delineano Chiese che non si capiscono. Tanti preti e qualche vescovo fra le vittime. Romero e dodici religiosi in Salvador. Due vescovi e religiosi assassinati in Argentina. Il primo a morire don Carlos Mugica, fondatore del movimento dei sacerdoti terzomondismi. Poi padre Josè Tedeschi, poi l’intera comunità dei Pallottini: tre preti, due seminaristi. Il vescovo Enrique Angeletti viene ucciso al ritorno da un convegno in Ecuador organizzato dai teologi della liberazione; il vescovo Carlos Ponce muore a San Nicolas in un incidente stradale che la polizia definisce < immaginario >. Due suore francesi violentate, torturate e uccise dal guardiamarina Astiz. L’essere riconosciuto colpevole non ferma la sua carriera: l’indulto del presidente Menem gli permette la divisa immacolata di capitano di vascello. I vescovi Karlic e Novak non sopportano: precedono il mea culpa ufficiale invocando perdono per il male che la Chiesa < non ha impedito, sopportato e in qualche caso aiutato >. Il regime cade eppure certe solidarietà non svaniscono. 24 settembre 1991: il nunzio apostolico Ubaldo Calabresi organizza un ricevimento per festeggiare il dodicesimo anniversario dell’investitura di Giovanni Paolo II. Fra gli invitati i generali Videla, Viola e l’ammiraglio Massera riconosciuti colpevoli dell’uccisione di migliaia persone, ma perdonati e rimessi in libertà dalla legge che < riappacifica il paese >. L’altra Chiesa argentina guarda al futuro in modo diverso. Dopo la condanna di Von Wernich la Commissione Giustizia e Pace assistita dal vescovo Jorge Casaretto ( 71 anni, origini genovesi ) si preoccupa del dolore dei familiari ed esprime pietà per le vittime invitando la giustizia a scoprire quali complicità e quanti tradimenti siano allo radice di una tragedia impossibile da nascondere. Casaretto ha guidato la Caritas negli anni del disastro economico: metà Argentina non sapeva cosa mangiare. Ha aperto mense popolari, bussato alle porte che contano. Von Wernich appartiene all’altra Chiesa. Il suo ergastolo illumina lo scandalo dei sacerdoti che hanno trasformato la confessione in un gadget della tortura. < Era difficile >, sospirava qualche anno fa il vescovo Laguna, portavoce della conferenza episcopale, nella sua stanzetta di Morelos. < Difficile restare fedeli alla promessa e sopravvivere nella paura >. Difficile, ma non impossibile. Cambiando latitudine ecco la storia del cardinale di Praga Miloslav Vlk. Il socialismo reale avevo imposto l’ateismo trasformando la devozione religiosa in un < sentimento privato >. I preti dovevano lavorare per vivere. Per i credenti una sfida andare a messa mentre mani curiose annotavano i nomi sul registro dei sovversivi. Il giovane prete Miloslav Vlk lavava vetri agli angoli delle strade. Ogni tanto perdeva tempo a discorrere coi passanti. Lo racconta nel libro di Sara Regina ( edizione San Paolo: < Da lavavetri a cardinale > ). Chi lo avvicinava voleva confessarsi lontano dagli occhi delle polizie. Col secchio d’acqua in mano, Miloslav Vlk ascoltava e assolveva chiudendo nel cuore le loro parole. Qualcuno dovrebbe mandare il libro a Von Wernich e a chissà quanti cappellani militari dell’altra America ( ma non solo ). Magari capiranno.

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