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lunedì 29 ottobre 2007

David Bidussa

La Chiesa si difende beatificando i martiri

In “il Secolo XIX2, 29 ottobre 2007, p. 11

 

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Ieri, in Piazza San Pietro, Papa Benedetto XXVI ha reso effettivo quanto deciso il 27 aprile scorso al termine della LXXXIX Assemblea Plenaria della Conferenza episcopale spagnola: la beatificazione a Roma, di 498 martiri spagnoli degli anni 30, uccisi nel corso della Guerra civile per mano repubblicana. Un evento interno alla Chiesa solo in parte.

Certo la beatificazione indica un percorso in cui quei beati sono indicati come vite esemplari. La loro esemplarità non consiste, tuttavia, solo nel martirio. Nelle procedure di beatificazione, nella “fabbrica dei Santi” la regola della morte per mano nemica, per testimoniare della fede, costituisce una parte della costruzione identitaria della Chiesa. Quei martiri, tuttavia, acquistano valore non solo per le modalità o le circostanze della loro morte, ma perché individuano una geografia. Ossia non solo raccontano che cosa sia avvenuto, ma soprattutto, dove. Ed è il dove ad essere oggi prevalente. Questo indipendentemente dalla fisionomia politica del nemico (anche se poi prevalentemente nel corso del ‘900 quel nemico, nella maggior parte dei casi, si è incarnato nell’esperienza comunista).

A una prima lettura – quella più facile e per certi aspetti scontata - questa beatificazione “di massa” potrebbe essere interpretata come una scelta politica che si contrappone alla Spagna di Zapatero in nome di una Spagna tradizionale. Una scelta che nei fatti contesta e respinge quanto il parlamento spagnolo è in procinto di legiferare su proposta del governo: la legge sulla Memoria. legge che stabilisce che tutti i simboli della dittatura franchista siano rimossi dagli spazi pubblici, vie piazze, facciate delle chiese. La lettura più facile, dunque, è quella che identifica questa scelta della Chiesa come risposta speculare a quella legge.

Forse è anche così. Più profondamente ciò che quest’atto testimonia è la rivendicazione dei confini della Chiesa romana ad Ovest, ovvero in una terra che è segnata appunto dai martiri. La Spagna, dunque, come una Lepanto occidentale.

Se la memoria pubblica, più che il risultato di un ricordo, deriva da un patto in cui si riconosce ciò che è importante trasmettere alle generazioni future, allora è chiaro il senso di questa scelta: il franchismo è solo un’occasione, al più uno strumento. Il vero nodo è l’identità dell’Europa come terra di cristianità non acquisita una volta per sempre, ma ogni volta da riconfermare e da riprendere in mano. Un’identità continentale ieri minacciata in Spagna dai sostenitori della Repubblica e oggi più che dalla multiculturalità, dagli effetti indesiderati della interculturalità, vissuta come sindrome di accerchiamento. Un continente dove le pratiche dell’abbandono della Chiesa sono maggiori dei ritorni e dove improvvisamente altri “credo” rivendicano il fascino del martirio come testimonianza della forza della fede.

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