Il processo economico capitalistico nella fase della “globalizzazione”:
breve riepilogo di una ipotesi di interpretazione
1 – La crisi della fase postbellica dell’economia capitalistica (1945-1971) dipende sostanzialmente dalla caduta dei profitti;
2 – nel decennio Settanta del Novecento parte l’attacco culturale alle politiche keynesiane del pieno impiego e dello stato sociale, che rilancia i principi liberistici, imperniati sul primato del mercato e quindi sul ritiro della politica dalla precedente funzione di regolazione sociale dell’economia;
3 – con i governi della Tatcher in Gran Bretagna e Reagan negli Stati Uniti cominciano le politiche di deregolamentazione e di liberalizzazione. Il primo settore interessato è quello del movimento dei capitali finanziari, seguito poi da quello del capitale produttivo e delle merci;
4 – la diffusione sempre più estesa di questa pratica politica consente alle imprese una profonda ristrutturazione produttiva, con l’introduzione di una nuova organizzazione, quella del toyotismo. Si procede al ridimensionamento delle grandi concentrazioni di fabbrica, con le esternalizzazioni, le terziarizzazioni e via dicendo. Soprattutto si comincia a spostare in misura sempre più ampia tutta o parte della produzione in paesi a basso costo del lavoro, in modo da tornare a massimizzare i profitti. La prima vittima sono le conquiste sociali della classe lavoratrice dei nostri paesi che vedono eroso il loro livello salariale e perdono, con la disoccupazione crescente, potere contrattuale;
5 – ma per poter realizzare i profitti occorre vendere le merci prodotte. Dove? Non certo nei paesi di nuova produzione – soprattutto asiatici – considerato che la loro domanda aggregata è molto limitata a causa dei bassi livelli salariali. Occorre vendere sui mercati mondiali. Da qui una competizione sempre più accentuata fra le imprese, che si scarica negativamente sulle condizioni di lavoro che continuano a peggiorare in funzione appunto del successo imprenditoriale in mercati sempre più competitivi. Ovviamente la liberalizzazione internazionale del commercio è passaggio necessario;
6 – la crescita della massa dei profitti in scala globale ripropone il problema del loro collocamento. Reinvestirli tutti nella produzione di beni e servizi? Ma la domanda aggregata a livello di sistema complessivo non è in grado di assorbire tutta la merce che sarebbe possibile produrre, perché il neoliberismo toglie agli stati la loro precedente funzione di sostegno con la spesa pubblica e dato che i salari reali sono tenuti bassi ed orientati anche verso la loro diminuzione in termini relativi;
7 – la soluzione del sistema globale passa per due strade. Da un lato investire profitti e quindi creare accumulazione nel settore finanziario, che diventa branca di investimento in proprio. Dall’altro, considerato che l’economia mondiale è polarizzata su tre grandi centri: Usa, Europa ed Asia, con Europa ed Asia in bilancia commerciale attiva, viene trovato nel consumo statunitense lo sbocco di tutto il surplus mondiale. Come dice l’economista Bellofiore, i consumatori americani consentono di realizzare il plusvalore globale. Ciò perché negli Usa si consuma più di quello che si produce all’interno e quindi si equilibra la domanda anche col passivo del commercio estero. Questo è possibile dato che la sovranità del dollaro come moneta internazionale non pone vincoli esteri;
8 – ma qual è la fonte che alimenta questo enorme consumo negli Usa? Non sono i salari, che anche in quel paese conoscono l’andamento negativo generale. Sono invece le rendite finanziarie create dalle varie bolle speculative. Ciò è possibile per due motivi. Da un lato perché i dollari che vanno all’estero per pagare le merci importate ritornano poi come finanziamenti negli investimenti interni. Questa massa di capitale spinge la bolla speculativa borsistica della New Economy (1996-2000) e finanzia, specialmente dopo il suo scoppio, l’enorme debito statunitense: quello estero, quello pubblico, nonché quello delle famiglie e delle imprese. Infatti, a partire dal 2003 riparte l’altra bolla, quella immobiliare, sorretta dal denaro facile, dal prestito concesso senza problemi, quindi anche con la creazione di moneta dal sistema bancario e col sostegno di ultima istanza della Federal Reserve. Oltre al credito immobiliare si sviluppa in misura notevole il credito al consumo, di cui la vendita a rate è manifestazione significativa;
9 – quello che deve essere rimarcato è il fatto che la politica delle banche centrali ha avuto un ruolo decisivo nella formazione di queste bolle e, quindi, nella crescita drogata dei valori finanziari e delle rendite che ne derivano. Mentre è avvenuto il divorzio fra banche centrali e governi, per cui queste ultime non finanziano più la spesa pubblica, la loro politica monetaria è stata ed è sistematicamente orientata a fornire liquidità ai mercati finanziari, quindi a difendere l’accumulazione capitalistica in forma di capitale finanziario. In breve la loro è stata ed è politica di inflazione finanziaria e di deflazione salariale, che determina pertanto la distribuzione del reddito fra le parti sociali;
10 – da alcuni anni ci si rendeva comunque conto che questo equilibrio globale, basato sulla iperfinanziarizzazione e sull’eroico consumatore americano, non poteva durare. E’ impossibile che a lunga scadenza i consumi interni statunitensi potessero crescere nella misura necessaria ad assorbire sempre e comunque un surplus mondiale di merci sempre più alto. La crisi in corso è stata scatenata dal mancato rimborso dei prestiti “subprime”, ma era scritta nella logica del processo economico, sorretto appunto da una domanda drogata dagli eccessi di liquidità monetaria immessa dalle banche centrali a sostegno degli attivi finanziari e della rendita che ne è derivata, per di più concentrata nella locomotiva statunitense;
11 – il ritorno massiccio dello stato per salvare il sistema, scaricando poi i danni della crisi su tutti i contribuenti, ci dice che l’epoca del neoliberismo selvaggio è finita (probabilmente questo indirizzo verrà mantenuto per quel che riguarda i rapporti di lavoro, se non ci sarà reazione da parte dei lavoratori che sembrano le vittime designate del sistema) e che quindi si aprono nuovi scenari, ancora peraltro da delineare in mondo completo, in tutti i loro aspetti.
Roberto Bartoli – settembre 2008
( breve e schematico riepilogo relativo all'incontro comunitario di domenica scorsa, 9 novembre, alle baracche di via degli Aceri).
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