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sabato 28 novembre 2009

Geografia della speranza in Colombia

Comunità dell’Isolotto

Incontro comunitario 29 novembre 2009

 

Geografia della speranza in Colombia

 

Letture corali

Il tempo messianico

 

Gesù si recò a Nazaret dove era stato allevato.

Come al solito entrò nella sinagoga

in giorno di sabato per la lettura.

Gli fu presentato il volume del profeta Isaia.

Aperto che l'ebbe, trovò questo brano:

"Lo spirito del Signore è su di me,

egli mi ha inviato ad annunciare il vangelo ai poveri.

Mi ha mandato a rinfrancare i cuori sfiduciati,

a proclamare la libertà ai prigionieri,

a restituire ai ciechi la vista,

a rendere liberi gli oppressi,

a proclamare il tempo della liberazione".

Richiuse il volume, lo restituì, poi si sedette.

Gli sguardi di tutti erano fissi sopra di lui.

Incominciò dunque a dir loro:

"Oggi si compie questa scrittura

che avete udito poco fa con i vostri orecchi".

All'udir queste parole,

tutti i presenti nella sinagoga

si sentirono pieni di sdegno

e, levatisi in piedi, lo cacciarono fuori dalla città.

(dal vangelo di Luca)

*****

 

Il lupo dimorerà presso l'agnello

e la tigre si accovaccierà accanto al capretto,

il vitello e il leone pascoleranno insieme

e un bimbo piccolo li condurrà per mano.

La mucca e l’orsa staranno insieme al pascolo

e i loro piccoli si sdraieranno insieme

e il leone come il bue mangerà l’erba.

Un bambino lattante giocherà sul covo dell'aspide

e un bambino appena svezzato

stenderà la sua mano nella tana della vipera...

Non si farà più del male né si compierà più strage.

                                               (dal profeta Isaia)






 

 

Preghiera della eucarestia

 

 

La memoria di Gesù

e del movimento di gente umile di cui egli faceva parte

c’induce a guardare la storia con occhi nuovi.

Educati dal Vangelo della tradizione cristiana

e insieme da tante altre tradizioni di sapienza umana,

il divenire storico ci appare come un incessante cammino.

Donne e uomini di tutti i tempi, luoghi e popoli

procedono verso la liberazione

spinti da una forza che si sprigiona dall’interno della vita

e dall’intimo delle relazioni.

Non più la storia come marcia trionfale del dominio,

segnata dalle gesta di eroi, di santi, di potenti,

negata alla gente comune chiamata “senza storia”,

ma la storia come immenso movimento dal basso

incerto, fluttuante, con alti e bassi,

conquiste e arretramenti, scoraggiamenti e speranze,

spinto da una forza che sembra sempre sopraffatta

e che invece non è mai distrutta.

E’ la storia di una perenne resurrezione.

Come ci ha testimoniato Gesù.

Prima di essere ucciso,

mentre sedeva a tavola con i suoi apostoli

prese del pane, lo spezzò, lo distribuì loro dicendo:

"prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo".

Poi, preso un bicchiere, rese grazie,

lo diede loro e tutti ne bevvero.

E disse loro: "questo è il mio sangue

sparso per tutti i popoli".

Fate questo in memoria di me.

La condivisione del pane e del vino in memoria di Gesù

sia segno reale della condivisione della vita intera,

anima della trasformazione continua della storia,

spirito intimo della lotta inesausta per la giustizia.

 






Dal libro della Genesi

 

Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo. …Caino disse al fratello Abele: “Andiamo in campagna!”. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: “Dov’è Abele, tuo fratello? ”. Egli rispose: “Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello? ”. Riprese: “Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!

 

Spunti di riflessione

 

Il grido del sangue di Abele è immagine mitica del grido di tutte le vittime della violenza e di tutti gli oppressi della storia.

Ma ci sono due modi di spiegare il senso di quel grido. C’è anzitutto la spiegazione che viene data dalla teologia dominante. Che in sostanza è questa: il grido del sangue di Abele non avrà mai fine nella storia. Ci saranno per sempre carnefici e vittime, oppressori e oppressi. Perché questo? Perché il peccato originale ha reso impotenti gli sforzi umani per la giustizia. Per quante lotte per la giustizia si siano fatte e si possano fare la violenza avrà sempre la meglio.

Ma allora Dio che ci sta a fare? Dio si è incarnato. Il Padre ha mandato il suo figlio perché col suo sangue, col suo sacrificio, portasse la giustizia.

Ma di quale giustizia si tratta? Non di quella terrena ma di quella celeste nell’al di là. A noi in terra non resta che la carità, aiutar le vittime, far del bene. Per dirla con una immagine semplice: non possiamo eliminare la guerra ma possiamo e dobbiamo assistere i feriti. La croce rossa. Il grido del sangue di Abele può e deve sciogliere i cuori ma non può intaccare i meccanismi del potere che opprime. Questa si chiama teologia sacrificale.

La risposta della teologia sacrificale, sebbene da un certo punto in poi sia stata quella dominante, quella dei riti e dei catechismi, non è però l’unica. Nel profondo dell’anima cristiana si è da sempre sviluppata un’altra risposta: quella che il teologo della liberazione padre Ignacio Ellacuria ha chiamata con una parola difficile: soteriologia storica. Che tradotta vuol dire teologia della salvezza storica.

A differenza della teologia sacrificale, per la teologia della salvezza storica il grido del sangue di Abele non è solo lamento impotente che chiede carità senza riscatto storico. E’ anche grido di lotta per non dire di rivoluzione. Di conseguenza i “poveri” e gli “oppressi” non sono solo destinatari del vangelo della salvezza in cielo. Sono essi stessi soggetti storici del proprio riscatto e del riscatto universale che comprende anche la conversione e la fine di Caino, la fine del sistema della oppressione, la fine del sistema di guerra. E il “Regno di Dio” promesso ai poveri da Gesù non è il paradiso nell’al di là ma l’utopia di una società nuova dove sono “rovescitati i potenti ed elevati gli umili…saziati di beni gli affamati e rimandati a mani vuote i ricchi”.

 

In un libro intitolato: “Conversione della Chiesa al Regno di Dio per annunciarlo e realizzarlo nella storia”, padre Ellacuria descrive così la teologia della salvezza storica: “Noi teologi della soteriologia storica sottolineiamo il carattere storico della salvezza annunciata dal Vangelo”. Una simile visione della storia della salvezza però crea scandalo sia nel mondo religioso che in quello laico: “E’ scandaloso proporre i bisognosi e gli oppressi come salvezza storica del mondo. Risulta scandaloso a molti credenti. E risulta scandaloso anche per i rivoluzionari laici e per i politici. E’ facile vedere gli oppressi e i bisognosi come coloro che cercano di essere salvati, ma non lo è vederli come salvatori e liberatori. Ad esempio il marxismo ortodosso considera i dannati della terra, che chiama “proletariato straccione”, come freno alla rivoluzione. “Nel Vangelo il centro resta sempre il Regno, cioè la società nuova, e non la resurrezione personale di Gesù. La identificazione del Regno con la resurrezione di Gesù lascerebbe senza compimento il messaggio di Gesù stesso…egli fu ucciso per la vita storica che condusse …non è adatto lo schema espiatorio (peccato-offesa-vittima-espiazione-perdono)…il morto per i nostri peccati non può essere spacciato facilmente per la vittima espiatoria che lascia intatto il corso storico…è la sua vita che dà significato alla sua morte, perciò c’è da chiedersi chi continua a realizzare nella storia ciò che fu la sua vita e la sua morte…”.

Questo grande testimone dell’Esodo come liberazione nel nostro tempo ha pagato col sangue le sue scelte di vita ecclesiale e sociale. Fu ucciso il 16 novembre 1989 insieme a due donne inservienti e a cinque confratelli gesuiti nella Università Centroamericana a San Salvador. Erano sacerdoti di origine spagnola da molto tempo impegnati in un lavoro di coscientizzazione della gente. Con loro l’Università cattolica di San Salvador era diventata un centro di analisi, di ricerca e di orientamento pratico a cui si ispiravano le realtà sociali e politiche orientate alla giusitizia, al dialogo e alla pace e in particolare le comunità di base di tutto il Centroamerica. Puntavano però ben oltre l’orizzonte regionale. Il loro impegno era di spingere tutta la Compagnia di Gesù e tutta la Chiesa cattolica, a livello mondiale, a fare la scelta dei poveri. Nel luogo dove furono massacrati, ora c’è un giardino di rose rosse. Ma quella mattina di venti anni fa c’erano solo corpi straziati, deturpati, sfigurati e tanto sangue. In quello stesso periodo con l’esplosione di alcune bombe era stata fatta una strage di sindacalisti salvadoregni.






E’ con noi Peppino Coscione che ci darà testimonianza di comunità vive che portano avanti in pratica oggi quel messaggio di liberazione. Per dire che l’utopia non si uccide.

Peppino è socio, con la comunità di Oregina di Genova, della "Rete italiana di Solidarietà Colombia Vive" e ci parlerà della Geografia della speranza in Colombia testimoniata dalla vita di comunità di pace e nonviolenza ed in particolare della Comunità di San José de Apartadó nella regione di Urabá del Dipartimento di Antioquia.

In Colombia, un paese afflitto da un lungo conflitto armato, vi sono comunità che riescono a trasformare la geografia del terrore in geografia della speranza di pace e di giustizia. Sono comunità, senza ambizione di grandezza e di raffigurazione politica, che tessono la vita costruendo modelli alternativi di convivenza con la pratica di resistenza civile nonviolenta. Sono comunità che, pur avendo conosciuto e conoscendo ancora dolore e assassinio, non cessano di collocare quotidianamente tra gli interstizi della violenza bellica il cemento della pace con giustizia sociale e con la garanzia di non ripetizione della barbarie.

Geografia della speranza in Colombia

Comunità dell’Isolotto

Incontro comunitario 29 novembre 2009

 

Geografia della speranza in Colombia

 

Letture corali

Il tempo messianico

 

Gesù si recò a Nazaret dove era stato allevato.

Come al solito entrò nella sinagoga

in giorno di sabato per la lettura.

Gli fu presentato il volume del profeta Isaia.

Aperto che l'ebbe, trovò questo brano:

"Lo spirito del Signore è su di me,

egli mi ha inviato ad annunciare il vangelo ai poveri.

Mi ha mandato a rinfrancare i cuori sfiduciati,

a proclamare la libertà ai prigionieri,

a restituire ai ciechi la vista,

a rendere liberi gli oppressi,

a proclamare il tempo della liberazione".

Richiuse il volume, lo restituì, poi si sedette.

Gli sguardi di tutti erano fissi sopra di lui.

Incominciò dunque a dir loro:

"Oggi si compie questa scrittura

che avete udito poco fa con i vostri orecchi".

All'udir queste parole,

tutti i presenti nella sinagoga

si sentirono pieni di sdegno

e, levatisi in piedi, lo cacciarono fuori dalla città.

(dal vangelo di Luca)

*****

 

Il lupo dimorerà presso l'agnello

e la tigre si accovaccierà accanto al capretto,

il vitello e il leone pascoleranno insieme

e un bimbo piccolo li condurrà per mano.

La mucca e l’orsa staranno insieme al pascolo

e i loro piccoli si sdraieranno insieme

e il leone come il bue mangerà l’erba.

Un bambino lattante giocherà sul covo dell'aspide

e un bambino appena svezzato

stenderà la sua mano nella tana della vipera...

Non si farà più del male né si compierà più strage.

                                               (dal profeta Isaia)






 

 

Preghiera della eucarestia

 

 

La memoria di Gesù

e del movimento di gente umile di cui egli faceva parte

c’induce a guardare la storia con occhi nuovi.

Educati dal Vangelo della tradizione cristiana

e insieme da tante altre tradizioni di sapienza umana,

il divenire storico ci appare come un incessante cammino.

Donne e uomini di tutti i tempi, luoghi e popoli

procedono verso la liberazione

spinti da una forza che si sprigiona dall’interno della vita

e dall’intimo delle relazioni.

Non più la storia come marcia trionfale del dominio,

segnata dalle gesta di eroi, di santi, di potenti,

negata alla gente comune chiamata “senza storia”,

ma la storia come immenso movimento dal basso

incerto, fluttuante, con alti e bassi,

conquiste e arretramenti, scoraggiamenti e speranze,

spinto da una forza che sembra sempre sopraffatta

e che invece non è mai distrutta.

E’ la storia di una perenne resurrezione.

Come ci ha testimoniato Gesù.

Prima di essere ucciso,

mentre sedeva a tavola con i suoi apostoli

prese del pane, lo spezzò, lo distribuì loro dicendo:

"prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo".

Poi, preso un bicchiere, rese grazie,

lo diede loro e tutti ne bevvero.

E disse loro: "questo è il mio sangue

sparso per tutti i popoli".

Fate questo in memoria di me.

La condivisione del pane e del vino in memoria di Gesù

sia segno reale della condivisione della vita intera,

anima della trasformazione continua della storia,

spirito intimo della lotta inesausta per la giustizia.

 






Dal libro della Genesi

 

Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo. …Caino disse al fratello Abele: “Andiamo in campagna!”. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: “Dov’è Abele, tuo fratello? ”. Egli rispose: “Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello? ”. Riprese: “Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!

 

Spunti di riflessione

 

Il grido del sangue di Abele è immagine mitica del grido di tutte le vittime della violenza e di tutti gli oppressi della storia.

Ma ci sono due modi di spiegare il senso di quel grido. C’è anzitutto la spiegazione che viene data dalla teologia dominante. Che in sostanza è questa: il grido del sangue di Abele non avrà mai fine nella storia. Ci saranno per sempre carnefici e vittime, oppressori e oppressi. Perché questo? Perché il peccato originale ha reso impotenti gli sforzi umani per la giustizia. Per quante lotte per la giustizia si siano fatte e si possano fare la violenza avrà sempre la meglio.

Ma allora Dio che ci sta a fare? Dio si è incarnato. Il Padre ha mandato il suo figlio perché col suo sangue, col suo sacrificio, portasse la giustizia.

Ma di quale giustizia si tratta? Non di quella terrena ma di quella celeste nell’al di là. A noi in terra non resta che la carità, aiutar le vittime, far del bene. Per dirla con una immagine semplice: non possiamo eliminare la guerra ma possiamo e dobbiamo assistere i feriti. La croce rossa. Il grido del sangue di Abele può e deve sciogliere i cuori ma non può intaccare i meccanismi del potere che opprime. Questa si chiama teologia sacrificale.

La risposta della teologia sacrificale, sebbene da un certo punto in poi sia stata quella dominante, quella dei riti e dei catechismi, non è però l’unica. Nel profondo dell’anima cristiana si è da sempre sviluppata un’altra risposta: quella che il teologo della liberazione padre Ignacio Ellacuria ha chiamata con una parola difficile: soteriologia storica. Che tradotta vuol dire teologia della salvezza storica.

A differenza della teologia sacrificale, per la teologia della salvezza storica il grido del sangue di Abele non è solo lamento impotente che chiede carità senza riscatto storico. E’ anche grido di lotta per non dire di rivoluzione. Di conseguenza i “poveri” e gli “oppressi” non sono solo destinatari del vangelo della salvezza in cielo. Sono essi stessi soggetti storici del proprio riscatto e del riscatto universale che comprende anche la conversione e la fine di Caino, la fine del sistema della oppressione, la fine del sistema di guerra. E il “Regno di Dio” promesso ai poveri da Gesù non è il paradiso nell’al di là ma l’utopia di una società nuova dove sono “rovescitati i potenti ed elevati gli umili…saziati di beni gli affamati e rimandati a mani vuote i ricchi”.

 

In un libro intitolato: “Conversione della Chiesa al Regno di Dio per annunciarlo e realizzarlo nella storia”, padre Ellacuria descrive così la teologia della salvezza storica: “Noi teologi della soteriologia storica sottolineiamo il carattere storico della salvezza annunciata dal Vangelo”. Una simile visione della storia della salvezza però crea scandalo sia nel mondo religioso che in quello laico: “E’ scandaloso proporre i bisognosi e gli oppressi come salvezza storica del mondo. Risulta scandaloso a molti credenti. E risulta scandaloso anche per i rivoluzionari laici e per i politici. E’ facile vedere gli oppressi e i bisognosi come coloro che cercano di essere salvati, ma non lo è vederli come salvatori e liberatori. Ad esempio il marxismo ortodosso considera i dannati della terra, che chiama “proletariato straccione”, come freno alla rivoluzione. “Nel Vangelo il centro resta sempre il Regno, cioè la società nuova, e non la resurrezione personale di Gesù. La identificazione del Regno con la resurrezione di Gesù lascerebbe senza compimento il messaggio di Gesù stesso…egli fu ucciso per la vita storica che condusse …non è adatto lo schema espiatorio (peccato-offesa-vittima-espiazione-perdono)…il morto per i nostri peccati non può essere spacciato facilmente per la vittima espiatoria che lascia intatto il corso storico…è la sua vita che dà significato alla sua morte, perciò c’è da chiedersi chi continua a realizzare nella storia ciò che fu la sua vita e la sua morte…”.

Questo grande testimone dell’Esodo come liberazione nel nostro tempo ha pagato col sangue le sue scelte di vita ecclesiale e sociale. Fu ucciso il 16 novembre 1989 insieme a due donne inservienti e a cinque confratelli gesuiti nella Università Centroamericana a San Salvador. Erano sacerdoti di origine spagnola da molto tempo impegnati in un lavoro di coscientizzazione della gente. Con loro l’Università cattolica di San Salvador era diventata un centro di analisi, di ricerca e di orientamento pratico a cui si ispiravano le realtà sociali e politiche orientate alla giusitizia, al dialogo e alla pace e in particolare le comunità di base di tutto il Centroamerica. Puntavano però ben oltre l’orizzonte regionale. Il loro impegno era di spingere tutta la Compagnia di Gesù e tutta la Chiesa cattolica, a livello mondiale, a fare la scelta dei poveri. Nel luogo dove furono massacrati, ora c’è un giardino di rose rosse. Ma quella mattina di venti anni fa c’erano solo corpi straziati, deturpati, sfigurati e tanto sangue. In quello stesso periodo con l’esplosione di alcune bombe era stata fatta una strage di sindacalisti salvadoregni.






E’ con noi Peppino Coscione che ci darà testimonianza di comunità vive che portano avanti in pratica oggi quel messaggio di liberazione. Per dire che l’utopia non si uccide.

Peppino è socio, con la comunità di Oregina di Genova, della "Rete italiana di Solidarietà Colombia Vive" e ci parlerà della Geografia della speranza in Colombia testimoniata dalla vita di comunità di pace e nonviolenza ed in particolare della Comunità di San José de Apartadó nella regione di Urabá del Dipartimento di Antioquia.

In Colombia, un paese afflitto da un lungo conflitto armato, vi sono comunità che riescono a trasformare la geografia del terrore in geografia della speranza di pace e di giustizia. Sono comunità, senza ambizione di grandezza e di raffigurazione politica, che tessono la vita costruendo modelli alternativi di convivenza con la pratica di resistenza civile nonviolenta. Sono comunità che, pur avendo conosciuto e conoscendo ancora dolore e assassinio, non cessano di collocare quotidianamente tra gli interstizi della violenza bellica il cemento della pace con giustizia sociale e con la garanzia di non ripetizione della barbarie.

domenica 22 novembre 2009

A passeggio per l'Isolotto


Il Quartiere 4 è una delle aree più verdi della città

e questo percorso di 7,5 chilometri si svolge per  oltre il 90%  in aree verdi.

Scorrendo la pagina troverete le indicazioni per ripercorrerlo illustrate con vedute satellitari che - meglio di ogni altra parola - mettono in evidenza l'abbondanza di giardini e aree verdi del Quartiere.


  Passeggiate guidate ogni secondo sabato del mese - da ottobre a maggio -

con partenza dalla sede del Quartiere 4 alle 9.30 


Guarda il percorso

A passeggio per l'Isolotto


Il Quartiere 4 è una delle aree più verdi della città

e questo percorso di 7,5 chilometri si svolge per  oltre il 90%  in aree verdi.

Scorrendo la pagina troverete le indicazioni per ripercorrerlo illustrate con vedute satellitari che - meglio di ogni altra parola - mettono in evidenza l'abbondanza di giardini e aree verdi del Quartiere.


  Passeggiate guidate ogni secondo sabato del mese - da ottobre a maggio -

con partenza dalla sede del Quartiere 4 alle 9.30 


Guarda il percorso

giovedì 19 novembre 2009

Comunità delle Piagge

Invito della Comunità delle Piagge




Resistiamo insieme? Tutti i venerdì dalle 18 alle 20.

Venerdì in Piazza Duomo presentiamo l'Altracittà, il giornale delle Piagge

Dopo il successo del digiuno parte la seconda fase del dialogo con il vescovo in difesa di don Alessandro




Dal 20 novembre ogni venerdì la Comunità delle Piagge sarà presente in Piazza Duomo, sotto la curia di Firenze, per presentare le proprie attività (vedi qui). Saranno incontri semplici, in piazza, informali e aperti a chiunque desideri conoscere dal vero questa realtà, al di là delle cronache e dei sentito dire.



Il primo appuntamento è fissato per il 20 novembre alle ore 18.00 con il giornale l’Altracittà, un’esperienza pressoché unica di giornalismo di base che può vantare oltre 14 anni di anzianità di servizio... modestia a parte ci batte solo la redazione di Fuori Binario che salutiamo con affetto.



Alcuni redattori e redattrici dell'Altracittà e di Agenzia di base saranno in strada per dialogare con i lettori e con chi non conosce il giornale, ascoltare le loro critiche, proposte e segnalazioni. Saranno in distribuzione gratuita copie del giornale che raccontano la storia del quartiere e della città da un punto di vista non consueto. Sarà inoltre possibile sottoscrivere l'abbonamento annuale a partire da 10 euro.



Vi aspettiamo numerosi/e! Non mancate.



Come sostenere la Comunità delle Piagge

http://www.altracitta.org/?p= 9923



l'Altracittà - giornale della periferia

Internet: http://www.altracitta.org

Flickr: http://www.flickr.com/photos/ altracitta

Facebook: http://www.facebook.com/ altracitta

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Twitter: http://twitter.com/altracitta

Email: redazione@altracitta.org

Comunità delle Piagge

Invito della Comunità delle Piagge




Resistiamo insieme? Tutti i venerdì dalle 18 alle 20.

Venerdì in Piazza Duomo presentiamo l'Altracittà, il giornale delle Piagge

Dopo il successo del digiuno parte la seconda fase del dialogo con il vescovo in difesa di don Alessandro




Dal 20 novembre ogni venerdì la Comunità delle Piagge sarà presente in Piazza Duomo, sotto la curia di Firenze, per presentare le proprie attività (vedi qui). Saranno incontri semplici, in piazza, informali e aperti a chiunque desideri conoscere dal vero questa realtà, al di là delle cronache e dei sentito dire.



Il primo appuntamento è fissato per il 20 novembre alle ore 18.00 con il giornale l’Altracittà, un’esperienza pressoché unica di giornalismo di base che può vantare oltre 14 anni di anzianità di servizio... modestia a parte ci batte solo la redazione di Fuori Binario che salutiamo con affetto.



Alcuni redattori e redattrici dell'Altracittà e di Agenzia di base saranno in strada per dialogare con i lettori e con chi non conosce il giornale, ascoltare le loro critiche, proposte e segnalazioni. Saranno in distribuzione gratuita copie del giornale che raccontano la storia del quartiere e della città da un punto di vista non consueto. Sarà inoltre possibile sottoscrivere l'abbonamento annuale a partire da 10 euro.



Vi aspettiamo numerosi/e! Non mancate.



Come sostenere la Comunità delle Piagge

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Coltivare speranza

Domenica 22 novembre nell'incontro comunitario che si svolgerà alle "baracche" dell'Isolotto Firenze alle 10,30 si socializzeranno esperienze, problemi e prospettive delle comunità di base insieme a Mario Campli e Marcello Vigli autori di Coltivare speranza, editrice Tracce di Pescara 2009. Uno dei temi da socializzare dovrà essere la solidarietà e l'intensificazione dei rapporti con la comunità di base delle Piagge.

 

"Comunità di base" più che un contenitore identitario è uno spirito, una brezza leggera, una modalità di esistenza e di relazioni che vive in una molteplicità di forme.

Coltivare speranza, descrive la vitalità densa di futuro di quel cammino che le Comunità di base portano avanti da quarant'anni. La lettura del libro scorre vivace come quella di un romanzo. E' storia dalla parte dei deboli e dei piccoli. Soprattutto è storia nascente. Perché la nostra è un'epoca di grandi trasformazioni che le istituzioni ereditate dal passato non riescono più a rappresentare. Gli otri vecchi mostrano tutta la loro incapacità di fronte alla prorompente qualità vitale del vino nuovo. Non vanno certo gettati sconsideratamente. Ma intanto occorre incominciare a preparare la rappresentanza del nuovo. Non voglio dire che le comunità di base siano un otre nuovo. Ma certo sono parte di quella trama di tessuto nuovo che la vitalità della storia sta inesorabilmente tessendo sia a livello politico che ecclesiale.

 

                                                                                                La Comunità dell'Isolotto

Coltivare speranza

Domenica 22 novembre nell'incontro comunitario che si svolgerà alle "baracche" dell'Isolotto Firenze alle 10,30 si socializzeranno esperienze, problemi e prospettive delle comunità di base insieme a Mario Campli e Marcello Vigli autori di Coltivare speranza, editrice Tracce di Pescara 2009. Uno dei temi da socializzare dovrà essere la solidarietà e l'intensificazione dei rapporti con la comunità di base delle Piagge.

 

"Comunità di base" più che un contenitore identitario è uno spirito, una brezza leggera, una modalità di esistenza e di relazioni che vive in una molteplicità di forme.

Coltivare speranza, descrive la vitalità densa di futuro di quel cammino che le Comunità di base portano avanti da quarant'anni. La lettura del libro scorre vivace come quella di un romanzo. E' storia dalla parte dei deboli e dei piccoli. Soprattutto è storia nascente. Perché la nostra è un'epoca di grandi trasformazioni che le istituzioni ereditate dal passato non riescono più a rappresentare. Gli otri vecchi mostrano tutta la loro incapacità di fronte alla prorompente qualità vitale del vino nuovo. Non vanno certo gettati sconsideratamente. Ma intanto occorre incominciare a preparare la rappresentanza del nuovo. Non voglio dire che le comunità di base siano un otre nuovo. Ma certo sono parte di quella trama di tessuto nuovo che la vitalità della storia sta inesorabilmente tessendo sia a livello politico che ecclesiale.

 

                                                                                                La Comunità dell'Isolotto

martedì 17 novembre 2009

16 per mille

L’8 per mille dello Stato? Incredibile, ma va alla Chiesa

di Carmelo Lopapa

Pontificia Università Gregoriana in Roma, 459 mila euro. Fondo librario della Compagnia di Gesù, 500 mila euro. Diocesi di Cassano allo Ionio, 1 milione 146 mila euro. Confraternita di Santa Maria della Purità, Gallipoli, 369 mila euro. L´elenco è lungo 17 pagine e porta in calce la firma del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Non si tratta di uno dei tanti decreti, ma quello che ripartisce per il 2009 i 43 milioni 969 mila 406 euro che gli italiani hanno destinato allo Stato in quota 8 per mille dell´Irpef.

Basta sfogliarlo per scoprire che confraternite, monasteri, congregazioni e parrocchie assorbono la quota prevalente di quanto i contribuenti avevano devoluto a finalità umanitarie o per scopi di assistenza e sussidi al volontariato. E invece? Succede che i 10 milioni 586 mila euro assegnati al capitolo “Beni culturali” sono finalizzati in realtà a restauri e interventi in favore di 26 immobili ecclesiastici. Opere che avrebbero tutte le carte in regola per usufruire della quota dell´8 per mille destinata alla Chiesa cattolica, col suo apposito fondo «edilizia di culto». Come se non bastasse, la medesima destinazione (chiese e parrocchie) hanno anche gli altri 19 milioni destinati alle aree terremotate del centro Italia (14 per l´Abruzzo).

«L´atto del governo n. 121» è stato predisposto ai primi di settembre da un presidente Berlusconi reduce dall´incidente diplomatico del 28 agosto con la Segreteria di Stato Vaticano. Sullo sfondo, la (mancata) Perdonanza dopo il caso Giornale-Boffo. Il documento, poi trasmesso alla Camera il 23 settembre, conferma intanto che i soldi vanno allo Stato ma entrano di diritto nella piena discrezionalità del capo del governo, per quanto attiene al loro utilizzo. È un atto «sottoposto a parere parlamentare» delle sole commissioni Bilancio. Quella della Camera lo ha già espresso, «positivo», il 27 ottobre, quella del Senato lo farà nei prossimi giorni. Eppure, anche la maggioranza di centrodestra della commissione Bilancio di Montecitorio ha lamentato le finalità distorte e ha condizionato il parere finale a una serie di modifiche, contestando carenze e incongruenze del decreto. Tra le più sorprendenti, quella che riguarda la “Fame nel mondo”, «alla quale nel decreto vengono attribuite risorse finanziarie alquanto modeste, a fronte di richieste di finanziamento di importo limitato che avrebbero potuto essere integralmente accolte». Insomma: governo ingeneroso verso i bisognosi. In effetti, ultima pagina, al capitolo “Fame nel mondo”, sono solo dieci le onlus e associazioni finanziate per 814 mila euro, pari al 2 per cento del totale.

Tutto il resto? A chi sono andate le quote parte dell´Irpef che gli italiani hanno devoluto allo Stato? La parte del leone quest´anno la fanno gli «interventi per il sisma in Abruzzo». Sono 32 e assorbono 14 milioni 692 mila euro. Ma il condizionale è d´obbligo. A parte la preponderanza anche qui di parrocchie e monasteri (la quasi totalità) tra l´Aquila, Pescara e Teramo, tuttavia altro non quadra. E a rivelarlo è proprio la commissione parlamentare presieduta dal leghista Giancarlo Giorgetti: «Le richieste di finanziamento relative all´Abruzzo risultano presentate in data antecedente al sisma dell´aprile 2009 ed appare quindi opportuna una puntuale verifica e un coordinamento con gli interventi previsti dopo il sisma». L´ammonimento è chiaro: quei beni finanziati in Abruzzo non sarebbero stati danneggiati dal terremoto del 6 aprile, non quanto altri almeno. Perché dunque si dirotta lì un quinto dell´intera quota dell´8×1000? Il sisma del dicembre 2008 in Emilia garantisce a 9 tra parrocchie e monasteri del Parmense altri 4 milioni, mentre 11 milioni sono parcellizzati per i danni delle restanti calamità in tutta Italia.

Ma ecco il punto. Oltre 10 milioni finiscono ad appannaggio dei Beni culturali. Ventisei tra consolidamenti e restauri, quasi tutti per diocesi, chiese, parrocchie, monasteri. Solo per restare alle cifre più consistenti, ecco il milione 314 mila euro per la cattedrale dell´Assunta di Gravina di Puglia, il milione 167 mila euro per il restauro degli affreschi della chiesa dei Santi Severino e Sossio di Napoli, oppure i 987 mila euro per il restauro di Santa Maria ad Nives di Casaluce (Caserta), i 579 mila euro per San Lorenzo Martire in Molini di Triora o i 413 mila euro per la «valorizzazione della chiesa San Giovanni in Avezzano». E poi, la Pontificia Università Gregoriana e la Compagnia di Gesù. Anche su questo capitolo le bacchettate del Parlamento: la priorità dovevano essere «progetti presentati da enti territoriali», non ecclesiastici. Ci sarebbe anche il capitolo «Assistenza ai rifugiati», al quale però, per il 2009, il decreto firmato dal premier Berlusconi destina 2,6 milioni, poco più del 5 per cento del totale. E quasi tutto (2,3 milioni) va al solo Consiglio italiano per i rifugiati. Concentrazione «non opportuna», censura infine la commissione Bilancio: «Altri progetti non finanziati risultavano meritevoli di attenzione».

[Fonte Repubblica]

 

 

Consigli Carlo

16 per mille

L’8 per mille dello Stato? Incredibile, ma va alla Chiesa

di Carmelo Lopapa

Pontificia Università Gregoriana in Roma, 459 mila euro. Fondo librario della Compagnia di Gesù, 500 mila euro. Diocesi di Cassano allo Ionio, 1 milione 146 mila euro. Confraternita di Santa Maria della Purità, Gallipoli, 369 mila euro. L´elenco è lungo 17 pagine e porta in calce la firma del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Non si tratta di uno dei tanti decreti, ma quello che ripartisce per il 2009 i 43 milioni 969 mila 406 euro che gli italiani hanno destinato allo Stato in quota 8 per mille dell´Irpef.

Basta sfogliarlo per scoprire che confraternite, monasteri, congregazioni e parrocchie assorbono la quota prevalente di quanto i contribuenti avevano devoluto a finalità umanitarie o per scopi di assistenza e sussidi al volontariato. E invece? Succede che i 10 milioni 586 mila euro assegnati al capitolo “Beni culturali” sono finalizzati in realtà a restauri e interventi in favore di 26 immobili ecclesiastici. Opere che avrebbero tutte le carte in regola per usufruire della quota dell´8 per mille destinata alla Chiesa cattolica, col suo apposito fondo «edilizia di culto». Come se non bastasse, la medesima destinazione (chiese e parrocchie) hanno anche gli altri 19 milioni destinati alle aree terremotate del centro Italia (14 per l´Abruzzo).

«L´atto del governo n. 121» è stato predisposto ai primi di settembre da un presidente Berlusconi reduce dall´incidente diplomatico del 28 agosto con la Segreteria di Stato Vaticano. Sullo sfondo, la (mancata) Perdonanza dopo il caso Giornale-Boffo. Il documento, poi trasmesso alla Camera il 23 settembre, conferma intanto che i soldi vanno allo Stato ma entrano di diritto nella piena discrezionalità del capo del governo, per quanto attiene al loro utilizzo. È un atto «sottoposto a parere parlamentare» delle sole commissioni Bilancio. Quella della Camera lo ha già espresso, «positivo», il 27 ottobre, quella del Senato lo farà nei prossimi giorni. Eppure, anche la maggioranza di centrodestra della commissione Bilancio di Montecitorio ha lamentato le finalità distorte e ha condizionato il parere finale a una serie di modifiche, contestando carenze e incongruenze del decreto. Tra le più sorprendenti, quella che riguarda la “Fame nel mondo”, «alla quale nel decreto vengono attribuite risorse finanziarie alquanto modeste, a fronte di richieste di finanziamento di importo limitato che avrebbero potuto essere integralmente accolte». Insomma: governo ingeneroso verso i bisognosi. In effetti, ultima pagina, al capitolo “Fame nel mondo”, sono solo dieci le onlus e associazioni finanziate per 814 mila euro, pari al 2 per cento del totale.

Tutto il resto? A chi sono andate le quote parte dell´Irpef che gli italiani hanno devoluto allo Stato? La parte del leone quest´anno la fanno gli «interventi per il sisma in Abruzzo». Sono 32 e assorbono 14 milioni 692 mila euro. Ma il condizionale è d´obbligo. A parte la preponderanza anche qui di parrocchie e monasteri (la quasi totalità) tra l´Aquila, Pescara e Teramo, tuttavia altro non quadra. E a rivelarlo è proprio la commissione parlamentare presieduta dal leghista Giancarlo Giorgetti: «Le richieste di finanziamento relative all´Abruzzo risultano presentate in data antecedente al sisma dell´aprile 2009 ed appare quindi opportuna una puntuale verifica e un coordinamento con gli interventi previsti dopo il sisma». L´ammonimento è chiaro: quei beni finanziati in Abruzzo non sarebbero stati danneggiati dal terremoto del 6 aprile, non quanto altri almeno. Perché dunque si dirotta lì un quinto dell´intera quota dell´8×1000? Il sisma del dicembre 2008 in Emilia garantisce a 9 tra parrocchie e monasteri del Parmense altri 4 milioni, mentre 11 milioni sono parcellizzati per i danni delle restanti calamità in tutta Italia.

Ma ecco il punto. Oltre 10 milioni finiscono ad appannaggio dei Beni culturali. Ventisei tra consolidamenti e restauri, quasi tutti per diocesi, chiese, parrocchie, monasteri. Solo per restare alle cifre più consistenti, ecco il milione 314 mila euro per la cattedrale dell´Assunta di Gravina di Puglia, il milione 167 mila euro per il restauro degli affreschi della chiesa dei Santi Severino e Sossio di Napoli, oppure i 987 mila euro per il restauro di Santa Maria ad Nives di Casaluce (Caserta), i 579 mila euro per San Lorenzo Martire in Molini di Triora o i 413 mila euro per la «valorizzazione della chiesa San Giovanni in Avezzano». E poi, la Pontificia Università Gregoriana e la Compagnia di Gesù. Anche su questo capitolo le bacchettate del Parlamento: la priorità dovevano essere «progetti presentati da enti territoriali», non ecclesiastici. Ci sarebbe anche il capitolo «Assistenza ai rifugiati», al quale però, per il 2009, il decreto firmato dal premier Berlusconi destina 2,6 milioni, poco più del 5 per cento del totale. E quasi tutto (2,3 milioni) va al solo Consiglio italiano per i rifugiati. Concentrazione «non opportuna», censura infine la commissione Bilancio: «Altri progetti non finanziati risultavano meritevoli di attenzione».

[Fonte Repubblica]

 

 

Consigli Carlo

meno Croce e più Vangelo

LA GUERRA IDENTITARIA DEL CROCIFISSO - DI STEFANO RODOTÀ

da: la Repubblica di martedì 17 novembre 2009  

È difficile entrare in tempi nuovi quando si è portatori di identità forti, individuali e di gruppo, quando è intensa la consapevolezza della tradizione alla quale si appartiene. Il nostro è proprio uno di quei passaggi d´epoca in cui le identità sfidate tendono a reagire chiudendosi in se stesse, divenendo più aggressive: locale contro globale, tradizione contro cambiamento, radici contro trasformazione, unicità contro diversità. Ma è appunto a queste contrapposizioni che bisogna sfuggire. Ancor oggi il mondo è percorso da conflitti identitari, da sanguinose rivendicazioni di radici, dall´illusione che più alte sono le mura maggiore è la protezione. Più paura che lungimiranza: questa rischia d´essere la guida verso un futuro che già è tra noi.

L´aspra discussione sull´esposizione del crocifisso muove da una falsa premessa: la sentenza della Corte europea dei diritti dell´uomo avrebbe negato i valori cristiani, cancellato una tradizione. E, per rafforzare questa tesi, si usano parole fuori luogo, ma pure molta eloquenza e si ricorre ad argomenti tratti anche dalla riflessione di personalità non cattoliche. Ecco, allora, comparire l´inevitabile riferimento a Benedetto Croce e al suo "perché non possiamo non dirci cristiani". A qualsiasi testo, però, bisogna guardare liberi dalla tentazione di usarlo frettolosamente, o di strumentalizzarlo. Croce, lo ha detto Gennaro Sasso in un saggio illuminante, riflette sul nesso tra rivoluzione cristiana e filosofia moderna, sì che la sua è appunto una interpretazione tormentata e fortemente caratterizzata come riflessione filosofica. Questo esempio mostra come una riflessione culturale rigorosa non porta necessariamente con sé pure una conseguenza "normativa", dunque la necessità di tradurla in un dato vincolante. Anzi, più si va a fondo negli aspetti culturali di un problema, più se ne colgono le sfaccettature e l´irriducibilità a un solo punto di vista: e la regola giuridica deve rispettare questa diversità.

La sentenza dei giudici di Strasburgo è consapevole della forza di quel simbolo. Se lo avesse banalizzato, avrebbe concluso che poteva rimanere al suo posto. Ma esso continua a sprigionare un senso profondo, una identificazione con una specifica fede che, nel momento in cui si passa dalla riflessione culturale alla valutazione istituzionale, impongono che si tenga conto di altre sensibilità, di altri punti di vista. Di questo mostrano d´essere consapevoli molti critici, che argomentano la necessità di lasciare il crocifisso nelle scuole dal suo essere ormai "un volto universale dell´umanità". Che è tesi sostenibile, ma non decisiva e che talvolta dà all´argomentazione un sapore di paradosso: il crocifisso viene allontanato dalle sue "radici cristiane" proprio nel momento in cui di queste si rivendica il pubblico riconoscimento.

Ma in questa discussione molte sono le lingue tagliate. Poco o nulla si è detto del bel documento delle Comunità cristiane di base, dove si chiede "meno Croce e più Vangelo". Sembra scomparsa la memoria di don Lorenzo Milani che toglie il crocifisso dalla scuola di Barbiana. Non si ricorda che, discutendo nel 1995 della sentenza della Corte costituzionale tedesca sulla rimozione del crocifisso, Vittorio Messori diceva: «Non mi scandalizzerei affatto se anche in Italia si decidesse di togliere il crocifisso dalle aule pubbliche. Sono cristiano e papista, ma il Cristianesimo non è l´Islam: non impone la fede, la propone». Il teologo Sergio Quinzio giungeva alla conclusione radicale che «il crocifisso non è più un simbolo di umanità per tutti». E si potrebbe continuare.

Ricordo tutto questo non per spirito polemico, ma per mostrare quanto sarebbe necessaria una attenzione più larga per lo stesso mondo cattolico, percorso da dinamiche irriducibili all´ufficialità vaticana che monopolizza l´attenzione della politica e dell´informazione, mentre in quel mondo si consuma uno "scisma" (è il titolo del libro dedicato da Riccardo Chiaberge ai "cattolici senza Papa"). Posizioni minoritarie, come si sottolinea citando i sondaggi che vogliono gli italiani favorevoli all´84% al crocifisso nelle aule e ricordando che il 91% degli studenti segue l´ora di religione? Ma nella materia dei diritti non vale il principio di maggioranza. Lo ha sottolineato molte volte la Corte costituzionale, scrivendo che «l´abbandono del criterio quantitativo significa che in materia di religione, non valendo il numero, si impone ormai la pari protezione della coscienza di ciascuna persona».

Nella dimensione istituzionale, dunque, quella in cui si muovono le corti internazionali e quelle costituzionali, le opinioni e le culture non possono operare "in presa diretta", con la forza del numero o d´una tradizione, ma debbono sempre essere filtrate in primo luogo attraverso la considerazione dei diritti di tutti e di ciascuno. E debbono essere misurate con riferimento ai principi costituzionali. In questo caso "il principio supremo della laicità", come lo ha definito nel 1989 la Corte costituzionale.

Così non si torna a forme anacronistiche di separazione, che negano la scuola come luogo in cui possano essere manifestate le convinzioni religiose. Una cosa, tuttavia, è riconoscere agli studenti la libertà di entrare in questo spazio pubblico con i propri simboli – il velo o la kippah, la croce o il turbante del sikh – e di vedersi offerta la possibilità di una conoscenza critica della storia delle religioni. In questo modo si creano le condizioni per la libera costruzione della personalità attraverso la conoscenza e il riconoscimento dell´altro. Altro sarebbe attribuire una primazia a una fede tra le altre o interpretare il pluralismo come compresenza ufficiale di tutti i possibili simboli religiosi, che trasformerebbe la scuola in un supermercato sulle cui scansie vengono esposte le diverse "identità".

È proprio in questa difficile prospettiva pluralista che va collocata la discussione sul crocifisso, che deve essere allontanata dalla tentazione di trasformarla in una difesa a oltranza di una "ben rotonda identità". I tempi mutati esigono la paziente costruzione di un quadro istituzionale "inclusivo", che si fondi sulla pari libertà e dignità di chi crede e di chi non crede, di chi professa l´una o l´altra fede.

Leggiamo la sentenza della Corte di Strasburgo con questo spirito, senza trarne spunto per guerre di religione o pretesto per attaccare l´Unione europea, alle cui istituzioni essa non appartiene. E senza rivendicare in ogni momento il richiamo alle radici cristiane, opportunamente escluso dal Trattato di Lisbona per la forzatura culturale (si potevano ignorare le altre tradizioni che hanno fatto l´Europa?), per il rischio politico (una porta chiusa in faccia a un paese islamico come la Turchia?), per le distorsioni applicative (sarebbe stato necessario leggere l´intera Carta dei diritti fondamentali con il filtro delle radici cristiane?).

In altro modo oggi l´Europa deve guardare alla sua storia e alle sue radici. Essa vive una crisi dalla quale non può uscire rinserrandosi tra alte mura. Viviamo una nuova "crisi della coscienza europea", come quella che la colse tra ´600 e ´700 ed alla quale dedicò un gran libro Paul Hazard, mettendo in evidenza il passaggio "dalla stabilità al movimento", la fine di antichi equilibri, e definendo l´Europa come "un pensiero che mai si accontenta". Questo spirito aperto dovrebbe guidarci, anche come italiani, nel nuovo tempo che per l´Unione europea si apre con l´entrata in vigore il 1°dicembre del Trattato di Lisbona.

 





 


***************************************************

LiberaUscita

Associazione nazionale laica e apartitica

per la legalizzazione del testamento biologico

e la depenalizzazione dell'eutanasia 

Via Magenta, 24 - 00185 Roma

telefono (provvisorio): 338.9595790

fax (provvisorio): 06.69924050

sito web: www.liberauscita.it 

email: info@liberauscita.it 




meno Croce e più Vangelo

LA GUERRA IDENTITARIA DEL CROCIFISSO - DI STEFANO RODOTÀ

da: la Repubblica di martedì 17 novembre 2009  

È difficile entrare in tempi nuovi quando si è portatori di identità forti, individuali e di gruppo, quando è intensa la consapevolezza della tradizione alla quale si appartiene. Il nostro è proprio uno di quei passaggi d´epoca in cui le identità sfidate tendono a reagire chiudendosi in se stesse, divenendo più aggressive: locale contro globale, tradizione contro cambiamento, radici contro trasformazione, unicità contro diversità. Ma è appunto a queste contrapposizioni che bisogna sfuggire. Ancor oggi il mondo è percorso da conflitti identitari, da sanguinose rivendicazioni di radici, dall´illusione che più alte sono le mura maggiore è la protezione. Più paura che lungimiranza: questa rischia d´essere la guida verso un futuro che già è tra noi.

L´aspra discussione sull´esposizione del crocifisso muove da una falsa premessa: la sentenza della Corte europea dei diritti dell´uomo avrebbe negato i valori cristiani, cancellato una tradizione. E, per rafforzare questa tesi, si usano parole fuori luogo, ma pure molta eloquenza e si ricorre ad argomenti tratti anche dalla riflessione di personalità non cattoliche. Ecco, allora, comparire l´inevitabile riferimento a Benedetto Croce e al suo "perché non possiamo non dirci cristiani". A qualsiasi testo, però, bisogna guardare liberi dalla tentazione di usarlo frettolosamente, o di strumentalizzarlo. Croce, lo ha detto Gennaro Sasso in un saggio illuminante, riflette sul nesso tra rivoluzione cristiana e filosofia moderna, sì che la sua è appunto una interpretazione tormentata e fortemente caratterizzata come riflessione filosofica. Questo esempio mostra come una riflessione culturale rigorosa non porta necessariamente con sé pure una conseguenza "normativa", dunque la necessità di tradurla in un dato vincolante. Anzi, più si va a fondo negli aspetti culturali di un problema, più se ne colgono le sfaccettature e l´irriducibilità a un solo punto di vista: e la regola giuridica deve rispettare questa diversità.

La sentenza dei giudici di Strasburgo è consapevole della forza di quel simbolo. Se lo avesse banalizzato, avrebbe concluso che poteva rimanere al suo posto. Ma esso continua a sprigionare un senso profondo, una identificazione con una specifica fede che, nel momento in cui si passa dalla riflessione culturale alla valutazione istituzionale, impongono che si tenga conto di altre sensibilità, di altri punti di vista. Di questo mostrano d´essere consapevoli molti critici, che argomentano la necessità di lasciare il crocifisso nelle scuole dal suo essere ormai "un volto universale dell´umanità". Che è tesi sostenibile, ma non decisiva e che talvolta dà all´argomentazione un sapore di paradosso: il crocifisso viene allontanato dalle sue "radici cristiane" proprio nel momento in cui di queste si rivendica il pubblico riconoscimento.

Ma in questa discussione molte sono le lingue tagliate. Poco o nulla si è detto del bel documento delle Comunità cristiane di base, dove si chiede "meno Croce e più Vangelo". Sembra scomparsa la memoria di don Lorenzo Milani che toglie il crocifisso dalla scuola di Barbiana. Non si ricorda che, discutendo nel 1995 della sentenza della Corte costituzionale tedesca sulla rimozione del crocifisso, Vittorio Messori diceva: «Non mi scandalizzerei affatto se anche in Italia si decidesse di togliere il crocifisso dalle aule pubbliche. Sono cristiano e papista, ma il Cristianesimo non è l´Islam: non impone la fede, la propone». Il teologo Sergio Quinzio giungeva alla conclusione radicale che «il crocifisso non è più un simbolo di umanità per tutti». E si potrebbe continuare.

Ricordo tutto questo non per spirito polemico, ma per mostrare quanto sarebbe necessaria una attenzione più larga per lo stesso mondo cattolico, percorso da dinamiche irriducibili all´ufficialità vaticana che monopolizza l´attenzione della politica e dell´informazione, mentre in quel mondo si consuma uno "scisma" (è il titolo del libro dedicato da Riccardo Chiaberge ai "cattolici senza Papa"). Posizioni minoritarie, come si sottolinea citando i sondaggi che vogliono gli italiani favorevoli all´84% al crocifisso nelle aule e ricordando che il 91% degli studenti segue l´ora di religione? Ma nella materia dei diritti non vale il principio di maggioranza. Lo ha sottolineato molte volte la Corte costituzionale, scrivendo che «l´abbandono del criterio quantitativo significa che in materia di religione, non valendo il numero, si impone ormai la pari protezione della coscienza di ciascuna persona».

Nella dimensione istituzionale, dunque, quella in cui si muovono le corti internazionali e quelle costituzionali, le opinioni e le culture non possono operare "in presa diretta", con la forza del numero o d´una tradizione, ma debbono sempre essere filtrate in primo luogo attraverso la considerazione dei diritti di tutti e di ciascuno. E debbono essere misurate con riferimento ai principi costituzionali. In questo caso "il principio supremo della laicità", come lo ha definito nel 1989 la Corte costituzionale.

Così non si torna a forme anacronistiche di separazione, che negano la scuola come luogo in cui possano essere manifestate le convinzioni religiose. Una cosa, tuttavia, è riconoscere agli studenti la libertà di entrare in questo spazio pubblico con i propri simboli – il velo o la kippah, la croce o il turbante del sikh – e di vedersi offerta la possibilità di una conoscenza critica della storia delle religioni. In questo modo si creano le condizioni per la libera costruzione della personalità attraverso la conoscenza e il riconoscimento dell´altro. Altro sarebbe attribuire una primazia a una fede tra le altre o interpretare il pluralismo come compresenza ufficiale di tutti i possibili simboli religiosi, che trasformerebbe la scuola in un supermercato sulle cui scansie vengono esposte le diverse "identità".

È proprio in questa difficile prospettiva pluralista che va collocata la discussione sul crocifisso, che deve essere allontanata dalla tentazione di trasformarla in una difesa a oltranza di una "ben rotonda identità". I tempi mutati esigono la paziente costruzione di un quadro istituzionale "inclusivo", che si fondi sulla pari libertà e dignità di chi crede e di chi non crede, di chi professa l´una o l´altra fede.

Leggiamo la sentenza della Corte di Strasburgo con questo spirito, senza trarne spunto per guerre di religione o pretesto per attaccare l´Unione europea, alle cui istituzioni essa non appartiene. E senza rivendicare in ogni momento il richiamo alle radici cristiane, opportunamente escluso dal Trattato di Lisbona per la forzatura culturale (si potevano ignorare le altre tradizioni che hanno fatto l´Europa?), per il rischio politico (una porta chiusa in faccia a un paese islamico come la Turchia?), per le distorsioni applicative (sarebbe stato necessario leggere l´intera Carta dei diritti fondamentali con il filtro delle radici cristiane?).

In altro modo oggi l´Europa deve guardare alla sua storia e alle sue radici. Essa vive una crisi dalla quale non può uscire rinserrandosi tra alte mura. Viviamo una nuova "crisi della coscienza europea", come quella che la colse tra ´600 e ´700 ed alla quale dedicò un gran libro Paul Hazard, mettendo in evidenza il passaggio "dalla stabilità al movimento", la fine di antichi equilibri, e definendo l´Europa come "un pensiero che mai si accontenta". Questo spirito aperto dovrebbe guidarci, anche come italiani, nel nuovo tempo che per l´Unione europea si apre con l´entrata in vigore il 1°dicembre del Trattato di Lisbona.

 





 


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LiberaUscita

Associazione nazionale laica e apartitica

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e la depenalizzazione dell'eutanasia 

Via Magenta, 24 - 00185 Roma

telefono (provvisorio): 338.9595790

fax (provvisorio): 06.69924050

sito web: www.liberauscita.it 

email: info@liberauscita.it 




29 milioni


Non so a chi rivolgermi e quindi scrivo a Lei in quanto rappresenta l'unico riferimento istituzionale per la tutela dei diritti di un cittadino.


Apprendo dalla stampa che 29 milioni dei 44 che i contribuenti avevano deciso di devolvere all'erario sono andati a chiese e luoghi di culto.


Se avessi voluto devolvere la mia quota ad una confessione, ed in particolare a quella cattolica, avrei avuto la libertà di sottoscrivere a suo favore.


Ma ho sottoscritto per lo Stato in funzione dei quattro scopi previsti dall'art. 2 del DPR


76/1998 (fame nel mondo, assistenza ai rifugiati, calamita' naturali e conservazione dei beni


culturali) in modo che ne fruissero tutti i miei concittadini indipendentemente dalla fede di appartenenza.


Fra l'altro l'infrazione di questo diritto comporta anche possibili se non probabili danni all'erario della Regione e/o dei comuni toscani che avrebbero potuto fruire delle scelte dei contribuenti che avevano sottoscritto in tal senso.


Ora è evidente che viene disattesa la mia scelta e mi rivolgo a Lei per sapere se può tutelare questo mio diritto infranto e le modalità che devo seguire per garantire i miei diritti.


cordialmente


Marco Accorti


29 milioni


Non so a chi rivolgermi e quindi scrivo a Lei in quanto rappresenta l'unico riferimento istituzionale per la tutela dei diritti di un cittadino.


Apprendo dalla stampa che 29 milioni dei 44 che i contribuenti avevano deciso di devolvere all'erario sono andati a chiese e luoghi di culto.


Se avessi voluto devolvere la mia quota ad una confessione, ed in particolare a quella cattolica, avrei avuto la libertà di sottoscrivere a suo favore.


Ma ho sottoscritto per lo Stato in funzione dei quattro scopi previsti dall'art. 2 del DPR


76/1998 (fame nel mondo, assistenza ai rifugiati, calamita' naturali e conservazione dei beni


culturali) in modo che ne fruissero tutti i miei concittadini indipendentemente dalla fede di appartenenza.


Fra l'altro l'infrazione di questo diritto comporta anche possibili se non probabili danni all'erario della Regione e/o dei comuni toscani che avrebbero potuto fruire delle scelte dei contribuenti che avevano sottoscritto in tal senso.


Ora è evidente che viene disattesa la mia scelta e mi rivolgo a Lei per sapere se può tutelare questo mio diritto infranto e le modalità che devo seguire per garantire i miei diritti.


cordialmente


Marco Accorti


lunedì 16 novembre 2009

Digiuno in Piazza S.Giovanni a Firenze


E’ iniziato stamattina alle 9.00 il digiuno organizzato dall’assemblea cittadina autoconvocatasi la scorsa settimana in piazza dei Ciompi per solidarizzare con la Comunità delle Piagge e contestare la decisione del vescovo Giuseppe Betori di allontanare don Alessandro Santoro dalle Piagge e di rimuoverlo dalle cariche sociali dell’associazione Il Muretto e delle cooperative Pozzo e Cerro.


La prima a digiunare, e il suo digiuno durerà fino al tramonto, è stata Marenna, da sempre vicina alla Comunità. Insieme a lei durante la mattina anche Annalisa e Gigi. Nel pomeriggio digiuneranno anche Floriana, Isabella e Marco.


L’iniziativa si svolge in Piazza San Giovanni a Firenze, davanti al portone della Curia guidata da Betori. I digiunanti indossano una maglietta bianca con su scritto “Solidarietà alla Comunità delle Piagge e a don Alessandro Santoro” e distribuiscono volantini in italiano e inglese con su scritto il perché di questa azione nonviolenta.


Ecco il testo integrale del volantino


Digiuno sotto la sede della Chiesa cattolica fiorentina perché Alessandro Santoro, prete delle Piagge, è stato allontanato dalla sua Comunità arbitrariamente e ingiustamente. A deciderlo è stato il vescovo, monsignor Giuseppe Betori.


Digiuno affinché Alessandro Santoro possa tornare tra la sua gente.


Digiuno perché il vescovo di Firenze ha impiegato ben 34 anni (dal 1974 al 2008) per punire don Cantini, accusato di «delittuosi abusi sessuali (anche nei confronti di minori), falso misticismo e dominio delle coscienze», mentre per punire don Alessandro, che ha la colpa di aver sposato due persone che si amano, ci ha messo solo 27 ore (dalle 13.00 del 25 ottobre alle ore 15.00 del 26), senza per altro conoscere o aver mai incontrato la realtà delle Piagge.


Digiuno perché il vescovo ha intimato ad Alessandro Santoro di lasciare anche le cariche sociali che riveste all’interno dell’associazione di volontariato Il Muretto e delle cooperative Il Cerro (inserimenti lavorativi) e Il Pozzo (educativa). E’ un fatto gravissimo, l’ennesima ingerenza vaticana negli affari italiani, perché colpisce il diritto di un cittadino italiano alla libera associazione garantito dall’articolo 18 della Costituzione.


Digiuno affinché la Comunità delle Piagge trovi la forza e il coraggio di andare avanti, perché le tante attività a sostegno degli ultimi possano continuare nonostante la Curia abbia cercato di colpirle attraverso l’allontanamento di don Alessandro. Si tratta di attività educative (scuola per adulti, scuola per stranieri, doposcuola, corsi di alfabetizzazione, attività per bambini); attività lavorative (recupero e riciclaggio, agricoltura biologica); attività sociali (inserimenti socio-terapeutici, accoglienza a bassa soglia, assistenza legale gratuita, attività in carcere); attività culturali (incontri, casa editrice “Piagge”, giornale “Altracittà”); economie solidali (Microcredito, percorso verso la MAG, commercio Equo-Solidale, Gruppi di Acquisto solidale).


Ti invito ad informarti sull’intera vicenda sul sito www.altracitta.org

e a lasciare un tuo messaggio.


Ti invito a conoscere di persona la Comunità delle Piagge e le sue tante attività; la troverai in via Lombardia 1p, lungo la via Pistoiese (bus 35). Il telefono è lo 055/373737

Digiuno in Piazza S.Giovanni a Firenze


E’ iniziato stamattina alle 9.00 il digiuno organizzato dall’assemblea cittadina autoconvocatasi la scorsa settimana in piazza dei Ciompi per solidarizzare con la Comunità delle Piagge e contestare la decisione del vescovo Giuseppe Betori di allontanare don Alessandro Santoro dalle Piagge e di rimuoverlo dalle cariche sociali dell’associazione Il Muretto e delle cooperative Pozzo e Cerro.


La prima a digiunare, e il suo digiuno durerà fino al tramonto, è stata Marenna, da sempre vicina alla Comunità. Insieme a lei durante la mattina anche Annalisa e Gigi. Nel pomeriggio digiuneranno anche Floriana, Isabella e Marco.


L’iniziativa si svolge in Piazza San Giovanni a Firenze, davanti al portone della Curia guidata da Betori. I digiunanti indossano una maglietta bianca con su scritto “Solidarietà alla Comunità delle Piagge e a don Alessandro Santoro” e distribuiscono volantini in italiano e inglese con su scritto il perché di questa azione nonviolenta.


Ecco il testo integrale del volantino


Digiuno sotto la sede della Chiesa cattolica fiorentina perché Alessandro Santoro, prete delle Piagge, è stato allontanato dalla sua Comunità arbitrariamente e ingiustamente. A deciderlo è stato il vescovo, monsignor Giuseppe Betori.


Digiuno affinché Alessandro Santoro possa tornare tra la sua gente.


Digiuno perché il vescovo di Firenze ha impiegato ben 34 anni (dal 1974 al 2008) per punire don Cantini, accusato di «delittuosi abusi sessuali (anche nei confronti di minori), falso misticismo e dominio delle coscienze», mentre per punire don Alessandro, che ha la colpa di aver sposato due persone che si amano, ci ha messo solo 27 ore (dalle 13.00 del 25 ottobre alle ore 15.00 del 26), senza per altro conoscere o aver mai incontrato la realtà delle Piagge.


Digiuno perché il vescovo ha intimato ad Alessandro Santoro di lasciare anche le cariche sociali che riveste all’interno dell’associazione di volontariato Il Muretto e delle cooperative Il Cerro (inserimenti lavorativi) e Il Pozzo (educativa). E’ un fatto gravissimo, l’ennesima ingerenza vaticana negli affari italiani, perché colpisce il diritto di un cittadino italiano alla libera associazione garantito dall’articolo 18 della Costituzione.


Digiuno affinché la Comunità delle Piagge trovi la forza e il coraggio di andare avanti, perché le tante attività a sostegno degli ultimi possano continuare nonostante la Curia abbia cercato di colpirle attraverso l’allontanamento di don Alessandro. Si tratta di attività educative (scuola per adulti, scuola per stranieri, doposcuola, corsi di alfabetizzazione, attività per bambini); attività lavorative (recupero e riciclaggio, agricoltura biologica); attività sociali (inserimenti socio-terapeutici, accoglienza a bassa soglia, assistenza legale gratuita, attività in carcere); attività culturali (incontri, casa editrice “Piagge”, giornale “Altracittà”); economie solidali (Microcredito, percorso verso la MAG, commercio Equo-Solidale, Gruppi di Acquisto solidale).


Ti invito ad informarti sull’intera vicenda sul sito www.altracitta.org

e a lasciare un tuo messaggio.


Ti invito a conoscere di persona la Comunità delle Piagge e le sue tante attività; la troverai in via Lombardia 1p, lungo la via Pistoiese (bus 35). Il telefono è lo 055/373737