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giovedì 13 gennaio 2011

Papa che straparla

 I media hanno bisogno di parole forti per poter vendere. Raramente va in prima pagina il discorso dialettico, l'argomentare capace di confrontarsi col pensiero dell'altro. La sparata al contrario conquista immediatamente i titoloni e diviene argomento privilegiato delle chiacchiere da bar. La politica si adegua o forse essa stessa promuove questa subcultura dell’eccesso che spesso è individuazione del nemico da abbattere sia esso persona o idea.

Finché l’eccesso straborda dalle colonne dei giornali e dalle agenzie di stampa e arriva ad armare fisicamente la mano omicida. Se ne lamenta lo sceriffo di Tucson, Clarence Dupnik, tanto per uscire dal nostro pollaio di casa così denso di sparate di ogni colore, che di fronte al sangue di Gabrielle Giffords e delle altre vittime, davanti all’ipermercato Safeway, ha denunciato le sparate al vetriolo, gli slogan che aizzano la rabbia delle folle, di certa gente “che nelle tv e le radio della destra ha trasformato l’odio per gli avversari politici in un business”.

Si adegua la politica e si adegua la religione. Anche lei, la religione del potere, bisognosa di bucare il video. Chi presterebbe attenzione alle parole dei prelati e dello stesso papa se si limitassero a recitar giaculatorie? Ci vogliono parole forti, condanne sopra le righe, individuazione di nemici della fede.

Benedetto XVI è un fine ragionatore, e talvolta fa notizia per le sue sottigliezze come quella sulla “passabilità” dell’uso del profilattico da parte delle prostitute o dei prostituti, che non si è capito se è principio di liceità etica o sovrana concessione. Ma anche lui infine deve cedere alla legge attuale della comunicazione: deve sparar condanne che facciano scalpore. “Profeti di sventura” li chiamò papa Giovanni.

L’ultima è venuta dal discorso d'inizio anno al corpo diplomatico in cui il papa ha parlato della "minaccia" che l'educazione sessuale e civile, impartita nelle scuole di alcuni Paesi europei, costituisce per la libertà religiosa insieme ai veti sui simboli religiosi e le feste. E’ davvero difficile non vedere l’eccesso nell’indicare come “minaccia” della libertà religiosa l’educazione sessuale e civile nelle scuole.

Chi sarebbe il nemico? Il professore Emilio Arisi, fondatore dei primi consultori in Italia, che ogni anno in collaborazione con la SIGO, società italiana ginecologi, organizza corsi nelle scuole. Lo fa – egli ha detto in una intervista a Repubblica pubblicata ieri - per “rompere la barriera dell’ignoranza. Perché ho conosciuto ragazzine convinte che la Coca Cola fosse un anticoncezionale, che se facevano l’amore in piedi non sarebbero rimaste incinta, che una lavanda al limone salvava da un rapporto non protetto”. O Carlo Flamigni che ha scritto un libro sulla “pillola del giorno dopo” l’uso della quale specialmente fra i teenager ha visto un vero boom “perché – egli dice – si arriva alla contraccezione di emergenza di massa a causa della disinformazione”.

Ogni educatore sa quanto sia deleterio il ritardo e la carenza della scuola, specialmente delle scuole cattoliche, della famiglia, della società nel suo insieme su questi temi.

Favorisce e non ostacola la libertà religiosa e un pacifico convivere civile educare i giovani a una sessualità consapevole e responsabile offrendo anche una visione, non proselitistica, della fede religiosa e cristiana liberata dai sensi di colpa, dalla violenza del sacro che promana dalla stessa esibizione generalizzata del crocifisso, sacrificato per i nostri peccati, e anche da feste quali la Immacolata Concezione strettamente legata al dogma della verginità fisica di Maria diffuso coi catechismi in spregio alla sessualità.

Confondere la libertà religiosa con la libertà di dominare le coscienze da parte dei poteri religiosi attraverso l’ignoranza, che è anche ignoranza del Vangelo e dei messaggi di liberazione presenti in tutte le religioni, è roba da medioevo che si insinua nella post-modernità attraverso gli eccessi mediatici.

 

                                                   Enzo Mazzi

 

Firenze 10 gennaio 2011

(pubblicato su Il Manifesto, 11 gennaio 2011, p.1 e 10)

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