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sabato 28 novembre 2009

Geografia della speranza in Colombia

Comunità dell’Isolotto

Incontro comunitario 29 novembre 2009

 

Geografia della speranza in Colombia

 

Letture corali

Il tempo messianico

 

Gesù si recò a Nazaret dove era stato allevato.

Come al solito entrò nella sinagoga

in giorno di sabato per la lettura.

Gli fu presentato il volume del profeta Isaia.

Aperto che l'ebbe, trovò questo brano:

"Lo spirito del Signore è su di me,

egli mi ha inviato ad annunciare il vangelo ai poveri.

Mi ha mandato a rinfrancare i cuori sfiduciati,

a proclamare la libertà ai prigionieri,

a restituire ai ciechi la vista,

a rendere liberi gli oppressi,

a proclamare il tempo della liberazione".

Richiuse il volume, lo restituì, poi si sedette.

Gli sguardi di tutti erano fissi sopra di lui.

Incominciò dunque a dir loro:

"Oggi si compie questa scrittura

che avete udito poco fa con i vostri orecchi".

All'udir queste parole,

tutti i presenti nella sinagoga

si sentirono pieni di sdegno

e, levatisi in piedi, lo cacciarono fuori dalla città.

(dal vangelo di Luca)

*****

 

Il lupo dimorerà presso l'agnello

e la tigre si accovaccierà accanto al capretto,

il vitello e il leone pascoleranno insieme

e un bimbo piccolo li condurrà per mano.

La mucca e l’orsa staranno insieme al pascolo

e i loro piccoli si sdraieranno insieme

e il leone come il bue mangerà l’erba.

Un bambino lattante giocherà sul covo dell'aspide

e un bambino appena svezzato

stenderà la sua mano nella tana della vipera...

Non si farà più del male né si compierà più strage.

                                               (dal profeta Isaia)






 

 

Preghiera della eucarestia

 

 

La memoria di Gesù

e del movimento di gente umile di cui egli faceva parte

c’induce a guardare la storia con occhi nuovi.

Educati dal Vangelo della tradizione cristiana

e insieme da tante altre tradizioni di sapienza umana,

il divenire storico ci appare come un incessante cammino.

Donne e uomini di tutti i tempi, luoghi e popoli

procedono verso la liberazione

spinti da una forza che si sprigiona dall’interno della vita

e dall’intimo delle relazioni.

Non più la storia come marcia trionfale del dominio,

segnata dalle gesta di eroi, di santi, di potenti,

negata alla gente comune chiamata “senza storia”,

ma la storia come immenso movimento dal basso

incerto, fluttuante, con alti e bassi,

conquiste e arretramenti, scoraggiamenti e speranze,

spinto da una forza che sembra sempre sopraffatta

e che invece non è mai distrutta.

E’ la storia di una perenne resurrezione.

Come ci ha testimoniato Gesù.

Prima di essere ucciso,

mentre sedeva a tavola con i suoi apostoli

prese del pane, lo spezzò, lo distribuì loro dicendo:

"prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo".

Poi, preso un bicchiere, rese grazie,

lo diede loro e tutti ne bevvero.

E disse loro: "questo è il mio sangue

sparso per tutti i popoli".

Fate questo in memoria di me.

La condivisione del pane e del vino in memoria di Gesù

sia segno reale della condivisione della vita intera,

anima della trasformazione continua della storia,

spirito intimo della lotta inesausta per la giustizia.

 






Dal libro della Genesi

 

Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo. …Caino disse al fratello Abele: “Andiamo in campagna!”. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: “Dov’è Abele, tuo fratello? ”. Egli rispose: “Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello? ”. Riprese: “Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!

 

Spunti di riflessione

 

Il grido del sangue di Abele è immagine mitica del grido di tutte le vittime della violenza e di tutti gli oppressi della storia.

Ma ci sono due modi di spiegare il senso di quel grido. C’è anzitutto la spiegazione che viene data dalla teologia dominante. Che in sostanza è questa: il grido del sangue di Abele non avrà mai fine nella storia. Ci saranno per sempre carnefici e vittime, oppressori e oppressi. Perché questo? Perché il peccato originale ha reso impotenti gli sforzi umani per la giustizia. Per quante lotte per la giustizia si siano fatte e si possano fare la violenza avrà sempre la meglio.

Ma allora Dio che ci sta a fare? Dio si è incarnato. Il Padre ha mandato il suo figlio perché col suo sangue, col suo sacrificio, portasse la giustizia.

Ma di quale giustizia si tratta? Non di quella terrena ma di quella celeste nell’al di là. A noi in terra non resta che la carità, aiutar le vittime, far del bene. Per dirla con una immagine semplice: non possiamo eliminare la guerra ma possiamo e dobbiamo assistere i feriti. La croce rossa. Il grido del sangue di Abele può e deve sciogliere i cuori ma non può intaccare i meccanismi del potere che opprime. Questa si chiama teologia sacrificale.

La risposta della teologia sacrificale, sebbene da un certo punto in poi sia stata quella dominante, quella dei riti e dei catechismi, non è però l’unica. Nel profondo dell’anima cristiana si è da sempre sviluppata un’altra risposta: quella che il teologo della liberazione padre Ignacio Ellacuria ha chiamata con una parola difficile: soteriologia storica. Che tradotta vuol dire teologia della salvezza storica.

A differenza della teologia sacrificale, per la teologia della salvezza storica il grido del sangue di Abele non è solo lamento impotente che chiede carità senza riscatto storico. E’ anche grido di lotta per non dire di rivoluzione. Di conseguenza i “poveri” e gli “oppressi” non sono solo destinatari del vangelo della salvezza in cielo. Sono essi stessi soggetti storici del proprio riscatto e del riscatto universale che comprende anche la conversione e la fine di Caino, la fine del sistema della oppressione, la fine del sistema di guerra. E il “Regno di Dio” promesso ai poveri da Gesù non è il paradiso nell’al di là ma l’utopia di una società nuova dove sono “rovescitati i potenti ed elevati gli umili…saziati di beni gli affamati e rimandati a mani vuote i ricchi”.

 

In un libro intitolato: “Conversione della Chiesa al Regno di Dio per annunciarlo e realizzarlo nella storia”, padre Ellacuria descrive così la teologia della salvezza storica: “Noi teologi della soteriologia storica sottolineiamo il carattere storico della salvezza annunciata dal Vangelo”. Una simile visione della storia della salvezza però crea scandalo sia nel mondo religioso che in quello laico: “E’ scandaloso proporre i bisognosi e gli oppressi come salvezza storica del mondo. Risulta scandaloso a molti credenti. E risulta scandaloso anche per i rivoluzionari laici e per i politici. E’ facile vedere gli oppressi e i bisognosi come coloro che cercano di essere salvati, ma non lo è vederli come salvatori e liberatori. Ad esempio il marxismo ortodosso considera i dannati della terra, che chiama “proletariato straccione”, come freno alla rivoluzione. “Nel Vangelo il centro resta sempre il Regno, cioè la società nuova, e non la resurrezione personale di Gesù. La identificazione del Regno con la resurrezione di Gesù lascerebbe senza compimento il messaggio di Gesù stesso…egli fu ucciso per la vita storica che condusse …non è adatto lo schema espiatorio (peccato-offesa-vittima-espiazione-perdono)…il morto per i nostri peccati non può essere spacciato facilmente per la vittima espiatoria che lascia intatto il corso storico…è la sua vita che dà significato alla sua morte, perciò c’è da chiedersi chi continua a realizzare nella storia ciò che fu la sua vita e la sua morte…”.

Questo grande testimone dell’Esodo come liberazione nel nostro tempo ha pagato col sangue le sue scelte di vita ecclesiale e sociale. Fu ucciso il 16 novembre 1989 insieme a due donne inservienti e a cinque confratelli gesuiti nella Università Centroamericana a San Salvador. Erano sacerdoti di origine spagnola da molto tempo impegnati in un lavoro di coscientizzazione della gente. Con loro l’Università cattolica di San Salvador era diventata un centro di analisi, di ricerca e di orientamento pratico a cui si ispiravano le realtà sociali e politiche orientate alla giusitizia, al dialogo e alla pace e in particolare le comunità di base di tutto il Centroamerica. Puntavano però ben oltre l’orizzonte regionale. Il loro impegno era di spingere tutta la Compagnia di Gesù e tutta la Chiesa cattolica, a livello mondiale, a fare la scelta dei poveri. Nel luogo dove furono massacrati, ora c’è un giardino di rose rosse. Ma quella mattina di venti anni fa c’erano solo corpi straziati, deturpati, sfigurati e tanto sangue. In quello stesso periodo con l’esplosione di alcune bombe era stata fatta una strage di sindacalisti salvadoregni.






E’ con noi Peppino Coscione che ci darà testimonianza di comunità vive che portano avanti in pratica oggi quel messaggio di liberazione. Per dire che l’utopia non si uccide.

Peppino è socio, con la comunità di Oregina di Genova, della "Rete italiana di Solidarietà Colombia Vive" e ci parlerà della Geografia della speranza in Colombia testimoniata dalla vita di comunità di pace e nonviolenza ed in particolare della Comunità di San José de Apartadó nella regione di Urabá del Dipartimento di Antioquia.

In Colombia, un paese afflitto da un lungo conflitto armato, vi sono comunità che riescono a trasformare la geografia del terrore in geografia della speranza di pace e di giustizia. Sono comunità, senza ambizione di grandezza e di raffigurazione politica, che tessono la vita costruendo modelli alternativi di convivenza con la pratica di resistenza civile nonviolenta. Sono comunità che, pur avendo conosciuto e conoscendo ancora dolore e assassinio, non cessano di collocare quotidianamente tra gli interstizi della violenza bellica il cemento della pace con giustizia sociale e con la garanzia di non ripetizione della barbarie.

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