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sabato 25 giugno 2011

Scire est meminisse


 


La radici della P4 nelle stragi del '93






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Negli stessi giorni in cui esplodeva lo scandalo della P4, nell'aula bunker di Firenze si riapriva il processo sulle stragi del '93. Il nesso temporale fra i due eventi è puramente casuale, ma ha una potente valenza simbolica. Il sistema di potere instaurato dalla P4 ha avuto nella stagione delle stragi la sua levatrice. Lo dice con coraggio e con forza l'avvocato Danilo Ammannato, che rappresenta 18 familiari delle vittime di via dei Georgofili, la Regione Toscana, il Comune di Firenze. «Tutto inizia da Riina», dice Ammannato nella sua arringa. Il 30 gennaio '92 la Cassazione, per la prima volta, confermò le condanne al gotha di Cosa Nostra. È una data storica. Brusca ha detto: «Tutto inizia da lì. Riina non aveva mai avuto un ergastolo». Il significato della sentenza è che il vecchio referente politico (Lima, Andreotti) non esisteva più, non funzionava più. Da qui scatta il movente delle stragi del 1992: la vendetta. Per vendetta vengono uccisi Salvo Lima, europarlamentare eletto in Sicilia con 600 mila voti, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, con le rispettive scorte, l'esattore Ignazio Salvo e si pianifica l'assassinio del magistrato Pietro Grasso. Nel frattempo, il 17 febbraio '92 con l'arresto di Mario Chiesa è partita l'inchiesta Mani Pulite che "rompe il giocattolo", cioè il sistema politico, economico, imprenditoriale sul quale Cosa Nostra aveva fino ad allora contato. E inizia la trattativa con un nuovo sistema che sta emergendo.



Lo scrivono anche i giudici estensori della prima sentenza sulle stragi: la trattativa ci fu. Una eventualità del genere fa rabbrividire, scrissero i giudici. E la trattativa fu idonea a convincere i mafiosi che la strage pagava, perché lo Stato cedeva. Dopo l'arresto di Riina parte la campagna delle stragi sul continente. Dopodiché vengono chiuse le carceri dell'Asinara e di Pianosa, e arriva in Parlamento la norma di legge che doveva consentire anche agli imputati di strage di ricorrere al giudizio abbreviato, con pratica conseguente abolizione dell'ergastolo. Che era ciò che chiedeva Riina nel famoso "papello". Nel '93, dopo l'arresto di Riina, il ministro Martelli è costretto a dimettersi per la vicenda del Conto Protezione. Gli subentra Giovanni Conso. Il primo aprile la mafia decide di fare le stragi in continente. Il 14 maggio attentato in via Fauro a Roma contro Maurizio Costanzo. Il 15 maggio il ministro Conso toglie 140 decreti del 41 bis. Cancemi racconterà
che nella primavera del '93 Provenzano gli dice: «Le cose marciano bene, il 41 bis va a morire». Per tutto il corso del '92 Riina aveva detto che si sarebbe giocato i denti per far abolire la legge sui pentiti, l'ergastolo, il sequestro dei beni, il carcere duro. E Cancemi, già nel '99, in udienza pubblica, aveva dichiarato che all'epoca Riina sosteneva di avere nelle sue mani Dell'Utri e Berlusconi (non ancora in politica). Il 4 giugno '93, pochi giorni dopo la strage di Firenze, il governo sostituisce al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Amato con Capriotti. Il 20 luglio il 41 bis viene confermato e una settimana più tardi Cosa Nostra aziona di nuovo il tritolo, con gli attentati di Roma e Milano. Il pentito Sinacori racconta che in agosto il senatore dc Inzerillo dice: «Non avete ottenuto nulla, con un governo che un po' è fermo e un po' cede».



A questo punto l'avvocato Ammannato arriva all'incontro fra Graviano e Spatuzza del gennaio '94 al bar Doney di Roma. Graviano dice: «Abbiamo l'Italia nelle mani, abbiamo concluso tutto», il che significa che ci sono nuovi referenti, Dell'Utri e Berlusconi. Nel contempo dà personalmente l'ordine di eseguire l'attentato dell'Olimpico contro cento carabinieri, per dare il "colpo di grazia" alla trattativa perdente, quella con il colonnello dei carabinieri Mario Mori, il cui terminale era il ministro Mancino. Il colpo di grazia ai vecchi referenti apre la strada ai nuovi.



Ammannato conferma le connessioni fra la stagione delle stragi e il sistema di potere che incatena la società italiana, connessioni «riconducibili al disegno di rendere praticabile la strada delle modificazioni istituzionali che apertamente e da vario tempo il potere piduista aveva invocato, modificazioni funzionali alla conservazione del potere politico-economico nelle mani della oligarchia conservatrice» (sentenza-ordinanza dell'86 dei giudici istruttori di Bologna, Vito Zincani e Sergio Castaldo). La lezione è chiara: finché i centri di potere che hanno utilizzato il terrorismo restano impuniti non si può abbassare la guardia della memoria e la ricerca della verità.












Il manifesto 24 giugno 2011 – pag. 17





Enzo Mazzi







martedì 21 giugno 2011

Chiesa tiranna in libero Stato

LA CHIESA E L'ESTREMA UNZIONE DI CAVOUR - DI CORRADO AUGIAS

da: la Repubblica di domenica 19 giugno 2011

Signor Augias, un successo le celebrazioni dei 150 anni dell'unità d'Italia, segno di risveglio della coscienza identitaria. L'evento, fra l'altro, ha offerto l'occasione per riscoprire la storia del nostro Risorgimento. Che la Chiesa abbia osteggiato il processo è risaputo, ma che fosse arrivata adusare i sacramenti scomunicando i protagonisti del Risorgimento sfuggiva ai più. Pochi sapevano che si arrivò a negare l'estrema unzione a Cavour morente, reo di essere stato la mente politicamente più lucida di quel movimento. Eppure quel sacramento costituisce per tradizione, in un paese cattolico, un estremo atto di carità per i credenti e i non credenti. I sacerdoti, infatti, la somministrano senza indagare sulla fede del morente. Ma a Cavour, pur cattolico, fu ufficialmente negata.

Un pietoso frate, Padre Giacomo, ebbe il coraggio di violare il divieto. Ma la pagò cara, la sua vita ne fu sconvolta. L'ira del papa lo fulminò. Convocato a Roma dal sant'Uffizio, duramente biasimato da Pio IX in persona, fu punito con la sospensione "a divinis" e privato dei relativi emolumenti. Morì in estrema povertà.

Fa piacere constatare oggi che la Chiesa, da nemica, sia divenuta convinta sostenitrice e baluardo dell'Unità d'Italia.

Ezio Pelino - pelinoezio@tiscali.it

Risponde Corrado Augias

Baso la mia risposta sulle informazioni che gentilmente mi ha fornito il dottor Nerio Nesi che presiede Ia Fondazione Cavour. Il conte di Cavour alcuni mesi prima della sua precoce morte (nemmeno 51 anni!), chiamò il frate Giacomo Marocco, parroco della Madonna degli Angeli e suo amico, per chiedergli, quando fosse venuto il momento, di concedergli l'assoluzione senza richiesta di ritrattazione. Gli disse più o meno: frate, perché i miei bravi elettori non pensino di aver sostenuto un senza-dio, vi prego, quando sarà venuto il momento di darmi gli estremi sacramenti. Sia chiaro che nulla rinnego della mia politica ma vorrei morire in pace con Dio.

La nipote Giuseppina Alfieri di Sostegno quando fu chiaro che il povero conte era in agonia andò a chiamare il frate che mantenne il suo impegno. La leggenda vuole che Cavour prima di spirare abbia ripetuto le famose parole «Frate, Frate ricorda, libera Chiesa in libero Stato».

Qualche settimana dopo la morte di Cavour il generoso frate venne convocato a Roma dove, su ordine diretto di papa Pio IX, venne punito con la sospensione "a divinis", che nel linguaggio ecclesiastico significa non poter più amministrare i sacramenti né dire messa. Gli venne anche tolta la parrocchia compreso il beneficio economico che ne derivava.

Solo con la morte di Pio IX (1878) e I'ascesa al trono del successore Leone XIII, fra' Giacomo, colpevole di troppa generosità, riebbe il suo posto. Potendone godere poco poiché poco dopo il poveretto morì.



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Commento.

Se fa piacere che la Chiesa, come afferma Ezio Pelino nella sua lettera ad Augias, “sia divenuta sostenitrice e baluardo dell’Unità d’Italia” (forse perché “il vento” sta cambiando?), non altrettanto si può dire per quanto concerne la sua mancanza di carità nei confronti di coloro, credenti o non credenti, che non si attengono alle sue “leggi”. Ieri Cavour, oggi Piergiorgio Welby. Prima ancora Giordano Bruno, Savonarola, Galileo Galilei, ecc. ecc. ecc. A dimostrazione riporto qui sotto un elenco di alcune sanzioni comminate dalla Chiesa ai cattolici che in politica hanno seguito la loro coscienza anziché gli ordini (o interessi?) della Chiesa.

Giampietro Sestini

1874 - NON EXPEDIT

Formula latina (non conviene) con cui la Santa Sede il 10 settembre 1874 fece espresso divieto ai cattolici italiani di partecipare alle elezioni per il primo Parlamento dell'Italia unita e in generale alla vita politica dello Stato.

1948 - SCOMUNICATO CHI VOTA "FRONTE POPOLARE"

Il decreto del Santo Uffizio

(dal manifesto pubblico della curia di Piacenza per le elezioni politiche del 18 aprile 1948)

E’ peccato grave

1 ° - Iscriversi al Partito Comunista.

2° - Favorirlo in qualsiasi modo, specie col voto.

3° - Leggere la stampa comunista.

4° - Propagare la stampa comunista.

Quindi non si può ricevere l'assoluzione se non si è pentiti e fermamente disposti a non commetterlo più.

Chi, iscritto o no al Partito Comunista, ne ammette la dottrina marxista, atea e anticristiana e ne fa propaganda, è APOSTATA DALLA FEDE E SCOMUNICATO e non può essere assolto che dalla Santa Sede.

Quanto si è detto per il Partito Comunista deve estendersi agli altri Partiti che fanno causa comune con esso.

Il Signore illumini e conceda ai colpevoli in materia tanto grave, il pieno ravvedimento, poiché è in pericolo la stessa salvezza dell'anima.

2005 – CHI VOTA AL REFERENDUM NON E' CATTOLICO

La Conferenza Episcopale Italiana si è pronunciata all'unanimità contro la partecipazione dei cattolici ai referendum del 12-13 giugno 2005 sulla fecondazione assistita. "L'unica scelta è astenersi. Chi PRETENDE di andare a votare non può dirsi cattolico maturo. Chi vuole essere coerente con la Chiesa NON DEVE partecipare al referendum”.



giovedì 16 giugno 2011

La strepitosa vittoria dei referendum



 


 


COMUNITÀCRISTIANE DI BASE


Segreteria Tecnica Nazionale


c/o CdB San Paolo - Roma


Via Ostiense, 152/B – 00154 – Roma


328.4366864



 


La strepitosa vittoria dei referendum apre scenari nuovi sui fondamenti della vita sociale, sul senso dello sviluppo, della crescita e del consumo, sulla "razionalità" del mercato, sugli stili di vita individuali e collettivi, sul senso della politica come partecipazione di esseri sovrani e uguali. E pone in discussione l’asse del vivere civile imposta al mondo intero dalla oligarchia che domina l’economia e la politica a livello planetario: la guerra di tutti contro tutti, chiamata eufemisticamente competizione mondiale.


La vittoria dei referendum fa intravedere la nascita di un grande movimento trasformatore alla base della società in collegamento più o meno esplicito con un vento nuovo di liberazione e di affermazione di sovranità dal basso che sta impetuosamente soffiando nel mondo. E che finalmente trova il mondo giovanile fra i principali protagonisti, come appare evidente anche nella faticosa esperienza del mondo arabo che si affaccia sule rive del Mediterraneo.


Quel 57% di elettori italiani dicendo SÌ all’abrogazione di alcune norme sui bei comuni ha in realtà affermato il bisogno di nuovi valori sociali: la cooperazione anziché la competizione, la comunità aperta anziché l’egoismo escludente, la condivisione anziché l’appropriazione individualistica. Il nuovo paradigma si sta configurando come un nuovo patto tra gli esseri umani che però include necessariamente anche un nuovo patto con la terra, con la natura, con la vita e con Dio stesso.


Le comunità cristiane di base che hanno resistito nel portare avanti, maturare e attualizzare come hanno potuto tali valori sociali e comunitari nella fase storica di dominio del neoliberismo, dominio che ha contaminato pesantemente la stessa vita ecclesiale, salutano con gioia questa affermazione referendaria e ne traggono stimolo per rinnovare il loro impegno.


 


Le comunità cristiane di base italiane


Roma, 14 giugno 2011


Ma religion est liberté




Mohamed Talbi



Islam della nuova Tunisia







 







 






Voilà son credo : «L’Islam ne cible pas un pays, ni une région. Il s’adresse à tous les hommes, qu’ils soient chinois, australiens ou saoudiens. C’est une religion capable de s’adapter à tout lieu et à toute époque. D’où l’obligation d’actualiser le Balâgh (Message) coranique. La parole de Dieu n’est pas rigide parce que Dieu est vivant. Il dépasse de son éloquence tous les hommes, foukaha (jurisconsultes) et oulama, (savants) soient-ils. Il faut l’écouter Lui. La Charia, comme elle nous est parvenue, incarne une interprétation humaine de la parole divine. Elle peut convenir à une époque et pas à une autre. Il faut retourner à la lettre et à l’esprit du Coran. C’est là où tout musulman peut trouver la hidâya, une guidance spirituelle pour organiser sa vie au mieux. La Charia est un mot que l’on ne trouve nulle part dans le texte coranique, qui par contre cite 326 fois le terme hidâya sous ses diverses formes».







 







Ecco il suo credo: "L'Islam non circoscrive un paese, né una regione. Esso si rivolge a tutti gli uomini, siano essi cinesi, australiani o sauditi. E' una religione capace di adattarsi a ogni luogo e ad ogni epoca. Da cui l'obbligo di attualizzare il Balagh (Messaggio) coranico. La parola di Dio non è rigida perché Dio è vivente. Egli sopravanza con la sua eloquenza tutti gli uomini, siano essi foukaha (esperti di diritto) e ouléma (saggi). Bisogna ascoltare Lui. La Charia, come è arrivata a noi, incarna una interpretazione umana della parola divina. Può essere adatta ad un epoca e non ad un'altra. Bisogna ritornare alla lettera e allo spirito del Corano. E' lì che ogni mussulmano può trovare la Hidaya, una guida spirituale per organizzare al meglio la sua vita. Charia è una parola che non si trova in nessuna parte del testo coranico, che invece cita 328 volte il termine hidaya nelle sue diverse forme.



 







Fonte