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mercoledì 21 maggio 2014

Racconti delle detenute di Sollicciano


Alice la guardia e l’asino bianco”
racconti delle detenute di Sollicciano

è il nuovo libro scritto dalle detenute e curato da Monica Sarsini
che tiene corsi di scrittura nella sezione femminile del carcere di  Firenze
Domenica  prossima 25 maggio , alle ore 10,30  verrà presentato
durante l’assemblea della comunità dell’Isolotto in via degli aceri 1.
 Saranno presenti alcune autrici e la curatrice, Monica Sarsini.
Invitiamo coloro che lo desiderano a condividere con noi e loro anche il pranzo:
metteremo insieme quello che ciascuna/o porterà da casa.

martedì 20 maggio 2014

Crisi ambientale e nuove tecnologie


.Comunità dell’Isolotto – Firenze,
domenica 18 Maggio 2014

Crisi ambientale e nuove tecnologie

(riflessioni di Elena, Giulia, Maria, Gian Paolo, Roberto, Sergio)

Assemblea liturgica comunitaria: riflessioni – prassi - preghiere


  1. LA  CRISI  DELLE  CIVILTA’

Civiltà al collasso, così fan tutte 
(Vittorio Sabadin  - La Stampa 20/03/2014)

Tutte le grandi civiltà del passato credevano di durare in eterno e hanno invece subito prima o poi un collasso che le ha distrutte. Gli studiosi della materia cominciano a pensare che il susseguirsi delle civiltà sia ciclico e abbia caratteristiche comuni che si ripetono nella storia: al massimo fulgore, segue inevitabilmente un declino che non viene subito compreso ed è affrontato quando è ormai troppo tardi, spesso con mezzi sbagliati.
Uno studio finanziato dal Goddard Space Flight Center della Nasa è ora arrivato alla conclusione che anche la nostra civiltà industriale presenta sintomi di degrado molto gravi ed è prossima a una fine che, senza interventi adeguati, arriverà molto presto, nel giro di qualche decade. … E’ una nuova disciplina chiamata Handy (Human and Nature Dynamics), che mescola eventi sociali e naturali per trarne presagi sul futuro. …Hanno messo in relazione la situazione attuale del pianeta con quelle dell’impero romano, della civiltà maya, dei regni della Mesopotamia, delle dinastie Han in Cina, dei Maurya e dei Gupta in India. Per secoli, i loro sovrani hanno creduto di poter dominare il mondo che conoscevano, ma poi è accaduto qualcosa del quale non si sono accorti o che hanno sottovalutato… che invece ha portato al disastro.
I fattori comuni tra le passate civiltà e la nostra, secondo la Nasa, sono in tutto cinque: la popolazione, il clima, l’acqua, l’agricoltura e l’energia. Fino a che stanno in equilibrio, la civiltà prospera. Quando l’equilibrio si spezza senza essere rapidamente ripristinato, comincia il decadimento. Il collasso avviene se si verificano due condizioni sociali precise, purtroppo già fortemente presenti nella nostra civiltà: l’impoverimento delle risorse disponibili e la stratificazione della società tra un gruppo formato dalle élite e un altro dalla massa di gente comune.
… Con una analisi molto vicina al pensiero marxista, la NASA sostiene che, al tempo dei Maya come oggi, il controllo esercitato dalle élite fa in modo che la massa che produce la ricchezza ne riceva indietro solo una piccola parte, a livello di sussistenza o poco sopra. Questo porta al collasso dello strato sociale più debole, al quale però segue inevitabilmente anche il decadimento di quello più forte.
…. Una situazione molto simile a quella attuale della nostra civiltà occidentale, anche se molti scienziati sono convinti che lo sviluppo della tecnologia ci salverà dalla preannunciata carenza di risorse energetiche, di acqua e di cibo per tutti. Lo studio della Nasa non è però ottimista al riguardo: la tecnologia, afferma, migliora la capacità dell’uomo di trovare risorse, ma ne aumenta anche il consumo pro capite. Gli aumenti di produttività nell’agricoltura e nell’industria hanno generato contemporaneamente un incremento dell’utilizzo di materie prime, invece di diminuirlo.
… La nostra civiltà ha ancora la possibilità di salvarsi, ma deve agire in fretta in tre direzioni: deve ridurre le diseguaglianze economiche, distribuire meglio le risorse usandone meno e contenere il numero di abitanti del pianeta, se possibile riducendolo. Ma nessuno si fa illusioni che un simile progetto possa davvero essere attuato su scala mondiale.
… Sarebbe necessario convincere i cinesi e gli indiani che, ora che è arrivato il loro momento di acquistare automobile, lavatrice e frigorifero, devono rinunciarvi per salvare la civiltà industriale alla quale sono finalmente approdati. Per eliminare le disuguaglianze, bisognerebbe infine convincere la minoranza che detiene la ricchezza a distribuirla maggiormente alla maggioranza di chi ha sempre meno denaro.

L’economista Jagdish Bhagwati, intervistato da Paolo Mastrolilli su La Stampa dello stesso giorno,  partendo da considerazioni simili propone “includere” più che “redistribuire”.  Puntare sul capitale umano, investendo sull’istruzione dei poveri per l’allargamento dell’educazione e trovare soluzioni più efficaci e sostenibili per la crescita. Potenziando istruzione e tecnologia si potranno trovare soluzioni per una crescita che rispetti l’ambiente e le le risorse naturali.


2.  I  CONFINI  AMBIENTALI  DEL  MONDO

La clessidra e l’effetto serra (Pietro Greco  - L’Unità 15/04/14)
Ce la possiamo fare, ma abbiamo ancora poco tempo per agire. Meno di 17 anni. Poi tutto diventerà più difficile, se non impossibile. E saremo destinati a vivere in un pianeta con un clima mai sperimentato dall’uomo. È questo, in sintesi, lo scenario prospettato dal Working Group III dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) nel quinto rapporto sulla mitigazione dei cambiamenti climatici redatto per conto delle Nazioni Unite. …Con il ritmo attuale di emissioni di gas serra a opera dell’uomo, da qui a fine secolo la temperatura media al suolo del nostro pianeta aumenterà di una quantità compresa tra 3,7 e 4,8°C rispetto all’epoca pre-industriale. … Possiamo sperare di contenere l’aumento della temperatura entro i 2°C rispetto all’epoca pre-industriale se utilizzeremo gli anni che ci separano dal 2030 per realizzare un drastico cambiamento nella produzione e nell’uso di energia. Questo cambiamento avrà un costo accettabile: dell’1 o 2% del Pil mondiale, se agiremo entro il 2030. ….A tutt’oggi la temperatura media del pianeta è aumentata di poco meno di 1°C rispetto all’epoca pre-industriale. Dunque l’obiettivo è contenere un ulteriore aumento entro un altro grado. Il che significa tentare di mantenere la concentrazione di anidride carbonica equivalente entro 430/530 ppm (parti per milione).
… Dobbiamo agire con flessibilità in vari settori. Il primo è certamente quello della produzione di energia elettrica, che da solo è responsabile del 25% delle emissioni globali di gas serra. Il 78% della produzione di energia elettrica è oggi affidata ai combustibili fossili. Occorre abbassare questa quota a non più del 20% entro il 2050 e praticamente a zero entro il 2100. Lo si può fare già con le tecnologie attuali: sia sostituendo i fossili con fonti rinnovabili, sia utilizzando tecnologia di cattura e stoccaggio dei gas serra, sia infine utilizzando, ma solo come passaggio intermedio, il gas naturale al posto del carbone. In Italia, a seguito degli incentivi, già 1/3 della produzione di energia prodotta deriva da fonti rinnovabili (solare, eolico, idrico).
Il secondo è quello dell’agricoltura e delle foreste. L’uso dei terreni per produrre cibo e la deforestazione sono responsabili per il 24% delle emissioni attuali. Le emissioni in questo settore possono essere abbattute del 50% entro il 2050 modificando la produzione di cibo, cessando la deforestazione e attuando programmi di riforestazione.
Ci sono poi i settori d’uso dell’energia. I trasporti, per esempio, che oggi sono responsabili del 14% delle emissioni totali di gas serra. Attraverso l’uso di nuove tecnologie, ...lo sviluppo di infrastrutture a bassa emissione di carbonio, cambiamenti individuali e norme collettive, è possibile diminuire da qui al 2050 le emissioni di gas serra nel settore trasporti tra il 15 e il 40%.
Le abitazioni e gli uffici sono responsabili del 6,4% delle emissioni globali di gas serra. È possibile stabilizzare queste emissioni e persino ridurre attraverso tecnologie che consentono di isolare gli edifici e di risparmiare energia.
C’è poi l’industria, responsabile del 21% delle emissioni globali di gas serra. ..Questa può essere ridotta del 25% già oggi  utilizzando le migliori tecnologie disponibili. Un ulteriore 20%, sostengono ancora gli esperti dell’Ipcc, può essere abbattuto mediante l’innovazione di processo. Infine … riorganizzando la nostra vita nel luogo ove ormai vive più della metà della popolazione mondiale, la città.… Indicando chiaramente qual è l’obiettivo realistico. E quali sono i tempi per raggiungerlo. Scaduti i quali consegneremo ai nostri figli e ai nostri nipoti un pianeta dove sarà più difficile vivere rispetto a quello che abbiamo ricevuto in eredità dai nostri padri.
Nota: In un pianeta più caldo aumenta la frequenza e l’intensità di eventi meteorologici estremi, migrazioni, problemi sanitari, ecc. con costi elevati per farvi fronte.  In Italia nel dopoguerra sono stati spesi 240 Miliardi di Euro per frane e terremoti.

La Commissione Bruntdland dell’ONU nel 1987 definisce “E’sostenibile lo sviluppo che risponde ai bisogni del presente senza compromettere alle future generazioni la possibilità di fare altrettanto”.
Le speranze di un’intesa globale per porre un freno al riscaldamento planetario sono rimandate al vertice di Parigi nel 2015.

  1. NUOVE  TECNOLOGIE

Riportiamo alcuni esempi di sviluppi tecnologici che offrono migliori prestazioni e al tempo stesso consentono un minore consumo di materie prime/energia.

3.1 Informatica
Un esempio delle nuove tecnologie del campo dei calcoli scientifici/informatica è il passaggio dall’uso del regolo calcolatore al sistema della registrazione di dati sui dischetti/chiavette con capacità di memoria sempre crescenti (in qualche decennio questa capacità è cresciuta di circa un milione di volte).

3.2  Dalla “Green Economy” alla “Blue Economy”
L’imperativo odierno è tentare di diminuire i flussi di materia e di energia impegnati nei cicli produttivi e di consumo, se non vogliamo morire soffocati dai rifiuti o dissipare irrimediabilmente le risorse naturali. Cioè: zero sprechi, zero rifiuti, zero emissioni, zero consumo di suolo. Le ricerche e le sperimentazioni di Gunter Pauli, imprenditore e economista nato in Belgio ed autore di molti libri, dimostrano che si può fare, orientando la ricerca scientifica in direzione opposta a quella della massimizzazione della produttività. Diversamente dalla green economy, la blue economy non richiede alle aziende di investire di più per salvare l’ambiente. Anzi, con minore impiego di capitali è in grado di creare maggiori flussi di reddito e di costruire al tempo stesso capitale sociale.

Ecco alcune delle scoperte della Blue Economy:
-       le pietre sminuzzate alle dimensioni di 5 millesimi di millimetro e mescolate con il 20% di vetro sminuzzato (bottiglie rotte) produce una carta riciclabile (la carta prodotta dalla cellulosa costa 700 Euro a tonnellata, mentre quella fatta dalla pietra costa molto meno e non consuma una goccia d’acqua);
-       il caffè utilizzato per una tazzina è solo lo 0.2%; il rimanente 99.8% è un avanzo utilissimo come concime che, ad es.,  produce funghi, prodotti tessili antiodore, colorante tessile, ecc.;
-       le larve di mosca si nutrono di avanzi organici dei macelli e sono un prezioso cibo ricco di proteine per l’allevamento di  pesci e volatili;
-       i fili di seta possono sostituire le lame in metallo dei rasoi “usa e getta”.

Il principale problema è che ci sono pochi imprenditori disponibili a seguire queste tecniche. C’è più disponibilità nelle “periferie” del mondo, come a Porto Novo nello stato  Africano del Benin e a Città del Capo in Sud Africa (3 tonnellate di larve al giorno). Ci sono applicazioni anche in America Latina, in Colombia, in Messico, in Asia. L’Europa è lenta e impreparata.

3.3 Nanotecnologie
I termini nanotecnologie e nanoscienze indicano la capacità di studiare, assemblare, manipolare e caratterizzare la materia a dimensioni comprese fra 1 e 100 nanometri. Significa operare a livello delle molecole: 1 nanometro equivale ad un milionesimo di millimetro e corrisponde a circa 10 volte la grandezza di un atomo di Idrogeno. A livello molecolare la materia mostra proprietà chimico-fisico completamente differenti, consentendo la realizzazione di materiali innovativi. Le nanotecnologie non sono una semplice riduzione di scala, esse permettono di passare dalla fisica macroscopica a quella quantistica man mano che le dimensioni si avvicinano a quelle atomiche.
La nanotecnologia opera in un ambito d'investigazione multidisciplinare, coinvolgendo molteplici indirizzi di ricerca, tra cui: biologia molecolare, chimica, scienza dei materiali, fisica (sia applicata che di base), ottica, ingegneria meccanica, ingegneria chimica ed elettronica. Inoltre la ricaduta industriale di queste tecnologie è di grande rilievo già oggi in numerosi settori come la robotica, l’ingegneria chimica, l’ingegneria meccanica. La potenzialità delle nanotecnologie è poi tutt’altro che esaurita e importanti applicazioni si intravedono anche nelle scienze mediche e nelle tecniche di miglioramento dei prodotti alimentari.

Fino ad alcune decine di anni fa mancavano strumenti che permettessero di collocare un particolare atomo in una determinata posizione (in modo da legarsi con un altro atomo scelto non a caso), per cui l'unica possibilità era nel processare un elevato numero di atomi, in modo che ci fosse una certa probabilità statistica di ottenere il risultato sperato. Una reazione chimica deve essere seguita da un processo di filtraggio fisico, in modo da estrarre le specie a cui si è interessati, separandole dalle altre specie.

Lo sviluppo della nanotecnologia è legata allo sviluppo della microscopia avanzata che è in grado
di manipolare intenzionalmente la materia a livello microscopico con la possibilità di interagire con un singolo atomo (ad es. spostandolo a piacere su di una superficie o fissandolo ad essa)
Nell’ultimo decennio sono stati fatti forti investimenti nella ricerca per le nanotecnologie, dagli USA al Giappone alla Comunità Europea (3.5 miliardi di euro nel corrente VII Programma Quadro).
Realizzazioni:
-       le superfici degli edifici trattate con nanoparticelle di biossido di titanio (prodotte da una industria di Riccione) hanno proprietà autopulenti, battericide, antimicotiche ed antinquinanti: basta una piccola quantità di acqua per “lavare via” lo sporco;
-       un prodotto idrofobo, repellente all’acqua e allo sporco, in grado di rifinire il vetro dando più trasparenza;
-       un nuovo tipo di fibra che rimane asciutta persino se completamente immersa in un liquido (per es. il costume da bagno).
-       celle solari a film sottili flessibili e più efficienti;
-       LCD (schermi a cristalli liquidi) a Touch Screen più veloci e meno costosi.

Sviluppi previsti:
-       un nuovo tessuto in microfibra di nanoparticelle che genera energia elettrica raccolta dal movimento fisico, in grado di creare abbastanza corrente per ricaricare un telefono cellulare o un lettore MP3 (elettronica indossabile);
-       dispositivi di memoria magnetica di dimensioni inferiori rispetto a quelle attuali, che consentirebbe una memorizzazione di dati ancora più densa;
-       batterie ricaricabili al litio, più rapide e resistenti: potranno ridurre i tempi di ricarica delle auto elettriche ma anche di altri dispositivi, come computer portatili e telefoni cellulari;
-        un nuovo agente farmacologico efficace su un ampio ventaglio di dipendenze da sostanze; potrà essere utile un domani anche a chi soffre di Parkinson, cancro, danni neurologici, disturbi psichiatrici, demenza da AIDS e asma. Deve essere sviluppata la ricerca per valutare i potenziali rischi derivanti dall’utilizzo di tali sostanze chimiche per la salute umana.
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Nanotubi di carbonio

4. RICICLAGGIO

In Italia il costo del riciclo è il più basso d’Europa, siamo i primi in Europa per il recupero dei rifiuti. Non si deve parlare più di rifiuti ma della loro trasformazione in energia, in nuovi materiali (es. plastiche).  Cambio culturale: i rifiuti sono risorse. Si riportano alcune esperienze:

Buone notizie dal pianeta Terra di Elin Kelsey (Editoriale scienza editore – Settembre 2013) è un libro che affronta con ottimismo il tema dell’ambiente: basta messaggi catastrofici sul futuro, basta sensi di colpa perché il clima sta cambiando. Si può provare a rimediare ai problemi con buona volontà e ingegno. Un gruppo di ricercatori del Nebraska, ad esempio, sta studiando una fibra che assomiglia alla lana ma che deriva dalle piume di pollo e ha prodotto anche un tessuto simile al cotone usando la paglia del riso. E poi c’è un pile nuovo che si fa riciclando 25 bottiglie di plastica e con un maglione di pile vecchio più tre-quattro bottiglie se ne ottiene uno nuovo. In giro per il mondo stanno spuntando industrie specializzate in riciclo che trattano un po' di tutto: usano i jeans per isolare le case, la pelle del salmone per fare bikini, addirittura in Danimarca stanno sperimentando l'urina dei maiali per fare i piatti di plastica. E molti scienziati stanno inventando nuovi materiali ispirandosi alla natura: filo molto robusto imitando il ragno, tessuti autopulenti imitando le foglie, bende chirurgiche che chiudono le ferite imitando le zampe del geco.

Manifattura Maiano (Campi Bisenzio): recupero rifiuti tessili
Gli isolanti ecosostenibili di Manifattura Maiano, ottenuti dal recupero del rifiuto tessile,  coniugano caratteristiche di isolamento termico, fonoassorbimento e fonoisolamento. I prodotti sono utilizzabili in tutte le tipologie edilizie, dalle nuove costruzioni alla ristrutturazione alla bioedilizia, per applicazioni in coperture, pareti e solai.

REVET (Pontedera): riciclo plastiche miste.
Riciclare la plastica mista è possibile. E’ stato inaugurato da poco l’impianto di riciclo della plastica che permetterà a Revet Recycling di gestire tutte la fasi industriali necessarie per riciclare le plastiche miste provenienti dalla raccolta differenziata che avviene in Toscana (20.000 tonnellate in un anno) per realizzare prodotti plastici per arredo urbano e domestico.  L’impianto ha richiesto un investimento di oltre 5 milioni di euro e la Regione Toscana ha cofinanziato la ricerca del progetto.



Novamont (Terni): bioplastica
Con il marchio Mater-Bi® produce e commercializza un’ampia famiglia di bioplastiche innovative, ottenute grazie a tecnologie che utilizzano amidi, cellulose, oli vegetali e loro combinazioni. Esse trovano applicazioni in svariati settori, quali raccolte differenziate, catering, nell’ambito agricolo e delligiene e cura della persona.
Le bioplastiche sono materiali con caratteristiche e proprietà d’uso del tutto simili alle plastiche tradizionali ma, al tempo stesso, biodegradabili e compostabili. Consentono di ottimizzare la raccolta e la gestione dei rifiuti, ridurre l'impatto ambientale e contribuire allo sviluppo di sistemi virtuosi con vantaggi significativi lungo tutto il ciclo produzione-consumo-smaltimento.


5. CRESCITA  TECNOLOGICA  NEI  PAESI  IN  VIA  DI  SVILUPPO

Un breve accenno ad alcuni aspetti: nei paesi in via di sviluppo il raggiungimento di un migliore livello tecnologico può essere raggiunto saltando alcune delle tappe percorse dai paesi occidentali e quindi consumando minori risorse naturali e energia di questi. Ad es.  installando pannelli fotovoltaici si potrà avere una produzione localizzata dell’energia  senza passare, come nel mondo occidentale, alla produzione centralizzata con l’uso intensivo del petrolio; si ridurrà anche l’installazione delle reti di distribuzione dell’energia elettrica. Altro esempio, l’uso dei telefoni cellulari, già in forte espansione, potrà ridurre l’installazione di reti telefoniche. Ovviamente in entrambi i casi i costi dovranno essere contenuti.       

giovedì 15 maggio 2014

LA CHIESA CHE VORREI



LA CHIESA CHE VORREI – DI DON PIERLUIGI DI PIAZZA (*)
da: Adistaonline.it di giovedì 15 maggio 2014 – Intervista di Luca Kocci
Quella che sogna don Pierluigi Di Piazza è una Chiesa povera e senza potere, libera e liberatrice, non clericale, femminile, democratica e pluralista. Per delinearla, nel suo libro appena pubblicato da Laterza (Compagni di strada. In cammino nella Chiesa della speranza, pp. 152, euro 12), ha scelto lo stile narrativo, del racconto di viaggio, insieme ad alcuni compagni di strada, credenti, non credenti e credenti in altre fedi – Margherita Hack, don Tonino Bello, don Puglisi, mons. Romero, il Dalai Lama, don Gallo, Eluana e Beppino Englaro e altri ancora –, che sono profeti e testimoni. Ciascuno “incarna” un valore, evangelico e laico allo stesso tempo: Margherita Hack, per esempio, la laicità ma anche l’etica dei non credenti.
«Sono convinto – spiega don Di Piazza – della necessità di affermare e di praticare la laicità, la laicità autentica, libera dal confessionalismo, dall’integralismo e dal laicismo, perché ci possono essere forme di assolutismo in entrambe le posizioni, quindi di dipendenza, di chiusura, di ostilità. Invece la vera laicità libera la fede alla sua autenticità, come la vera fede favorisce e incoraggia la laicità. Mi sento laico, credente sempre in ricerca e prete. Per questo mi sono trovato a condividere l’etica dichiarata e vissuta da Margherita Hack sulla giustizia, l’accoglienza, la pace, i diritti civili, il superamento di ogni forma di discriminazione, esclusione e razzismo, l’attenzione e la premura per tutti gli esseri viventi, animali, piante e i diversi organismi. Margherita Hack diceva, in sintonia con me, che la fede è fede e che non si può dimostrare né che Dio esiste né che non esiste. Il rispetto quindi deve essere reciproco fra persone diverse per ispirazione ed itinerario, ma unite dal comune obiettivo di contribuire ad un mondo più giusto ed umano».
Poi c’è don Gallo, immagine di una Chiesa evangelica e schierata accanto agli ultimi…
«Don Gallo mi fa pensare soprattutto all’uomo di fede nel Dio di Gesù di Nazareth, al suo essere prete con convinzione ostinata e con libertà sorprendente dentro la Chiesa. La memoria viva del suo insegnamento è il suo essere stato e continuare ad essere un riferimento di luce, di accoglienza, di confronto fra le persone più diverse: credenti di diverse fedi religiose e non credenti, eterosessuali omosessuali, transessuali, carcerati, prostitute, persone dipendenti dalle sostanze, emarginate, discriminate, scartate. Ha saputo guardare la vita e le storie delle persone dalla strada, dal marciapiede e per questo restare sempre partigiano, come lo era stato nella lotta di Liberazione, cioè di parte, schierato, come ha vissuto e ci ha proposto Gesù».
Un capitolo è dedicato ad Eluana e Beppino Englaro, con cui hai condiviso un pezzo di strada, anche perché la parte finale della loro storia si è svolta ad Udine…
«Ho ricordato Eluana e Beppino per la necessità di liberare la storia delle persone dalle strumentalità del moralismo, della politica, della religione, perché l’incontro vero con la storia delle persone possa significare ascolto, rispetto, dialogo ricerca di strade possibili per poter contribuire a vivere, soffrire e morire nel modo più umano possibile».
E i “principi non negoziabili”?
«Negli ultimi anni la Chiesa, una Chiesa politica, e certa politica hanno fatto a gara a sostenersi nel dichiarare i principi non negoziabili, espressione che pare scomparsa con l’arrivo di papa Francesco, il quale ha affermato che l’espressione non gli piace, perché i valori sono tali e basta. Inoltre è grossolana nei contenuti e nel linguaggio: “non negoziabili” si riferisce ad una sorta di trattativa mercantile, sconveniente se riferita alla vita delle persone. E ancora più grave se si pensa che la Chiesa dovrebbe incontrare le persone con le loro storie diverse, ascoltare, curare, accompagnare, esprimere condivisione e incoraggiamento. La non negoziabilità annulla ogni possibilità di dialogo. Le questioni della bioetica, dell’inizio e del fine vita chiedono informazione e formazione, riferimenti etici profondi, rispetto della libertà delle persone, anche nell’accettare o rifiutare le cure, nel decidere riguardo alla morte. E questo non si pone contro Dio, ma si esprime alla sua presenza con una libertà consapevole e serena, con la fiducia e l’affidamento della vita, non solo di quella biologica, a lui, fonte e accoglienza della vita».
Fra i tuoi “compagni di strada” c’è anche Tonino Bello...
«È stato un uomo e un vescovo, poeta e profeta, in cammino con il suo popolo e al suo servizio. Si è liberato dal potere clericale, maschilista e autoritario, dal compito di funzionario della religione e per questo ha espresso il potere e la forza dei segni: nel muoversi, nel vestire, nell’incontrare, nel condividere, nell’aprire le porte del palazzo vescovile per accogliere, nel denunciare e nel proporre con forza e nell’incontrare con tenerezza. Continua a comunicarci una profonda spiritualità che anima l’audacia e la concretezza delle scelte, del linguaggio e dei gesti».
Che vescovi vorresti per la Chiesa?
«Vescovi insieme profeti e pastori, perché le due dimensioni non sono contrapposte ma complementari. La forza della profezia dovrebbe guidare il pastore perché non diventi un funzionario di un’istituzione religiosa, perché annunci con libertà e franchezza la Parola e ne viva la coerente testimonianza; perché si senta in mezzo al popolo di Dio, non al di sopra; perché esprima segni di semplicità, di sobrietà, rinunciando a titoli onorifici, al palazzo vescovile, all’automobile di rappresentanza. Un vescovo che incontri, ascolti, condivida esperienze e percorsi, un uomo appassionato del Dio di Gesù di Nazareth e delle persone, delle loro storie, accogliente, non preoccupato dell’organizzazione, ma della sensibilità del cuore e dell’atteggiamento di vicinanza e di prossimità. Anche nella scelta dei vescovi il criterio non dovrebbe essere quello di fedeltà all’istituzione religiosa, ma di fedeltà al Vangelo, di coerenza nella vita, di segni leggibili riguardo alla giustizia, all’accoglienza, alla pace, alla misericordia, alla verità, alla salvaguardia del creato, di tutti gli esseri viventi».
Il Concilio attraversa e permea ogni pagina del libro. Dopo 50 anni, a che punto siamo?
«Lo spirito del Concilio ci sta davanti, l’impegno per il suo compimento dovrebbe vederci coinvolti, soprattutto su due dimensioni fondamentali: la Chiesa come popolo di Dio in cammino nella storia, di cui papa, vescovi, preti, religiosi e religiose sono una piccola parte con compiti specifici, non di superiorità e di distanza, ma di condivisione, di servizio. E poi il rapporto fra Chiesa e mondo: non di superiorità, di sospetto, di giudizio preventivo, bensì di attenzione, ascolto, apprendimento, dialogo, e poi orientamento, indicazione, insegnamento sempre rispettoso, di forte denuncia e giudizio su tutte quelle situazioni che opprimono, offendono e umiliano la dignità delle persone».
L’ultimo capitolo ha come titolo “Una Chiesa che non ha paura e che guarda al futuro”. I gesti e le parole di Francesco sono di incoraggiamento? Quale Chiesa sogni?
«Certamente le parole e i gesti di Francesco incoraggiano tanti preti insieme a tante persone che in questi anni sono stati sospettati e criticati per il loro impegno nella società, per un rinnovamento di fondo della Chiesa. Sta spostando il baricentro dalla dottrina alla testimonianza, dall’istituzione alle relazioni, dalla preoccupazione organizzativa all’atteggiamento interiore».
Quali sono le prime riforme da fare?
«Innanzitutto la scelta di camminare con i poveri e di presentarsi come Chiesa povera, essenziale, sobria. Poi la scelta di una maggiore democrazia. Da parte di alcuni si dice che la Chiesa non è una democrazia, in parte è vero perché dovrebbe essere una comunione, che però di fatto dovrebbe partire dall’attuazione delle elementari forme di partecipazione e di democrazia, per poi tendere all’ulteriorità della comunione. Infine la realizzazione di una Chiesa pluralista che riconosce le diversità culturali e simboliche delle diverse comunità sparse su tutta la Terra. Un pluralismo di teologie e liturgie. E ancora una Chiesa che riprende in modo profondo e pacato alla luce del Vangelo e con il contributo delle scienze umane le dimensioni dell’affettività, dell’amore e della sessualità nelle loro diverse esperienze ed espressioni. È questa la dimensione fondamentale della vita delle persone: riguarda i rapporti donna-uomo, la famiglia, i separati, i divorziati; l’omosessualità e la transessualità, la pedofilia; il celibato obbligatorio da sciogliere per la credibilità del celibato stesso e per una Chiesa con preti celibi, sposati e con donne prete. Sempre, continuamente e prima di tutto il riferimento a Gesù di Nazareth e al suo Vangelo: da qui si parte e qui si ritorna, altrimenti la Chiesa diventa un’istituzione fra le altre, con una copertura esteriore di religiosità».
 (*) – Don Piazza e un prete “di frontiera”, fondatore del Centro di accoglienza “Ernesto Balducci” di Zugliano (Ud).

martedì 13 maggio 2014

ESSERE ADULTI CREDIBILI

Comunità dell’Isolotto - Firenze, domenica 11 maggio 2014
essere adulti credibili
non ci sarà chiesto se siamo stati credenti ma se siamo stati credibili
riflessioni del gruppo genitori
Letture
dal Vangelo di Luca
I suoi genitori erano soliti andare a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Ora quando [Gesù] ebbe dodici anni salirono a Gerusalemme, ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, Gesù rimase a Gerusalemme all’insaputa dei genitori. Essi credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; e non avendolo trovato tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e faceva loro delle domande. E tutti quelli che lo ascoltavano erano stupiti per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo [i genitori] restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo».
Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole.
Poi tornò con loro a Nazareth ….. Sua madre conservava tutte queste cose in cuor suo.

Abbiamo scelto questo brano perché vi abbiamo trovato delle curiose analogie tra le relazioni che intercorrono tra Maria e Giuseppe e il loro figlio e quanto vediamo oggi nelle relazioni tra il mondo degli adulti e quello dei ragazzi.
In questo episodio nessuno fa una bella figura: né Maria e Giuseppe che smarriscono il figlio e se ne accorgono solo dopo una giornata di cammino, né Gesù che non mostra il minimo rispetto verso i suoi genitori e che alla domanda preoccupata della madre risponde piuttosto sgarbatamente. Più che una “sacra famiglia”, una famiglia con le sue difficoltà, come tante, come tutte.
E possiamo dunque interpretare il brano come la fisiologica difficoltà di relazione tra genitori e figli adolescenti che riguarda tutte le generazioni, più o meno da sempre.
Sappiamo che come in molti altri episodi anche in questo non si racconta un fatto storico della biografia di Gesù; poiché i racconti del Vangelo erano scritti con altri intenti comunicativi: in questo brano sembra si volesse mostrare che il popolo di Israele, anche nelle persone più vicine, i suoi familiari, sia rimasto sconcertato di fronte ai modi, ai gesti, ai messaggi di Gesù: non era il Messia che si aspettavano.
Ma noi, al di là di questa interpretazione, possiamo anche leggere in questo brano la difficoltà dei genitori e in genere del mondo degli adulti di accorgersi, di comprendere, di accompagnare gli orizzonti nuovi, gli interessi sconcertanti dei bambini, dei ragazzi, dei giovani. Maria e Giuseppe pensano, anzi danno per scontato, che Gesù segua le loro orme (vita a Nazareth, lavoro sicuro da falegname, rispetto rigoroso della Legge, ecc) e quindi non capiscono cosa sia successo, non capiscono cosa lo interessi, non sanno nemmeno dove cercarlo tanto che quando tornano a Gerusalemme ci mettono tre giorni per ritrovarlo (evidentemente lo hanno cercato ovunque meno che nel posto in cui era, perché non sapevano cosa lo interessasse). E rimangono stupiti dalle sue parole, dai suoi comportamenti. Semplicemente non lo capiscono.
C’è una curiosa analogia con il tempo di oggi: forse anche oggi il mondo degli adulti – spaventato da troppe cose – si ritrova preoccupato e spesso incapace di accompagnare nel mondo i propri ragazzi, con la necessaria credibilità e con la altrettanto necessaria capacità di aprirsi a nuovi orizzonti, di avere fiducia nel futuro.


dal libro del Deuteronomio e dal libro “I dieci comandamenti nel XXI secolo’
Onora tuo padre e tua madre, perché come il Signore tuo Dio ti ha comandato,
perché la tua vita sia lunga e tu sia felice nel paese che il Signore tuo Dio ti dà

Nel suo libro “I dieci comandamenti nel XXI secolo” il filosofo spagnolo Antonio Savater commenta che “credo che qualunque persona perbene tenda ad amare spontaneamente i propri genitori, nello stesso modo in cui i genitori amano i figli.
Onorare i genitori è una buona idea, ma può dare luogo a fraintendimenti: spesso i genitori credono che essere rispettati significhi che la loro autorità debba essere indiscutibile, che bisogni obbedire loro in modo cieco e soddisfare qualunque capriccio. A volte arrivano ad esigere che dai figli che realizzino nella vita quello che avrebbero desiderato e non hanno potuto ottenere, fino a trasformarli in una sorta di prolungamento dei propri desideri e dei propri sogni.
La presunta subordinazione dei figli costituisce la contropartita alla responsabilità dei genitori, al loro rappresentare in qualche modo l’autorità; non bisogna però confondere questa parola con autoritarismo o tirannia: autorità deriva dal latino auctor [1] che significa “colui che fa crescere, che aiuta a crescere”, quindi esattamente il contrario della tirannia, dato che l’interesse del tiranno è di mantenere in uno stato di infanzia perpetua coloro i quali vuole sottomettere. La vera libertà è quella che mette a disposizione del figlio gli strumenti per conquistarla.




Lettura da “Gli sdraiati” di Michele Serra
Il recente libro di Michele Serra Gli sdraiati racconta la riflessione di un padre, ma potremmo dire un genitore, alle prese con il figlio adolescente, che dorme quando è giorno, che esce di notte, che sta perennemente connesso all’iPhone, che vive stravaccato sul divano, ‘senza l’ombra di una concertazione con gli altri abitanti della casa’.
Questo padre esprime lo smarrimento che gli adulti provano nei confronti dei modelli politici, culturali e quindi anche educativi e relazionali, ed oscilla tra senso di impotenza e speranza.

[…] Dicono che avresti avuto bisogno di un Genitore[2]. Un vero Genitore. Che avresti avuto bisogno del suo ordine ben strutturato, ben codificato, così da poterlo fare tuo oppure confutarlo e combatterlo, e combattendolo diventare uomo. Non c’è argomento che mi metta più in difficoltà. Del Genitore non ho che alcune attitudini. Per esempio quella, non trascurabile di mantenerti con il mio lavoro e la mia fatica. […] Ma riconosco che di tutte le altre tradizionali attitudini del Genitore – stabilire regole, rimproverare, punire, disciplinare – non sono un convincente interprete. Le volte che tento di riportare un ordine, sottolineare regole, sento di avere il tono incerto dell’improvvisatore, non il tono autorevole di chi è sicuro del proprio ruolo. Sento di sembrare uno che si è scordato all’improvviso, costretto dall’emergenza, che avrebbe avuto il compito di governare. E non lo ha fatto. E simula, come il più ipocrita o il più inetto dei politici, di avere un programma di governo affastellando alla rinfusa mozziconi di regole, minacce improbabili, ricatti sentimentali, con la voce che oscilla dal borbottio lugubre all’acuto nevrastenico. Nel corso di questi concitati, e per fortuna rari, comizi domestici, dubito di almeno della metà delle cose che dico. Già mentre le pronuncio sento che appartengono a un armamentario retorico vetusto, rimediato appiccicando i cocci di vecchi codici infranti, spazzati via da rivoluzioni sociali o resi ridicoli dalla loro stessa prosopopea.
[….]
In certe cupe riflessioni serali, mentre tu eri sparito nel tuo altrove e io rinchiuso nella mia impotenza, ho temuto di avere abdicato, come padre, e di averlo fatto per comodità, per pigrizia. Ma al tempo stesso valutavo l’insincerità che mi sarebbe stata necessaria per fingermi depositario di un ordine vero, articolato in regole ferree e punizioni esemplari. Tra simulare un’autorità ben strutturata ma finta, ed esercitarne una gracile e fluttuante, però autentica, che cosa è peggio? Dimmi chi preferisci ritrovarti di fronte: uno che parla una lingua chiara ma non è la sua? oppure uno che parla proprio la sua ma non si capisce che accidenti sta dicendo? Nella furibonda disputa – l’ennesima- del mio parlamento interiore, dai banchi della destra si levano accuse cocenti contro l’imbelle rinuncia della sinistra a esercitare l’autorità. Ma anche quando sospetto che la destra abbia ragione, me ne rimango ostinatamente seduto sui banchi della sinistra. E lo sai perché? Perché non posso fare altro. Se non esercito il potere non è solamente per pigrizia (conta anche quella ma non è determinante). E’ soprattutto perché al potere, così come si è strutturato prima di te e di me, io non riesco più a credere. E dunque non posso, imbrogliando me stesso, imbrogliare anche te.





Lettura da ‘L’autorità perduta’ di Paolo Crepet
L’idea di dover infrangere il sogno delle giovani generazioni ha instillato in molti genitori un profondo senso di inadeguatezza: come se garantire maggiore prosperità fosse soltanto compito loro, come se i figli non dovessero contribuire al miglioramento delle condizioni future.
Quando si afferma enfaticamente che “per la prima volta nella storia dell’umanità i figli hanno davanti a sé una prospettiva peggiore di quella che avevano avuto i loro padri” si afferma una grande sciocchezza.
E’ la tipica affermazione di chi valuta tutto attraverso il denaro, di chi misura le prospettive di una generazione esclusivamente sul piano economico. Questa frase presuppone che la storia dell’umanità abbia sempre seguito una linea retta e progressiva, senza contraddizioni, sobbalzi, improvvise retromarce; chi potrebbe sostenere una simile ingenuità?
Credo che l’attuale crisi economica possa essere molto utile a chi deve educare. I periodi di vacche grasse sono terribili da questo punto di vista: portare a pensare che non vi sia più nulla da migliorare, che tutto sia ormai garantito, che l’impegno e l’invettiva fossero necessari solo un tempo, quando servivano a spezzare le catene che tenevano l’umanità legata ai ceppi del suo passato miserabile. In questo modo ci si addormenta e si diventa vulnerabili a ogni cambiamento di vento.
[…] Molti ragazzi e ragazze sono stati cresciuti pensando che non debba esistere una necessità – che viene spesso giudicata come sinonimo di sventura – ma solo diritti acquisiti per nascita : si è andata formando una sorta di “casta giovanile” che tutto pretende, quasi che l’esistenza sia un gigantesco distributore di merendine e che ogni desiderio corrisponda a un tasto sul display, una volta spinto il quale si debba solo attendere che l’oggetto bramato scivoli fra le mani delicate.

… Ho dedicato molti anni allo studio delle famiglie, osservandole dall’interno, ascoltandone le preoccupazioni, cercando strategie di uscita da errori educativi tanto involontari quanto evidenti.
Durante questo lungo percorso ho potuto scoprire quanti ruoli i genitori cerchino di interpretare pur di non affrontare il loro compito primario : educare.
In questi decenni di cascame educativo ho incontrato genitori che si dedicano a fare i camerieri, i tassisti, i cuochi, i tutor, i bancomat, gli insegnanti. Da anni cerco di spiegare una cosa semplice ma non comprensibile a chiunque: per agire correttamente sul piano educativo è necessario che i padri e le madri facciano molto meno di ciò che fanno. Il segreto dell’educare oggi risiede infatti nella capacità di sottrarre, non in quella di aggiungere. I genitori non devono essere camerieri, autisti, tutor e finanziatori : solo e semplicemente genitori, ovvero sovrintendenti alla educazione. Devono stare sopra, non alla pari, occuparsi delle grandi questioni (serenità, felicità, sensibilità, complicità), non dei dettagli. In altre parole devono togliere al loro mestiere, rendendolo più semplice, meno barocco e carico di obblighi non richiesti e spesso dannosi. Se si smettesse di dare la sveglia i figli, di accompagnarli, di fare i compiti al loro posto, di gestire le loro attività, si risparmierebbero tempo ed energie che potrebbero essere utilizzate nella sovrintendenza autorevole a cui mi richiamo.

Cinque consigli per i genitori :
- Credete nei vostri figli, soprattutto quando meno se lo meritano.
- Se avete una buona opinione dei vostri figli, non aiutateli. Se la caveranno da soli.
- Pretendere di educare oberati dai sensi di colpa è come voler spegnere un incendio con una tanica di benzina.
- Inorgoglite il loro talento, insuperbite la loro volontà : vi ringrazieranno quando sarete vecchi.
- Investire sui figli non significa dare loro denaro, ma metterli nelle condizioni di seguire le loro passioni.




‘La congiura contro i giovani’ di Stefano Laffi

La Credibilità: (Il bambino/giovane ndr) Noterà di frequente che gli adulti non dicono quello che pensano e non fanno quello che dicono, perciò farà fatica a reggere i loro discorsi. E fra questi, i più disonesti saranno quelli su di lui e sulla sua età, perché tenderanno a generalizzare episodi di cronaca, far finta che i ragazzi siano tutti uguali, saranno pieni di definizioni ed etichette, soprattutto parranno inutili rispetto a quello che gli serve, e un po' sospetti nel fare il gioco di chi li pronuncia, cioè il loro reddito. Noterà soprattutto che nel mondo non c'è corrispondenza fra la gravità dei problemi che lo circondano e la distribuzione delle energie per risolverli, altrimenti non sarebbe lui il problema: essere informati sarà penoso e lo porterà al disincanto sull'umanità, perché avrà notizia di nuove meraviglie della tecnologia e insieme della distruzione del pianeta, infiniti dibattiti politici e insieme inutilità della diplomazia e cronicità delle guerre, progressi della medicina che non toccano le epidemie in corso per malattie curabili.
Intervista a Stefano Laffi, ricercatore sociale ed esperto in culture giovanili, consumi e dipendenze, autore de La congiura contro i giovani (Feltrinelli) a cura di Silvana Mazzocchi su la Repubblica.it

Giovani in crisi, di chi sono le responsabilità?
"Quando si parla di "giovani in crisi" credo sia importante intendere non un presunto collasso di motivazione e di fiducia dei ragazzi rispetto alle sfide che li attendono, ma la mancanza di opportunità e di possibilità, che si manifesta nel non trovare esperienze, lavoro, soldi, casa, ma più in generale nel non aver voce, non poter incidere in nulla della realtà che li circonda. La crisi è di cittadinanza, è il non aver diritti davvero esigibili, è crescere sapendo di non poter incidere sul proprio mondo. Tutto lo spazio che li circonda è saturo, è impermeabile ad esigenze di gioco ed espressività, è popolato e normato da adulti, non ha vuoti nei quali agire: le città non li prevedono, parlano a bambini e ragazzi solo in termini di divieti e regole, il paradosso è che solo le affissioni pubblicitarie li evocano per sedurli, tocca entrare in un bar per esistere, ma come consumatori, o in consultorio adolescenti, come utenti. L'esilio di bambini, ragazzi e giovani dall'arena delle discussioni, delle decisioni e delle azioni pubbliche parla in ultima analisi della "crisi degli adulti", ecco di chi sono le responsabilità: non si vuole più cambiare e non si vogliono cedere le rendite di posizione, ci si illude di poter fare come ieri perché è l'unico modo che si conosce, se non è la paura a guidare gli adulti quando sentono la loro inadeguatezza agli strumenti di oggi. Il fatto è che questa sarà comunque un'epoca di cambiamenti - tutto sta mutando, come leggiamo e scriviamo, come nasce un'amicizia e un amore, come studiamo e come viaggiamo - di cui gli interpreti migliori sono proprio quelli che si vorrebbe escludere".

Quali sono le cause che hanno portato i giovani alla situazione di oggi?
"Non credo ci sia un muro alla fine di una corsa sfrenata, non penso che non trovar lavoro o credito in banca sia per un ragazzo una bruciante sorpresa, perché c'è nato e cresciuto nella mancanza di riconoscimento. Ci sono generazioni adulte che non vogliono cedere potere e privilegi e si nutrono di questo immobilismo, per questo nel libro parto dalla nascita, mostrando un meticoloso processo di annichilimento del potenziale di cambiamento che i più giovani avrebbero. Pensiamo alla "normalizzazione" dell'infanzia, a come sin dalla nascita si sia circondati da attese e norme di riferimento, fatte prima di parametri medico-clinici, e poi di progressi evolutivi per inorgoglire i genitori, e poi di performance scolastiche o di desideri indotti dal mercato fin dai due anni di vita. Così addestrati a rispondere alla norma e ad altro da sé, si potrà mai credere nel proprio contributo? È un esempio banale, ma se la scuola usa solo "domande illegittime" (ovvero quelle in cui chi domanda conosce la risposta e chi risponde sa di dover indovinare quella giusta) potranno mai i ragazzi pensarsi ed esercitarsi come portatori di pensiero originale? Più tardi comincia invece la "patologizzazione" dell'adolescenza, che è sempre pensata come problematica, a rischio, trasgressiva, e la sua fame di esperienze e prove viene vista con sospetto, se non inibita letteralmente, al contrario dei loro corpi, rubati dal mercato, per farne oggetto di consumo. Si arriva così all'ultimo atto, "l'umiliazione" dei giovani, nei colloqui di lavoro, nella considerazione di quello che hanno studiato, nella gratuità di tutto quello che dovrebbero fare, nelle mansioni loro affidate, negli abusi di potere che devono subire. Cinismo, disincanto, ritiro sociale, spaesamento, tristezza: possiamo davvero sorprenderci se compaiono a 15 o 20 anni, cioè alla fine di questa carriera?"

C'è una via d'uscita? "Non solo c'è ma è obbligatoria, è urgente, e la buona notizia è che libera tutti. Certo, dobbiamo accettare una condizione, quella di esser disposti al cambiamento. Ma partiamo dalla constatazione che la maggior parte delle nostre istituzioni non funzionano, sono in affanno, disorientate: vale per le famiglie, dove i genitori si separano e non sanno come star dietro ai figli, vale per le aziende che sono in crisi, vale per l'istruzione e la formazione che non sanno quali competenze formare e sono superate dagli allievi rispetto al digitale, vale per la politica al minimo storico di fiducia... A furia di escludere i più giovani da tutte le istituzioni ci troviamo oggi intrappolati in routine quotidiane che non funzionano, sono lente, burocratiche, irreali nei tempi e nelle richieste. Bene, in ogni epoca di cambiamento si sa che avviene un ribaltamento dei saperi, la tradizione perde la forza di guida, sono i più giovani i nostri pionieri, saranno loro a guidarci. Certo, senza un'esperienza di riconoscimento sociale sin dall'infanzia non sarà facile ribaltare i ruoli, ma loro nell'incertezza ci sono nati e usano le strategie cognitive più adatte, che dobbiamo imparare da loro: muoversi per tentativi senza certezza sulle mete, valorizzare gli errori perché ricchi di informazioni, moltiplicare i campi di esperienza perché utili a misurare le nostre capacità, scambiarsi saperi e scoperte in modo orizzontale perché non serve chiuderli a chiave, prendere e partire, muoversi insieme per sostenersi e favorire l'apprendimento, superare i confini disciplinari perché la realtà è una e non segmentata... La via di uscita è questa, cambiare insieme questa società e affidarci a loro per scoprire e sperimentare. In alcune aziende c'è già il reverse mentoring e in fondo nel volontariato è normale che un ragazzo insegni a un cinquantenne appena arrivato. Forse ci siamo dimenticati che le più grandi invenzioni del '900 sono state fatte da scienziati che avevano fra i 20 e i 30 anni".                 (20 gennaio 2014)

Si veda anche la presentazione di Stefano Laffi su youtube all’indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=Ctvuh3e70Kw




Riflessione su giovani e web. Le incomprensioni fra adulti e ragazzi

La vita dei giovani nel mondo dei social network è per noi adulti come un viaggio da esploratori in una terra sconosciuta. Genitori di adolescenti, insegnanti, psicologi mancano di quella conoscenza di prima mano, diretta, quasi spontanea dei giovani nei confronti dei nuovi mezzi di comunicazione e questo spesso genera negli adulti pregiudizi, paure e diffidenza. Capita a noi genitori di confrontarci e raccontarci le nostre esperienze  ed emerge ad esempio il timore che i social network utilizzati dai nostri figli (Facebook, twitter) o chat come  whatsApp,  amplifichino in maniera esagerata gli scambi di relazioni e troppo velocemente diffondano malumori o opinioni che possono danneggiare qualche ragazzo preso di mira proprio perché il mezzo raggiunge immediatamente molte persone insieme.
Danah Boyd è una ricercatrice americana, docente alla New York University e responsabile di un progetto Microsoft. Ha scritto un libro, frutto di un lavoro durato otto anni, durante i quali ha intervistato migliaia di ragazzi, li ha frequentati individualmente o in gruppi, ed ha seguito le “tracce” che lasciano su Facebook. Una prima scoperta della ricercatrice è che i ragazzi di oggi “devono” socializzare usando i social network per mancanza di altri spazi di ritrovo coi loro coetanei. Scrive la Boyd “Molti adolescenti hanno meno libertà di muoversi, meno tempo libero e più regole dei loro genitori o nonni. La pressione scolastica è aumentata. Non si usa più passare ore di tempo libero a spasso con gli amici dopo la scuola. Ogni generazione di adolescenti ha uno spazio differente che decide come lo spazio “cool” per frequentare gli amici e oggi quello spazio si chiama Facebook o Twitter o altro. Gli adulti non lo capiscono perché interpretano questi fenomeni deformandoli alla luce delle proprie ossessioni, fobie, nostalgie e ricostruzione distorte del passato.” E ancora “Molti genitori si sono reinventati la propria infanzia, ricordandola come un luogo molto migliore, più ricco, più facile e più sicuro di quanto fosse in realtà”. Il bullismo o la pedofilia esistevano senza Internet, probabilmente più feroci perché meno smascherati e sanzionati dai valori dominanti.
La storia si ripete: altre vie di comunicazione del passato furono accolte con diffidenza, pregiudizi e sospetti. Quando era considerato pericoloso per le donne leggere romanzi o quando negli anni Cinquanta il rock&roll fu bollato come un’istigazione alla violenza e alla delinquenza minorile..
Un aspetto fondamentale da tenere presente per capire la differenza tra noi adulti e loro ragazzi è che noi siamo degli “immigrati digitali”, e come degli immigrati in terra straniera ne scopriamo faticosamente le regole e ci muoviamo con timore e sospetto. Loro sono dei “nativi digitali”, per loro questo è un universo noto, sono cresciuti dentro le sue regole.


Ma cosa vuol dire ‘essere autorevoli’?

I ragazzi per crescere hanno bisogno di persone autorevoli. A volte abbiamo l’impressione che non ce ne siano molte in circolazione, a volte incontrandole ci si allarga il cuore e il volto si distende in un sorriso. Noi stessi a volte lo siamo, a volte meno. Allora ci/vi chiediamo: ma cosa vuol dire essere autorevoli?

Premessa: Mentre l'autorità deriva da un ruolo o da un grado che qualcuno detiene e che gli altri riconoscono per obbligo, l'autorevolezza è basata sull’apprezzamento di capacità e comportamenti che la persona autorevole sa mettere in atto: non deriva dunque da imposizioni ma dal riconoscimento che del valore della persona.  Ecco alcuni elementi dell’autorevolezza:

1.     La persona autorevole fa corrispondere le proprie parole ai fatti: le persone autorevoli, tendenzialmente, non sprecano le parole, non parlano a vuoto e quando dicono qualcosa cercano di far corrispondere le parole ai fatti. Per esempio un insegnante che per farsi ascoltare fa appello continuamente a conseguenze che poi non arrivano mai perde rapidamente credibilità e l’autorevolezza; un padre che promette ogni volta che la domenica accompagnerà il figlio a giocare ai giardini e poi per una ragione o per un’altra (anche ottime ragioni) non lo fa, perde autorevolezza: il ragazzo crescerà con minore capacità di ascoltare e di farsi ascoltare.

2.     La persona autorevole ‘sa di cosa parla’, ‘sa come fare’: le persone autorevoli hanno conoscenze ed esperienze; sanno di cosa parlano e, se necessario, sanno cosa fare. Sanno dire e mostrare, con semplicità, sicurezza e senza presunzione, le loro conoscenze. Esprimono passione per le cose che sanno e voglia di continuare ad imparare. Ad esempio: un nonno che nella vigna racconta ai nipoti come e quando si decide che è tempo di cominciare la vendemmia, come lo si decideva un tempo e come lo si fa oggi con strumenti moderni, come la si coglie ecc.. è persona autorevole che esprime competenze e passione.
3.     La persona autorevole, quando necessario, sa prendere posizioni scomode per ottenere rispetto per sé e per altri: quando si trovano di fronte a situazioni nelle quali non sono d’accordo, specie in quelle nelle quali si verificano mancanze di rispetto verso loro stessi o verso persone più deboli le persone autorevoli sanno prendere posizione ferme, differenziandosi se necessario dalla massa, per pretendere, rispetto di sé stessi e/o delle persone più deboli.

4.     Le persone autorevoli sanno quando dire ‘bravo”: sanno dare il giusto riconoscimento alle persone quando queste hanno fatto delle buone cose, hanno avuto delle buone idee o dei comportamenti intelligenti, sensibili o coraggiosi. Dire dei “bravo” a ragion veduta aumenta l’autostima di chi riceve questo riconoscimento e accresce l’autorevolezza di chi esprime questo riconoscimento; al contrario dire dei "bravo" a caso, per distrazione, calcolo o opportunismo, toglie valore alle parole e mina l’autorevolezza. Non dire dei “bravo” quando è necessario è una mancanza di rispetto, che rende distanti di una distanza che toglie autorevolezza. Ad esempio: un allenatore che per distrazione non si accorge che un suo allievo ha superato un ostacolo e non gliene dà il giusto riconoscimento commette un errore che presto o tardi lo allontana da quell’allievo ma anche dagli allievi.
5.     Le persone autorevoli non scappano di fronte alle difficoltà: le persone autorevoli di fronte alle difficoltà non si tirano indietro ma le affrontano al meglio delle loro capacità; se non ne hanno la forza sono capaci di chiedere aiuto. L'autorevolezza è quindi correlata al coraggio, alla capacità di saper mantenere la calma, di saper contare sulle proprie risorse, di saper attivare e contare su risorse di altri. Il capitano di una nave quando in una situazione d’emergenza, mantiene la calma, attinge alle sue competenze tecniche, impartisce le istruzioni necessarie per la sicurezza di tutti, chiede aiuto a chi è preposto, sostiene tutti a partire da chi è in maggiore difficoltà, si dimostra autorevole.
6.     La persona autorevole vede, si accorge, delle difficoltà degli altri (anche di quelle non esplicite) e interviene fornendo con tatto e misura, il sostegno o l’aiuto più adeguato, senza dire nulla per non mettere in imbarazzo la persona in difficoltà, senza vantarsi del proprio gesto.
7.     Essere equilibrati nei giudizi e nelle reazioni: le persone autorevoli sono persone che riescono a valutare le situazioni e a farvi fronte in modo equilibrato, senza reazioni sproporzionate, focalizzando l’attenzione alle questioni e non alle persone; al contrario ‘essere deboli con i forti e forti con i deboli’, ‘gestire le situazione con due pesi e due misure a seconda delle persone che coinvolgono’ non è una modalità che caratterizza le persone autorevoli.


Preghiera eucaristica

Vogliamo coltivare le relazioni positive
e tutti gli aspetti che producono
serenità e benessere,
senso di responsabilità e libertà.

Vogliamo coltivare l’intreccio tra le generazioni
perché è fonte di sapienza, di equilibrio, di felicità.

Vogliamo coltivare la consapevolezza
che i figli e le figlie non ci appartengono,
non sono fatti per rispondere alle nostre aspettative,
ma sono frecce che vanno verso la vita che è loro davanti.

Vogliamo affermare che siamo responsabili di tutti i piccoli,
di tutti i figli, e non solo dei “nostri”,
perché pensiamo di essere legati
da una umanità e fratellanza universale.

Vogliamo credere nelle capacità positive
dei bambini, dei ragazzi e di tutti i giovani,
ed aiutarli a crescere imparando
ad essere per loro esempi credibili.

Vogliamo sviluppare e far crescere in noi stessi credibilità,
perché i nostri figli crescano in libertà e senso di responsabilità.

Vogliamo non farci sopraffare dallo smarrimento di questo tempo
e mostrare a noi stessi e ai nostri figli che è possibile coltivare speranza,
che la vita ha senso e che vale la pena di essere vissuta.

Ci sembra che questo sia anche il messaggio contenuto
nel Vangelo e nella testimonianza del cammino di Gesù
il quale la sera prima di essere ucciso
dai sacerdoti e dai potenti del tempo,
mentre sedeva a tavola con i suoi amici e le sue amiche,
prese del pane, lo spezzò, lo distribuì loro dicendo:
“prendete e mangiatene tutti questo è il mio corpo”.

Poi preso un bicchiere, rese grazie,
lo diede loro e tutti ne bevvero, e disse loro:
”questo è il mio sangue che viene sparso per tutti i popoli”.

Questo pane e questo vino,
queste riflessioni e queste emozioni,
questa comunità che li offre e li fa propri
divengano segni di liberazione dalle paure e dalle ottusità
e si trasformino in segni di vita, di speranza
di una cultura nuova nel segno del rispetto,
della fiducia reciproca e delle relazioni positive
tra tutti le generazioni, tra tutte le persone
tra tutti i popoli.



Parlaci dei figli

I vostri figli non sono i vostri figli.
Sono i figli e le figlie della brama che la Vita ha di sé.
Essi non provengono da voi, ma per tramite vostro,
e benché stiano con voi non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore ma non i vostri pensieri,
perché essi hanno i propri pensieri.
Potete alloggiare i loro corpi ma non le loro anime,
perché le loro anime abitano nella casa del domani,
che voi non potete visitare, neppure in sogno.
Potete sforzarvi d’essere simili a loro, ma non cercate di renderli simili a voi.
Perché la vita non procede a ritroso e non perde tempo con ieri.
Voi siete gli archi dai quali i vostri figli sono lanciati come frecce viventi.
L’arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito,
e con la sua forza vi tende affinché le sue frecce vadano rapide e lontane.
Fatevi tendere con gioia dalla mano dell’arciere;
perché se egli ama la freccia che vola, ama ugualmente l’arco che sta saldo.

dal libro “Il profeta” di Gibran Kahlil

 


Father And Son

di Cat Stevens

 

Padre e figlio

 

 

Father:
It's not time to make a change

Just relax, take it easy

You're still young, that's your fault

There's so much you have to know

Find a girl, settle down

If you want, you can marry

Look at me, I am old

But I'm happy

I was once like you are now

And I know that it's not easy

To be calm when you've found

Something going on

But take your time, think a lot

I think of everything you've got

For you will still be here tomorrow

But your dreams may not


Son:
How can I try to explain

When I do he turns away again

And it's always been the same

Same old story

From the moment I could talk

I was ordered to listen

Now there's a way and I know

That I have to go away

I know I have to go


Father:
It's not time to make a change

Just sit down and take it slowly

You're still young that's your fault

There's so much you have to go through

Find a girl, settle down

If you want, you can marry

Look at me, I am old

But I'm happy


Son:
All the times that I've cried

Keeping all the things I knew inside

And it's hard, but it's harder

To ignore it

If they were right I'd agree

But it's them they know, not me

Now there's a way and I know

That i have to go away

 

 

Padre:
Non è tempo di cambiare

rilassati, prendila con calma

sei ancora giovane, questa è la tua colpa

hai ancora molte cose da conoscere

trovare una ragazza, sistemarti,

se vuoi puoi sposarti

guarda me, sono vecchio,

ma sono felice

una volta ero come sei tu ora,

e so che non è facile

rimanere calmi quando hai trovato

qualcosa che va

ma prendi il tuo tempo, pensa a lungo

perché, pensa a tutto quello che hai avuto.

per te sarà ancora qui il domani,

ma forse non i tuoi sogni.


Figlio:
Come posso provare a spiegare,

quando lo faccio, si volge altrove di nuovo

è sempre la stessa vecchia storia

dal momento in cui potevo parlare,

mi fu ordinato di ascoltare

ora c'è una strada e so

che devo andarmene

so che devo andare



Padre:
non è tempo di cambiare

siediti, prendila con calma

sei ancora giovane, questa è la tua colpa

ci sono ancora molte cose da affrontare

trovare una ragazza, sistemarti,

se vuoi puoi sposarti

guarda me sono vecchio,

ma sono felice

 

 

Figlio:
tutte le volte che piansi,

tenendo tutto dentro di me

è dura, ma è anche dura

ignorare tutto

se avevano ragione, ero d'accordo,

ma sono loro che tu conosci, non me

ora c'è una strada, e io so

che devo andarmene,

so che devo andare


 

 

 

 





[1] Conformemente ai valori di augeo ("produrre", "accrescere", "integrare", "ampliare", "rafforzare", "completare"), l'auctor, nella tradizione latina, è chi possiede capacità d'iniziativa, promuove un atto, perfeziona e garantisce, integrandola e rafforzandola, la insufficiente volontà o personalità di un altro.
[2] Il testo di Serra parla di ‘padre’, ma per la nostra riflessione possiamo utilizzare la parola ‘genitore’.