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venerdì 2 febbraio 2007



Comunità dell’Isolotto – Firenze, 28.01.2007

Immagini e impressioni sulla Cina

riflessioni di Carlo, Claudia, Luisella, Maurizio

con un contributo di Silvia e Gisella

 

1.      Letture dal Vangelo

2.      Qualche dato

3.      Il sistema cinese

4.      La Cina e il Confucianesimo

5.   Il balzo economico e i costi umani e ambientali

6.      L’illusione del socialismo

 

 

1.      Letture dalla Bibbia, dal Vangelo

 

Dalla Genesi: “Allora il Signore disse ad Abramo : “Alza gli occhi e dal luogo dove tu stai spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l’oriente e l’occidente. Tutto il paese che tu vedi, io lo darò a te e alla tua discendenza per sempre. Renderò la tua discendenza come la polvere della terra: se uno può contare la polvere delle terra: se uno può contare la polvere della terra potrà contare anche i tuoi discendenti. Alzati percorri il paese in lungo e in largo, perché io lo darò a te”.

                                                                                                                                 [Genesi, 13, 14-18]

 

Dai Detti di Confucio: Secondo la tradizione Confucio rispose così ad un uomo che si era lamentato per il non avere fratelli:

Un uomo nobile si rivela in ogni cosa secondo il dovere

Un uomo volgare secondo l’interesse che può derivargliene [...]

... se un uomo nobile agisce correttamente in ogni circostanza

e se il suo comportamento è gradito a tutti e impeccabile,

tutti gli uomini che abitano tra i quattro mari sono suoi fratelli.

Un uomo nobile sarà forse rammaricato perché non ha fratelli?                            [Detti di Confucio]

 

Dal Vangelo : “Guardatevi e tenetevi lontani da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni”. Disse poi una parabola:”La campagna di un uomo ricco aveva dato buon raccolto. Egli ragionava fra sè: che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: farò così, demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è chi accumula tesori per sè, e non arricchisce davanti a Dio.”                                                                                          [Luca, 12, 15-21]

 

 

2. Qualche dato

 

I dati della tabella seguente sono ripresi da Il mondo in cifre, edizione del 2005 a cura di INTERNAZIONALE e The Economist.

 



















































































 


Italia


Cina


Stati Uniti


PIL


1.184 miliardi di $


1.266 miliardi di $


10.383 miliardi di $


Popolazione


57,4 milioni


1.294,4 milioni


288,5 milioni


PIL pro capite


20630 $


980 $


35990 $


PIL pro capite a parità

di potere d’acquisto


     72,5


   12,5


 100


Origine del PIL   %

          Agricoltura

          industria

          terziario


 

      2,3

    29,4

    68,3


 

    15,4

    51,1

      33,5


 

        1,4

      20,3

       78,3


Crescita popolazione %


     -0,1


        0,73


         1,03


Speranza di vita : uomini

                             Donne


     75

     82


       69

       73


       74

       80


Tasso di natalità 


       8,8


       14,5


      14,5


Spesa sanitaria % PIL


       8,4


         5,5


       13,9


Medici per 1000 abitanti


       4,3


         1,6


         2,7


Spesa istruzione % PIL


       4,7


         2,2


         5,6


Consumo pro capite kg petrolio

Consumo totale (x1000 TEC)


    2981

172000


        896

1139400


      7996

2281400


 

 

3. Il sistema cinese

 

In cima alla piramide del sistema del partito comunista cinese ci sono 23 persone, in ordine di importanza a cominciare dal numero uno, il presidente. Sono i membri dell’ufficio politico allargato, accanto ai quali formalmente c’è la commissione militare centrale.

Sotto di loro ci sono i 200 membri effettivi del comitato centrale, tutti i segretari del partito e i governatori delle province, i ministri principali e i capi delle regioni militari e delle forze armate.

Al di sotto di questi c’è un popolo di delegati al congresso del partito, che si riunisce ogni cinque anni: 3000 persone; sotto ancora c’è una massa di migliaia di direttori generali e poi i semplici direttori di ufficio. Se a Pechino questi ultimi si sprecano, nelle province uno qualsiasi di loro ha il grado per essere a capo di un distretto, con una popolazione che può arrivare a due milioni di persone.

Al livello inferiore c’è poi una pletora di funzionari fino al gradino più basso, il capo villaggio, che comanda una popolazione di circa 3000 abitanti.

La base del partito conta circa 70 milioni di membri.

Questa organizzazione permea la società con una infinità di regole molto precise e molto complicate, che determinano anche il livello dei rapporti fra i vari componenti la piramide.

A grandi linee il sistema nel suo complesso assomiglia al vecchio sistema imperiale, ma in questi ultimi decenni sono avvenuti diversi e profondi mutamenti che pongono questioni senza precedenti in quel passato millenario. Innanzi tutto non c’è più un imperatore che resta in carica a vita e sceglie l’erede fra i propri figli. Nel sistema imperiale l’imperatore rappresentava l’interesse dello Stato, perché tutto nello Stato era suo. Dove risiedesse l’interesse dello Stato era dunque chiarissimo : lo Stato era la sua proprietà privata e in base ai suoi interessi, alla sua visione di lungo termine l’imperatore decideva chi lo doveva amministrare.

Oggi l’imperatore non c’è più, e i ministri sono in un certo senso diventati imperatori,, perché rappresentano l’interesse stesso, supremo, dello Stato.

Chi non appartiene alla cerchia del partito sarebbe teoricamente un paria, e invece oggi c’è hi ha i soldi e non ricopre alcuna carica di partito. Un tempo questi individui rischiavano di essere penalizzati, perché avevano l’arroganza di umiliare con il loro denaro l’autorità del burocrate, oggi invece sono vezzeggiati, come motore dello sviluppo economico nazionale. Una persona qualsiasi oggi può scegliere di non prendere la strada della burocrazia e impiantare una propria azienda : nella Cina attuale questa azienda ha poteri crescenti di indipendenza rispetto al potere politico e in un certo senso il suo capo diventa un piccolo imperatore, con un potere assoluto, chiaro e definito. L’imprenditore cinese immagina di diventare un piccolo imperatore, di creare una sorta di piccolo stato nello Stato di cui è lui stesso a individuare gli interessi di lungo termine, sulla base dei quali dialogherà con lo Stato vero e proprio.   

Per decenni il comunismo aveva affermato che tutte le attività economiche erano ingiuste, quindi nel momento in cui si apriva al mercato, con un colpo di bacchetta magica tutte le attività economiche diventavano giuste. Sono serviti oltre due decenni di lenta accumulazione etica e legale per cominciare a dire che la vendita di droga è ingiusta e illegale e la vendita di televisori è giusta e legale. In questo periodo di parentesi, peraltro ben lontano dall’essersi concluso, ci sono stati vari momenti in cui perfino l’esercito e la polizia gestivano in proprio ogni sorta di attività economica, dai bar al contrabbando.Piuttosto che di vero contrabbando, attività che va ad urtare gli interessi dello Stato, si trattava di una sorta di legislazione speciale: nel momento in cui il governo centrale ha deciso di cambiare, qualcuno certamente non si è trovato d’accordo, ma l’esercito ha obbedito. Pechino ha infatti una riserva di forza senza limiti : il governo non è costretto dai vincoli legali e politici di un sistema a più voci i cui interessi devono essere mediati o conciliati. Il centro può giocare secondo un antico sistema : lascia un certo livello di autonomia alle autorità locali, le quali possono agire entro certi limiti; se li violano vengono riportate all’ordine con sistemi anche durissimi.

                                                                                  [Francesco Sisci, Chi ha paura della Cina]   

 

 

4. La Cina e il Confucianesimo

 

Quando i parroci in Italia vanno nelle case dei cinesi si trovano di fronte una profonda distanza culturale, di gran lunga superiore a quella che c’è rispetto ai mussulmani. I mussulmani, gli ebrei e i cristiani hanno in Abramo un capostipite comune; i mussulmani hanno una religione monoteistica, e hanno alle spalle quindici secoli di pace, di guerra, di confronto e scontro con la cultura giudaico-cristiana, che hanno determinato un legame e una consuetudine profonda. I cinesi che non hanno esperienza della benedizione delle persone e della casa, vedono nei parroci persone che vanno a curiosare o controllare magari per conto della polizia.

La Cina invece è tutta una altra cosa rispetto al mondo mussulmano. I cinesi non conoscono una religione monoteista; per molti versi si potrebbe dire che non hanno mai conosciuto una religione nel senso occidentale del termine. Hanno conosciuto una “religione” in senso strutturato, organizzato, solo molto tardi (IV-VI a.C.), e si trattava di una religione – il buddismo - che veniva da fuori, dall’India, e che tra l’altro più che una religione è una filosofia, una psicologia, una scienza di autosviluppo. Il buddismo poi si è diffuso solo in parte.

La religione della Cina è il Confucianesimo. Esso riunisce tre tradizioni quella taoista e quella buddista, che sono minoritarie, e quella confuciana che si affermò dopo la morte di Confucio.

Confucio (551 a.C. - 479 a.C.) fu un pensatore e filosofo laico, che visse in un periodo di grande divisione, di anarchia e corruzione, di guerre intestine tra gli stati feudali nella Cina. Più interessato alle scienze politiche e sociali che alla religione, desiderava trovare i metodi del buon governo, per assicurare alla Cina pace, armonia, ordine politico, stabilità. Lavorò a questo per quasi tutta la vita e viaggiò moltissimo per la grande Cina cercando di diffondere presso i governanti le sue idee. Più volte fu tentato dal non-agire o dall'eremitaggio, ma, poi considerò queste ipotesi come il cedere alla disperazione; si ostinò a voler intervenire nella politica, fino alla contraddizione con sé stesso e a volte fino al ridicolo. Ma a un certo punto si rese conto di aver fallito nel suo scopo e si dedicò all’insegnamento dove invece riscosse molto seguito. L'essenza del suo pensiero è la buona condotta di vita dei singoli e il buon governo dello stato, che si possono ottenere attraverso la pratica della carità, della giustizia, dell’amore filiale, del rispetto della gerarchia, dell'osservanza dei riti della tradizione, e con lo studio.

Come è accaduto a molti pensatori, anche il suo pensiero è stato interpretato in molti modi. Molti hanno strumentalizzato il suo pensiero per fini di potere, altri si sono ribellati ai tiranni vedendone gli aspetti democratici (p.es: Confucio non riconosceva il carattere divino di nessun sovrano).

Dopo la sua morte, i valori propugnati da Confucio furono adottati dalla Dinastia Han che si impose sulle altre, e dalla Cina Imperiale che impose il Confucianesimo come religione dello Stato, obbligando tutti i “funzionari” ad osservare e celebrare il Confucianesimo, perché i valori di obbedienza e il rispetto nei confronti dei padri, della gerarchia erano ovviamente funzionali al mantenimento del potere della grande Cina imperiale. D’altra parte il Confucianesimo si diffuse anche perché Confucio aveva ripreso e riadattato un culto semplice e antichissimo, che era il culto degli antenati.

 

Il Confucianesimo ancora oggi consiste principalmente nella antichissima pratica del culto degli antenati; si svolge con riti di offerte di cibo, fiori, essenze agli antenati; i celebranti sono i padri, o i fratelli maschi maggiori in una rigida gerarchia. Non è una religione istituzionale, come il Cristianesimo o il Buddismo, non ha una casta sacerdotale, non ha dogmi, non ha organizzazioni proprie che si sono affermate nella società. Non ha una visione escatologica, di salvezza. Anche se il concetto di salvezza non le è del tutto estraneo; esiste un termine “fu”che sintetizza un po’ i termini di pace, salute, fortuna, felicità. Questa salvezza, questa felicità consiste in lunga vita, ricchezza, dignità, pace e molti figli.

La felicità dipende dall’osservanza del culto degli antenati e dall’osservanza delle leggi morali, che spesso sono state sintetizzate nei “10 comandamenti del Confucianesimo”:

la bontà da parte del padre

la pietà filiale da parte del figlio

la gentilezza da parte del fratello maggiore

L’ubbidienza da parte del fratello minore

La giustizio da parte del marito

La sottomissione da parte della moglie

La bontà da parte degli anziani

La deferenza da parte dei giovani

La benevolenza da parte del sovrano

La fedeltà da parte dei sudditi. 

Questa visione secolare, pratica e quasi materialista del confucianesimo dipende dalla mancanza in essa di una concezione escatologica.

Il Revival del Confucianesimo: Negli anni del Maoismo e della Rivoluzione Culturale il Confucianesimo era stato messo al bando; accusato di mantenere il paese nell’arretratezza si era cercato di cancellarne ogni traccia. Ma oggi si assiste ad un suo revival: è una reazione contro l’omologazione culturale dell’Occidente, è una riscoperta delle radici e dell’identità, ma è anche un’operazione voluta, incoraggiata e finanziata dalla gerarchia comunista. Perchè? Scrive Rampini “L’economia di mercato sta scavando disuguaglianze estreme. La nomenklatura comunista ha facile accesso alle ricchezze e si è convertita alla difesa del capitalismo. Ma di fronte a una società civile irrequieta non c’è più Marx o Mao per giustificare la repressione del dissenso. Solo il Maestro Kung (Confucio), dall’alto dei suoi 2.556 anni forse può riuscire nel miracolo: traghettare l’oligarchia nel verso una nuova forma di legittimità, giustificare l’orgine e la stabilità non più in nome del socialismo, ma come il rispetto dell’autorità paterna del nuovo imperatore, cioè il partito unico”.

 

5. Il balzo economico e i costi umani e ambientali


  • La Cina cresce


L’unico Paese al mondo che sembra non essere neppure sfiorato dalla crisi economica internazionale è la Cina, che negli ultimi anni ha visto il proprio Pil crescere al ritmo del 7-8%. Un avanzamento, in clima di recessione, davvero impressionante che proietta la nazione orientale nel novero delle grandi potenze economiche del futuro. Con una popolazione di un miliardo e trecento milioni di abitanti è facile comprendere il ruolo che sta giocando e che giocherà il “Paese giallo” nei mercati mondiali. La svolta storica risale agli inizi degli anni Ottanta: dalla via cinese al socialismo si passa al socialismo di mercato, con consistenti cambiamenti nelle strategie economiche e, soprattutto, nei rapporti con le altre nazioni del mondo. La politica della “porta aperta”, voluta da Deng Xiaoping, ha ottenuto l’obiettivo di incentivare le relazioni economico-finanziarie internazionali, superando concettualmente la teoria maoista almeno rispetto al problema dell’autosufficienza e del rischio di ingerenze interne da parte degli investitori di tutto il mondo. Ciò ha portato la Cina ad aprirsi al commercio estero. La crescita economica dell’ultimo decennio, in ogni caso, è stata favorita dalle condizioni di disagio in cui versa il capitalismo internazionale. Con la liberalizzazione economica e l’apertura di aree dove gli investitori internazionali possono operare senza tanti vincoli burocratici, la Cina si è trasformata in una delle principali nazioni dove le grandi imprese transnazionali hanno delocalizzato la loro produzione. Ciò è stato reso possibile grazie alla presenza nel Paese orientale di una vasta sacca di potenziale manodopera a basso costo, che nelle multinazionali occidentali rappresenta un’eccezionale opportunità di abbattimento delle spese di produzione.


  • Il rischio di un crollo economico


Gli economisti però, nell’analizzare il fenomeno cinese, ritengono che il “colosso giallo” difficilmente ripercorrerà le stesse linee di sviluppo dei Paesi a capitalismo avanzato. In Cina, con molta probabilità, non si assisterà alla nascita di un’industria diffusa sul territorio e all’affermarsi della fascia di piccola e media borghesia o dell’aristocrazia operaia, così come è avvenuto negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale. Anche se la crescita economica dovesse continuare nei prossimi anni, lo sviluppo del Paese interesserà solamente alcune zone, sempre a patto che i salari già bassi dei lavoratori siano ulteriormente compressi per continuare ad attirare gli investitori internazionali. Nelle direttrici di sviluppo del capitalismo occidentale, dovrà quindi accadere che il proletariato industriale cinese sia disposto a lavorare sempre di più in cambio di uno stipendio sempre più basso. In realtà visti i presupposti su cui si fonda l’attuale crescita economica, la Cina potrebbe trovarsi in piena recessione con conseguenze sociali disastrose. Anche nel “Paese giallo” si nascondono le stesse insidie che hanno portato al fallimento intere nazioni, gettando nello sconforto e nella disperazione milioni di proletari. Il progressivo aumento delle esportazioni ha, fino a questo momento, bilanciato l’afflusso di capitali provenienti dall’estero ma tutto questo rende la Cina - di fatto - una nazione dipendente in maniera unilaterale dall’andamento dei mercati internazionali.


  • Gli operai cinesi “schiavi legali”


Le condizioni in cui sono costretti a lavorare gli abitanti della Cina negli stabilimenti delle grosse multinazionali sono a dir poco raccapriccianti, ma di questo il mondo occidentale non sembra preoccuparsi, impegnato solamente a contrastare le esportazioni delle merci cinesi in Europa e negli Stati Uniti. Ogni giorno si agita lo spauracchio della concorrenza della Cina nei mercati mondiali senza soffermarsi sullo sfruttamento della forza lavoro, un grave attentato ai diritti umani che proviene in gran parte dal ricatto esercitato, a livello centrale e locale, dagli investitori stranieri. Sono circa novanta milioni gli “schiavi cinesi”, in gran parte contadini, che si sono trasferiti dalle campagne alle industrie cittadine. Le loro paghe sono ridicole: un operaio che lavora cento ore settimanali, senza nessun giorno di riposo, guadagna al massimo 900 yuan (pari ad 88 euro), una cifra insufficiente, anche in Cina, per sostenere una famiglia. Gli stessi lavoratori per lo più non sono coperti da assicurazione sanitaria e non hanno diritto a risarcimento in caso di incidenti sul lavoro. Gli operai molte volte lasciano i loro familiari nelle terre d’origine e mandano l’intero salario una volta all’anno, quando gli viene corrisposto. Non sono rari i casi in cui i datori di lavoro negano o dilazionano nel tempo i pagamenti ai loro dipendenti e, come se non bastasse, vengono utilizzati anche i minorenni per i lavori più duri. La battaglia contro lo sfruttamento minorile è ardua e spesso impossibile da sostenere di fronte ai precari equilibri economici che condizionano le famiglie povere di vaste aree della Cina. Il quadro che abbiamo davanti agli occhi è spaventoso: bambini alla catena di montaggio, fabbriche gestite come carceri, stipendi che bastano a malapena a sopravvivere, lavoratori intossicati dalle sostanze nocive presenti nelle aziende ed una lunga catena di incidenti mortali sul lavoro. Far lavorare i minori è spesso una scelta obbligata per le famiglie cinesi, vista la povertà che esiste in molte zone della Cina ma, comunque, mandare i propri figli in fabbrica non è la decisione più crudele. In molti casi fiorisce un altro mercato del lavoro per le bambine, quello della prostituzione.


  • Le colpe del mondo occidentale


Le imprese cinesi lavorano su licenza delle multinazionali occidentali, ma è frequente anche la produzione autonoma di piccoli imprenditori locali senza scrupolo che calpestano le regole più elementari del vivere civile. Il mondo occidentale, che si dice preoccupato per l’avanzata cinese nei mercati internazionali, è spesso la causa determinante delle condizioni di lavoro imposte al lavoratore cinese del comparto industriale. Le multinazionali conoscono i numeri, i conti sul costo del lavoro. Le grandi aziende americane ed europee sanno di pagare mezzo euro l’operaio che confeziona scarpe da 150 euro ma fanno finta di nulla, l’unico problema resta quello di imputare alla concorrenza sleale cinese la recessione in Occidente. Gli Stati Uniti premono affinché Pechino riveda la sua valuta e ciò, seppure in modo simbolico, è già avvenuto. L’idea è quella di far adottare alla Cina un tasso di cambio flessibile, basato sul mercato in modo da rendere meno competitive le merci esportate dai cinesi. Si tratta di un’ipotesi discutibile: se Pechino aumentasse sensibilmente il valore dello yuan nel Paese le conseguenze sociali sarebbero ancora più negative. Aumenterebbero sicuramente il potere d’acquisto del denaro e l’importazione dei beni di lusso, ma si produrrebbe una forte diminuzione delle esportazioni. Le società straniere cercherebbero manodopera più economica, spingendo ancora più in basso il tenore di vita degli operai cinesi. Una via d’uscita, ancora non considerata, potrebbe essere quella di aumentare i salari dei lavoratori in maniera unilaterale, soprattutto da parte delle imprese che recano il marchio occidentale. Questo avrebbe l’effetto di far crescere il costo dei prodotti “made in China” senza turbare i rapporti commerciali internazionali. Oggi la principale ragione della competitività delle merci cinesi sta nell’ampia disponibilità di lavoro a buon mercato. Se i contadini che migrano nelle fabbriche potessero stabilirsi nelle città con le loro famiglie, invece di lasciarle nelle campagne, si avrebbe un importante impulso al consumo, in modo da creare maggiore domanda e altri posti di lavoro. Sacrificare i diritti dei lavoratori per ottenere più competitività sui mercati è una strategia miope, destinata inesorabilmente a fallire. Al contrario un aumento degli stipendi degli operai darà loro un maggiore potere d’acquisto e farà crescere la domanda interna. Se la Cina rendesse sicure le paghe dei lavoratori e ne rispettasse le capacità, potrebbe promuovere realmente la stabilità e lo sviluppo della società cinese.

La Cina si sta espandendo in Africa senza dare troppo nell’occhio; i capi di stato africani accettano di assecondare gli interessi cinesi: accordi commerciali a lungo termine, concessioni minerarie, progetti di infrastrutture, ma soprattutto fornitura di petrolio e gas naturale. L’invasione della Cina è la novità più importante nelle relazioni estere del continente africano dopo la fine della guerra fredda. La Cina è affamata di materie prime e sbocchi commerciali con cui alimentare la sua rapida crescita. La Cina è diventata il terxo partner commerciale dell’Africa dopo Stati Uniti e Francia; il volume è passato da 10 miliardi di dollari del 2000 ai 40 miliardi del 2005. il 25% delle importazioni cinesi di petrolio viene dall’Africa.

Alcuni flash

Pechino (AsiaNews/Scmp) – Le denunce contro gli abusi ai diritti dei lavoratori cinesi hanno avuto un'impennata nel corso del 2005, arrivando alla "cifra record" di 300 mila. Lo annuncia un documento pubblicato ieri, 11 maggio, dalla Federazione cinese dei sindacati, che sottolinea come il numero delle cause presentate lo scorso anni rappresenta un aumento del 20,5 % rispetto al 2004.

Hu Xingdou, professore di economia all'Istituto di tecnologia di Pechino, sostiene che tali dispute sono aumentate "perché è aumentato il mercato del lavoro, ma anche perché si ha meno rispetto dei diritti dei lavoratori". "La maggior parte delle cause spiega è nata dal fatto che i governi locali portano avanti uno sviluppo selvaggio dell'economia senza alcun riguardo per chi materialmente le mette in atto. Questo è un errore molto pericoloso, per tutta la nazione".

Lettera di un operaio descrive la sua giornata tipo in fabbrica “ Siamo sottoposti ad una disciplina di tipo militare. Alle 6,30 dobbiamo scattare in piedi, pulirci le scarpe, lavarci la faccia e vestirci in 10 minuti. Corriamo alla mensa perché la colazione è scarsa e chi arriva ultimo ha il cibo peggiore, alle 7 in punto bisogna timbrare il cartellino sennò c’è una multa sulla busta paga. Alle 7 ogni gruppo marci in fila dietro il caporeparto recitando in coro la promessa di lavorare diligentemente. Se non recitiamo a voce alta, se c’è qualche errore nella sfilata, veniamo puniti. I capireparto urlano in continuazione. Dobbiamo subire, chiunque accenni a resistere viene cacciato. Noi operai veniamo da lontani villaggi di campagna. Siamo qui per guadagnare. Dobbiamo sopportare in silenzio e continuare a lavorare. Lavoriamo dalle 7 alle 23 e la metà di noi soffrono la fame. Quando arrivano gli uomini d’affari stranieri per un’ispezione, gli operai vengono avvertiti in anticipo; i capi ci fanno pulire e disinfettare tutto, lavare i pavimenti; sono molto pignoli.”

Minorenni alla catena di montaggio, fabbriche gestite come carceri, salari che bastano appena a sopravvivere, operai avvelenati dalle sostanze tossiche, una strage di incidenti sul lavoro. Dietro queste piaghe c'è una lunga catena di cause e di complicità. Il lavoro infantile spesso è una scelta obbliga per le famiglie. 800 milioni di cinesi abitano ancora nelle campagne dove il reddito medio può essere inferiore ai 200 euro all'anno. Per i più poveri mandare i figli in fabbrica, e soprattutto le figlie, non è la scelta più crudele: nel ricco Guangdong fiorisce anche un altro mercato del lavoro per le bambine, quello della prostituzione. Gli emigranti che arrivano dalle campagne finiscono nelle mani di un capitalismo cinese predatore, avido e senza scrupoli, in un paese dove le regole sono spesso calpestate. Alla Kingmaker che produce per la Timberland, gli operai dicono di non sapere neppure "se esiste un sindacato; i rappresentanti dei lavoratori sono stati nominati dai dirigenti della fabbrica".

 

Hu Jintao, presidente della Repubblica popolare e segretario generale del partito comunista cinese, ha accolto lunedì a Pechino centinaia di top manager, industriali e banchieri stranieri venuti per il Global Forum di Fortune. Il discorso di Hu di fronte ai rappresentanti del capitalismo mondiale è stato

interrotto da applausi a scena aperta. Il quotidiano ufficiale China Daily ha riassunto il suo comizio con un grande titolo in prima pagina: "You come, you profit, we all prosper". Voi venite, fate profitti, e tutti prosperiamo. Non è evidente chi sia incluso in quei "tutti", ma è chiaro da che parte sta Hu Jintao. (Federico Rampini)



Il giornale cinese China CSR ha pubblicato una confessione della Foxconn ( fornitore della Apple per lo I-pod )dove è ammesso lo sfruttamento dei lavoratori. Probabilmente prima che gli investigatori della Mela ne scoprissero di cotte e di crude, la società cinese ha ammesso di aver fatto lavorare la mano d'opera per 80 ore di straordinario settimanale anziché le 36 ore massime ammesse dalla legge cinese.

 

I dati parlano chiaro: la crescita economica della Cina ha dell’incredibile, ma non è tutto oro quel che luccica perché i costi sociali ed anche quelli ambientali sono assai elevati.

Dal 2000 al 2005 la Repubblica popolare cinese ha visto il suo prodotto interno lordo crescere enormemente, ma nello stesso periodo è aumentato anche il divario tra la popolazione urbana, dove il reddito annuale pro capite aumenta del 9,6%, e gli abitanti delle campagne, dove il reddito pro capite sale in misura molto inferiore. Questa crescita a due velocità così diverse crea ovviamente tensioni sociali che preoccupano i governanti cinesi.

Ma non meno preoccupante è l’impatto ambientale: questo formidabile sviluppo economico trascina con sé le esplosioni dei consumi energetici, con gravi conseguenze sul cambiamento climatico globale; l’inquinamento e il degrado del territorio, determinati dall’economia dello sviluppo lasciata correre finora senza controlli e senza leggi, sono arrivati a livelli allarmanti. La Cina, consapevole del tremendo impatto ambientale, cerca di correre ai ripari investendo nelle fonti che non provocano l’effetto-serra: 40 centrali nucleari sono in costruzione, oltre ad altri cantieri per centrali idroelettriche, ma anche queste fonti non sono certo esenti da rischi ambientali, si guarda anche allo sviluppo dell’energia solare ed eolica. Sembra comunque che le previsioni non inducano ad ottimismo perché rivelano che per molti anni le fonti alternative non arriveranno a fornire più del 10% del fabbisogno energetico.

La crescita economica cinese si respira nell’aria, 16 delle 20 città più inquinate del mondo sono in Cina, che è salita così ai primi posti della classifica dei paesi più inquinati e si trova stretta nella morsa di una scelta difficile: spinta da un lato a pompare il suo apparato produttivo per assorbire la manodopera ed evitare tensioni sociali, dall’altro a limitare la potenza dei suoi motori perché la ricaduta sulla qualità della vita, dell’aria e delle acque è sempre più devastante.

L’emergenza smog in Asia è a livelli elevati, negli ultimi mesi del 2006 una vasta area del sud-est asiatico è stata paralizzata dal ricorrente flagello delle nubi di fumo. Una delle ragioni è l’uso del carbone per la produzione di energia elettrica e la conseguente emissione di anidride solforosa (sostanza tossica legata alle centrali termoelettriche a carbone), la Cina ha rilasciato nell’atmosfera l’anno scorso 26 milioni di tonnellate di anidride solforosa, più del doppio degli USA, brucia più carbone di Stati Uniti, Europa e Giappone messi insieme; in media apre una nuova centrale termoelettrica ogni settimana, potente quanto basterebbe per illuminare città grandi quanto Roma e Milano.

Il protocollo di Kyoto prevedeva che i paesi emergenti fossero esentati dal rispetto delle regole sulla limitazione delle emissioni carboniche, valutando che non possono essere sottoposte alle stesse regole nazioni il cui livello di vita medio è ancora così inferiore al nostro, non si può pretendere che frenino quello sviluppo economico che sta sottraendo centinaia di milioni di persone alla miseria.

La Cina, per esempio, con tutta la sua crescita esponenziale, figura solo al centesimo posto nella classifica delle nazione per reddito pro-capite dei suoi abitanti, ( un ventesimo del reddito medio dei cittadini americani), tuttavia, pur con  consumi individuali molto più bassi dei nostri, sta già distruggendo gli equilibri ambientali, per il solo effetto della sua massa demografica

 La forza dello sviluppo cinese appare anche in un altro dato divulgato di recente: l’esodo migratorio dalle campagne verso le città in cerca di condizioni di vita migliori, ha raggiunto ufficialmente i 13 milioni annui. Ogni cinese che lascia un’ agricoltura povera per andare a lavorare nelle fabbriche vede aumentare del 700% il suo personale contributo al PIL nazionale e insieme a questo balzo di produttività arrivano salari più alti e consumi di tipo urbano molto più energivori ed inquinanti, la Cina potrebbe avere 140 milioni di automobili entro il 2020, cioè 7 volte il numero attuale.

 Già oggi il ricordo dei cinesi tutti rigorosamente in bicicletta è lontano, nelle megalopoli di Pechino, Shanghai, Chongqing, Canton, il traffico urbano è al collasso. La motorizzazione privata è tra le prime cause delle nubi tossiche che avvolgono i centri abitati.

In occasione del recente summit sino-africano avvenuto a Pechino è stata decisa una severa limitazione del traffico automobilistico privato nelle strade della capitale per ridurre ingorghi e smog (una prova generale di quelle misure di emergenza con cui le autorità sperano di contenere l’inquinamento durante le Olimpiadi del 2008 ), i limiti hanno funzionato ma hanno anche rivelato delle crepe nel consenso verso il regime, i forum online dei siti internet cinesi sono stati invasi da proteste per i disagi: il nuovo ceto medio urbano cinese non si lascia sottrarre facilmente i benefici di un benessere acquisito di recente.

 

6. L’illusione del socialismo : il pensiero di Tiziano Terzani

 

“TIZIANO [...] Quello che ci veniva raccontato dai nostri amici cinesi non risultava dal Libretto Rosso di Mao o dalla letteratura di propaganda della Nuova Cina. La frase che ripeto sempre è : io mi resi conto prestissimo che il mio sogno – il sogno di un giovane che studia la Cina alla Columbia University – era stato l’incubo dei cinesi.

E questa è stata la mia prima grande delusione.

FOLCO : Quando eri alla Columbia University la rivoluzione culturale non era ancora avvenuta ?

TIZIANO: Si, si, stava avvenendo proprio allora, ma si sapeva solo quello che ci diceva la propaganda. Poi arrivi in Cina e scopri che la vita dei cinesi è stata un incubo.

Sai, il momento rivoluzionario – io ho sempre cercato di spiegarlo in vari modi – è esaltante perché c’è qualcosa di nuovo per cui puoi impegnarti. L’ho detto con la frase più semplice che sono mai riuscito a dire “La rivoluzione è come un bambino: nasce bellino, ma magari dieci anni dopo diventa uno stronzo, gobbo e cattivo.” Anche la rivoluzione quando nasce è affascinante, perché ti promette una novità.

[...] il vecchio Mao si rende conto che tutte le rivoluzioni finiscono per incarognirsi così come tutte le religioni finiscono per istituzionalizzarsi, per irrigidirsi nelle loro abitudini e proteggere se stesse invece di andare avanti, di inventare vie nuove; Mao invece vuole andare avanti, vuole continuare a cercare una via diversa. E quando i suoi oppositori cominciano a dire “Adesso ci vuole un po’ di razionalità, bisogna imparare anche dall’occidente!” Mao fa appello ai giovani e li scaglia contro quei vecchi che, seduti, vogliono fare una Cina più razionale, più moderata, e a quelle sue giovani guardie rosse grida : “bombardate il quartier generale !”.

Nel 1966 comincia la rivoluzione culturale che vuole distruggere il passato perché possa nascere una Cina nuova. Cominciano le distruzioni spaventose per mano delle guardie rosse, comincia la repressione. Bastava che tu avessi un libro che non era approvato dal partito e venivi accusato di essere un revisionista, un controrivoluzionario, e spedito per anni a fare il lao gai nei campi di lavoro.

Se tu pensi a cosa questi fregnoni di giovani iconoclasti hanno bruciato, distrutto! Cose incredibili. Entravano nei templi, mamma mia. Entravano nelle case dei poeti, della gente e disfacevano ogni cosa, il loro lavoro, le cose belle che possedevano. L’idea che il “vecchio” fosse di impedimento al “nuovo” poteva essere giustificata dal punto di vista ideologico, né Mao aveva torto quando diceva che immense ricchezze erano finite nei templi, che immense ricchezze venivano sprecate nell’olio per illuminare gli idoli e per mantenere i monaci che non lavoravano, mentre il popolo moriva di fame. Ma il “vecchio” in Cina era bellissimo ! [...] ecco quello che Mao voleva distruggere perché diceva che incatenava il paese al suo passato. Ma questo “vecchio” sono le radici della Cina, senza questo “vecchio” la Cina non sarebbe più la Cina.

E infatti oggi la Cina non è più la Cina, da quando quell’assassino ha eliminato le radici della sua antica cultura. Invece di fare un comunismo o un socialismo cinese, Mao ha voluto distruggere tutto quello che era cinese per creare una società completamente nuova. E questo è spaventoso. Maao ha finito per distruggere la Cina e la visione di oggi la vedi.

Eravamo arrivati in Cina con l’intenzione di interessarci alla politica di Mao, ma ben presto questo interesse prese un’altra piega, perché la Cina di Mao non mi interessava più.

FOLCO : Il comunismo non ti interessava più?

TIZIANO : No, basta, come soluzione ai problemi dell’umanità quella formula era proprio fallita. La mia grande crisi comincia in Cina. Ho capito subito che era stata una trappola. In Vietnam lo avevo annusato, ma sai, ero in mezzo alla rivoluzione. E da allora è stato tutto un declino, non ho più scritto un vero pezzo politico. La politica non mi interessava più, avevo capito che la politica non era la soluzione a nulla.

FOLCO : E’ in Cina che il socialismo ti ha definitivamente deluso ?

TIZIANO : Si, certo. Ma soprattutto mi ha deluso la politica stessa come strumento di cambiamento. Capisci così come poi si arriva alla grande delusione con la materia, con l’operare sul corpo sociale di un paese. Perché questo operare non serve, non porta a fare un passo avanti. Anzi, porta a fare tanti passi indietro, verso la miseria, il dolore, la morte e la distruzione.

E lì bisogna ragionare : era soltanto il maoismo a creare in me questa delusione, o era la constatazione, ormai così ovvia, che non è possibile creare un uomo nuovo, che è sacrilega questa idea ?

La verità è che c’è una natura umana che non può essere combattuta. C’è una natura umana che è individualista, che è egoista e che non accetta questa limitazione dei propri diritti, della propria libertà di espressione. Bisogna riconoscerlo. Perché tu puoi dare a tutti la stessa ciotola di riso, puoi dare a tutti lo stesso vestito, e tanti ci credono e tanti partecipano al tuo progetto. Ma c’è sempre una parte che vuole due vestiti, due ciotole di riso, e la libertà di fare quello che vuole. Questo però il comunismo lo nega, per cui crea una contraddizione che diventa omicida. Così si arriva alla violenza perché quelli che credono nel sistema reprimono quelli che lo minano. Per questo ci sono stati i massacri di Pol Pot, i gulag dei sovietici e i campi di lavoro dei cinesi.

FOLCO : Vuoi dire che i pochi che hanno cercato di cambiare l’uomo erano ....

TIZIANO : Tutti assassini, grandi assassini. C’è qualcosa di sacrilego nell’idea di voler creare l’uomo nuovo che è di tutti i rivoluzionari. Lenin, Stalin, Trotsky, mao hanno tutti avuto questo stesso sogno. Ma l’uomo è quello che è, è il frutto di una evoluzione e non puoi fermare l’evoluzione, come non puoi fermare l’acqua che scorre nel fiume.

FOLCO : Dopo la morte di Mao, proprio negli anni in cui noi eravamo in Cina, la sua politica veniva disfatta e sostituita dalla politica di Deng Xiaoping. E anche questa non ti interessava per nulla, vero ?

TIZIANO : Perché finiva un progetto, no? Finiva un ideale. Quando Deng dice : “Essere ricchi è glorioso” tu dici : cinquanta anni di storia e di morti per nulla ? E’ glorioso diventare ricchi ? Per cinquanta anni voi al popolo gli avete insegnato a mangiare una ciotola di riso, a essere frugale, ad avere un solo paio di scarpe, solo un paio di calzoni; gli avete dato incentivi morali e fusciacche rosse invece degli incentivi materiali. E ora arriva questo a dirci :”No, no, no, bisogna tutti essere ricchi??!!”

Lo vedi che cosa sono diventati ? Banditi, banditi.

Stanno facendo della Cina una seconda Taiwan, una brutta imitazione di Hong Kong in cui tutti corrono a far soldi, come dappertutto. E quella loro società alternativa, dove è finita ? Allora, tanto vale che se ne vadano tutti al diavolo.

E qui nasce il grande problema di tuo padre che poi lo porta sull’Himalaya. Se tu pensi che cosa è costato a partire dal1921, la grande rivoluzione comunista, con la guerra contro l’occupazione giapponese, la guerra contro i nazionalisti sostenuti dagli americani: se tu pensi all’ammontare di sofferenza e di morti. Milioni !

A che cosa è servito ? A che cosa è servito ?

E’ inutile aver perso milioni di persone, migliaia di teste tagliate, decapitate per le strade, di gente massacrata, per creare oggi una società che è come quella capitalista di Taiwan. Eh no, se c’erano i nazionalisti al potere la facevano meglio, con gli aiuti americani, la bella moglie di Cahng Kai Shek alla televisione, tutti bravissimi. Tu guarda la storia. Avessero vinto i nazionalisti nel 1949 invece di Mao, oggi ci sarebbe stata la nuova Shanghai. Ed è quello che c’è.

Allora, a che servono le rivoluzioni ? Tutti questi sacrifici veri, che tanti hanno fatto con grande onestà, a che servono ? Se avessero vinto gli altri, la Cina avrebbe sofferto molto di meno e sarebbe comunque diventata quello che è oggi, e forse prima. [...]

FOLCO : Allora non servono le rivoluzioni ?

TIZIANO : E da qui il mio passo verso l’unica rivoluzione che serve, quella dentro di te. Le altre le vedi. Le altre si ripetono, si ripetono in maniera costante, perché al fondo c’è la natura dell’uomo. E se l’uomo non cambia, se l’uomo non fa questo salto di qualità, se l’uomo non rinuncia alla violenza, al dominio della materia, al profitto, all’interesse, tutto si ripete, si ripete, si ripete.

Lentamente in Cina ebbi una reazione che fu questa : invece di cercare l’uomo nuovo mi resi conto che c’era un uomo vecchio cinese, che era meraviglioso; e che quella era stata una cultura stupenda con una grandezza e con una ricchezza che proprio mi colpivano. Allora mi sono messo in cerca di quell’uomo vecchio, della meraviglia che era stata la vecchia Cina e di quel che ne rimaneva.

     [Tiziano e Folco Terzani, la fine è il mio inizio, 2006]        

 

 

Bibliografia :

Federico Rampini, L’impero di Cindia, Mondadori, 2006

Francesco Sisci, Chi ha paura della Cina, Ed. Ponte alle grazie, 2006

Tiziano Terzani, La fine è il mio inizio, Longanesi, 2006

Angela Terzani Staude, Giorni cinesi, Ed Tea, 2002

AAVV, Le grandi religioni del Mondo, Ed. Paoline, 1977

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