Emergenza ambientale
Assemblea della Comunità dell’Isolotto - Firenze,14 Gennaio 2007
Riflessioni di Gian Paolo e Roberto
con il contributo di Giuseppe per la parte biblica
Il brano dell’Apocalisse che descrive l’apertura dei 7 sigilli, fa riferimento ad una concezione deterministica della storia umana: tutto ciò che è avvenuto, avviene e avverrà nella società umana è scritto in un libro che è presso Dio. Questo libro è sigillato perché nessun uomo può penetrare nei piani di Dio; solo in questo caso eccezionale è concessa all’apostolo Giovanni l’apertura dei 7 sigilli, cioè la rivelazione (= Apocalisse) del contenuto di questo libro, in modo che ci sia la piena comprensione degli avvenimenti, il senso verso cui essi porteranno. In questa concezione deterministica c’è una chiara contrapposizione tra l’agire dell’uomo e l’agire di Dio. L’azione dell’uomo è vista come azione distruttiva, legata all’avidità di potere e di ricchezza, alla violenza all’ingiustizia da parte specialmente delle classi dirigenti della società, che sono sobillate da Satana. L’azione di Dio è invece un intervento di liberazione e di premiazione di coloro che sono rimasti fedeli a Dio. La storia dell’uomo è un crescendo di orrori e di oppressioni e solo l’intervento i Dio porrà fine ai soprusi e alle ingiustizie.
Il messaggio dell’Apocalisse è quindi, contrariamente a quanto viene percepito dalla nostra cultura, un messaggio positivo, un messaggio di liberazione. Una liberazione chiaramente non operata dall’uomo, perché egli segue il suo istinto di morte, ma operata da Dio, l’unico capace di ristabilire la vita e la gioia.
Dopo l’intervento di Dio sotto forma di giudizio e il ristabilimento della giustizia, allora ci saranno un cielo nuovo e una terra nuova: una società completamente trasformata, opposta a quella precedente. In essa non si conoscerà più il dolore, la sofferenza e la morte, perché Dio stesso dimorerà tra gli uomini e ci sarà una perfetta sintonia tra gli ideali supremi e l’agire dell’uomo.
La liberazione coinvolge tutti gli aspetti dell’essere umano: anzitutto l’aspetto psicologico e spirituale, ma anche la vita politica e sociale, per realizzare finalmente quel Regno di Dio che solo può garantire la giustizia, la pace e la realizzazione delle più profonde aspirazioni dell’uomo.
Gli aspetti tecnico-scientifici
1. Allarme europeo.
Negli ultimi giorni sui giornali sono comparsi articoli che riferiscono dell’allarme lanciato dall’Unione Europea (UE) sui probabili disastri ambientali causati dal cambiamento del clima del pianeta. L’innalzamento della temperatura media di alcuni gradi centigradi, entro qualche decennio, potrebbe produrre maggiori periodi di siccità, ridotta fertilità del suolo, aumento della frequenza delle “onde di calore” e di eventi atmosferici devastanti, innalzamento del livello del mare e quindi l’allagamento delle aree costiere più basse (a seguito dello scioglimento dei ghiacci). Di conseguenza, nei paesi del Mediterraneo si potrebbero verificare migliaia di decessi, gravi crisi di produzione agricola con ripercussioni sulla condizione socio-economica delle popolazioni. I paesi dell’Europa centrale e del nord passerebbero ad avere un clima più mite e quindi sottrarrebbero a loro favore i flussi turistici che sono attualmente nel Mediterraneo.
Il principale provvedimento che l’UE sta adottando consiste nell’impegnare tutti i paesi europei a ridurre l’emissione dei cosiddetti “gas serra” (il principale dei quali è l’anidride carbonica) di almeno il 20% nei prossimi 15 anni e corrispondentemente di aumentare del 20% la produzione di energie “pulite”, quelle che non producono gas serra. I paesi che ridurranno l’energia prodotta con la fissione nucleare dovranno aumentare della stessa quantità la produzione di energia pulita.
2. L’effetto serra.
Vediamo brevemente e semplicemente in cosa consiste “l’effetto serra”. La terra, che ha un diametro di circa 12000 Km, è circondata dall’atmosfera per un’altezza di circa 12 Km (se la terra fosse un pallone di 1 metro di diametro avrebbe un sottile guscio di atmosfera, in proporzione, di 1 millimetro). L’atmosfera produce, di per sé, l’effetto serra: cioè trattiene una parte dell’energia solare che la attraversa impedendo che venga diffusa tutta dal suolo nell’universo, in un equilibrio che consente di mantenere una parte dell’energia solare (senza atmosfera la temperatura al suolo sarebbe di circa 20 °C sotto zero). Si ha così la temperatura che consente alle piante di crescere ed al mondo animale di viverci. Se questo equilibrio si rompe, in un senso o nell’altro, si possono avere glaciazioni (troppa energia viene dispersa) o surriscaldamento dell’atmosfera (troppa energia rimane intrappolata). La produzione di energia per le attività umane sta consumando i combustibili fossili (carbone, petrolio e metano) con la conseguenza di immettere nell’atmosfera grossi quantitativi di anidride carbonica. Questa produce un aumento dell’effetto serra e quindi un aumento dell’energia solare trattenuta nell’atmosfera stessa, con conseguente innalzamento della temperatura media.
3. Le fonti di energia.
Consideriamo ora la disponibilità di energia ed i relativi consumi connessi alle attività umane. Prima dell’avvento delle macchine a vapore (inizi del 1700) e di quelle a combustione interna (intorno alla metà del 1800) la maggior parte degli uomini vivevano in un’economia di pura sussistenza, cioè la produzione di beni era finalizzata alla sopravvivenza. Le energie disponibili, oltre al fuoco prodotto prevalentemente dalla legna, erano quelle fornite dal vento, dall’acqua e dalla trazione animale. Un dato significativo: in Italia nel 1861, anno della proclamazione della sua unità, circa il 70% della popolazione era occupato nell’agricoltura. Con l’avvento delle macchine è stata alleviata la fatica ed aumentato il rendimento così che gli addetti in agricoltura sono andati a diminuire, prima lentamente e negli ultimi decenni più rapidamente, fino a raggiungere in Italia il valore attuale del 5%. L’impiego delle macchine ha avuto come conseguenza, soprattutto a partire dal 1900, un aumento vertiginoso dei consumi dei combustibili fossili, soprattutto nel nord del mondo. Questo stretto rapporto fra addetti all’agricoltura e consumi energetici risulta chiaro dai seguenti dati recenti, prendendo come riferimento per il consumo energetico i barili di petrolio consumati da ogni cittadino in un anno:
paese addetti in agricoltura barili di petrolio
USA 1 % 60
Italia 5 % 25
Cina 50 % 7
Nord Africa 80 % 1
Inoltre, si tenga presente che la popolazione mondiale sta crescendo di 80 milioni all’anno (oggi siamo 6,5 miliardi e nel 2050 saremo 9 miliardi) e che anche i paesi emergenti consumeranno sempre più energia per abitante.
Come abbiamo detto, prima del 1900 nella storia umana non c’è né petrolio (considerato un liquido maleodorante con impieghi limitati all’impermeabilizzazione e poco altro), né gas, né praticamente carbone, ma solo legna. Negli ultimi decenni l’uso del petrolio è cresciuto così vertiginosamente che si sta raggiungendo il limite (detto il “picco”) del suo consumo: non si potrà consumare una quantità annua maggiore di combustibile perché le riserve cominceranno ad esaurirsi e non saranno più in grado di fornirne una quantità maggiore. Nel giro di pochi anni i consumi del petrolio dovranno essere diminuiti. Questo picco dei consumi avverrà anche per gli altri due tipi di combustibili fossili, il carbone ed il metano. Gli scienziati stanno denunciando da anni questa situazione anche se ci sono pareri discordanti sulle date dei picchi dei consumi: per la maggior parte l’anno 2000 verrebbe proprio a trovarsi come uno spartiacque fra i consumi crescenti e quelli decrescenti del petrolio. Per il gas ed il carbone il picco sarebbe spostato di qualche decina di anni, comunque è prevedibile che dopo il 2100 o il 2150 non ci sarà più disponibilità di questi combustibili fossili. In poco più di 200 anni (dal 1900 al 2100 o 2150) manderemo in fumo (cioè in anidride carbonica) tutti i combustibili fossili che la terra ha accumulato in milioni di anni prima della comparsa dell’uomo.
Il consumo crescente di combustibili fossili avrà come conseguenza un forte aumento dell’effetto serra e quindi il riscaldamento del pianeta. Nel corso dei millenni ci sono state varie alternanze di riscaldamenti e raffreddamenti del pianeta in tempi molto lunghi ma quello che preoccupa in questi ultimi anni è la rapidità di questo innalzamento della temperatura terrestre. Inoltre i sondaggi effettuati sui ghiacci dell’Antartide mettono chiaramente in correlazione questo aumento della temperatura con l’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera (dal 1800 ad oggi è aumentata del 36%). I ghiacciai del Polo nord, ed anche quelli della Groenlandia, si stanno sciogliendo, come è stato misurato con rilievi effettuati dai satelliti artificiali. Anche in Italia i ghiacciai delle Alpi si stanno sciogliendo ed i loro fronti si ritirano verso quote più alte.
4. Lo sviluppo sostenibile.
Si rendono pertanto sempre più urgenti interventi a livello mondiale per ridurre l’effetto serra proponendo nuovi modelli di sviluppo, fra i quali quello più noto è lo “sviluppo sostenibile” che si basa sui seguenti tre principi:
1) Non immettere nell’ambiente sostanze inquinanti e scorie che superino la sua capacità di assorbirli e metabolizzarli (ad esempio immettere nell’atmosfera anidride carbonica nelle quantità che le piante della terra sono in grado di assorbire ed emettere ossigeno).
2) L’utilizzo di risorse non rinnovabili (come il petrolio, che la natura richiede millenni per produrre) deve diminuire nel tempo.
3) Usare sempre più le “risorse rinnovabili”, cioè quelle che non si esauriscono come l’energia solare.
Uno dei tentativi più importanti di attuare questi principi è stato, nel 1997, il Protocollo di Kyoto, un accordo internazionale che prevede di ridurre, entro il 2010, l’emissione di anidride carbonica e altri gas serra di almeno del 5,2% rispetto alle emissioni del 1990. Purtroppo ci sono alcuni paesi, come gli Stati Uniti, che non l’hanno firmato ed altri, come l’Italia, che pur avendolo firmato hanno aumentato le emissioni dell’11,5% , anziché diminuirle.
Per ridurre la quantità di anidride carbonica immessa nell’atmosfera si stanno sperimentando sistemi di “sequestro” dell’anidride carbonica che consiste nel recuperala nelle industrie e centrali ove viene prodotta e immetterla nei giacimenti petroliferi svuotati, con opportune tecniche, o “scioglierla” nel mare a grandi profondità. In Olanda la stanno immagazzinando in cavità a 2500 metri sotto il livello del mare. Questi processi, però, sono complessi da realizzare e molto costosi.
5. Interventi urgenti.
La ricerca scientifica e tecnologica sta individuando e sviluppando sia un migliore impiego delle energie disponibili sia nuove energie, in particolare quelle rinnovabili. Comunque, in attesa che queste ricerche arrivino a dei risultati importanti, dobbiamo fare ricorso alle seguenti “energie di transizione” con il doppio effetto di ridurre l’emissione di gas serra e di allungare i tempi che porteranno all’esaurimento delle energie non rinnovabili (quelle fossili):
1) risparmio energetico;
2) pannelli solari, per la produzione diretta di acqua calda e di energia elettrica (celle fotovoltaiche);
3) energia eolica (eliche mosse dal vento che producono energie elettrica);
4) bioetanolo (prodotto da opportune coltivazioni, da aggiungere alla benzina);
5) energia geotermica (prodotta dai gas caldi che provengono dalle profondità terrestri);
6) energia idroelettrica (prodotta delle turbine mosse dai salti di acqua).
Limitiamoci a descrivere le potenzialità di queste energie di transizione in Italia.
Il contributo maggiore sarà quello fornito dal risparmio energetico, anche nel futuro, in quanto lo sviluppo del mondo occidentale è avvenuto con la presunzione di potere disporre di energia in quantità illimitata. Non si tratta di tornare alle condizioni di vita dei nostri nonni ma di rendersi conto che stiamo consumando molta più energia di quella che è indispensabile per una vita comoda. Alcuni esempi:
a) abitazioni senza spifferi, con doppi vetri, ben coibentate nelle pareti e nelle tubazioni;
b) uso di elettrodomestici a basso consumo (classe A o A+);
c) ridurre di qualche grado la temperatura degli ambienti riscaldati (abitazioni, uffici, negozi, fabbriche) con l’uso di termostati ambiente e non scaldare ambienti non abitati usualmente;
d) non usare l’ascensore per salire o scendere uno o due piani (fa bene anche alla salute);
e) non lasciare lampadine accese o apparecchi con la spia rossa in funzione e utilizzare lampadine a basso consumo;
f) non sprecare l’acqua negli usi domestici (getti di riduzione, WC a doppio pulsante, chiudere i rubinetti quando ci si lavano i denti o ci si insapona sotto la doccia, recupero dell’acqua piovana per annaffiare, ecc.);
g) effettuare la raccolta differenziata dei rifiuti, sia in casa che negli uffici, negozi, ecc.
h) ridurre gli sprechi nei trasporti (limitare l’uso dell’auto privata, spengere il motore nelle code, potenziare i trasporti pubblici);
i) migliorare l’efficienza dei motori impiegati nelle varie attività umane.
La seconda energia di transizione, l’impiego dei pannelli solari sui tetti degli edifici, deve essere fortemente sviluppata: il costo delle celle fotovoltaiche è attualmente alto (7000 € al metro quadro, per una potenza di 1 chilowatt) ma ci sono incentivi regionali e statali per la loro installazione e l’ENEL compra ad un prezzo conveniente l’eccesso di produzione domestica. Al momento attuale, il consumo di energia per produrre una cella fotovoltaica è uguale o poco inferiore all’energia che essa produrrà durante la sua vita (30 anni). Comunque, la ricerca sta trovando altri materiali al posto del silici,o che potranno dare un bilancio energetico ed un costo più convenienti. Il costo dei collettori solari per la produzione diretta di acqua calda è un po’ inferiore a quelli fotovoltaici e anche su questi ci sono contributi regionali. Un paese come l’Italia, con molte giornate di sole, dovrebbe approfittarne.
La terza, l’energia eolica, può essere sviluppata in Italia soltanto in quelle zone dove soffia il vento per buona parte dell’anno, specialmente il sud e le isole, con un contributo di energia non molto alto.
La quarta, è un combustibile da aggiungere alla benzina, il bioetanolo, che può essere prodotto dalla distillazione della canna da zucchero, mais e barbabietola. Per l’Italia non è possibile coltivare la canna da zucchero mentre per le altre coltivazioni non c’è terreno sufficiente per una sostituzione della benzina con percentuali alte. Comunque si potrebbe raggiungere l’obbiettivo del 5,75% fissato dalla UE per il 2010.
La quinta, l’energia geotermica, potrà essere incrementata di poco in Italia in quanto è principalmente disponibile in Toscana ed è ormai quasi tutta sfruttata.
La sesta, l’energia idroelettrica, analogamente a quella geotermica è ormai quasi tutta sfruttata in Italia, essendo rimasti ben pochi fiumi da imbrigliare.
6. Le prospettive future.
Infine, diamo un breve accenno alle prospettive per le “energie del futuro”, cioè quelle che potranno sostituire i combustibili fossili in via di esaurimento o quando saranno esauriti, oltre alle celle fotovoltaiche che potranno essere più efficienti e quindi sempre più da utilizzare.
1) L’idrogeno potrà essere il combustibile da impiegare soprattutto per i veicoli: mediante le “celle a combustibile”, a bordo delle auto, l’idrogeno immagazzinato in serbatoi a pressione produce l’energia elettrica che alimenta il motore elettrico e l’emissione in atmosfera sarà semplicemente vapore acqueo, come scarto. L’idrogeno però non è un combustibile presente come gas in natura ma deve essere prodotto dall’elettrolisi dell’acqua (scissione in idrogeno ed ossigeno) che richiede energia elettrica, a sua volta prodotta dalle celle fotovoltaiche. Sono allo studio altri sistemi per la produzione diretta dell’idrogeno, come quella ad opera di “batteri artificiali” o mediante un processo di “fotosintesi artificiale” analogo alla “fotosintesi naturale”, il processo con il quale le piante producono ossigeno, catturando anidride carbonica
2) La fusione nucleare, che possiamo semplicemente definire il processo inverso a quello della “fissione nucleare” che è alla base delle attuali centrali nucleari, si basa sulla fusione di atomi di idrogeno e deuterio. Questa produrrebbe enormi quantità di energia ma uno dei principali problemi da risolvere, ormai da alcune decine di anni, è come contenere il gas a temperature elevatissime (100 milioni di gradi centigradi). Non produrrebbe scorie radioattive.
A proposito della produzione di energia dalla fissione nucleare c’è da precisare che oggi giorno la tecnologia consente di costruire centrali molto più sicure del passato ed il vero problema rimane quello dello smaltimento delle scorie radioattive. Comunque, non c’è assolutamente la produzione di gas serra..
In conclusione, è bene tenere presente che qualsiasi scelta energetica venga adottata ci sono vantaggi e svantaggi e non siamo mai completamente esenti da rischi. Citiamo a questo proposito una frase riportata nel libro di Piero Angela “La sfida del secolo”, edizione Mondadori (Novembre 2006), che ci è stato di guida per questa relazione. “Quando si sceglie un rischio, perché comporta un certo vantaggio personale, si ha l’illusione di gestirlo, di controllarlo, anche se poi non è vero. Quando invece il rischio (anche se molto piccolo) non comporta un vantaggio diretto, non lo si accetta facilmente. Viene vissuto come un’imposizione, malgrado comporti notevoli vantaggi indiretti. Bisogna dire che i rischi energetici, in realtà, dovrebbero rientrare fra quelli “scelti”. Proprio perché abbiamo deciso di vivere in una società confortevole, avere riscaldamento, auto, elettrodomestici, viaggi, vacanze: tutte comodità, come abbiamo visto, permesse da un alto consumo di energia. Tuttavia questo legame non è né chiaro né immediato. Si finisce perciò con il considerare gli impianti che producono energia come un’imposizione e quindi a rifiutarli. E non c’è solo il nucleare ad essere rifiutato, ma anche il carbone, il petrolio, i rigassificatori, gli elettrodotti, insomma quasi tutta quell’infrastruttura che ci permette di vivere nel benessere.”
Economia moderna e ambiente naturale
1- Crescita economica e ricerca del benessere.
Uno degli aspetti più rilevanti della rivoluzione spirituale e culturale moderna è quello della valorizzazione della vita terrena. In epoca premoderna predomina un atteggiamento che rinvia a dopo la morte, in Paradiso, la realizzazione dell’aspirazione umana alla felicità (salvezza dell’anima: individualismo post mortem). La vita sulla terra è considerata allora un passaggio carico di sofferenze, meritate a causa del peccato originale, da sopportare con rassegnazione in vista del bene celeste. Lo spirito moderno trasferisce nel mondo quaggiù lo scopo del vivere bene, della felicità (individualismo ante mortem) e non accetta più privazioni, rinunce, sacrifici, malattie, fame. Per vivere bene occorre allora fare in modo di procurarsi risorse in quantità sufficiente ad evitare carestie, nonché acquisire le conoscenze indispensabili per curare le più svariate malattie. Insomma, l’uomo moderno si sente protagonista del proprio destino terreno e si fa soggetto attivo per costruire le condizioni che possono rendere sempre migliore e gradevole la vita.
La visione quantitativa delle cose assume quindi una centralità nel passato sconosciuta. Per stare bene occorrono più beni a disposizione e più si possiede e più si è felici. Venendo da epoche di miseria atavica, questa valorizzazione dell’acquisizione dei mezzi materiali di vita appare abbastanza comprensibile.
Non sorprende perciò che la funzione economica della produzione delle risorse necessarie alla riproduzione individuale e collettiva della vita, assuma ora un ruolo centrale. Tutta l’organizzazione sociale finisce infatti per strutturarsi sulla centralità dell’economia. Non è un caso che l’economia – l’oikos nomia dei greci – perda la sua dimensione familiare per porsi come “economia politica”, cioè nel ruolo pubblico di base su cui poggia la stessa attività politica. Come afferma Montchrétien, il primo economista che ha usato quella locuzione, “la ricchezza del mercante è la potenza dello Stato”, ossia la stessa forza politica dello Stato moderno dipende dallo sviluppo economico.
Il sistema socio-economico nel quale assume centralità la funzione economica indirizzata alla produzione crescente di beni, è il capitalismo. Si può dire che c’è perfetta coincidenza fra economia moderna e capitalismo. Suo principio fondamentale è l’accumulazione di capitale come scopo in sé e senza limiti. Questo richiede sviluppare al massimo grado la capacità produttiva in modo da accrescere illimitatamente la quantità di merci dalla cui vendita si ottiene appunto quel di più, quel surplus, quel profitto che si accumula gradatamente come capitale. Da questa crescita illimitata finalizzata al capitale stesso, esce quindi una gran massa di beni che dovendo essere realizzati sul mercato, entrano nella disponibilità dei singoli e delle famiglie migliorando il loro tenore di vita. Ovviamente la decisione su quali beni di consumo produrre e, quindi, quali bisogni possono essere soddisfatti con la produzione di merci, è di pertinenza dell’impresa capitalistica che seleziona i consumi privilegiando quelli che consentono di realizzare profitto e quindi di valorizzare meglio il capitale investito. Questo è particolarmente evidente nel mondo globale di oggi in cui convivono società a capitalismo avanzato e con tipologie di consumo sofisticate e società in condizioni di povertà estrema, prive delle risorse elementari di base, come è dato riscontrare in Africa.
Se la crescita ottenuta dalla moderna economia è senz’altro certa, rimane comunque una ripartizione ineguale della ricchezza creata, tanto da giustificare la forte critica al sistema capitalistico avanzata dal pensiero socialista, a cui si risponde sul piano teorico con la dottrine del pensiero economico ‘ufficiale’ di mitizzazione del ‘libero mercato’ e, su quello pratico, con l’intensificazione della produzione come antidoto all’ugualitarismo per affrontare la questione sociale. La quale, peraltro, almeno nell’Europa occidentale è stata superata soprattutto con mirati interventi di politica economica e sociale. Tuttavia, questo ruolo ossessivo della crescita è tornato oggi ad essere nuovamente riutilizzato, non a caso dopo che si sono abbandonate le politiche sociali di orientamento ridistributivo prevalenti nell’immediato secondo dopoguerra del ‘900.
Da quel che si è appena accennato emerge un principio base del sistema capitalistico e cioè quello dell’illimitatezza della crescita economica, che porta a considerare l’ambiente naturale esterno come una disponibilità smisurata di risorse, nonché come un ricettacolo, anch’esso di capacità infinita, nel quale scaricare gli scarti della produzione e del consumo. In breve, il sistema economico attualmente dominante si regge sul principio dell’illimitato all’interno di un mondo naturale finito com’è il nostri pianeta. Così la mediazione sociale rappresentata dal capitalismo nel nostro rapporto col mondo naturale, porta ad un conflitto che non sembra superabile in una superiore armonizzazione fra società umana e natura, se non rimettendo in questione appunto ordinamento e finalità della nostra società. Infatti, un’economia orientata a ridimensionare il proprio tasso di crescita comporta un tasso di profitto calante o tendente a zero. Ma se si può cambiare tutto, comprese le preferenze di consumo, certamente il sistema vigente non può rinunciare all’obiettivo di un tasso di profitto il più alto possibile. Si tratta, allora, di tornare ad interrogarci sulla realtà del capitalismo, anziché accettarlo come un destino, come un ordine insorpassabile, come una realtà necessaria incontrollabile ed irreformabile. Se l’uomo moderno ha inteso ed intende essere soggetto della sua storia, di fronte allo scontro con la natura, non può ovviamente elevare un proprio ordinamento storico particolare a condizione definitiva che chiude tutte le ulteriori possibilità umane. Ci troviamo insomma ad un passaggio cruciale della storia umana che non può essere affrontato rimanendo bloccati alla ripetizione del passato. In definitiva, come sostiene J. Halevy, “Se il problema è effettivamente grave, la risposta non può essere che in termini pianificatori, volti a cambiare la composizione merceologica della produzione ed a stabilire criteri diversi per quanto riguarda accumulazione e profitto”. Si tratta in definitiva di rendersi conto che la limitazione della crescita quantitativa di merci imposta dal problema ambientale, comporta una riqualificazione della produzione ed il recupero del principio ugualitario nella distribuzione delle risorse per la soddisfazione dei bisogni. Come pure è necessario stabilire un criterio diverso da quello del PIL per calcolare l’ammontare della ricchezza, che consideri come costo, quindi come perdita, l’inquinamento ambientale, il consumo di risorse naturali esauribili e così via.
Inoltre, la gravità della sfida che abbiamo davanti è tale da chiamare in causa anche la nostra cultura che ha nel pensiero economico una delle sue componenti principali. Ma l’impostazione che attualmente è dominante in quella disciplina riesce a registrare l’entità del problema?
2- Come il pensiero economico dominante vede il pianeta terra
Questa ossessione della crescita all’infinito è stata l’incubo del pensiero economico dominante, a partire dal ‘700 e dall’800. Fino da allora si è sempre temuto ‘lo stato stazionario’, ossia l’arresto della crescita quantitativa, il blocco all’aumento del valore economico. Si capiva, cioè, chiaramente che arrestare questo sviluppo avrebbe comportato la rimessa in questione del sistema capitalistico perché avrebbe compromesso la formazione del profitto e quindi l’accumulazione di capitale. Solo alcuni sono andati contro corrente. Si può ricordare J. Stuart Mill il quale ha osservato che, una volta raggiunto un certo livello nel tenore di vita, “non c’è ragione di continuare a darci spintoni l’un l’altro”, dato appunto che il meccanismo accumulativo funziona nella concorrenza, nella lotta, nella competizione per acquisire maggiore ricchezza sconfiggendo i concorrenti. Non solo, ma profeticamente ammoniva anche che, senza mettere limiti allo sviluppo economico, “verrà un giorno in cui il nostro benessere si scontrerà con la natura, e quello sarà un giorno terribile”. In generale però nella cultura di stampo economico prevale anche ai nostri giorni l’idea della intangibilità del principio della crescita ad oltranza, senza limitazioni di sorta. E’ la sacralizzazione del PIL (Prodotto interno lordo). Ce ne possiamo rendere conto andando ad interpellare i maggiori esponenti del pensiero economico contemporaneo.
Cardine teorico del pensiero ‘ufficiale’ oggi prevalente è l’assolutezza del ‘libero mercato’ orientato allo sviluppo quantitativo. Si considera, infatti, assoluta la libertà di impresa con l’eliminazione di qualsiasi vincolo esterno, produzione e consumo quindi anch’essi assolutamente liberi di crescere in base a leggi economiche poste come ordine necessario, immutabile, indiscutibile, da rispettare nel modo più rigoroso[1]. Di fronte a questa assolutizzazione della sfera economica, nella sua evidente veste capitalistica, tutta la realtà umana e naturale finisce per essere ovviamente relativizzata. Infatti, l’ambiente naturale, in quanto non registrabile secondo i valori di scambio nella contabilità mercatistica, non possiede alcun riscontro sociale. In una parola, esso non esiste perché non percepibile in termini economici, e quindi non può rappresentare un problema in sé. Ciò anche perché non solo ‘l’economia di mercato’, come si usa dire, è retta da leggi che non possono essere violate perché altrimenti si produrrebbero conseguenze negative per la società, ma pure a motivo del fatto che il sistema del mercato capitalistico è dichiarato essere il sistema migliore per soddisfare i bisogni degli uomini. Che, al contrario, possano derivarne effetti dannosi – si pensi all’inquinamento di aria ed acque dovuto a certe produzioni – non rientra nell’arco percettivo degli economisti ‘ortodossi’, benché queste esternalità negative siano ormai oggetto di attenzione di una minoranza di studiosi che prendono appunto in esame ‘i fallimenti del mercato’. Ce ne possiamo rendere conto ascoltando alcuni di questi economisti ortodossi intervistati da Carla Ravaioli[2]. Hahn, ad esempio, accusa di intellettualismo chi si occupa di problemi ambientali in quanto non li formula nei modelli formali di tipo matematico in cui consiste oggi la teoria economica. Friedman, uno dei principi dell’ortodossia economica dominante, giunge a sostenere che il sistema produttivo attuale non inquina. “I cavalli, afferma, inquinavano molto di più delle automobili”. In definitiva “Anche i problemi dell’ambiente, come ogni altro problema, possono essere risolti attraverso il meccanismo dei prezzi, attraverso transazioni in cui si confrontano impresa e consumatore, ciascuno con i propri interessi”. In sostanza, il problema ambientale è reale se è formulabile secondo categorie economiche ed è risolvibile seguendo le leggi del mercato capitalistico. Insomma, l’economia distrugge e l’economia ricostruisce, e ciò nei limiti in cui la stessa difesa dell’ambiente naturale diventa un affare economico per aprire nuovi spazi all’investimento ed alla accumulazione di capitale. Fino a che punto, però, questo approccio economicistico sia in grado di affrontare effettivamente la gravità del problema, resta questione irrisolta e carica di grosse incognite.
3 – L’aspetto etico
La questione della difesa dell’ambiente naturale presenta anche un risvolto etico con carattere nuovi. Si tratta infatti di definire il rapporto doveri-diritti fra soggetti che non stanno uno di fronte all’altro. La generazione vivente, che ha ricevuto in eredità dai propri genitori un mondo vivibile, ha il dovere di trasmettere alle generazioni future la stessa possibilità di vita. Chi vive oggi è investito dall’obbligo di permettere la vita di chi vivrà domani. Perché l’umanità continui la sua avventura è necessario salvaguardare le condizioni materiali perché la vita continui ad essere possibile anche in futuro, per coloro che verranno dopo di noi.
Si tratta di un tema di estrema complessità di cui questi brevi accenni intendono solo segnalare l’importanza.
[1] Un pensatore francese, A. Minc, dichiara che “il mercato appartiene all’ordine naturale delle cose sociali e perciò non potrà mai venire meno; la democrazia invece sì perché è un prodotto della storia”. [2] C. Ravaioli – Il pianeta degli economisti ovvero l’economia contro il pianeta – Isedi